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Autore: JCrue    03/11/2011    0 recensioni
"nobody's wife"
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Floating;
 


 
Mi buttai stancamente sul divano, si erano fatte già le sei, fuori un freddo polare avvolgeva la città. La neve cadeva in punta di piedi sulle strade che ancora odoravano di catrame fresco. Dalle finestre della mia umile dimora si scorgevano le luci del palazzo affianco. Ogni piano era piacevolmente illuminato. Di tanto in tanto qualche fiocco di neve si posava dolce sul vetro. Mi tirai su la zip della felpa e mi guardai intorno. Come sempre Nick aveva lasciato le sue cose in disordine. Era difficile convivere con un diciassettenne di quel tipo, ribelle, amante della vita esterna e incredibilmente testardo. Proprio come suo padre. Sospirai e mi diressi nella mia stanza da letto. Sul comò giaceva il mio vecchio diario, l’avevo ripescato qualche settimana prima nel disfare alcuni scatoloni contenenti oggetti natalizi che ora sprizzavano allegria appesi qua e là in casa. Riaprii per la venti milionesima volta quelle pagine che profumavano di vecchio e di ricordi di una gioventù fiorente. Ancora quella foto mia e sua nelle prime pagine. Lui l’uomo che aveva cambiato per sempre la mia vita, era entrato come un pugnale fra le mie vene e poi aveva iniziato a farmi del bene e poi è fuggito, lasciandomi con un prigioniero in grembo. Avevo soli quindici anni quando ricominciai le magistrali dopo l’estate. E lui era lì come l’anno precedente, appoggiato al muro vicino all’ingresso che fumava aspirando intensamente la nube grigia che aleggiava davanti al suo naso. L’avevo sempre trovato tetro, vestiva scuro con borchie e catene alla vita e spessi anfibi di pelle nera stretti alle caviglie. I capelli erano lunghi e neri raccolti in una coda al collo morbida. Quel giorno indossavo il vestito bello, a fiori con un fiocco sulla schiena. Odiavo quel genere di abbigliamento, mi impacciava ed essendo all’epoca una quarantasei abbondante, non mi si addiceva per niente. Inoltre era fin troppo lezioso, ma che potevo farci, ero costretta, venivo da una famiglia “come si deve” scuola,ottimi voti, cibo sano, niente ragazzi,niente sesso,alcool nemmeno a sognarlo la notte e chiesa. La mia anima era in costante ribellione, galoppava in praterie fatte di sogni impossibili per la vita che conducevo. Passai vicino al ragazzo appoggiato al muro tranquilla che non mi avrebbe notata come aveva fatto l’anno prima a mio dispiacere, quando feci per varcare la soglia lo vidi che mi scrutava attentamente, sentii il calore ribollirmi dai mocassini in camoscio fino alla ben più umana pelle delle mie guance prosperose e morbide. Mi venne vicino e fu allora che accadde. Mi girai  di scatto impaurita e incuriosita allo stesso tempo e i libri ruzzolarono dalla cinghia che tenevo vicina al petto a terra con un tonfo e un rialzo di polvere notevole.  Lo vidi avvicinarsi sempre più e chinarsi verso le pagine svolazzanti del dizionario di latino, mio compagno quotidiano di pomeriggi, davanti ad una cioccolata calda e dei biscotti, unica cosa che potesse davvero rallegrare la noia delle versioni nelle quali si narrava dell’astuzia di Calligola e della ferocia di Nerone.  