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Autore: MadnessOnMars    25/10/2011    3 recensioni
Sora è pigro, fuori fa caldo e lui non ha voglia di alzarsi dal pavimento fresco. C'è ancora tempo e lui continua a rinviare, ancora, ancora e ancora, ma quando non mancano che poche ore, è in quel momento che inizia a dare i numeri. Qual'è il regalo perfetto per Lui?
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riku, Sora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Which one is the fucking perfect gift??

Lo sapeva. Lo sapeva benissimo. Lo sapeva da una settimana, da un mese, da un anno, esattamente da quello stesso giorno un anno fa.
Che cavolo, lo sapeva da una vita! Non lo aveva dimenticato, come avrebbe potuto? Quale stupido avrebbe mai potuto dimenticare il compleanno del proprio migliore amico, diventato da appena sei mesi il proprio ragazzo?
Esatto, nessuno. Infatti lui non se l’era dimenticato. No, semplicemente aveva rinviato la cosa fino all’ultimo momento, come suo solito.
Mancava ancora un mese, c’era tempo. Ancora una settimana prima del suo compleanno, troppo in anticipo, e lui non era mai in anticipo. Il giorno prima era semplicemente troppo stanco, e faceva troppo caldo per uscire dalla sua stanza così piacevolmente fresca.
Insomma, non glielo aveva mica detto lui di nascere in Agosto! Quasi si maledì lui stesso per la stupidità dei suoi ragionamenti, dopotutto una persona non può scegliersi da sola la data di nascita, no? Però avrebbe anche potuto provare a venire al mondo in un mese un po’ meno caldo e afoso...
Lo sapeva perfettamente  anche in quel momento, mentre se ne stava sdraiato sul pavimento di camera sua a fissare il soffitto e ad ascoltare il soffuso ronzio del condizionatore,  continuando a fare stupide considerazioni che non avevano né capo né coda.
Lo sapeva eppure non riusciva a fare altro che rimandare, rimandare e rimandare ancora. Si spostò a carponi sul pavimento, cercando un angolo ancora abbastanza fresco dove non si fosse già steso. E comunque non c’era fretta, aveva ancora...
Si stropicciò gli occhi nella vana speranza che i numerini azzurri della sveglia digitale posata sul comodino fossero frutto di un miraggio distorto dovuto all’eccessiva calura estiva. Purtroppo non era così. Gli rimanevano soltanto due ore, due misere, insignificanti, blande ore per riuscire a farsi venire un’idea brillante quanto improbabile sul regalo perfetto da fare a Riku.
Diciamocelo, le idee brillanti non erano esattamente il suo forte, lui era più il tipo da ‘ora lo faccio, dopo lo penso ’, o cose del genere. Non ricordava bene l’ultima volta che si era fermato a riflettere prima di agire, a dire il vero non ricordava di averlo mai fatto, di conseguenza molte delle cose che faceva risultavano essere delle stupidate atroci. Poco male. Imprecò quando nella foga di alzarsi sbatté il mignolo del piede contro lo spigolo dell’armadio, i maledetti angoli, erano sempre quelli che ti fregavano, poco appariscenti ma letali.
Aprì un cassetto e frugandoci dentro ne cavò fuori a casaccio un paio di jeans e una maglietta. Si vestì in fretta e furia, tirando parolacce a destra e a manca quando sbatteva contro qualcosa nel tentativo di infilare la testa nel buco giusto e prendere il cellulare nello stesso momento.
Afferrò le chiavi e il portafoglio, ficcandoselo in bocca mentre con una mano cercava di mettere le chiavi in tasca e con l’altra prendeva le All Star blu e tentava di infilarsele saltellando sgraziatamente verso l’uscita. Solo dopo aver chiuso la porta di casa si permise di farsi prendere dal panico nella maniera più totale.
C’era un’afa assurda, un caldo tropicale e la maglietta gli si era già attaccata alla schiena, per non parlare dei capelli che nonostante il gel sembravano essersi sgonfiati come un palloncino al sole. Maledizione, aveva perfino usato quella crema a super tenuta che gli aveva consigliato Demix, avrebbe dovuto far miracoli per essere in grado di tenere su quella sottospecie di spazzolone che si ritrovava, ma non aveva funzionato. Super tenuta un corno. Come diavolo facevano i suoi a stare così?
