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Autore: Electra_Gaunt    03/11/2011    4 recensioni
TRATTO DAL PRIMO CAPITOLO:
Arthur aveva gl’incubi. Non che fosse qualcosa di anormale, davvero, ma stavano divenendo assillanti e frequenti. La sua psiche ne risentiva alquanto.
Aveva chiesto all’anziano Gaius un rimedio ragionevolmente efficace e, in cambio, aveva ricevuto un sonnifero fatto d’erbe odorose e inebrianti. Per quanto gradevole d’assumere, non aveva sortito alcun effetto.
La tensione tendeva ad accumularsi durante la giornata, attimo dopo attimo, senza che potesse evitarlo, per poi scoppiare quando calava la notte. Le immagini erano vivide, ferme.
Strano come paressero esistere realmente quei paesaggi immaginari, straordinariamente astratti.
Il lago, il fuoco ed il drago che, anni prima, aveva attaccato Camelot, erano gli elementi fondamentali che nel caos dell’incoscienza si imponevano sul resto.
Arthur cercava spesso un senso che non poteva capire, tentava di allineare aspetti che, apparentemente, non avevano collegamenti.
E, nonostante cercasse di farsene una ragione, gli incubi non smisero di ossessionarlo.
Neppure per una notte.
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro, Contesto generale/vago
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Breathe Me
Capitolo 01

Be my friend
Hold me, wrap me up
Unfold me
I am small
and needy
Warm me up
And breathe me

Ouch I have lost myself again
Lost myself and I am nowhere else to be found,
Yeah I think that I might break
Lost myself again and I feel unsafe
Breathe me Sia

 
 
Era successo troppo in fretta. Arthur non pareva rammentare neanche l’attimo esatto in cui ogni cosa era crollata al suolo (vasi di ceramica troppo fragili e sottili per poter sopravvivere all’impatto con la realtà). Il rumore ancora lo assordava, ingannandolo di notte e tendendogli trappole, di giorno. La risata solare di Merlin (ed i suoi occhi, dei, i suoi occhi!) non lo abbandonavano un solo istante. Forse, fosse stato più cauto più attento, avrebbe potuto evitarlo. Salvarlo dalla rovina.
Ma, ancora una volta, non ci aveva pensato.
Lui glielo diceva sempre, che non rifletteva abbastanza.
Scosso dalle lacrime, Re Arthur rivisse innanzi ai propri occhi quei fatidici momenti. Rinchiuso dalle pareti delle sue stanze, percepiva ancora nitidamente il suo odore (così vivo e fresco, proprio com’era la sua essenza). Le gocce salate caddero con maggior enfasi a quel pensiero.
L’ambiente rimase silenzioso ed il tempo perse di consistenza, arricciandosi alle vetrate delle finestre come una buffa marionetta di pezza. Non voleva uscire da quelle coltri calde e rassicuranti che, ostinatamente, parevano sottolineare l’assenza di Merlin in maniera brutale.
Fuori, tra il dolore ed il rimpianto, la vita continuava frenetica. Camelot sarebbe sopravvissuta anche senza la sua luce. Peccato non fosse altrettanto così, per il sovrano.
Arthur lo sapeva: le voci delle serve e il via vai del mercato, gli facevano intuire come nonostante il profondo lutto cui il regno era sottoposto, la vita non poteva (doveva) interrompersi. Come il nascere del sole ed il mutare delle stagioni. Tutto andava avanti.
Anche senza di lui. Senza il suo mago.
Merlin era morto.
 