Una volta che richiusi i libri nella cinghia lo vidi puntare gli occhi dritti nei miei, solo ora potevo notarli, erano di un celeste ghiaccio profondo. Mi lasciarono impietrita e confusa. La testa pareva scoppiarmi. Sorrisi appena in segno di ringraziamento ed entrai. Quello fu sicuramente uno degli incontri più strani che potessi mai aver fatto. Passarono un po’ di giorni e finalmente potei tornare a vestirmi in modo un po’ più “alla mia maniera” come direbbe Suor Pia, la nostra governante. La gonna a balze ricadeva dolce sulle collant a righe. E le caviglie si muovevano calde, strette negli stivaletti di camoscio. La camicetta aderente scopriva appena le mie notevoli forme mettendole in evidenza, i capelli raccolti in una treccia laterale mi scoprivano il volto, ricadendo a tratti con dei ciuffi liscissimi sul volto paonazzo e vispo. Fu quella mattina che all’entrata della scuola lo vidi ancora, appoggiato al muro insieme alla sua compagna di dipendenza, la sigaretta.  Mi guardò mentre entravo, ne ero certa sentivo quelle perle di ghiaccio incollate al mio corpo imperfetto e instabile, specialmente in quel momento. Scossi appena i capelli e mi decisi a proseguire a passo svelto verso l’entrata, imperterrita, impassibile. Sentivo le catene dei suoi anfibi cigolare dietro di me e un passo decisamente pesante seguirmi a ritmo lento. Vedevo con la coda dell’occhio la cappa di fumo d’innanzi a lui e ne percepivo l’acuto odore sotto le mie narici. Decisi di fingere di non essermi accorta di nulla e di entrare in classe. Appena riuscii in questa missione poggiai la cinghia sul banco di legno che immediatamente mi salutò con un fastidioso cigolio. Mi sedetti e scrutai fuori dall’aula, lo vidi passare ma non si fermò a vedere se ero entrata. La cosa mi deluse un po’. Passarono un po’ di giorni da quell’ambiguo inseguimento nei lerci e umidi corridoi della scuola e non vidi più quel ragazzo tanto strano. Forse si era ammalato pensavo di sovente e dentro di me cresceva la voglia di incrociare ancora quegli occhi così profondi e ipnotici. Dovetti aspettare altri due giorni prima che il mio desiderio venne soddisfatto. Entrai in classe alla solita ora e lo trovai seduto al mio banco che fumava imperterrito la sua quotidiana sigaretta. Rimasi un po’ sconcertata e poi a passo svelto mi avvicinai al vecchio e cigolante banco, poggiandoci sopra con poca grazia la cinghia con i libri che pesava più del solito. Lo vidi buttar fuori dalle labbra carnose e rosse una nuvola di fumo che mi colpì in pieno volto. Alzai un sopracciglio dubbiosa e sentii dei passi cadenzati e veloci muoversi all’interno della stanza.
-Jenn, potresti venire un momento alla cattedra?- mi chiese il proprietario di quel passo così cadenzato e veloce. Allora capii era Ronald il professore di letteratura.
-Mi dica professore.- dissi sporgendomi alla cattedra ma senza non aver prima controllato che stesse facendo lo sconosciuto al mio tavolo cigolante. Vidi il Ronald avvicinarsi al mio orecchio e percepii il calore del suo fiato sussurrarmi qualcosa che alla prima non capii e infatti chiesi di ripetere.
-Potresti dare ripetizioni su Shakespeare a quel ragazzo laggiù? È parecchio in difficoltà, credo che il nostro maestro inglese gli rimanga indigesto.- disse l’insegnante con una smorfia sul volto.
-Mh crede che io ne sia in grado? Voglio dire è così …- pigolai.
-Strano?- finì lui al posto mio, in risposta annuii impercettibilmente
-Lo so … ma è l’unico modo per recuperarlo, è già stato sospeso quattro volte, ha accoltellato un compagno e picchiato un insegnante, è orfano e vive con il fratello che tra l’altro è un ottimo studente, capisci Jenn che questo ragazzo non può accollarsi le responsabilità per il fratello se egli è così … insolente.- spiegò gesticolando e lanciando di tanto in tanto un’occhiata all’individuo attraverso lo spesso vetro delle lenti dei suoi occhiali che segnavano il naso pronunciato sul suo volto. 
