Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Melmon    31/10/2011    1 recensioni
Quando il vostro nome dice di voi?
La nostra giovane protagonista non sa il vero motivo o la storia che è dietro al nome che porta, ovviamente conosce la storia mitologica ma scoprirà di avere altro in comune con la mitica protagonista.
Esso racchiude infatti un passato che gli è stato celato cancellandogli la memoria, 15 lunghi anni della sua vera vita modificati, annullati, buttati via come se non avessero valore e tutto questo perché non si ribellassi al volere altrui.
L’unico legame che gli rimane con la verità, con il suo passato è nascosto proprio nel nome che porta ma lei questo ancora non lo sa.
Qualcuno, nella sua crudeltà, ha pensato di giocargli anche questo tiro mancino.
Lo scoprirà?
Certo!
Perché alle volte il passato torna portando con se la verità.
Verità che per lei avrà il colore celeste chiaro dei suoi occhi, la tranquillità dei suoi delicati gesti, il biondo cenere dei suoi capelli ma soprattutto il rumore assordante ma delicato del suo cuore che, dopo tanto vagare, finalmente ha trovato la sua altra metà ed è pronto a riportarla alla sua vera casa.
Genere: Mistero, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note autore:
Questa storia era per il concorso "Niente è come prima". Sò perfettamente che poteva essere pubblicata molto tempo fà, non chiedetemi perchè non l'ho fatto ... Scusate.
Grazie alle 14 anime pie che l'hanno votata.

Trama:
Quando il vostro nome dice di voi?
La nostra giovane protagonista non sa il vero motivo o la storia che è dietro al nome che porta, ovviamente conosce la storia mitologica ma scoprirà di avere altro in comune con la mitica protagonista.
Esso racchiude infatti un passato che gli è stato celato cancellandogli la memoria, 15 lunghi anni della sua vera vita modificati, annullati, buttati via come se non avessero valore e tutto questo perché non si ribellassi al volere altrui.
L’unico legame che gli rimane con la verità, con il suo passato è nascosto proprio nel nome che porta ma lei questo ancora non lo sa.
Qualcuno, nella sua crudeltà, ha pensato di giocargli anche questo tiro mancino.
Lo scoprirà?
Certo!
Perché alle volte il passato torna portando con se la verità.
Verità che per lei avrà il colore celeste chiaro dei suoi occhi, la tranquillità dei suoi delicati gesti, il biondo cenere dei suoi capelli ma soprattutto il rumore assordante ma delicato del suo cuore che, dopo tanto vagare, finalmente ha trovato la sua altra metà ed è pronto a riportarla alla sua vera casa.
Volete conoscere la sua vera storia?
Unitevi a lei mentre il suo passato torna a fargli visita.



Mi chiamo Dafne Gea, la mia vita scorreva tranquilla fino all’inizio delle scuole superiori quando i miei genitori decisero una vita che non sentivo mia, che non volevo, che non desideravo ma i miei desideri in questa casa non hanno mai avuto importanza.
Cosi mi ritrovo in una nuova città a frequentare una scuola prestigiosa che mi formi per il futuro radioso che i miei genitori hanno stabilito in ogni minimo dettaglio. “Futuro radioso” questo mi sento ripetere ogni giorno, questo leggi in ogni angolo di questa prestigiosa scuola.
Qui mi formano per il futuro radioso mentre io vedo solo il buio del mio presente.
Ogni giorno indosso la divisa scolastica composta da gonna a pieghe lunga fino al ginocchio, camicia bianca, giacca nera con ricamo in oro dello stemma dell’istituto, cravatta, calze bianche e scarpe basse nere, niente tocchi personali vengono tollerati.
La noia delle ore di lezione è battuta solo dal silenzio opprimente di questa biblioteca dove sono costretta a restare, detesto questo istituto con tutte me stessa ogni volta che ci metto piede mi sento opprimere dalle sue mura antiche, m’intrappolano in quest’universo dove l’individuo non conta, dove sono non formata per me stessa ma clonata per avere successo.
Io odio dover reprimere la mia natura, odio dovermi uniformare alla massa quando sono dell’idea che ogni persona sia stata create per emergere in un modo unico e speciale ma devo frequentarla, non ho scelta e cosi ora sono qui seduta a scrivere il compito di storia.