 
Qualcuno bussò alla porta.
Re Arthur rimase impassibile quando, con passo leggero ed impercettibile, un servitore basso e mingherlino dai buffi capelli rossicci entrò nelle stanze reali, rassettando velocemente il tavolo dove la sera precedente aveva mangiato (nonostante, poi, l’ottimo arrosto era stato rigurgitato interamente nella camera da bagno, proprio accanto a quella da letto). L’omino lo osservò di sfuggita, intento a non infastidire oltre il proprio sovrano.
“Desiderate qualcosa per colazione, Maestà?”
“No, voglio unicamente essere lasciato solo. Non desidero ricevere nessuna visita, oggi …” sussurrò, per poi riprendere “… Neppure da mia moglie, la Regina.”
“Certo, Vostra Altezza, riferirò alle guardie di non far passare nessuno.”
“Ora vai.”
Il nuovo valletto (strinse involontariamente la mandibola a quell'appellativo) uscì con un profondo inchino, senza dargli le spalle. Merlin non si sarebbe mai comportato così, ed Arthur non l’avrebbe preteso. Quella sentita sottomissione gli provocava un forte conato di vomito. Ancora, nonostante fossero passate tre lune.
Con Merlin era diverso: ogni singolo aspetto della quotidianità, ogni attimo.
Rammentava ancora il cipiglio stupito quando lo aveva informato che Ginevra sarebbe divenuta sua moglie. Per buona parte della giornata aveva taciuto, offeso. Poi a sera inoltrata, prima che potesse davvero farlo preoccupare, si era sciolto in un sorriso talmente tenero (negare, negare sempre) da abbagliarlo. Non avrebbe voluto farlo, ma non aveva potuto evitarlo.
La verità era che la corte incominciava a parlare. Le voci volavano in maniera spaventosa, alle sue spalle, chiedendosi per quale motivo non vi fosse ancora una donna al suo fianco. E lui era il Re, in fondo.
Ma era anche Arthur e, pertanto, aveva bisogno del consenso di Merlin per compiere qualunque cosa appartenesse alla propria sfera personale e sentimentale.
“Non mi dovete spiegare nulla, Sire. I- io capisco cosa vi ha spinto a compiere questa scelta, davvero. Gwen sarà un’ottima regina ed, insieme, costruirete un grande regno.”
Questa era stata la risposta dell’idiota quando aveva cercato di scusarsi con lui. Arthur, in quel frangente, lo aveva amato un po’ di più (anche se, effettivamente, lo riteneva impossibile).
“Spero non mi abbandonerai per questa mia decisione … ma se dovessi scegliere di andartene non mi opporrò, non ne avrei il diritto …”
“Oh no, sire, come potrei? Non mi fido degli altri servitori … potrebbero rovinare la vostra armatura e voi sapete quanto io ci tenga.” Aveva affermato, avvicinandosi all’altro giovane con sguardo malandrino.
“Oh … - aveva risposto Arthur, afferrandolo per i fianchi ed avvicinandolo a sé, venendo investito dall’odore che emanavano quei capelli d’ebano (muschio, forse, e pino) - … lo so.”
Poi era tutto finito tra strani ed intricati attorcigliamenti di lenzuola e gemiti.
 