-Oddio. Beh … vedrò che posso fare.- cinguettai dubbiosa. Lo vidi sorridermi e annuire e poi successivamente farmi cenno di avvicinarmi al moro che intanto mi scrutava attentamente. Mi avvicinai al mio tavolo e salutai il giovane porgendogli la mano.
-Jenneth piacere.- pigolai insicura. Mi porse a sua volta la sua mano decisamente più grossa della mia e calda da impazzire.
-Victor.- sussurrò quasi, il suono della sua voce fece correre un brivido sulla mia spina dorsale.
-Ehm … ho saputo che hai bisogno di qualcuno che ti aiuti con letteratura, è esatto?- pigolai dando un tono deciso ai miei mormorii.
-Sì.- rispose freddo.
-Allora ci troviamo a ricreazione nel cortile vicino alle panchine, così possiamo metterci d’accordo e mi dirai dove sei arrivato. Ok? – chiesi con un po’ di finta sicurezza nella voce.
-Va bene. – rispose nuovamente con il gelo fra le corde vocali, poi puntò i suoi occhi nei miei. In quell’istante prima che quel contatto magnetico si interruppe persi almeno due battiti. Era incredibile che effetto mi facessero i suoi occhi. Passai le ore di lezione che mi separavano dall’intervallo nell’ansia più totale. Sicuramente avremmo dovuto studiare a casa e se portavo un individuo del genere fra la puzza di muffa dei miei quattro muri mi avrebbero preso a martellate sul cranio finchè la mia testa non sarebbe diventata un bitorzolo di bernoccoli unico. Autoinvitarsi nella sua dimora era alquanto sconveniente date le sue tenere e docili abitudini sarei potuta finire nel suo “quaderno delle vittime” nel giro di due minuti. Avrei voluto scavarmi una fossa e rinchiuder mici molto volentieri per aver accettato quella quasi proposta del Ronald, eppure un senso di curiosità e eccitazione mi spingevano a continuare in questa folle avventura. Gli ultimi dieci minuti dell’ora prima dell’intervallo il panico si era impossessato tranquillamente della mia mente e giocava a shangai con i miei neuroni. Così decisi di uscire cinque minuti prima sotto il permesso dell’insegnante e di recarmi alla panchina in anticipo, in realtà i miei polmoni mi imploravano ossigeno come le zingare ai lati delle chiese. Non appena l’aria si riempì del trillo della campana ricominciò il tremito sparso di poco prima su tutto il mio corpo. La situazione sembrò non mutare nemmeno quando scrutai la sua nobile e alta figura fra la folla. Sarà stato almeno due metri pensai mentre si avvicinava velocemente al luogo di incontro.
-Ciao.-  disse lui tranquillo, il suono della sua voce mi provocò un ulteriore brivido lungo la schiena.
-Ciao … - risposi io non troppo sicura. Iniziai a sudare e con una mano spostai quei ciuffi ribelli di capelli dal viso.
-Ho portato dei libri che potrebbero esserci di aiuto.- pigolai ancora insicura tirando fuori dalla tasca un piccolo libriccino e prendendo da sotto la panchina la famosa cinghia contenente un libro decisamente più ingombrante.
-Mh sinceramente non me ne intendo di queste cose.- disse lui con un’espressione dubbiosa sul volto.
-Mi sa che ti conviene iniziare a farlo allora.- risposi fissandolo negli occhi. Sorrise.