Si scostò un ciuffo dagli occhi, tornando alla propria disperazione. Qual era il regalo perfetto per Riku? Era il stato suo migliore amico per una vita, si conoscevano da quando erano piccoli e andavano in giro per casa sua soltanto con il pannolone addosso, e ora era diventato il suo ragazzo, insomma si dava per scontato che dovesse sapere tutto di lui.
E lui aveva davvero creduto di sapere tutto, ma proprio tutto. Cioè, non è difficile sapere tutto del bambino con cui passi tutte le ore di tutti i giorni di tutta la settimana, per tutti i mesi di tutti gli anni di tutta la tua vita, per forza d’inerzia.
Poi con i bambini è più facile, a loro piacciono i giocattoli, scegli un gioco e sei a posto, poi si arriva all’età in cui vai matto per i videogiochi, i fumetti, il pallone da basket e il canestro dietro casa. Ma questo era normale.
Ma quando gli veniva chiesto cosa piaceva ad un Riku diciassettenne, si rendeva conto che lui non lo sapeva. Non ne sapeva veramente un accidente.
Sapeva delle banalità, cose di poco conto, le solite cazzate che sanno tutti. Colore preferito, musica che ascoltava, cibo che mangiava, attività sportive, interessi. Insomma, roba di dominio pubblico no? Bene, e lui sapeva solo quello, sapeva solo tutte le banalità che sanno tutti. 
Avrebbe potuto dire che a Riku piacesse quello che piaceva a tutti gli adolescenti, tette e culi, culi e tette, e varianti ben poco varie. Peccato che non potesse dire nemmeno quello, visto che stava con lui, e Sora era sicuro al 100% di essere un ragazzo, insomma lui aveva l’uccello!!
E anche nel suo caso non avrebbe comunque potuto presentarsi alla sua porta, bussare e dirgli “Ciao Riku, buon compleanno!! Non avendo la più pallida idea di cosa regalarti, ho optato per un pacchetto di seghe omaggio offerto dalla casa!! Su, cavati i pantaloni!!” Il tutto con un sorriso sulla faccia per ben puntualizzare.
No. Non lo avrebbe mai fatto. Si rifiutava anche solo di pensarci. Non era decisamente nel suo stile e per di più trovava la cosa alquanto squallida, troppo stile manga da ragazzine intrippate che si facevano di seghe mentali e viaggi dell’altro mondo.
Cercò di fare mente locale mentre con la schiena appoggiata al muro aspettava l’autobus che lo avrebbe portato in centro. Ci stava provando, stava davvero cercando di pensare, ma il caldo e la lycra dei boxer attaccata insistentemente alla pelle gli impedivano di concentrarsi. La musichetta di X-files proveniente dalla tasca nei pantaloni gli fornì la scusa ideale per sistemarli mentre tirava fuori il cellulare.
 “ Sora?”
“No Kairi, hai chiamato l’ospedale psichiatrico. Ti sei finalmente decisa a farti ricoverare?”era consapevole di essere detestabile, ma quei cavolo di boxer appiccicati alle chiappe e il malumore lo rendevano davvero intrattabile. Era la stessa cosa che succedeva quando cadevi e ti rompevi una gamba. Chi cavolo aveva stabilito che fosse cortesia domandare ‘tutto bene?’ oppure ‘fatto male?’?. Un idiota, fisso. Maledizione, guardami. Sono sdraiato a terra agonizzante che mi reggo una gamba abbandonata scompostamente a terra ad un angolo non esattamente normale per un arto. Ti pare che possa stare bene? Diamine, aveva chiamato il suo numero, chi voleva che rispondesse?
Ma che cazzo hai, un palo nel culo?”
“Quasi.”
Non lo voglio sapere, ok? Non mi interessa cosa infili su per il tuo retto.
“Wow, sei fine come un badile. Cosa vuoi?” chiese spazientito. Il caldo stava rendendo addirittura allettante la proposta regalo del pacco di seghe gratuite...
 “Cavolo Sora, ti odio quando fai così! Sei insopportabile.
“Mi vuoi dire cosa vuoi, o hai chiamato solo per dirmi quanto mi vuoi bene?”
Niente di ché. Solo dirti che il regalo che ho fatto a Riku piacerà anche a te!
“Kairi. Cosa hai regalato a Riku?” chiese con voce esitante. Quella ragazza lo terrorizzava.
Dei boxer. Sono carinissimi! Li adorerai, perché io li adoro!
“COSA? Tu gli hai regalato dei boxer?” chiese esterrefatto. Oh Dio. In pratica lei sapeva come erano fatti i boxer che lui avrebbe tolto al suo ragazzo? Sì, era una cosa stupida da pensare, ma lo faceva sbarellare ugualmente.