Con la mia solita fortuna sono rinchiusa qui solo nel giorno più bello che ci sia da un mese a questa parte, una giornata splendida che io passo tra la polvere a leggere di guerre, morte e distruzione, quando la pace giunge e una nuova era inizia è sera, il mio coprifuoco mi riconduce a casa.
Casa un altro luogo che sento stretto, una gabbia resa dorata dall’amore asfissiante di mia madre e indistruttibile dalla ferrea disciplina di mio padre, per un breve periodo ho creduto che il tempo avrebbe mutato le cose e invece ci sono solo più catenacci dorati con corte catene alla mia caviglia. La scuola mi permette di avere una certa autonomia, almeno è quello che provo camminando nei corridoi, qui nessuno controlla ogni mio cassetto, quante volte uso il bagno o con chi parlo, sembra che queste informazioni siano vitali per i miei genitori.
Sono riuscita a sopravvivere agli insegnati, avere un paio di conversazioni civili con delle mie coetanee, recuperare degli appunti e a consegnare in tempo il compito di storia, tutto questa rende questo martedì un vero e proprio successo. Il mercoledì che mi attende invece non promette bene: filosofia ha deciso di interrogare ed io dovrò passare il pomeriggio a cercare di memorizzarne un capitolo intero.
C’è qualcosa in me che non capisco, ogni giorno mi sembra che un dettaglio di questa normalissima vita sia differente dal precedente restano comunque identico. Sapevo che la vita scolastica, a differenza di quello che pensi o possa dire un adulto (che diciamoci la verità si sono dimenticati quando possa essere terribile l’universo scolastico) porta lentamente alla pazzia ma la rapidità del mio peggiorare mi preoccupa seriamente. A vivere in un mondo di pazzi mi ci sono abituata, se sono io la pazza il problema non è mio, ma essere consapevole della mia pazzia mi sconcerta. Un pazzo sa di esserlo?
Deve essere tutta questa filosofia a farmi vaneggiare sui mille aspetti di un mio probabile problema ma che volete? Dafne Gea è fatta cosi prendere o lasciare.
Il professore di filosofia decide di prendere cosi mi ritrovo a condividere con lui e i miei compagni di classe quei ultimi preziosi sprazzi della mia lucidità, sono tanto brava a nascondere la mia pazzia e a sembrare normale da meritarmi sette.
Felice nel mio banco aspetto la prossima mazzata, perché c’è sempre una mazzata dopo una vittoria e, infatti, eccola arrivare nei panni di Lucy, la mia unica amica in questo detestato luogo. Lucy nel suo tempo libero si diletta a cercare cure creative per la mia più sempre evidente pazzia, lei fa del suo meglio ma non è una specialista ed io credo di avere bisogno del migliore anzi forse più di uno. Perché accontentarmi? La mia salute mentale merita questo e altro!
Lucy mi avverte che dovrà fermarsi per gli allenamenti delle cheerleader. Se pur io sia una bella ragazza non ho mai ambito a mettermi in mostra, loro mi detestano perché le sto volutamente ignoro dal mio rifiuto a entrare nella loro squadra. Poiché come alternativa ad ammirare saltelli, i ciuffi colorati dei loro svolazzanti pon pon e la lugubre e polverosa biblioteca eccomi a prendere posto sugli ultimi gradini degli spalti della palestra infilandomi le mie fedelissime cuffie. Chi avrebbe pensato che questo pomeriggio la mia amata musica non sarebbe bastata a isolarmi?
Eccomi a ignorarla per qualcosa che attira la mia attenzione. Poteva essere un’ombra, un miraggio, un sogno ad occhi aperti, una scia di luce, una sensazione che mi trascina verso di lui: un ragazzo che gioca a basket. Non so chi sia, la sua figura non è ben definita ma avvolta in una luce, un’aurea che mi è fin troppo famigliare. Quando Lucy mi riporta alla realtà le cuffie e la musica che da esse provengono fungono da scudo alle sue assillanti domande, quando i miei occhi calano di nuovo sul campo da gioco lui non c’è più. Non ritrovare quella aurea che sembrava mi chiamasse provoca una voragine in me.