                                                                ***********
Passarono due mesi da quando quella mattina mi aveva sorriso su quella panchina piena di polvere di pino. Da allora avevo iniziato a dargli lezioni private a casa sua. Sì, non  so come ma sono ancora viva. Ogni giorno che passava sentivo che si sbloccava sempre di più e apprendeva anche di più. Era come un pezzo di ghiaccio che incontra il sole, all’inizio il sole si limita a riflettersi  sopra capendo che il ghiaccio rimarrà sempre duro al suo contatto, poi con il suo calore lo avvolge finchè il ghiaccio non gocciola e inizia a sciogliersi. Lui era così, dal non parlare adesso facevamo spesso quattro chiacchiere prima di ogni lezione e anche dopo, talvolta. Un giorno mi chiese di fare due passi dopo le ripetizioni e titubante accettai. Camminavamo l’uno affianco all’altra in rispettoso silenzio finchè lui non mi chiese
-Hai un compagno? Un amico … un … - pigolò impacciato. Mi fece tenerezza in quel momento.
-No, non ho nessun amico e sono scapola. – sorrisi imbarazzata.
-Sembra che la stessa sia sorte sia toccata ad entrambi.- sorrise ancora poi si fermò di colpo, io feci ancora qualche passo non essendomi accorta che lui si era invece arrestato. Quando mi girai e lo vidi indietro rispetto a me indietreggiai verso di lui con un’espressione dubbiosa. Lo scrutai attentamente negli occhi. Di nuovo quel giramento di testa, di nuovo quei brividi mentre seguivo le sue labbra pronunciare tali parole
-Due anime libere sono fatte per incatenarsi insieme, indissolubilmente.- rimasi basita e una luce di felicità mi si accese inspiegabilmente tra gli alveoli del mio cuore. Sorrisi impercettibilmente mentre il suo volto si avvicinava rapidamente al mio. Le nostre labbra si congiunsero in un casto e freddo bacio. Sentivo il suo volto premere contro il mio segno che il suo corpo e la sua anima volevano approfondire quel contatto. Dal canto mio non avendo mai avuto un approccio di simile intensità mi sentivo spiazzata e spaesata, ma dischiusi istintivamente le labbra e accolsi la sua lingua calda che carezzava dolcemente la mia immobile e emozionata come ogni muscolo del mio corpo. Provai a muoverla e non appena entrai in contatto con le sue labbra ebbi un brivido fortissimo che mi sconquassò da capo a piedi e mi annientò letteralmente ogni qualsiasi forma di funzione celebrale. Le sue mani iniziarono a vagare caute e dolci sul mio volto. Erano calde, come la prima volta che le avevo strette. Un vortice di emozioni mi prese per mano trascinandomi con se mentre quel contatto caldo spezzava la sottile lama di gelo invernale. Il cielo sembrava voler festeggiare a suo modo e iniziò a scrosciare acqua da nuvoloni dei quali non mi ero nemmeno accorta. La pioggia colava veloce e copiosa sui nostri vestiti e fra i nostri capelli, ci bagnava ogni lembo di pelle pizzicando appena a contatto con il sale del nostro corpo, le nostre labbra ancora incollate e le nostre lingue ancora intrecciate non davano il minimo segnale di volersi separare. Quando dopo istanti che parvero interminabili ci separammo mi sorrise dolcemente come non avevo mai visto fare da nessuno e mi carezzò il volto delicatamente. Sorrisi anche io a mia volta mentre lui si voltava e si allontanava con le mani in tasca. Sapevo che grande sforzo aveva fatto in quel momento e apprezzai con ogni minima parte del mio corpo quel gesto così puro e semplice ma che mi riempiva di gioia come un campo di girasoli baciato dall’astro giallognolo. Fu così che ogni giorno che passò in altri due mesi quei contatti si approfondivano sempre di più, quell’amore sembrava sfondare i meandri della normalità come un fiume in piena che straripa dagli argini. Rientravo in casa con una luce diversa ogni pomeriggio quando non andavo da lui. Nessuno nella mia famiglia però sembrava accorgersene, ignoravo il tutto fin quando però un desiderio di poter raccontare tutto a qualcuno non si fece strada nella mia mente, così mi venne l’idea di questo diario. Da quel giorno raccontai tutto quello che ci accadde, misi ricordi, fiori, biglietti che ci scambiavamo all’ignoto di tutti. Un pomeriggio mentre passeggiavamo nel cortile di casa sua mi portò sul retro e mi baciò passionalmente mentre mi reggevo a malapena su uno stipite vicino ad un’apparente stalla. Un odore di fieno fresco riempiva i miei polmoni.