Sì.
“Cioè, mi vuoi dire che tu sai quanto è grosso il suo pacco?” urlò con voce stridula.
Mi sembra ovvio, altrimenti come facevo a prenderglieli?” quella ragazza non aveva il minimo senso del pudore! Cristo! Quel pacco era off limits. Quel pacco era suo, solo e soltanto suo, era il suo tesssoro.
“MA CHE CAZZ-BOXER?!!”
Sora non farti delle strane pare, ok? Comunque tu cosa gli farai? Fammi indovinare... di sicuro qualcosa di pervertito!” dalla parte opposta della linea Sora ebbe un replay della scena di lui che bussava alla portadi Riku dicendogli di cavarsi i pantaloni, e scosse la testa imbarazzato. 
“Ma sei scema?” strillò diventando rosso come un pomodoro. Una cosa era fare certi pensieri nella tranquillizzante privacy della sua testa, un’altra era sentirseli dire per telefono da una ragazzina infoiata, che sicuramente dopo avrebbe voluto sapere tutti i dettagli sul nuovo episodio piccante della sua serie yaoi preferita.
Mai nessuno che si facesse i cazzi suoi, dovevano sempre farsi quelli di Sora.
Suvvia Sora! Non fare tanto la santarellina. Lo sappiamo tutti che ormai sapresti fare una piantina dettagliata dei nei sul culo di Riku.” Il cigolio di ruote lo fece voltare, mentre l’autobus si fermava davanti alla fermata, distraendolo momentaneamente dalle elucubrazioni oscure della ragazza.
“C-cosa?” chiese confuso sedendosi nel posto vicino al finestrino.
 “Sora, cazzo. Non fare il finto tonto, stavo parlando di te e della tua piantina sul culo del tuo ragazzo!
“COSA? IO NON HO UNA PIANTINA DEL CULO DI RIKU!” urlò scandalizzato dall’insinuazione, prima di accorgersi che mezzo bus si era voltato verso di lui con gli occhi spalancati. Rivolse ai passeggeri il sorriso di scusa più innocente migliore del suo repertorio, abbassando la voce per tornare a parlare con Kairi.
“Cosa cazzo dici?!”
Cristo Sora sei un deficiente. Era una metafora. Volevo dire di non fare il pudico quando sappiamo tutti benissimo che ormai te lo sei fatto tante di quelle volte da non riuscire più nemmeno a tenerne il conto.” Kairi aveva davvero la capacità di farlo incazzare. Come diavolo si permetteva di dire certe cose?
 “Kairi vaffanculo!!” Disse acido prima di chiuderle la chiamata in faccia.
Si infilò il cellulare in tasca con un movimento stizzito. Kairi era un’emerita testa di cazzo, non capiva un tubo di niente.
Si mise a guardare fuori dal finestrino appoggiando il viso sulla mano. Diamine, era ovvio che ci fosse andato a letto, era il suo ragazzo dopotutto, ma non era mica un pervertito. Sbuffò, sopprimendo un gemito al pensiero che forse i boxer che Riku avrebbe indossato quella sera avrebbero potuto essere proprio quelli che gli aveva regalato quella stupida.
Il pensiero non lo aiutava per niente, ma doveva ammettere che almeno lei il regalo glielo aveva fatto.
Lui invece era seduto su quello stupido autobus a lambiccarsi il cervello cercando di capire cosa potesse piacergli. Insomma, i suoi gusti li sapeva, ma come diavolo sapeva se ci azzeccava o no?
Il suo colore preferito era il blu, non quello scuro, ma l’indaco, lo stesso dei suoi occhi aveva detto, ascoltava solo Punk-rock e Metal, e gli piaceva andare ai concerti insieme a quel cannato di Xaldin, amava la pace e la solitudine, ma anche la compagnia degli amici, gli piaceva il caldo, il freddo davvero non lo sopportava, le cose morbide, come la sciarpa che gli aveva regalato lui per il natale dei loro dodici anni o la palla di pelo anti-stress che gli aveva comprato Kairi in Inghilterra, gli piaceva la glassa dei pasticcini al caffè del bar dove facevano colazione insieme la domenica mattina, gli piaceva la crosta della pizza, che Sora non mangiava mai e lui gli rubava dal piatto, gli piaceva guardare fuori dalla finestra quando nevicava, coperto con un piumone, bevendo cioccolata calda.
