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Autore: lithi    02/11/2011    4 recensioni
La storia di un'amicizia perduta e rimpianta.
Cosa sarebbe successo se Chris avesse avuto un'amica speciale ad aiutarlo durante il suo secondo anno di liceo?
E quando le parole diventano macigni e vengono travisate, è davvero facile perdonare quella persona che ci capisce con un solo sguardo?
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"Gli anni erano passati, e quello stupido litigio si era trasformato in un muro di silenzio che li aveva divisi e tenuti lontani per ben cinque anni. Cinque anni in cui prendere in mano il telefono si era fatto sempre più difficile, se non impossibile. Perché, se prima sarebbe stato facile, cosa si può dire ad un ragazzo che era riuscito a realizzare un’intera lista di sogni?"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chris Colfer, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Questa è la prima volta che mi metto a scrivere una storia sugli attori di Glee, e spero che vi possa piacere...
Prima di lasciarvi alla lettura, mi permetto di introdurvi un po' la storia...
Fondamentalmente l'idea mi è venuta in macchina mentre ascoltavo As if we never say goodbye, e ho ripensato ad un'intervista (o una conferenza stampa, non mi ricordo più...) in cui Chris alla domanda "Come hanno reagito i tuoi amici quando sei entrato a far parte di Glee?" ha risposto "Io non avevo amici."...il mio piccolo cuoricino ha fatto crack. ç.ç
E quindi mi sono permessa di regalargli un'amicizia da favola, con una ragazza che lo ama per quello che è. E cioè uno splendido ragazzo.
Inizialmente avevo pensato di scrivere una One-shot, ma sono arrivata a qualcosa come una quarantina di pagine word, e quindi mi sono detta "FORSE è meglio che la dividiamo in capitoli..." (grazie alla mia Condottiera per questo suo consiglio prezioso!...oltre agli altri! <3) anche se non sono sicura che renda ugualmente, dato che ci sono dei riferimenti precisi tra le parti, ma vabbè...
Quindi questa storia è dedicata all'amicizia, a quella che sperimentiamo tutti i giorni vedendo i nostri amici di sempre, a quella che scopriamo tra le pagine di internet, a quella che rimane sempre virtuale e a quella che sfocia nella quotidianità delle nostre giornate.
Per quanto mi riguarda, questa storia è dedicata principalmente alla mia Loi, amica incredibile da ben 21 anni, a Lucius e Alessandro, magici giocatori di D&D e di Bang!, a Livio, che prima di essere il mio ragazzo è il mio migliore amico, alla mia Puffete/Euphebia/RonRon, che non mi lascia mai sclerare da sola, e a Pentesilea (
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=141251 fate un salto a leggere la sua storia...è meravigliosa! *-*), la migliore delle Condottiere, che mi ha aiutato a trovare il coraggio di pubblicare questa storia grazie ai suoi consigli. Queste sono alcune delle persone che mi hanno accompagnata fino a qui, e a cui io non so come dire GRAZIE.

 


Spero che la storia vi piaccia...fatemelo sapere con una recensioncina, così che la mia povera persona sappia se ho scritto cavolate o no! XD
Un bacione,

Giulia

 



 

Dublino, Irlanda, 3 Luglio 2011

 
La folla fuori dall’arena era assurda. Dovunque ci si girasse, si vedevano solo guantoni a forma di “L”, colori, cravatte a righe e cartelloni. Tutti quanti parlavano e ridevano. Alcuni improvvisavano cori di Don’t Stop Believing, subito accompagnati dalle risate divertite e gioiose di chi era lì vicino. Altri scoppiavano senza motivo apparente in cori che inneggiavano ai personaggi della serie televisiva del secolo. Era un tripudio di “Rachel”, “Santana”, “Mike”, “Blaine”…per quanto la riguardava, nessuno di quelli era il nome adagiato sulle sue labbra.
 