Non ho mai creduto al colpo di fulmine, mai ho provato la sua folgorazione, eppure credo che quello che io abbia appena provato sia proprio un amore nato a prima vista, anche se i suoi occhi non hanno mai incontrato i miei. La ragione mi dice che un giocatore di basket deve tenere d’occhio la palla e non una stupida ragazzina che sugli spalti sbava per te ma sento che sia stato fatto di proposito, che lui abbia evitato accuratamente la mia figura mentre la sua s’imprime a fuoco dentro di me.
Nei giorni seguenti quella sensazione che in palestra mi aveva attirato continua a presentarvi sotto diverse forme, come una nenia che risuona dolcemente tra i corridoi, le aule, i bagni ... non è invadente, non mi spaventa, calma le mie ansie tanto che i professori e le loro lezioni non sono più un ostacolo. Ogni volta che cerco d’identificare cosa realmente provassi, cosa producesse quella nenia e se solo io la senta, questa sparisce lasciandomi l’amaro in bocca e il cuore in lacrime.
Cerco di allontanare tutto questo da me, di tuffarmi tra i mille compiti e impegni per anestetizzarmi.
Ignoro l’istinto che mi diceva di lasciar perde il mio stupido orgoglio e soccombere a quello che poteva essere un disastro o una meravigliosa avventura.
Come farlo? Non mi sono mai lanciata nel buio.
In queste settimane sono stata fonte di gioia per i miei genitori che credevano di aver finalmente modellato a dovere la loro bambina, da sempre volevano solo un automa pronto a eseguire ordini e finalmente la figlia ribelle aveva deciso di tacere e soccombere al futuro che loro avevano organizzato. Me ne resi conto notando le finestre della gabbia spalancata ed io seduta circondata da libri e scartoffie, solo il cuscino conobbe quante lacrime realmente versai per questa constatazione, per la prima volta dopo anni (dai primi giorni di scuola superiore) mi addormentai tra le lacrime.
In quella notte di lacrime una verità, che si ripete nelle notti a seguire: ci sono degli occhi, quegli occhi color del mare a perseguitare i miei sogni, ogni notte mi osservano come se attendessero un mio gesto. Aspettano pazientemente qualcosa e mi rendo conto che sto aspettando anch’io, forse la calma, la tranquillità e l’amore che quegli occhi emanano.
Non so neanche chi lui sia, non riesco a rintracciarlo a scuola, non ho ancora visto il suo volto ma so che gli occhi pieni d’amore che ogni notte mi vengono a visitare sono i suoi, sono gli occhi del ragazzo che giocava a basket, sono terrorizzata all’idea di covare qualche male incurabile.
Per un po’ continuo a nascondermi tra la massa con più facilità del solito, non riesco a capire se l’idea di un persecutore innamorato mi faccia piacere o no, in realtà non so neanche se definirlo persecutore visto che non l’ho più visto da quel pomeriggio in palestra. Come può perseguitarmi se neanche sa della mia esistenza? Forse sono io a perseguire lui.
Non sai che io sto letteralmente impazzendo notte e giorno per i tuoi occhi che ho solo sognato, per la ricerca della tua aurea nei grigi corridoi della scuola, che ho paura di comprendere che sia solo stato un magnifico e dolce sogno creato dalla mia vivace immaginazione da troppo tempo messa a tacere. Eppure continuo a vagare nei corridoi di questo labirinto antico sperando in qualcosa che mi faccia vibrare il cuore, una sensazione che so di aver già vissuto ma non ricordo quando.
Quando rientri nella mia vita non riesco a far altro che restare paralizzata vicino al mio armadietto, finalmente i tuoi occhi su di me sono reali come il tuo dolce sorriso, la tua camminata leggiadra, il biondo cenere dei tuoi capelli, noto questi piccoli dettagli e non sei più nella mia vita. Mi ci vogliono cinque minuti per capire che sono imbambolata nel corridoio della scuola che per giunta rischia di far tardi alla prossima lezione. Di corsa giro l’angolo e mi schianto contro dei pettorali, delle braccia mi cingono i fianchi in tempo per non farmi cadere. L’imbarazzo aumenta quando alzo gli occhi e m’immergo in un mare azzurro.