Giocava a basket, ma aveva una fifa terribile delle palline da golf perchè una volta ne aveva quasi ingoiata una e stata per rimanerci secco, amava il cappuccino, ma il latte da solo non lo avrebbe mai bevuto, nemmeno sotto tortura, stravedeva per le omelette, ma si rifiutava di mangiare la frittata perché poteva ancora vedere il tuorlo e l’albume divisi, e lui non voleva pensare di star mangiando qualcosa che avrebbe potuto essere un pulcino, perché lui odiava a morte le galline. Gli piaceva passare il sabato sera a fare maratone dei film più mediocri della storia del cinema e amava il cibo spazzatura anche se andava pazzo per le fragole e le pere, pur avendo una strana avversione per il succo, e le foche lo terrorizzavano.
E a Sora piaceva così. A lui andava bene, gli piacevano le sue contraddizioni, le sue fisse su cose impossibili, le sue stramberie e le paranoie del cavolo.
Ok, ora quale regalo conteneva tutto questo?
Era. Sicuramente. Palesemente. Dannatamente. Fregato.
 
 
Non riusciva a smettere, ci provava, funzionava per un minuto o due, poi ci ricadeva, ci ricadeva sempre.
Come quando ti dicono ‘non pensare al rosso’. Tu cosa fai? Pensi subito al rosso e anche se ti sforzi non ci riesci, perché ti stai concentrando per evitare di pensare al rosso e di conseguenza ci pensi.
Quel maledetto orologio era lo stesso. Tornò a lanciarci un’occhiata, ancora una volta.
Era in ritardo.
Che si fosse scordato? No, fuori questione. Sora non si sarebbe mai scordato di una cosa del genere. Era pigro, svampito, avventato e terribilmente ottuso, quello era vero, ma non si sarebbe mai scordato di lui.
Tornò a guardare l’ora. L’attesa lo stava uccidendo. Aveva bisogno di vederlo, ne sentiva un bisogno atroce.  Era come una droga per lui, ne aveva bisogno in continuazione e l’astinenza lo uccideva lentamente e in modo molto doloroso.
Poi non appena lo aveva tra le mani perdeva la testa, aveva bisogno di sentirlo, di toccarlo, di baciarlo, di morderlo, di assaporarlo, di sentirlo arrendersi sotto di sè, lasciandolo soddisfare il bisogno impellente di lui.
Sospirò. Certe cose erano davvero come i biscotti. Li vedi lì, fantastici, caldi, appena sfornati, che ti chiedono solo di mangiarli, così allunghi la mano per prenderne anche solo uno, ma poi ti viene detto che no, i biscotti non si mangiano e i suddetti biscotti spariscono in un barattolo con sopra la scritta ‘Biscotti’.
Cosa alquanto stupida in effetti, se vuoi davvero nascondere una cosa non dovresti metterla in un contenitore su cui c’è scritto il suo nome no?, anche perché il nome è allettante quasi quanto la cosa stessa.
Comunque, ti dicono ancora una volta che non puoi avere i biscotti, ma più ti dicono di no, più tu vuoi i biscotti e più li guardi, e più li guardi, più li vuoi e più ti dicono di no, continuando in un circolo vizioso che termina solo nel momento in cui, finalmente, infili di soppiatto la mano nel barattolo e ne rubi un paio per ingozzarti colpevole prima che ti scoprano.
E Sora era il suo stramaledettissimo biscotto. E il fatto di non potersene ingozzare e doversi accontentare di un assaggio per volta, lo faceva impazzire.
In quel momento se ne rese conto, l’attesa gli stava veramente dando alla testa. Si stava lambiccando in stupide teorie pseudofilosofiche incentrate su dei biscotti, buonissimi biscotti, ma che pur sempre biscotti erano.
Poi finalmente il campanello suonò salvandolo da sé stesso e dalla pazzia imminente. Non appena aprì la porta un Sora piuttosto accaldato si fiondò in casa dirigendosi a passo spedito verso il soggiorno, dando voce ad un irritato  “Finalmente!”
Quando lo raggiunse , Riku lo trovò sdraiato sul pavimento di marmo direttamente sotto il getto d’aria gelida.
Rimase un momento in contemplazione dei  tratti soffici del suo viso e dei capelli spettinati che ondeggiavano lievi sotto la corrente fredda, rimanendo senza fiato quando Sora aprì gli occhi e lo fissò aprendo le labbra in un sorriso, guardandolo ancora a rovescio.