Gli anni erano passati, e quello stupido litigio si era trasformato in un muro di silenzio che li aveva divisi e tenuti lontani per ben cinque anni. Cinque anni in cui prendere in mano il telefono si era fatto sempre più difficile, se non impossibile. Perché, se prima sarebbe stato facile, cosa si può dire ad un ragazzo che era riuscito a realizzare un’intera lista di sogni? Quegli stessi sogni che l’avevano accompagnato durante la sua vita al liceo e che venivano sempre calpestati e gettati in un angolo da chiunque. Professori, studenti, coetanei. Cosa si può dire a un giovane che si era abbandonato e da cui si era stati abbandonati?
Per un intero anno lei si era affacciata su quello scranno di desideri. Le sue mani si erano immerse nell’oro colato che erano quelle speranze, facendole diventare più forti e decise. Era stata la spalla su cui lui si poteva appoggiare, le labbra che lo facevano ridere e gli occhi che non lo lasciavano mai.
Fino a quando non era tornata a casa e tutto era finito. Non l’aveva più rivisto né sentito, fino al Settembre di due anni prima, quando improvvisamente la sua voce l’aveva scrollata dal sonno che s’insinuava sotto le palpebre davanti al televisore.
Aveva aperto gli occhi, sicura di trovarlo lì, di fronte a lei. Si era alzata in piedi per corrergli incontro, abbracciarlo, e chiedergli scusa, certa che il suo profumo di vaniglia l’avrebbe accolta come ogni volta. Ma non c’era nessuno lì con lei. Si era guardata intorno, persa nel suo salotto, domandandosi se l’avesse sognato di nuovo, quando la sua voce era tornata di nuovo, imperiosa.
Si era girata di scatto verso il televisore, non riuscendo a credere a quella che invece doveva essere la verità.
E lui era lì che la guardava con quei grandi occhi chiari in cui tante volte si era specchiata.
La vista le si era velata all’improvviso mentre cadeva di nuovo a sedere sul divano. Le mani tremanti avevano asciugato i suoi stessi occhi, e le labbra si erano aperte in un sorriso sincero.
Ce l’aveva fatta. Aveva combattuto e aveva vinto. In barba a tutti quelli che non credevano in lui.
Il pozzo dei suoi desideri si era riversato nel mondo e l’aveva contaminato, rendendolo più bello e splendente che mai.
Aveva soffocato un singhiozzo dentro il palmo della mano, piangendo la sua felicità per lui. Per il suo piccolo uomo che stava realizzando i suoi sogni con la forza e la sicurezza che l’avevano sempre contraddistinto.
Velocemente aveva afferrato il telefono, digitando veloce sulla tastiera e scrivendo un breve messaggio, ma quando stava per premere invio si era bloccata, come faceva sempre.
Perché, cosa avrebbe potuto pensare lui se avesse visto un suo messaggio proprio in quel momento? Lei che cosa avrebbe pensato se fosse stata al suo posto?
La malinconia era scesa di nuovo su di lei. Non poteva rientrare in quel modo nella sua vita. Lui non glielo avrebbe permesso. Lei non se lo sarebbe permesso. L’aveva perso.
Il cellulare era rimasto abbandonato sul tavolino di fronte al divano con la luce del display ancora accesa. Lei l’aveva guardato un’ultima volta prima che il buio tornasse anche sullo schermo, seppellendo quelle cinque parole che sentiva battere sulla sua lingua.
E allora aveva volto lo sguardo al suo amico, il migliore che avesse mai avuto, e le aveva sussurrate sottovoce alla televisione, con la speranza che l’etere le portasse fino al suo cuore.
I’m so proudof you…
Quello che non sapeva era che, in quel momento, un ragazzo giovane e felice per la prima volta dopo tanto tempo, si era portato una mano al petto, avvertendo dentro di sé la dolce malinconia che accompagna un addio.
 