-Guarda.- mi disse e con un balzo entrò in una sottospecie di porta misteriosa. Poco dopo con un colpo secco l’aprì e uscì accompagnato da due destrieri uno baio e l’altro grigio spento. Sorrise nel vedere la mia espressione basita e incredula.
-Quante sorprese hai ancora da riservarmi?- pigolai felice.
-Non ti immagini nemmeno.- rispose altrettanto felice. Fu così che montammo in sella a quei due cavalli e passeggiammo a lungo parlando della nostra infanzia e dei nostri interessi come sempre. Salimmo lungo il bosco e una volta arrivati in cima mi guardò dolcemente.
-Guarda laggiù.- disse poi staccando una mano dalle redini in cuoio strappate e indicando una distesa di verde spruzzata qua e là da fiori primaverili.
-Ma è meraviglioso!- esclamai meravigliata.
-E se vuoi è tutto nostro.- sospirò prima di dare un leggero colpo di anche al cavallo che ricominciò a camminare. Dopo mezz’ora stavamo discendendo il pendio silenziosamente quando fermò l’equino e mi guardò. Istintivamente sorrisi non capendo che intendeva fare.
-Hai mai provato che significa essere figli del vento Jenneth? – esclamò poi. Rimasi sorpresa sia da quella domanda sia dal fatto che per la prima volta aveva pronunciato il mio nome.
-In effetti mai.- cinguettai io incuriosita. Lo scrutai per qualche istante prima che lui con un colpo di anche partì al galoppo attraversando veloce quella distesa verde spruzzata di fiori. Ero timorosa ma lo seguii decisa a godermi quell’attimo di pura libertà che mai mi sarebbe ricapitato, con un colpo di anche assestato anche il mio destriero baio si decise a partire selvaggio e libero tra quei ciuffi d’erba coccolati da gocce di rugiada. Il vento mi sussurrava nelle orecchie e il rumore degli zoccoli a contatto con il terreno era perfettamente in sintonia con il battito accelerato del mio cuore. I crini del cavallo svolazzavano e davano dei leggeri colpi alle mie mani ogni qual volta venivano in contatto con esse. Poi rivolsi lo sguardo a lui. Galoppava affianco a me e sorrideva con gli occhi socchiusi beandosi di quell’aria pura e di quella libertà degna di veri figli del vento.
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Sfogliai le pagine di quel diario ricordando come fosse bello il rumore del vento e girando la carta fra le dita scorsi la pagina scritta prima che il mondo mi prendesse a frustate sugli stinchi insegnandomi che niente è rose e fiori. Ricordo come fossi imbarazzata quel pomeriggio consapevole del fatto che avrei passato la notte da lui, da una amica per la mia famiglia. Sapevo che genere di cose potevano succederti a dormire con un maschio e ne ero sia affascinata sia terrorizzata così mi armai di tutte le soluzioni possibili a probabili incidenti di percorso e uscii. Quando arrivai da lui mi accolse a braccia aperte abbracciandomi stretta. Gli donai un leggero bacio sulle labbra e poi entrammo in casa sua. C’era un profumo di cioccolata fondente diffuso fra le pareti, il mio stomaco si risvegliò improvvisamente.
-Ho fatto della cioccolata con panna. Spero mi sia venuta commestibile.- cinguettò imbarazzato spostandosi una ciocca di capelli ribelli dal volto.
-Lo sarà sicuramente se è fatta da te.- mormorai ricevendo in risposta un suo bacio.
