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Autore: JeiSpunk    01/11/2011    0 recensioni
Mi sorrise.
aveva il sorriso più perfetto e luminoso che avessi mai visto, in tutta Londra e tutta Hollywood. Sembrava come uno di quei film in cui il protagonista sorride e viene illuminato da un cono di luce con gli angioletti che gli danzano attorno. Sicuri fosse reale?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ok, gente, ciao a tutti.
E' la... boh, seconda/terza FF che scrivo, e a dirla tutta, non ne ho mai portato a termine una. :') Farò del mio meglio con questa. 
Allora, non ho intenzione di scrivere anticipazioni sul capitolo e blàblàblà. leggete e scoprirete. :) 
Ringrazio Desirè,  e il suo entusiasmo. xD L'abbiamo scritta praticamente insieme. Amatela. 

spero di riuscire a postare regolarmente, se non lo faccio non odiatemi xD
Eh, nient'altro da dire, leggete e lasciatemi una recensione. Bella o brutta che sia, ciao! :D





POV DEIDRE

Scesi dal Jet privato disfandomi la coda e scompigliandomi i lunghi capelli biondi, li avevo tenuti legati così tanto tempo che sentivo il cuoio capelluto indolenzito.
Sventolai la mano verso il pilota per salutarlo. Ricambiò sorridendo.
Presi il mio trolley e mi incamminai verso casa.
Facevo questa cosa da quasi due anni, interviste, concerti, disfarsi la coda e tornare nella mia amata Londra alle sei del mattino, senza che nessuno sapesse niente.
Arrivata davanti a casa mia, bussai delicatamente, in caso mio padre o mia sorella fossero ancora a dormire.
Mia madre, invece, mi aspettava sempre sveglia con grande impazienza.
Sentii girare la chiave nella toppa e vedere la porta aprirsi lentamente.
‘Ciao Mamma’-sussurrai sorridendo.
‘Ciao piccola’- disse, tirandomi verso di sé e baciandomi in fronte. Erano tutti più alti di me in famiglia.
‘Tuo padre è nella cucina seduto a fare colazione. Sapeva che saresti tornata. Vacci piano, lo sai com’è.’- mi avvisò.
‘il solito mamma, tranquilla’.
Mio padre era cresciuto in un’atmosfera che comprendeva campi e sudore, non accettava la mia scelta di fare avanti e indietro da Los Angeles. Lo trovava inutile. Diceva che il successo prima o poi sarebbe passato. Non sopportava nemmeno la mia manager, diceva che credeva troppo nel mio successo, e che arrivato veloce e  caotico avrebbe potuto andarsene allo stesso modo. 
Lasciai la valigia davanti alla scala, per non fare rumore nel parquet delle scale.
Mi diressi in punta dei piedi verso la cucina, mi affacciai alla porta e lo vidi bevendo del tè caldo.
‘Ciao papà.’-dissi cautamente.
Non rispose, fece un cenno con la testa e l’abbassò per guardare il tè.
Mi avvicinai alla credenza, presi una tazza per il latte e ce ne versai dentro un po’, ci aggiunsi il cacao e i cereali. Dal porta posate presi un cucchiaio, lo misi dentro la tazza e andai a sedermi accanto a lui.
Lo guardai, aveva ancora la testa bassa guardando la tazza.
Feci lo stesso, lui poi si girò.
‘stai perdendo ogni tua abitudine inglese’- disse severo.
‘no, non è così.’- risposi secca.
Finii la mia colazione e misi la tazza nel lavandino, senza dire una parola.
Lui era ancora lì immobile.
Feci per andarmene ma mi fermai davanti alla soia della porta.
‘dovresti essere almeno felice per me. Perché sono tua figlia. Dovresti esserlo perché io lo sono, è così che funziona’- le dissi senza neanche girarmi.
‘sono felice che tua sia felice, solo non mi piace cosa ti rende felice’.
non aggiunse altro, mise anche lui la tazza del tè nel lavandino e uscì nel cortile.
Faceva sempre così, quando c’era qualcosa che non andava e doveva riflettere. Faceva così anche ogni volta che tornavo a Londra.
Se ne stava nella panchina in pietra a fissare il cielo, senza dire niente.
Poi a un certo punto si alzava e tornava dentro.
Lo fissai per un istante, poi me ne andai.
Salii al piano di sopra, posando la borsa sul letto.
Condividevo la stanza con mia sorella, ormai era diventata sua quasi del tutto, dato che passavo anche settimane intere a Los Angeles.
La sentii girarsi nel letto.
‘bentornata, superstar’- disse sbadigliando.
Aveva i capelli biondo cenere scompigliatissimi e il trucco sbavato sugli occhi.
‘buongiorno, Desy. Ore piccole, eh?’-sorrisi.
‘parli proprio tu, Deidre?’, rise. ‘comunque, qualcosa di nuovo?’, continuò.
‘no, fila tutto liscio…’
‘ma cosa hai capito, hai portato qualcosa di nuovo? Scarpe, borse, qualcosa da hollywood?’, sbadigliò ancora.
‘oh, amo quando ti preoccupi per me, sorellina. Comunque ho le Louboutin che ho usato ieri all’intervista di Letterman, se possono interessarti. Sono di sotto in valigia’.
‘quando mi alzo, verso mezzo giorno circa’, scoppiò a ridere.
‘ah, bene, intuisco che tocchi a me in agenzia, stamattina’, mi arresi e sorrisi.
‘ci puoi contare, superstar’.
‘smettila di chiamarmi così!’- ridemmo all’unisono.
Si ri-girò nel letto e si mise a canticchiare ‘The Best Of Both Worlds’.
‘non sono Hannah Montana, scema!’- la sentii sghignazzare.
Poi andai a prepararmi per andare a lavoro.