“Buon compleanno Riku!!” aprì le braccia stendendole sul pavimento in un invito ad abbracciarlo, o forse semplicemente in un gesto plateale, ma Riku  preferì optare per la prima interpretazione e gli si avvicinò inginocchiandosi davanti a lui.
Lo baciò sulle labbra, lasciando che Sora gli allacciasse le braccia dietro al collo. Le labbra di Sora erano la cosa più morbida e dolce che avesse mai assaggiato e non riusciva a smettere di baciarle, quel sapore lo assuefaceva.
La posizione era piuttosto scomoda, dato che Sora era ribaltato nel senso opposto sul pavimento, ma a Riku non importava un fico secco. Gli morse il labbro inferiore e Sora aprì la bocca lasciandolo entrare e permettendogli di baciarlo più a fondo. Volva baciarlo di più maledizione, lo voleva di più, sollecitò la sua lingua con una carezza lasciva della propria, sentendolo gemere piano nella sua bocca.
Si prese tutto il tempo per esplorare ancora e ancora la bocca dell’altro, come aveva già fatto innumerevoli volte, sondandola in ogni angolo, soffermandosi sul palato e facendolo mugugnare. Poi lo costrinse a staccarsi dalla sua bocca, e lo fissò negli occhi, e lui si lasciò avvolgere dal calore di quelle iridi indaco che lo incatenavano trascinandolo sempre più in basso. Le guance di Sora erano arrossate, le labbra gonfie e lucide e il respiro accelerato.
“Riku.” la voce impastata.
“Mh?”
“Devi aprire il tuo regalo.” Le sue labbra si spiegarono in quel sorriso a trentadue denti che lo faceva sempre ridere, perché di solito lo aveva solamente quando era molto compiaciuto di sé stesso. Lo baciò. Un bacio veloce, casto, leggerissimo. Sora si alzò velocemente e allungò la mano verso una sporta posata accanto al divano bianco. La notava solo in quel momento. Strano effettivamente , dato che non era esattamente piccola. Gliela appoggiò delicatamente davanti, poi si sedette con i piedi incrociati sotto il sedere, rigido come una marionetta e trepidante.
“Aprilo.” Riku lo guardò per un momento, godendoselo, prima di abbassare lo sguardo e iniziare ad aprire la sporta.
Dentro c’era una scatola rotonda color panna e tutta bucherellata e chiusa da un enorme fiocco blu. Alzò un sopracciglio e gli lanciò un’occhiata dubbiosa, ma Sora continuava a sorridere.
C’era qualcosa che non quadrava, anche perché il suo presunto ‘regalo’ stava graffiando morbosamente le pareti della scatola.
“Sora. Cosa diavolo è?” chiese sospettoso. Il tono del ragazzo fece incrinare il suo sorriso perfetto che si trasformò subito in un broncio.
“Aprilo, no?” sbuffò distogliendo lo sguardo.
A quel punto di arrese, tirò fuori la scatola con attenzione maniacale, per quel che ne sapeva lui poteva averci messo dentro una gallina, e sciolse il fiocco con cautela. Fece un lungo respiro prima di sollevare il coperchio con gli occhi chiusi.
Dopo qualche secondo, vedendo che continuava a non succedere niente, si convinse a guardare. Da dentro la scatola lo scrutava con due occhioni blu un piccolo batuffolo di pelo marrone chiaro.
Sbatté le palpebre, ma quella palla di pelo era sempre lì e continuava a guardarlo. Sollevò lo sguardo e vide Sora che fissava il gattino con un sorrisone ebete stampato in faccia e gli occhi che luccicavano. Alzò gli occhi su di lui e lo guardò.
“Non lo prendi?” di riflesso Riku lo prese in mano, tenendolo sotto l’attaccatura delle zampe anteriori, avvicinandoselo al viso. Si girò verso Sora, il gatto ancora sollevato davanti a sé.
“Mi hai preso un gatto.” Disse. Il tono incredulo. Non riusciva a crederci. Un gatto. Sora si limitò ad annuire con convinzione.
“Non ti piace?” chiese preoccupato.
“Perché un gatto?”
“Beh, a te piace avere compagnia, no? Lui ti terrà compagnia quando non ci sarò io. L’ho preso dello stesso colore dei miei capelli. Ha anche gli occhi blu.” Sorrise, palesemente gongolante. Riku fissò gli occhi del gattino ancora immobile tra le sue mani.
“Sono più scuri.” Disse solo.
