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Si chiede se qualcuno
– oltre
a Virginia – sia mai riuscito a guardare più in
là di quel pullover, di quei capelli ordinati, di quegli
occhiali neri. Di certo non lo ha fatto Annie, che al terzo anno
l’ha umiliato di fronte a tutta la scuola al ballo di fine
anno;
non lo hanno fatto Kyle e Brandon, che si prendevano gioco di lui,
facendogli cadere i libri e strattonandolo; e nemmeno il dottor Suresh,
che lo ha illuso e poi liquidato con poche scuse. Nessuno di loro si è sforzato di scorgere in lui qualcosa di più di quello che appare: un ragazzo ordinario, con un aspetto ordinario e una vita ordinaria. Ma, da qualche parte dentro di lui, sa – è convinto – di essere superiore a Annie, a Kyle, a Brandon e a tutti quei ragazzi che tante volte hanno riso nel vederlo raccogliere le sue cose, lo sguardo basso e impotente.
Perciò, no, non rimarrà fermo mentre quell’unica possibilità di sfuggire alla mediocrità della sua esistenza gli viene strappata via.
Per una volta, vuole diventare qualcuno di diverso da Gabriel: quel qualcuno che sente di essere destinato ad essere.
Compone il numero e attende. “Pronto, parlo con il signor Brian Davis?”