parcheggiai la macchina nella strada opposta a quella dell’agenzia.
sbadigliai e uscii dalla portiera, fuori era umido e si sentiva l’odore della pioggia.
Mi tirai su il cappuccio e mi incamminai.
Camminavo a testa bassa, ero quasi arrivata.
Sentii urlare ‘DEIDRE!’, dall’altro lato della strada.
Era il coglione di turno, uno di quelli che faceva parte di quelle gang di ragazzini che credevano di andare forte con le ragazze.
Mi veniva incontro, lo vedevo camminare sfacciatamente verso di me.
‘Vattene, stronzetto.’ Glielo gridai senza neanche girarmi, continuavo a camminare provando ad ignorarlo.
‘Ehi, che hai? Oggi non ti va di giocare? Vieni con noi, dai!’
Insisteva, io insistevo ad ignorarlo.
Arrivò affianco a me.
Sentivo l’impulso di mollargli uno schiaffo, ma ero consapevole del fatto di essere troppo debole per scazzottare con lui.
Mi prese per il braccio e mi girai di scatto.
‘senti coglione, vai a fare le tue stronzate da qualche altra parte. Con qualcuna che magari gradisce. Non con me, quindi ora mollami il braccio e vai a lavorare.’
‘Dai, non fare l’acida, lo so che infondo…’
mi tirò a se, cercavo di ribellarmi ma non ci riuscivo, era troppo forte e troppo fatto.
A un certo si bloccò e mi mollò di scatto, cadde a terra ansimando.
Vidi la sagoma di un ragazzo alto, magro, capelli castano chiaro scompigliati e occhi incredibilmente azzurri.  Stava  dietro il mio aggressore.
Si teneva la mano davanti alla bocca e sghignazzava.
Gli aveva tirato un pugno nella guancia, l’aveva preso in pieno.
‘non hai sentito la signora? Vattene.’ Aveva una voce calda e profonda, lo guardavo sbalordita.
Il ragazzo che poco prima cercava di aggredirmi lo guardava dolorante dal marciapiede bagnato, era terrorizzato.  Si alzò in piedi di scatto e iniziò a correre cercando di tornare  nell’altro lato della strada, però inciampò in quei jeans larghi che andavano tanto di moda.
Sentii una risata al mio lato destro, era sicuramente un amico del mio salvatore. Erano molto simili, potevano benissimo essere fratelli.
‘Grazie.’ Sussurrai.
‘che vuoi che sia, odio questi stronzetti.’ Disse il ragazzo che mi salvò poco prima.
‘possiamo accompagnarti fino a un pezzo, se vuoi. Dove sei diretta?’.
‘devo andare lavoro, all’agenzia di viaggi qui affianco, non è molto lontana. Non c’è bisogno, grazie lo stesso.’
‘oh, invece si. Perché anche noi dovremmo andare lì, in realtà. Tempismo perfetto.’ Mi sorrise.
aveva il sorriso più perfetto e luminoso che avessi mai visto, in tutta Londra e tutta Hollywood. Sembrava come uno di quei film in cui il protagonista sorride e viene illuminato da un cono di luce con gli angioletti che gli danzano attorno. Sicuri fosse reale?
‘A-ah. O-ok allora’, farfugliai.
camminammo tutti e tre insieme fino ad arrivare davanti all’agenzia, provai a tirare su la serranda del negozio ma era troppo forte e molto spesso faceva difetto.
‘possiamo aiutarti?’ chiesero insieme.
‘di nuovo?’ sorrisi.
sorrisero tutti e due, e di nuovo spuntò quel sorriso angelico sul viso del ragazzo.
rimasi impappinata e mi spostai senza dire niente.
si avvicinarono alla serranda, l’aggrapparono ben salda e dopo aver contato fino a tre la tirarono su con uno scatto delle gambe.
si batterono il cinque e mi fecero segno di passare avanti.
