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Autore: ChubbyGirl    02/11/2011    1 recensioni
Fin da quando era una bambina adorava che i maschietti si girassero tutti al suo passaggio, adorava che ogni loro discorso, che sia dei giocattoli più alla moda, delle sigarette che ti fanno sembrare più fico o di macchine, veniva interrotto ogni volta che lei sfilava con aria altezzosa tra di loro. Ma ciò che le dava sempre più appagamento era quando distribuiva false speranze tra i veri innamorati.
Al liceo, perciò, si sentiva più che una regina. Lei era ancora del secondo anno, eppure, in quel preciso istante, era insieme a 18enni alti più o meno 3 metri, e si sentiva bene, anzi no, si sentiva grande.
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO - BUIO





Stava tornando. Non aveva calcolato bene i tempi. Era buio.
In questi momenti odiava il fatto che nessuno dei ragazzi abitasse vicino a casa sua, ma soprattutto in quell’istante odiava a morte tutti loro perché non avevano voluto accompagnarla a casa anche se lei gli aveva espressamente detto che moriva di paura.
Odiava anche se stessa perché per fare colpo su quel cavolo di Luke si era messa qui maledetti stivali con tacco altissimo e quella gonna strettissima che le impedivano di correre, e oltretutto, lui, non era nemmeno venuto…
Teneva le braccia incrociate al petto, un po’ per l’indignazione, un po’ per il freddo cane che faceva e un po’ perché stava davvero morendo di paura. Camminava più svelta che poteva, guardava in basso e ogni volta che sentiva un rumore cercava di evitare l’impulso di guardarsi alle spalle per paura di scoprire che qualcuno la stava seguendo.
Ad un certo punto, lo vide. Il cespuglio che era al suo fianco si mosse per quelli che a lei parvero anni. Un rumore di bottiglia. Una figura scura uscì da dietro e Janet urlò.
Urlava e urlava fino a che si accorse che era ancora sola in quel viottolo così vicino a casa sua e nessun maniaco ubriaco le stava facendo del male. Riaprì lentamente un occhio e vide una bottiglia che ancora rotolava a terra e un gatto nero che scappava in lontananza.
Questo non bastò a rassicurarla.
Ad un certo punto non le importò più di nulla. Non le importò delle vesciche che le sarebbero venute ai piedi, non le importò di strappare la minigonna, non le importò di rompere il tacco a quegli bellissimi stivali costati una fortuna a dir poco. Non le importava di nulla. Cominciò a correre.
Mentre procedeva ad una velocità che nemmeno da se stessa si sarebbe immaginata teneva gli occhi serrati, non voleva ne vedere né sentire nulla, voleva solo tornare a casa. Si stupì quando qualcosa di caldo e denso le ustionava la pelle congelata dal vento pungente che le veniva incontro a tutta velocità: non si era mai sentita così fragile in tutta la sua vita.
Ma finalmente era arrivata, ce l’aveva fatta, sorrise.
Poi il buio.
 
 
 
 
 
 

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Poche ore prima...


I ragazzi schiamazzarono e andarono incontro alla loro amica continuando a fare allusioni alle sue, diciamo, “doti”. Janet cominciò a menare amorevolmente colpi ai sette ridendo a sua volta, intimando di smetterla.
 Ma in realtà non voleva che smettessero.
Fin da quando era una bambina adorava che i maschietti si girassero tutti al suo passaggio, adorava che ogni loro discorso, che sia dei giocattoli più alla moda, delle sigarette che ti fanno sembrare più fico o di macchine, veniva interrotto ogni volta che lei sfilava con aria altezzosa tra di loro. Ma ciò che le dava sempre più appagamento era quando distribuiva false speranze tra i veri innamorati.
Al liceo, perciò, si sentiva più che una regina. Lei era ancora del secondo anno, eppure, in quel preciso istante, era insieme a 18enni alti più o meno 3 metri, e si sentiva bene, anzi no, si sentiva grande.
 
 
 
 
 
 

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 Plic, plic, plic…
Una bambina stava singhiozzando nell’angolo della stanza. Era tutto buio, tranne quel punto, che era illuminato a giorno dalla luce di una lampada di cui Janet non riusciva a capire la posizione. Si alzò anche se tutte le parti del suo perfetto corpo le facevano malissimo.
-Ehy piccolina, cos’hai?- domandò con voce spezzata la ragazza. Lei non le rispose e la quindicenne continuò ad avanzare: anche se era in preda ad un panico mortale, qualcosa la spingeva ad avvicinarsi.
Ma quando non fu più così lontana si accorse che la bimba non era sola. No, c’era qualcuno con lei. Un cane, sembrava un cucciolo di cane. La sua testa diceva di correre, di andare via, sapeva che quello non poteva essere un cucciolo, la sua posizione era troppo strana, ma le gambe di Jenny fecero ancora un altro passo. Solo uno, ma bastò.
-AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!- l’urlo stridulo della ragazza riecheggiò ovunque, riecheggiò e riecheggiò.
Si svegliò, ma non fu meglio, tutto era, se possibile, ancora più nero di prima, ma per fortuna non c’era più quella bambina. Si strinse le ginocchia al petto, e pianse come mai aveva fatto prima.
-Perché?-











Eccolo qua finalmente, il prologo che ho scritto mesi fa ma posto solo ora... -__-
Vi prego ditemi che vi piace, perchè vi assicuro che lo sviluppo sarà davvero figo *ç*
Alla prima recensione (che non sia di un mio amico u.u) metto il capitolo 0 :D
Dai dai, ditemi se vi ho messo ansia almeno un po' OwO
Grazie per aver letto e mi farebbe piacerissimo se recensissi,
anche per dirmi, no guarda ritirati che fai schifo u.u
A presto spero :D


Chub.
   
 
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