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Autore: Phanty_Minnie    29/10/2011    4 recensioni
Le ultime riflessioni di Ciel prima di ottenere la sua vendetta...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uno specchio…il solito che c’è sempre stato nella mia lussuriosa stanza. Una sfarzosa ricamatura in oro ne delinea i contorni altolocati.

Riflette la mia intera, esile figura. Come sempre il blu prevale; dai miei costosi abiti al mio solo occhio visibile la tonalità è la stessa.

Riflette la mia bianca pelle, costretta negli anni ad innumerevoli ferite. Mi rendo conto che il mio corpo è sempre stato solamente un perfetto involucro.

Riflette il mio occhio visibile. Quello che porta la sofferenza della vendetta, della rabbia, di tutta la mia breve, ma fin troppo dolorosa vita. Quell’occhio in cui spesso non riuscivo a riconoscermi, perché speravo riuscissi a scappare dai profondi tormenti che conteneva. Ma si sa, non sono mai stato bravo a fuggire. Che si tratti di uno spietato assassino o di un circo pieno di pazzoidi, ho sempre preferito farmi rapire che scappare. Sembra mi riesca bene a detta del mio maggiordomo, quindi tanto valeva continuare a farlo.

Riflette la mia bocca, che raramente riuscivo ad inclinare in un sorriso. Ma in fondo, cosa c’era da ridere? A pensarci ora è stata tutta una grossa barzelletta, di quelle amare, di quelle che parlano di scherzi della natura. Ho quattordici anni, una ditta da gestire sulle spalle, un demone come maggiordomo e non arriverò ai miei quindici anni. Si, in effetti fa proprio ridere.

Riflette la mia mano, dalla quale spicca un anello con incastonata una vistosa pietra blu, di valore superiore dell’intera magione. L’anello di generazione Phantomhive. Non so perché ne sono così attaccato, probabilmente perché è l’unica cosa che mi faccia ricordare da dove vengo e chi sono, l’unica cosa rimasta del mio passato. Lo stesso passato che voglio vendicare. Guardandolo nei momenti più bui, riusciva a ridarmi la giusta motivazione e spiegazione per i gesti che compivo, per aver fatto tutto ciò che ho fatto.

Riflette poi la benda che copre il mio occhio destro. La tolgo lentamente. Eccolo. E’ li, come sempre, pulsante come non mai…il mio contratto, la mia condanna, la mia salvezza, semplicemente la mia seconda opportunità. Brilla, brucia, come tutte le volte che è venuto in mio soccorso.
Sposto lo sguardo e riflette un’altra figura dietro di me. Alta, bellissima, rigorosamente in nero…la stessa che è stata al mio fianco per quattro anni, la stessa che brama la mia anima. Sebastian il suo nome, mia la scelta. E’ strano…mio l’appellativo di “cane della regina”, suo effettivamente il nome di un cane, quello della mia felice e spensierata infanzia. Bruciato anch’esso come tutto, come tutti…ma che colpa aveva lui? Nessuna…come nessuno d’altronde. La scelta di usare lo stesso nome,  è stato l’ennesimo tentativo di ricordare il mio passato. Alla fine però non mi è cambiato assolutamente nulla. Ho costruito un muro tra quello che ero e quello che sono. Ne sono consapevole, il Ciel Phantomhive di quattro anni fa, non è lo stesso di adesso. Ma cosa posso farci? Non ho bisogno di pietà, ne di comprensione. Ho sempre odiato entrambi. E’ per questo che l’unico vero contatto che ho è Sebastian. Non ha mai preteso nulla da me, anzi, ama il mio essere assolutamente impassibile ad ogni implicazione affettiva. Non ricordo neanche cosa si provi a voler bene a qualcuno. Perché dovrei volerne? A che scopo? Tanto viene spazzato via come una foglia in balia del vento.  

Riflette il suo malizioso e meschino sorriso. Affascinante per alcuni, totalmente irritante per me. Ricordo il mio mese di prigionia, quando da quelle labbra uscì la frase che mi avrebbe cambiato la vita: “una volta rinnegata la propria fede, è impossibile attraversare le porte del paradiso”. Cosa poteva importarmene del paradiso, se stavo già vivendo l’inferno? Il paradiso non mi avrebbe fatto uscire da quella situazione, l’inferno si. E’ così che il mio contratto fu stipulato.

Riflette le sue mani guantate, che ora poggiano sulle mie spalle, il suo sguardo puntato nel mio. Sussurra quasi, mentre avvicina la bocca al mio orecchio. “Bocchan…è ora di andare” dice lentamente. Già, e’ arrivata l’ora. L’ora della mia vendetta, l’ora della mia morte, l’ora di concludere la storia. Ho paura? No, assolutamente. E’ solo un debito da pagare, nulla di più. Da pagare con la mia anima certo, ma infondo quel diavolo di maggiordomo se l’è meritata. E’ sempre stato impeccabile nel suo dovere ed obbligo, ora non posso tirarmi indietro io. Andremo ad uccidere coloro che mi hanno strappato la vita, concluderemo questa partita a scacchi, dove io ne uscirò vincitore. Annuisco e mi allontano. Prima di uscire do un ultimo sguardo a quello specchio…l’ultimo di tutta la mia vita.
  
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