Eryn si riscosse dai suoi pensieri, continuando a guardarsi intorno divertita dalle reazioni che vedeva intorno a sé. Si rese conto che la sua amica Holly non aveva perso tempo, e si era messa a parlare con le persone che erano vicino a lei in quel momento, chiedendo a destra e a manca quale fosse il personaggio preferito per quel suo assurdo sondaggio che intendeva pubblicare su tumblr il giorno seguente.
Una ragazza dai brillanti occhi verdi aveva risposto, senza esitazioni, “Puck”, quasi urlandolo.
Un ragazzo dalla pelle del colore della pece ci aveva pensato un po’ e poi aveva risposto un “Santana” incerto.
Un’altra ragazza dai folti capelli marroni era esplosa in un “Brittany” divertito, mentre gli altri continuavano a rispondere.
“Rachel.”
“Kurt.”
“Quinn.”
“Sam.”
Holly continuava a segnare i nomi sulla lista che si era portata appresso, ed Eryn si alzò sulle punte per sbirciare sopra la spalla della castana.
“Non sbirciare Eryn.” Fece lei, spostando di scatto la cartellina con cui molto probabilmente andava anche a letto.
“Dai, fammi vedere. Sono curiosa di sapere chi è in testa.”
“Niente da fare.” Holly proruppe nella sua risata più vivace rivolgendosi all’ennesimo gleek in fila, mentre la sua amica emetteva uno sbuffo divertito.
La ragazza con gli occhi verdi che prima aveva urlato il nome di Puck, si girò verso di lei sorridendo.
“E qual è il tuo preferito?”
Eryn sorrise triste, i lunghi capelli rossi che le incorniciavano gli occhi marroni, velati dalla malinconia che la accompagnava da quando aveva rinunciato a quell’amicizia per cui avrebbe dato la vita. E per la prima volta dopo tanto tempo, senza nemmeno pensare a quello che stava dicendo, fece riaffiorare sulle labbra quel nome che amava e venerava.
Chris…
 

Clovis, California, 3 Settembre 2005

 
Eryn si buttò sul letto della sua nuova camera stanchissima, le valigie disperse in giro per la stanza.
La massa di ricci rosso sangue ricadeva morbida tra i cuscini, mentre gli occhi stanchi percorrevano il soffitto.
Si chiese perché mai i suoi genitori avessero scelto proprio quel paese per passare l’anno sabbatico che si erano sudati all’università di Dublino. Che avessero improvvisamente sviluppato uno strano interesse per le mucche?
E per quale assurdo motivo lei era dovuta partire con loro? Non poteva rimanere a casa con sua sorella?
Pensò con un moto di rabbia e tristezza a tutti i suoi amici, pronti a divertirsi per un altro anno nella verde Irlanda, mentre a lei sarebbe toccato girovagare per i pascoli che intravedeva al di là della finestra.
Si tirò su a sedere e cominciò a disfare i bagagli.
 
Chris Colfer era un ragazzo insolito sotto molti punti di vista. E non perché odiasse le vacanze estive, amasse fare i compiti o fosse un mago. Era una di quelle persone che sono insolite perché gli altri vogliono che lo siano.
Da che aveva memoria non aveva passato neanche un giorno della sua vita senza sentirsi almeno un po’ diverso dagli altri, vuoi per la passione morbosa che aveva per Broadway, Harry Potter, Star Wars e similari, vuoi per la penosa condizione in cui versava sua sorella, e che per riflesso avvolgeva anche lui.
L’anno precedente non era stato propriamente sereno a scuola. Mangiare da soli ogni giorno non è quello che un adolescente sogna.
E dei suoi veri sogni, Chris aveva paura anche solo a parlarne. Alcuni erano difficili anche da pensare.
Il ragazzo guardò fuori dalla finestra della sua stanza, notando qualche movimento nel casale vicino, e aggrottò un sopracciglio. Non sapeva che lo avessero affittato o venduto.
Per un attimo, un attimo solo, in quel ragazzino solo nacque la speranza che i nuovi inquilini avessero un figlio o una figlia della sua età. E che per la prima volta potesse provare un qualcosa di simile all’amicizia, come accadeva sempre nelle commedie adolescenziali che sua madre e Hannah guardavano la sera abbracciate sul divano.
Ma fu un attimo solo. Perché la vita non è un film, e nel caso lo fosse stato, sarebbe stata senza nessun dubbio una tragedia, Chris lo sapeva bene.
Con un gesto deciso tirò le tende della finestra.
 