Il mio errore più grande? Non aspettarmi la solita mazzata dopo averti visti nel corridoio ed eccomi qui a balbettare scuse a due centimetri dalle tue labbra mentre mi sto dando dell’idiota mentalmente e no. Per un secondo credo di non sapere più come ci si regge sulle gambe, le mie non collaborano, senza contare la lieve sfumatura dei tuoi occhi dopo avermi lasciato. Ci metto un po’ dopo questo “scontro” a riconoscere il lampo nei suoi occhi lo conosco fin troppo bene lo visto nello specchio nei miei: sofferenza.
Lucy mi tormenta per ore con mille domande, vuole ogni dettagli dello “scontro” ma cosa gli potrei dire? Sento solo rinascere in me prepotentemente questa voglia di tornare in un luogo che non conosco. Per quando io sappia Lucy potrebbe essere una spia sotto copertura perché riesce a scoprire il tuo nome. So che l’ha fatto perché vuole beccarmi in fallo ma io riesco a nascondergli il turbinio d’emozioni che il tuo nome mi provoca: Leo Enamao.
Perché questo nome mi sembrava tanto famigliare quando estraneo?
C’era qualcosa di sbagliato in esso ma allo stesso tempo giusto per il mio cuore che aveva iniziato a battere forte quando sottovoce lo avevo pronunciato.
Leo sembrava essere di nuovo stato assorbito dagli antichi muri della scuola ma la sensazione della sua assenza non era poi cosi insopportabile, mi basta pensare al suo nome, hai suoi occhi e a quel lampo solo per me per calmarmi e sapere che qualcosa ci sarebbe stato.
Qualcuno deve tenere molto alla mia sofferenza perché non riesco proprio a essere felice, sembra che l’amore fugga lontano da me accompagnato dalla tranquillità che riesce a donare al cuore. Questa convinzione ormai è prepotentemente in me, soprattutto da quando il tempo sembra non bastare mai come se una clessidra avesse iniziato a spargere la sua sabbia a una velocità agli umani incomprensibile.
Ed ecco arrivare un uomo in casa, un vecchio amico dei miei che non ricordo, di bell’aspetto ed emano una forte sensazione di rispetto, forza, mistero. Il suo nome? Non mi è stato presentato e in mia presenza non è stato mai pronunciato. Strano no?
Ho la sensazione che qualcosa che io non approverei è dietro l’angolo.
Con questo nuovo arrivo, che mi fa rabbrividire per il modo cosi arrogante e prepotente di rivolgersi al mondo e come insistentemente mi osserva, la mia vita è colma.
Per fortuna la scuola torna utile: i miei genitori pretendono che i miei voti siano più alti cosi mi ordina di studiare ancora di più, come se ciò fosse possibile. Finalmente la lugubre biblioteca mi torna amica, nel suo buio abbraccio mi avvolge nascondendomi agli occhi gelidi e maligni dell’estraneo che sembra essersi trasferito a casa mia, strano se calcoli che la mia prigione dorata non ha mai aperto battenti per nessun’anima viva per … tutta la mia vita? E’ il primo ospite che riceviamo, il primo amico di famiglia a varcare la porta, non credevo neanche che i miei sapessero cosa significhi la parola “amico” figurarsi averne uno!
Blocchi bianchi, fotocopie e libri riempiono l’intero banco di cui mi sono appropriata, ho diviso tutto il materiale per le mie tesine in modo da poter saltare da un argomento all’altro, in caso mi annoiassi passo a un altro argomento e poi cosi tengo il mondo lontano.
- Ti ha già avvicinato?
La sua voce è una melodia che le mie orecchie non hanno mai udito ma che il mio cuore non ha mai dimenticato. Basta un mio sguardo perché capisca che io non so di cosa parli, si limita a sorridermi dolcemente.
- Scusami, dimentico che tu … I tuoi occhi mi fanno dimenticare.
Mi prende delicatamente la mano, mi sta guardando negli occhi e mi sento ipnotizzata da essi, gira il mio polso in modo che le sottili linee delle mie vene siano esposte. Con le dita lentamente traccia una figura su di esse, un tridente, poi ci poggia delicatamente un bacio.
- Mi manchi tanto Daf.
Sussurra e va via.
- Scusa!