Girai la chiave nella toppa  e aprì la porta a vetri.
‘Avanti.’ Dissi, ed entrarono.
andai dietro il bancone, mi sedetti e alzando la testa me li ritrovai davanti.
‘Comunque, io sono Robert.’ Disse indicandosi il petto con l’indice. ‘lui invece è il mio amico Tom.’ Continuò.
Strinsi la mano a Tom sorridente, poi la porsi a lui e me la strinse.
Sentii una fitta di elettricità partire dalla mano e arrivarmi allo stomaco.
‘Piacere, io Deidre’.
‘Mai sentito’, rise Robert.
Risi anch’io, imbambolandomi al suo sorriso.
‘Tu vivi in un mondo a parte, Rob. E’ ovvio che tu non l’abbia mai sentito.’ Disse Tom prendendo in giro l’amico. ‘comunque, credo di aver sentito di qualcuno che si chiami Deidre…’ fece una pausa, ‘ah si, ora ho capito! L’amica di quella cantante… com’è che si chiama…  Alayna!’. Rimasi un attimo impietrita.
cercavo di convincermi che non mi avrebbero scoperta.
Cosa mi saltava in mente, far prendere il mio a Desy quando mi accompagnava alle interviste! Ma sono cogliona? La risposta è si. ‘si chiama furbizia, Deidre. Tu non ce l’hai.’ Mi rimbombò una voce nella testa.
Sorrisi, loro ricambiarono.
‘oddio, Tom, non dirmi che ti piace quella cantante!’. Robert fece una faccia schifata, fissando il pavimento. Tom rise.
‘che hai contro Alayna?’, le dissi sfidandolo. Non poteva criticarmi così, che diavolo!
‘mmh, solo… la trovo senza talento. Voglio dire, sembra l’Hannah Montana dei poveri!’, mi guardava ridendo, cercando il mio consenso. Poteva scordarselo.
‘Eh vabbè, gusti’. Sorrisi, e chiusi lì la discussione contro il mio alterego.
‘comunque, ditemi, cosa vi serve?’ chiesi con più gentilezza che potessi.
‘Due biglietti per Los Angeles, andata a ritorno. La partenza è prevista tra due settimane, il ritorno  tre settimane dopo.’ Rispose Tom.
‘oh, bel posto Los Angeles’, risposi mettendomi al lavoro al computer, ‘che ci andate a fare?’, continuai. Ero curiosa, LA era come la mia seconda casa.
‘Musica. Siamo musicisti. Sai no, rincorriamo il sogno e blàblàblà’, rispose Robert.
‘siete bravi?’ chiesi sorridendo.
‘bè, non tocca a noi dirlo. Ci proviamo’.
‘magari incontriamo Alayna, Rob!’, sghignazzo Tom.
‘oh, certo. Se non vi tirerà uno schiaffone in faccia prima… ’.  sussurrai, fissando il monitor del pc.
‘cosa?’ chiese Rob.
‘oh, no, scusa. Leggevo delle cose al pc’. Mentii.
‘comunque, se vuoi, suoniamo in un pub qui vicino sabato sera, lo troverai sicuramente: è l’unico in cui vedrai entrare ragazzi muniti di chitarra. Cosi potrai dirci se siamo bravi o meno.’ Robert mi guardava.
Alzai la testa dal pc.
‘mi farebbe piacere, davvero.’ Sorrisi. ‘sono 1400 sterline, comunque.’ Continuai.
Robert si infilò la mano in tasca e mi porse le mille e quattrocento sterline che gli avevo chiesto, Tom da dietro le diede un colpetto sulla spalla, li passo all’amico e lui li passò a me. Le nostre mani si sfiorarono, presi i soldi e abbassai lo sguardo mentre le mie guance arrossivano.
Tom diede una  gomitata a Robert facendole l’occhiolino.
‘Allora, emh… è tutto. Spero di vederti sabato’ disse Rob.
Tom simulò un colpo di tosse rivolto all’amico.
‘Speriamo!’ si corresse ridendo Rob.
‘Grazie. A Sabato’ li salutai. 
  
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