Clovis, California, 15 Settembre 2005

 
“Posso?”
Il ragazzo dai capelli castani alzò lo sguardo sorpreso.
Di fronte a lui stava una ragazza piccolina, con dei lunghi boccoli color del fuoco che incendiavano gli occhi marroni. Le lentiggini sul naso scendevano scemando fino agli zigomi, che si stavano imporporando di un adorabile sfumatura rosata.
Chris aprì la bocca, trattenendo il fiato.
Quando quella mattina era entrato per la seconda volta al liceo, il mondo si era fatto sentire di nuovo pesante sulle sue spalle. Tutti abbracciavano qualcun altro, mentre l’aria si riempiva di risate e di chiacchiere allegre. Lui aveva continuato a camminare verso il suo armadietto in silenzio, aveva riposto lì la sua giacca leggera e si era incamminato verso l’aula di letteratura, cupo e chino sotto il peso di quel mondo che continuava ad ignorarlo.
E non perché lui lo volesse. Aveva provato mille volte a intrecciare lo sguardo con chiunque incrociasse il suo cammino, ma il massimo che era riuscito ad ottenere era stato qualche sorriso di circostanza da due o tre persone.
Raggiunta l’aula, si era seduto in fondo alla classe, aveva preso il suo cellulare – più per fare qualcosa che per controllare se ci fossero chiamate – e se l’era rigirato in mano perdendosi nei suoi pensieri e nelle mille idee che aveva per quell’anno. La sera prima aveva pensato che sarebbe stato interessante poter fare una rappresentazione di “Sweeny Todd” per la recita scolastica, ma voleva un’idea particolare. Era stanco di seguire sempre un libretto predefinito.
Aveva risposto distrattamente all’appello, notando a malapena le risate di scherno che la sua voce richiamava nemmeno fosse uno specchietto per le allodole, e poi, dopo che le chiacchiere di circostanza si erano esaurite, aveva di nuovo donato tutta la sua attenzione al professore.
Il resto della mattinata si era svolto come da copione. Silenzi. Camminate nei corridoi. Silenzi. Lezioni. Silenzi. Pranzo.
E poi, quella domanda.
 
“Posso?”
Eryn si portò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, mentre il ragazzo seduto al tavolo la guardava sorpreso. Aveva una luce strana negli occhi, e le si strinse il cuore vedendo la sorpresa riflessa su quel volto niveo.
Durante la sua prima mattina di scuola americana – in cui aveva buttato nel cestino qualsiasi cosa propinassero per scuola nelle serie tv – aveva notato con tenerezza quel ragazzo dai grandi occhi celesti vivere nel silenzio ovattato di un mondo che non poteva aver scelto.
Quando era entrata nella classe di letteratura, alla prima ora, l’aveva visto chino sul suo cellulare mentre guardava ancora più in là.
Aveva sentito la sua voce trillare nel rispondere all’appello, chiara e limpida come acqua cristallina, ma subito infangata dalle risate sommesse e piene di scherno che due ragazzi vicino a lei avevano soffocato contro i pugni, ma non negli occhi. E si era sentita furiosa. Anche con sé stessa.
Perché con quale diritto si era arrabbiata con i suoi genitori per averla trascinata in quella città, quando sapeva che il prossimo anno sarebbe stata di nuovo tra i suoi amici?
Quel ragazzo ci avrebbe passato la vita lì, ed era sicura che nella sua testa non ci fossero terreni da arare o similari.
Perciò, all’ora di pranzo, quando l’aveva visto da solo al tavolo, si era avvicinata. Perché quel ragazzo con il volto di un bambino la incuriosiva e la inteneriva.
E alla risposta silenziosa del ragazzo, si sedette di fronte a lui, allungando la mano.
“Ciao. Sono Eryn.”
Lui la guardò ancora sorpreso, come se non fosse abituato a parlare con qualcuno a scuola.
Dopo qualche secondo, timido e un po’ imbarazzato, aveva allungato la mano bianca per prendere quella della ragazza di fronte a sé.
“Chris.”
 