Sono rimproverata per aver alzato la voce ma ora ho la certezza che qualcosa non va, non solo nella mia testa, ma qualcosa di concreto! Chi deve avvicinarmi? E’ perché un ragazzo appena conosciuto mi disegna un tridente sul polso e dice che gli manco?
“Daf” nomignolo strano, molto più adatto a una marca di detersivo che a me, è dolce, perfetto se uscito dalle sue labbra.
Riempio fogli di tridenti, piccoli, grandi, semplici o astratti ma nessuno di essi mi ricorda qualcosa, niente eppure continuo a disegnarlo ancora e ancora. Risultato? Ho temperato la matita fino alla gomma e terminato un intero quaderno per un tridente che un ragazzo mi ha disegnato sulle vene del polso.
A casa impaziente sul divano mi aspetta di nuovo quell’uomo che, non appena varco la porta, mi trafigge con quei suoi occhi scuri. Un brivido di paura corre veloce per tutta la mia schiena, la mia mano, ancora sulla maniglia della porta, sta di nuovo per abbassarsi e aprirmi una via di fuga quando mia madre trafelata e preoccupata mi trascina in camera mia. Mi fa indossare un vestito bianco che non avevo mai notato nell’armadio e ceniamo con quell’uomo. Più lo sguardo di questo estraneo s’intensificava su di me più sul mio polso sento il bacio di Leo scottare sopra il tridente disegnato dal suo delicato tocco, come un sigillo messo lì apposta per proteggermi da quello che mi circonda.
Nel prepararmi per andare a dormire, sfilandomi la veste bianca per il mio più comodo pigiama, noto che sul mio polso in una delicata tonalità di rosso c’è realmente il sigillo di Leo ed è allora che noto che non è per niente un tridente. Una sottile linea unisce il secondo e terzo segmento, visto dalla mia parte, è molto simile a una p. Prima di addormentarmi passo lentamente le mie dita sul segno che, ora che sono al sicuro nel mio letto, lentamente svanisce. So che al risveglio sentirò la mancanza di quella delicata protezione che mi ha salvato dalla pazzia, non importa sapere se è stata reale o no.
La giornata vola e ora è una delicata lettera con il suo ancora oscuro segreto a riempire i fogli davanti a me, il suo tratto è delicato e pieno d’amore, sentimenti che gli sento esprimere. Se Leo mi ha regalato questa piccola ancora di salvezza e sigillato con il più dei delicati dei baci il motivo può essere ricercato solo dei sentimenti positivi che per tutta la serata ha emanato, a me non resta che cercare ancora quei sentimenti e il loro segreto.
Ancora una volta è Lucy a salvarmi dall’agonia di un pomeriggio vuoto e pieno di domande e lo fa con la sua solita grazia, buttando i suoi libri sul tavolo davanti a me, caso vuole che questa mi ricordi dove ho già visto quel simbolo e cosi per la prima volta mi reco in biblioteca con entusiasmo.
Eccomi davanti al monitor del computer a cercare conferma al mio sospetto, digitare veloce per poi trattenere il fiato aspettando la risposta: Dafne in greco “Δαφνη” ed ecco la mia φ non tanto più misteriosa. “Phi” 21 lettera dell’alfabeto greco usata in vari campi che lentamente scorrano.
La storia di Dafne non mi è nuova, come potrebbe? Porto il suo nome e sembra che ogni docente si senta autorizzato a raccontarmi la sua storia, credetemi sulla parola la storia più affascinante diventa soporifera dopo la centesima volta che ti viene raccontata.
Scappare da un uomo e trasformarsi in alloro per salvarsi, mai avrei permesso a qualcuno di rovinare cosi la mia libertà! Certo ora non sono proprio libera ma l’oppressione dei miei genitori alla fine finirà, se non saranno loro ad allentare la presa sarò io a spezzarla e non permetterò a un uomo di farmi lo stesso. Una volta uscita da questa gabbia dorata in cui ora mi ritrovo nessun altro potrà crearla una nuova. Non voglio una vita d’alloro, una vita dove il vento, l’acqua e la terra siano sia amiche che carceriere, la variante al mio alloro sarà la morte, preferisco la morte a un'altra vita a metà. Delle lacrime solca il mio volto al triste pensiero della mia morte per una vita che gli sarebbe molto simile, quasi poetico se queste lacrime morissero su un foglio di carta dove i miei ultimi pensieri trovano rifugio e no su una vecchia e consumata tastiera di una biblioteca scolastica. Asciugo queste amare lacrime e riprendo a vivere in questa gabbia, la libertà mi aspetta dietro l’angolo, il mio problema ora è il non sapere quando quest’angolo sia lontano da me.