“Poi non dà problemi, i gatti se ne stanno per le loro e richiedono poche attenzioni particolari. Adorano rimbambirsi davanti alla TV, in più è caldo e morbido, non gli piacciono le galline, e i pennuti in generale, il pesce lo mangia e non fa amicizia con le foche, potrà bere il latte avanzato dal tuo cappuccino e tu non dovrai più buttarlo via e non ha alcun interesse per le tue fragole.” Concluse con tono ragionevole. Si allacciò le mani in grembo e lo sbirciò da sotto la cascata disordinata di capelli
“E poi mia madre non vuole animali in casa...”
Riku lo guardò con un sopracciglio alzato “Quindi mi hai regalato un gatto, perché tu volevi un gatto.”
Sora lo guardò per un momento prima di iniziare a boccheggiare in difficoltà
“Si. Cioè no. Cioè. Non avevo la minima idea di cosa regalarti, poi l’ho visto attraverso la vetrina del negozio di animali, che mi guardava con quegli occhioni ed è stato amore a prima vista. Cioè, poi quel gatto è tutto quello che ti piace e io ne ho sempre voluto uno, così ho pensato di prendere due piccioni con una fava…”
Riku lo guardava con il micio ancora in mano perfettamente fermo e in attesa.
Era troppo carino quando faceva così, continuava a farfugliare parole senza senso una dietro l’altra, gesticolando come un forsennato in tutte le direzioni, mentre gli occhi vagavano per un attimo su di lui prima di spostare lo sguardo agitato su qualsiasi altro punto della stanza nella ricerca affannosa di un appiglio.
Le guance arrossate e le sopracciglia che si aggrottavano formando quella piccola ruga sulla fronte che gli veniva sempre anche quando cercava di risolvere un problema, e lo strano tic di ripetere ‘cioè’ all’infinito quando era nervoso.
Però lo capiva, come poteva non capirlo quando ogni volta che lo guardava in quegli enormi occhi indaco si sentiva annegare in un mare terribilmente limpido e caldo che gli rubava l’anima, strappandone via ogni volta un pezzetto in più, come risucchiato dolcemente dalla risacca.
Appoggiò delicatamente il gatto a terra e afferrò il polso destro del ragazzo che continuava sbracciarsi come impazzito, per attirarlo a sé.
Gli tappò la bocca con la sua prima che avesse il tempo di iniziare una nuova sfilza di sproloqui interminabili, baciando leggero quelle labbra morbide e calde, passandovi sopra la lingua per seguirne i contorni ben disegnati, prima di costringerlo a farlo entrare nel confortante calore della sua bocca.
Sora gemette piano mentre la rigidità dei muscoli si scioglieva sotto le carezze e sotto i baci, e allacciò le braccia attorno al suo collo, per avvicinarlo di più e poter infilare le mani tra i suoi lunghi capelli chiari, quasi argentei, e giocare le lunghe ciocche setose attorcigliandole con le dita.
Riku sentì una leggera pressione sulla coscia e un leggero pizzicore sotto lo strato dei jeans  leggeri. Staccò le labbra da quelle di Sora che impazienti si spostarono sul suo collo, a mordicchiare la pelle morbida dietro al suo orecchio. Un timido miagolio lo distrasse
“Sora, insegna al tuo gatto a non impicciarsi.” Ridacchiò Riku mentre staccava con attenzione le zampine del gattino dal tessuto sulla sua gamba e riprendeva a baciare il suo ragazzo.
“Guarda che è il tuo gatto ora…” miagolò piano lui, troppo occupato a godersi le attenzioni che venivano rivolte al suo collo e al suo sedere fasciato dai jeans. Ridacchiò di nuovo contro la sua pelle.
“D’accordo. Ma a farla sulla sabbia glielo insegni tu.”



Buondì!! O meglio, Buonasera!! (suona meglio buondì però...) Spero di starmi rivolgendo a qualcuno, altrimenti la cosa sarebbe piuttosto triste... Comunque!! Ammetto che non è il massimo come fanfiction, ma è la primissima volta che scrivo una cosa simile. E la tentazione era tale che non ho saputo resistere anche perchè ADORO questa coppia!! Sono troppo carini insieme! Vebbè, evitiamo di scioglierci, spero vi sia piaciuta e spero di non avervi deluso o storpiato il vostro ideale immaginario! Per finire SPERO abbiate voglia di lasciare un commentino!! Grazie per aver letto!! 
Ciao belli!!
 
 
  
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