Dublino, Irlanda, 3 Luglio 2011

 
“Chris?!...”
La ragazza con gli occhi verdi la guardò sorridendo. Eryn si trovò a mentire ancora una volta, come faceva ormai da due anni a questa parte.
“Cioè, Kurt…” rise battendosi una mano sulla fronte “Li confondo sempre, scusa…”
“E di che…mica hai ammazzato qualcuno.” La ragazza prese a ridere. “Io comunque sono Emily, piacere di conoscerti.”
“Eryn.”
Il sorriso che le regalò era sincero e divertito. Non voleva rovinarsi la serata, ma, mentre stringeva la mano alla ragazza, non poté impedirsi di pensare ‘Stasera lo rivedrò’.
 
Chris era nel backstage, emozionato come non mai. Era a Dublino. Dublino.
Un paio di occhi marrone cioccolato fecero capolino nella sua mente mentre guardava divertito Darren saltare da un punto all’altro del backstage, con già indosso l’uniforme degli Warblers.
Un movimento alla sua sinistra gli fece intendere di non essere più solo a bearsi della – poca – pace che aveva trovato su quell’amplificatore.
“Pronto per l’ultimo concerto del tour?”
La voce di Naya lo fece voltare in direzione della ragazza, che doveva essere scappata dalla sala ‘trucco e parrucco’, dato che aveva ancora i bigodini in testa.
“Si…e no.”
Naya sorrise abbassando gli occhi sulle gambe che dondolavano avanti e indietro, fasciate dai jeans neri.
Dopo qualche secondo di silenzio si arrischiò a dare voce a un pensiero che vorticava nella sua testa da quando avevano messo piede in Irlanda.
“Chris, siamo a Dublino. E questo è l’ultimo concerto.”
“Lo so.” Rispose lui, non capendo dove lei volesse andare a parare.
“Non credi che sia il momento e il luogo adatto per mandare giù un po’ del tuo maledetto orgoglio?” aggiunse sorridendo dolcemente al soprano alla sua destra.
Gli occhi di Chris si spalancarono appena un poco quando capì a cosa lei si riferisse, per poi tornare ad osservare la punta delle sue sneakers.
“Chris…”
“Non la sento da cinque anni Naya. Ormai è troppo tardi.”
La ragazza sbuffò divertita dalla drammaticità con cui il collega aveva pronunciato quelle parole.
“Non ci credi nemmeno tu…” osservò lei alzando gli occhi al cielo. “Dio, qualche volta mi chiedo quanto Kurt sia entrato in profondità nella tua pelle. Stai avendo un attacco in pieno stile drama queen o mi sbaglio?”
Chris rise malinconico.
“Chris, puoi avere tutte le ragioni del mondo per essere ancora arrabbiato con lei. Ma, come hai giustamente notato tu prima, sono passati cinque anni. Non credi che sia arrivato il momento di tentare, per lo meno, di fare qualcosa?”
“Perché mai dovrei? Lei non l’ha fatto…”
La ragazza sospirò esasperata e divertita.
“Lei non può farlo. Non più. Ma se quello che ci hai raccontato è vero, sono sicura che lei è nelle tue stesse condizioni. Con la scusante di non poter salire su un palcoscenico per potertelo dire.”
Chris tirò su il viso, osservando Mark, Chord e Harry che facevano i loro sollevamenti aggrappandosi al palco.
C’era stato un momento nella sua vita in cui tutto quello che aveva amato era stato l’abbraccio caldo e sincero di lei. Della sua migliore amica.
L’unica che non aveva mai chiesto niente, ma a cui aveva dato tutto.
Fino a quel giorno di Luglio di cinque anni prima, quando tutto si era dissolto come neve al sole. E per cosa poi?
Era stata lei ad averlo cambiato. Ad averlo reso una persona migliore, orgoglioso di sé stesso, e non più timoroso di alzare la testa.
Naya aveva ragione, e Chris lo sapeva.
Si tirò in piedi e spazzolò i pantaloni con un gesto automatico.
“Dove vai?” La ragazza lo guardò serena mentre porgeva quella domanda.
“A cercare Ryan. Voglio chiedergli se posso fare una cosa.” Chris rivolse il viso verso la collega, che lo fissava raggiante. “E tu torna in camerino che tra un po’ si va in scena e hai ancora i bigodini in testa.”

  
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