Camminare mi è difficile, il mio corpo si muove lentamente, evito appena gli ostacoli, non sono qui realmente: sono in un corridoio inondato dalla luce e sono trascinata verso una porta mentre dietro di me qualcuno disperato urla il mio nome. Lo sento ancora riecheggiare nelle mie orecchie cosi disperato da far scivolare altre lacrime, il mio nome non ha mai avuto un tono cosi disperato ma pieno d’amore. Devo correre a rinchiudermi in bagno per sfogare tutto il dolore che l’eco di quelle urla mi provoca perché i miei occhi sono pieni di lacrime, il mio cuore di tristezza e le mie gambe vacillano sotto il peso della consapevolezza che anch’io provavo quel dolore fin quando i miei piedi non hanno varcato la soglia.
Come si fa a dimenticare un dolore che ti strazia il cuore?
Non si può: la prova è il mio cuore che si lacera senza sapere il perché.
Nascondo i miei occhi rossi e riprendo a vivere o meglio riprendo a fingere di vivere, non è vita con un cuore che ha smesso di lacrimare sangue per il semplice motivo di esserne rimasto senza.
La storia di Dafne, il mito e la mia vita, vita e morte, la vita di una fanciulla che letteralmente si trasforma in un'altra, è più semplice la vita di una pianta d’alloro che la mia da studentessa delle superiori.
Di nuovo gonna a pieghe e giacca nera, un altro giorno si segue a un altro, a scandirne il tempo è questa divisa che indosso e che stretta mi stringe la vita che vorrebbe volare, vorrei poter chiedere al vento, alle nuvole e hai timidi raggi del sole che corrono liberi nello spazio e nel tempo se loro sanno cosa il mio cuore sta realmente cercando, se loro sanno che balsamo possa alleviare le sue ferite. Se la risposta sarà incomprensibile solo allora lo chiederei hai ragazzi che si allenano, a un ragazzo in particolare, Leo, perché lui ha di sicuro una risposta.
Quella luce e quelle urla sono sempre presenti in me, nella mia testa è un susseguirsi di flash che mi celano la realtà, perché quella è la realtà questa invece è un incubo da cui non riesco a svegliarmi.
A casa le cose sono più frenetiche, io sono frenetica nel tentativo di svegliarmi e star lontano da quell’uomo, ogni giorno che passa mi sento risucchiata dai quegli occhi cupi che mi bramano. In casi disperati cerco quel dolce sigillo sul polso che purtroppo non c’è, la sua assenza brucia di più di quegli occhi.
Domande, domande e solo domande questa ormai è la mia vita.
Leo e la sua dolce presenza mi rassicurano a scuola, posso sentirlo anche attraverso i muri freddi di queste aule preziose. Il dono di un futuro radioso impallidisce di fronte al dono della pace che riesce a infondere in tutto il mio essere.
La sua dolce e melodiosa voce giunge a me ancora una volta mentre sono seduta all’ombra nel cortile a leggere, vengo colpita dai raggi del sole, ho un forte dèjà vu: la sua figura che si staglia davanti a me.
- Cosa stai facendo?
- Cerco assurde risposte per assurde domande.
Sorrido e gli mostro la copertina dell’enorme volume che ho in grembo: “Mitologia greca”.
- Non mi aiuterai vero?
- Non sai quanto vorrei ma non posso, rischio seriamente di …
- Perderti, perderci per sempre in questa realtà che non è nostra. Sei qui solo perché io possa pormi le domande giuste, le risposte dovrò trovarmele da sola purtroppo.
- Esatto.
Fa per sparire tra i raggi del sole quando lo fermo.
- L’ultima volta che abbiamo parlato mi hai lasciato un indizio.
- E tu ne vuoi un altro.
- Se vuoi che continui a pormi domande …
- Voglio che tu arrivi alla risposta.
Con un sorriso raggiante traccia un altro identico sigillo sullo stesso polso, mi sembra più forte dell’altro, ma alla fine è un'altra domanda con la risposta uguale alla precedente.