Bevemmo cioccolata con panna seduti stretti sul divano, la primavera era ormai alle porte e la neve s’era completamente sciolta lasciando all’ambiente una timida aria frizzantina e qualche acquazzone di tanto in tanto. Un po’ di panna mi finì sul mento, sorrisi mentre mi allungai per prendere un tovagliolo sul tavolino d’innanzi a noi ma prima che potessi arrivarci la sua lingua premeva già sulla mia pelle privando il mio volto di quella piccola dolcezza della quale mi ero sporcata poco prima. Le sue mani presero il mio volto e entrambi desiderosi di contatto ci avvicinammo e unimmo le nostre labbra. Il sapore di cioccolata impregnato sulle nostre lingue ci portò distanti dal mondo reale. Iniziammo ad accarezzarci più profondamente esplorando ogni minima parte del nostro corpo desiderosi di scoprirci l’un l’altra. Iniziava a fare caldo in quella stanza così ben presto iniziammo ad alleggerirci, la mia felpa cadde sul pavimento accompagnata dal suo chiodo nero. Ero imbarazzata ma allo stesso tempo desiderosa di quel contatto tanto bramato. Sentivo l’eccitazione scorrermi nelle vene e nel basso ventre. Percepivo che anche per lui era la stessa cosa, le sue mani non riuscivano a stare ferme. Con calma le pose sotto la mia maglia appena scollata, il contatto con il calore di quella pelle mi fece rabbrividire. Feci lo stesso anche io sentendolo ansimare sul mio collo segno che stavo procedendo bene. Finimmo in poco tempo a torso nudo, si staccò un momento dal mio viso e mi guardò con un sorriso dolce e premuroso stampato sul viso. Mi sentivo in imbarazzo ma allo stesso tempo avevo bisogno di completarmi con lui. Anche i nostri pantaloni andarono in breve tempo sul pavimento a fare compagnia agli altri indumenti. Le sue mani correvano esperte lungo il mio interno coscia.  Lo sentivo ansimare spesso. Capii che dovevo muovermi anche io in quel modo. Lo assecondai dolcemente. Continuammo per almeno mezz’ora a prenderci cura l’un dell’altra con carezze sempre più spinte, una goduria allegra e calda pervase i nostri corpi, gemiti sussurrati uscirono dalle nostre gole. Una volta spezzato ogni legame con il tessuto lo guardai dritto negli occhi, una punta di preoccupazione era tangibile in quella nube di emozioni fino ad allora sconosciute. Lo vidi avvicinarsi e stringere il mio torso nudo al suo petto e baciarmi delicatamente la fronte. Mi guardò negli occhi per istanti interminabili mentre quelle lame di ghiaccio che avevo di fronte mi provocavano brividi e scariche elettriche in tutto il corpo. Lo sentii avvicinarsi  ancora di più. Si sdraiò dolcemente sopra di me e finalmente ruppe quella barriera legandoci l’uno all’altra per sempre. Il dolore scomparve in fretta lasciando spazio ad un nuovo piacere, più intenso e più puro. Al culmine di questo turbine di sensazioni mi baciò e sorrise, gemendo poi in un sussurro.
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Sparì poche settimane dopo, senza lasciare nessuna traccia se non un piccolo prigioniero sedimentato irrimediabilmente dentro di me. Non l’ho mai odiato per questo, sapevo che era un’anima libera e che presto avrebbe trovato la sua via. La cosa che mi rendeva felice era che però aveva voluto lasciare un qualcosa che volutamente o non ci avrebbe uniti per sempre. E quel qualcosa adesso chiamava, era rientrato e come al solito aveva fame e talmente tanta stanchezza da non avere la forza di aprirsi una scatola di tonno sott’olio. Così chiusi quel diario anche quella sera e con un sospiro scesi le scale che portavano in cucina. Anche io avevo un marchio indelebile sulla mia schiena. Recitava “nobody’s wife” e segnava l’esistenza di un’anima al galoppo fra praterie verdi leggermente spruzzate di rosso.
 
 
 
  
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