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Autore: Aggrodolce    31/10/2011    5 recensioni
Un ladro scappava furtivo in una casa.
Senza essere visto o sentito, senza concedersi il minimo errore.
Ebbene sì, quel ladro ero proprio io.
Ma mai mi sarei aspettato di incontrare un imprevisto di quelle proporzioni, una volta impossessatomi di ciò che mi interessava.
[Bakura è un ladro, che decide di rubare proprio in casa di un Marik bambino. Bakura è, ovviamente, Yami.
Non ha un tempo preciso.
Né un universo.
Hope yu like it.
Ps: Idea di base presa dalla Doujinshi 'Colours of Life', molti dettagli modificati poi da me. ]
[AU][YamiBakuraxMarik][Verde][Shonen Ai]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marik/Malik Ishtar, Ryou Bakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 Un ladro scappava furtivo in una casa.
Senza essere visto o sentito, senza concedersi il minimo errore.
Ebbene sì, quel ladro ero proprio io.
Ma mai mi sarei aspettato di incontrare un imprevisto di quelle proporzioni, una volta impossessatomi di ciò che mi interessava.
Stavo per uscire dalla stanza in cui mi ero rifugiato per estraniare qualsiasi tipo di sospetto, ma accadde un imprevisto.
«Mmmhm .. Chi c’è?»
Mi voltai leggermente, poco prima di essere colto sul fatto.
Una luce mi avvolse, la luce della stanza, e non appena diedi le spalle alla finestra, vidi ciò che mai mi sarei aspettato di vedere.
Un moccioso.
Un mocciosetto, dal suo letto, mi fissava strofinandosi gli occhi, mentre io, immobile, con un sacco sulle spalle che poteva valere milioni, e magari avrebbe potuto anche salvarmi dalla mia misera vita, lo fissavo a mia volta.
«Chi sei?»
Mi chiese lui, con aria assonnata, sempre guardandomi.
Io, stupito, continuavo a fissarlo.
Possibile che quel ragazzino non vedesse che tenevo sulle spalle un sacco, oltretutto contenente i tesori della sua famiglia, e non capisse da solo che, data la forza con cui stringevo quel sacco, con tutta probabilità ero un ladro?
Continuai a fissarlo in silenzio, indeciso sul da farsi.
Non potevo lasciare testimoni, né permettere che il moccioso urlasse e mi facesse scoprire.
Però, mentre pensavo, lui nel frattempo continuava a fissarmi.  
Ma improvvisamente, lui parve perdere tutto il sonno che aveva, sgranando gli occhioni color viola.
«Ho capito!»
Esclamò, facendomi trasalire. Sia perché aveva urlato, quasi, sia perché forse mi aveva scoperto.
Ancora lo fissavo, senza dire nulla, forse solo facendo un passetto indietro, automatico.
«Sei la fatina dei denti!»
Esclamò.
In quel momento, non capii più nulla.
Che quel ragazzino avesse qualche problema? O che mi stesse semplicemente prendendo in giro?
«Sì, sei la fatina dei denti!»
Continuò, anche piuttosto convinto.
«Pensavo fossi una femmina, però magari quello si dice solo alle bambine per farle contente!»
Mi regalò un sorriso, dal quale capii che non aveva alcuna intenzione di denunciarmi.
Ritrovata un po’ di calma, emisi un sospiro di sollievo, per poi riprendere a fissare il ragazzino, che aveva nuovamente attirato la mia attenzione.
«Sai perché ho capito che sei la fatina dei denti?»
Mi chiese, continuando a guardarmi. Io non gli risposi, continuai semplicemente a guardarlo a mia volta.  
«Perché sei venuto a portarmi il regalino per il mio dentino!»
Sorrise di nuovo, poi si portò una manina alla bocca, mostrandomela, facendomi notare che gli mancava un dentino, per poi sorridere di nuovo.  
«Visto? Oggi mi è caduto un dentino, e Odion mi ha detto che quando succede, la fatina dei dentini entra nelle case e porta un regalo al bambino che ha perso il dentino! E alla fine sei arrivato!»
Ignorando completamente chi fosse Odion ma non facendoci caso, continuai a guardare il ragazzino, che sembrava quasi estasiato dalla mia visita assolutamente non voluta.
«Beh .. Mi hai scoperto!»
Dissi poi, senza avere altra scelta, decidendo di rimanere al gioco, alzando le spalle e posando il sacco a terra, lentamente.
«Sei un bambino molto intelligente!»
Mi sedetti sul letto del piccolo, appena sul bordo, ma mettendomi comodo, continuando poi a fissarlo.
«Ed è per questo che vorrei chiederti un favore. »
Continuai. Avevo un piano, e avesse funzionato, mi sarei potuto considerare fuori dai guai.
Mi avvicinai al bambino, forse un po’ troppo, guardandolo dritto negli occhi.
«Sai, noi fatine abbiamo delle regole, nel mondo delle fate. Non ci è permesso stare fuori durante il giorno, dobbiamo .. »
Accidenti, ero in difficoltà. Mi arrampicai sugli specchi, buttando lì una o due storielle qualsiasi.