- Alla prossima domanda Leo.
- Alla soluzione dell’enigma Daf.
Riepiloghiamo:
Sono Dafne non credo di essere la divinità ma qualcosa dentro di me mi avvisa che la nostra vita ha qualcosa d’importante in comune, quindi penso che la prossima risposta sia dove.
Torno alle mie ricerche: “phi” può essere utilizzata in matematica, fisica, meccanica, fonetica e navigazione. La risposta più ovvia sarebbe navigazione ma sarebbe facile ed elimino anche fonetica e meccanica prima di essere costretta a tornare a casa a piedi.
Le mie gote si tingono di rosso o per il freddo o per lo sguardo di Leo.
Quando entro nel salotto le mie gote sono ancora tinte di rosso ed è questo a salvarmi dalla serata in sua balia. L’uomo deve aver pensato che ero in imbarazzo per i suoi occhi e sono stata mandata in camera mia, di nuovo a sicuro come l’altra volta, protetta a distanza da Leo e da quello che proviamo. Sotto le coperte nella mia stanza continuo la misteriosa richiesta, finalmente stabilisco che è matematica, “sezione aurea”.
Sezione aurea, non capisco cosa centri questo con un luogo ma da quando ho letto “sezione aurea” la luce mi circonda. Nei miei sogni riappaiono quei luoghi pieni di luce e calore, risate e amore, Leo è l’unico volto ben definito, vorrei potermi non svegliare e invece eccomi di nuovo a prepararmi per andare a scuola. Voglio più luce nella mia vita, sento la mancanza di quella luce che piena d’amore m’inonda, voglio sapere perché sono stata privata di tutto questo.
La mia vita cambia di nuovo: mio padre arriva a scuola, mi scopre il polso e sembra che possa vedere il marchio di Leo, senza fiatare mi trascina a casa dove i fogli delle mie ricerche sono sul tavolino del salotto.
All’arrivo dell’uomo i miei genitori finalmente scostano il loro sguardo omicida da me, sembra che lui sappia tutto, mi è intimato di salire a rimettere il vestito bianco sul mio letto ma io resto un attimo di più sulle scale e finalmente sento il suo nome: Apollo.
Apollo un dio, Dafne una ninfa, la sezione aurea, Leo o meglio Leu.
Ora basta decido io!
Invece di quella specie di tunica infilo un paio di jeans e un top e mi calo dalla finestra, appena tocco terra corro a scuola senza mai voltarmi indietro.
A scuola i ragazzi sono nel campo di basket, Lucy e altre cheerleader quasi sono travolte dalla mia corsa, mi fermo solo a due passi da Leo piegandomi in due in cerca d’aria.
- Ora voglio la verità!
- Mi dispiace non posso.
Sento che quel sottile legamene tra di noi si sta sfilacciando.
- Leu io voglio tornare a casa, io voglio tornare a essere amata.
- Ripeti il mio nome.
- Leu, Leucippo.
- In qualsiasi dimensione Daf io ti amo.
Mi stringe forte a se.
- Cose la sezione aurea?
- E’ un rapporto che crea il nostro universo, la nostra casa, il luogo dove favole, miti e leggende vivono.
- Io sono proprio quella Dafne.
- Una sua discendenza.
- Mi trasformerò in alloro?
- Se lo vuoi … Le nostre storie possono variare.
- Perché tutto questo?
- Apollo ha promesso ricchezza e fama hai tuoi se lo sposavi, mi hanno mandato qui perché il nostro amore avesse un’opportunità.
I miei genitori hanno scelto questa scuola per il futuro radioso che l’obbedienza appresa qui li avrebbe portato, il futuro radioso che invece mi darà è un passaggio per casa.
Con dolcezza traccio su me e Leu la φ, la traccio sulla vena del polso che direttamente porta al cuore, alzo gli occhi e lo bacio. Quando riapro gli occhi da questo delicato e dolce segno d’amore, Apollo e gli altri sono lontani, il corridoio è luminoso e l’amore mi circonda.
Sorrido, sono tornata a essere una leggenda, un mito, una favola per chi sulla terra sogna il grande amore che sopravvive a ogni tormento.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Melmon