Tanto i bambini si bevevano ogni cosa.
«Beh, dobbiamo portare a termine il nostro lavoro in una sola notte, e non ci è concesso fare preferenze! Ogni bambino è uguale, per noi!»
Il ragazzino mi fissava, estasiato, pendendo dalle mie labbra, bevendosi ogni singola parola che dicevo. Poverino, un po’ mi faceva pena.
«Però, come le abbiamo noi, anche voi bambini nei nostri confronti avete delle regole da rispettare!»
Dissi, di colpo, mentre il ragazzino sussultava, interessato.
«Dimmi!»
Esclamò poi, afferrandomi un braccio, guardandomi.
«Dimmi tutto-tutto! Farò il bravo, lo prometto!»
Io lo fissai per qualche secondo, poi andai avanti.
Sì, decisamente ero fuori dai guai. 
«Va bene. »
Feci uno strano sorriso. Strano, perché non mi ero detto di sorridere, non ce n’era motivo. Comunque continuai, il lavoro era quasi terminato.
Mi avvicinai nuovamente al ragazzino, mettendogli un dito sulle labbra, fissandolo, continuando a mantenere quello strano sorriso forse beffardo, forse qualcosa di più, sul volto.
«Non devi parlare a nessuno del nostro incontro. »
Il bambino mi guardò, estasiato, poi annuì, anche piuttosto energicamente.
«Lo prometto!»
Ripeté poi, deciso.
«Non dirò niente a nessuno!»
«Bravo piccolo. »
Gli misi una mano sulla testa, carezzandogliela piano.
No, un momento, perché? Erano dei gesti che mi erano venuti spontanei, inoltre sentivo le mie guancie screziarsi di rosso e diventare calde, anche se di poco.
Perché?
Tornai in me, levando la mano dalla testa del ragazzino, scuotendo leggermente la mia, di testa.
«Bene piccolo, adesso però devo proprio andare. Sei stato bravo, e mi raccomando, non dire niente a nessuno!»
Ripresi il sacco e feci per uscire dalla stanza, nel più completo silenzio, ma qualcosa mi fermò.
«Aspetta!»
Accidenti, cos’altro voleva, quel ragazzino?
Mi fermai, aspettando che mi dicesse cosa ci fosse, ancora. 
«Non mi hai dato il mio regalo!»
Diamine .. Il regalo della fatina dei denti. In quanto falsa fatina, ero tenuto a darglielo, per non far saltare la mia copertura.  
Ma cosa, che non possedevo nulla al di fuori di me stesso?
Ci pensai per un attimo, poi mi venne un lampo di genio.
Mi avvicinai nuovamente al ragazzino, fermandomi in ginocchio davanti a lui, posando il sacco ancora una volta. Poi mi misi una mano sul collo e ne estrassi una collana, con un piccolo ciondolo dorato.
«Tieni. »
Dissi, porgendogliela.  
«Questa è una collana molto speciale. Le fatine le danno solo ai bambini che si comportano meglio degli altri. Tu .. Te la sei meritata. Prendila, è tua. »
Il ragazzino mi fissò per un po’, poi allungò una manina e prese il ciondolo, tenendolo tra le mani.
Un attimo e me lo ritrovai addosso, entrambe manine intorno al mio collo.
Sussultai dentro di me, sgranando gli occhi, sentendo nuovamente il rossore sul mio viso aumentare e il cuore accelerare di un battito.
Perché, perché?
«Grazie fatina dei denti! Sei la fatina migliore del mondo!»
A disagio, portai una mano sulla schiena del bambino, battendo piano qualche colpo su di essa.
«Su, su, non esagerare .. »
Dissi. Se solo avesse saputo chi ero in realtà ..
«Adesso però devo andare. Il viaggio di ritorno è lungo, e come sai, ci sono le regole da rispettare. »
Il bambino annuì, e io mi alzai, riprendendo il sacco in mano e mettendomelo in spalla, deciso ad andare via.
«Un attimo ancora, fatina!»
Mi fermò ancora la voce del ragazzino.
«Come ti chiami?»
Chiese. Quelle parole echeggiarono nella stanza come nella mia testa per svariati secondi, nei quali esitai, prima di rispondere. Poi però parlai.
«Bakura. »
«Io sono Marik!»
Rispose, poi mi sorrise di nuovo.
Non lo vidi, ma potevo intuirlo.
Rimasi qualche altro secondo sulla porta, poi iniziai a camminare.
«Ciao, Marik. »
Una volta fuori dalla stanza, la mia mente sembrava impazzita.
Aveva un unico pensiero, ovvero Marik.
Chissà se lo avrei mai potuto rivedere.
Ma cosa me ne importava, in fondo?
Andiamo, era uno stupido ragazzino che mi aveva scambiato per una fatina!
Con quei pensieri, cercavo di allontanare da me il pensiero di Marik, ma non sapevo che forse, era stato proprio quell’atto innocente a farmi desiderare di rincontrarlo, con tutto me stesso. 
E probabilmente, era stato sempre quel pensiero a impormi di posare la refurtiva sull’uscio della sua casa, poco prima di darmela a gambe, dandomi del perfetto idiota.
  
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