Arthur pareva non riuscire a pensare null’altro che a Merlin. I primi giorni erano trascorsi tra l’incertezza di star sognando e la realizzazione della verità. Galleggiando nell’apatia color della nebbia, non si era reso conto di quanto potesse ucciderlo, la mancanza di quell’idiota.
E poi era stato travolto dalla consapevolezza.
In mezzo ad una tempesta, senza appigli a cui aggrapparsi, senza sicurezze (perché Merlin era anche quelle), si era scoperto solo ed indifeso come mai era stato. Debole contro tutti.
Ogni mattina agognava di vederlo entrare senza bussare, spalancare le imposte e accoglierlo con il suo caloroso sorriso (avrebbe donato il suo regno per scorgerlo, un’ultima volta). Mancava come l’aria e la sensazione di soffocamento era dannatamente fastidiosa. L’ossigeno non arrivava più al cuore, ormai.
I divertimenti e gli svaghi che prima erano indispensabili per allentare un po’ la tensione della posizione cui era costretto, avevano perso ogni tipo di attrattiva. Le persone, i cavalieri, Ginevra non potevano farlo sentire meglio, nonostante tentassero di tutto per tirarlo su (Gweine, Lancelot, Percival e Leon erano arrivati anche ad invitarlo alla taverna, cosa che poco si adattava al loro ceto sociale, soprattutto se in compagnia del proprio Re).
Com’era ovvio, aveva declinato l’invito senza troppe remore e i valorosi cavalieri non avevano insistito, data la situazione. Ormai sapevano perfettamente la condizione morale del sovrano, nonostante non ne facessero parola con nessuno. L’omertà aleggiava su tutto quanto, come un morbo incurabile.
Anche Gwen era a conoscenza del rapporto che intercorreva tra suo marito ed il rispettivo servitore. Non aveva potuto fare a meno di sentirsi tradita, la prima volta che li aveva visti scambiarsi sguardi carichi di parole non dette e gesti sottointesi.
Ma era sempre stata la seconda scelta (per tutti), quindi non si stupida d’essere stata sfruttata come un oggetto. Lamentarsi non era nel suo stile, quindi era rimasta zitta e posata, come il suo ruolo imponeva, impaurita dall’eventualità di una possibile scelta di Arthur tra lei e il valletto (sapeva il responso, in quel caso).
Arthur non l’amava, non l’aveva mai amata, e questo la rendeva inquieta più di quanto desse a vedere. Fin d’ora non aveva mai giaciuto con lei, troppo impegnato in stupide spedizioni di pace con i regni confinanti (cui Merlin era costretto a partecipare, mentre lei rimaneva a palazzo, attorniata da fanciulle e dame senza cervello). A volte le mancava Morgana, come si sente la lontananza d’una sorella. Probabilmente il suo affetto faceva riferimento alla Lady che era stata, e non alla spietata strega che era divenuta.
Quella che aveva stroncato numerose vite, che aveva attentato alla vita del Re Uther.
Che aveva ucciso Merlin, sul campo di battaglia, prima che Arthur potesse fare qualcosa per evitarlo. In quel caso, quando tornava a pensarci, i brividi di disgusto ricomparivano, correlati da conati di vomito e lacrime agli occhi. Nonostante tutto il dolore ed il tormento, non avrebbe voluto finisse così.
E lei si reputava troppo buona, giusta, per volere la morte di un amico (perché lo era ancora, Merlin, per lei).
Le cose erano cambiate, da quando il giovane mago era arrivato a Camelot molte stagioni fa. La vita era cambiata, le leggi erano cambiate, le persone. Lei. Tutto quanto, inesorabilmente.
Sembra quasi, si disse Gwen un giorno durante una passeggiata al mercato, che Camelot stesse aspettando l’arrivo di Merlin.
 
Arthur aveva gl’incubi. Non che fosse qualcosa di anormale, davvero, ma stavano divenendo assillanti e frequenti. La sua psiche ne risentiva alquanto.
Aveva chiesto all’anziano Gaius un rimedio ragionevolmente efficace e, in cambio, aveva ricevuto un sonnifero fatto d’erbe odorose e inebrianti. Per quanto gradevole d’assumere, non aveva sortito alcun effetto.
La tensione tendeva ad accumularsi durante la giornata, attimo dopo attimo, senza che potesse evitarlo, per poi scoppiare quando calava la notte. Le immagini erano vivide, ferme.
Strano come paressero esistere realmente quei paesaggi immaginari, straordinariamente astratti.
Il lago, il fuoco ed il drago che, anni prima, aveva attaccato Camelot, erano gli elementi fondamentali che nel caos dell’incoscienza si imponevano sul resto.
Arthur cercava spesso un senso che non poteva capire, tentava di allineare aspetti che, apparentemente, non avevano collegamenti.
E, nonostante cercasse di farsene una ragione, gli incubi non smisero di ossessionarlo.
Neppure per una notte.





NdA:
Non so assolutamente come sia uscita fuori questa fic ma, se proprio qualcuno mi chiedesse una motivazione, dirò che mi mancava scrivere su questo fandom^^ Perciò, appena mi è capitato un pezzo di carta in mano, ho incominciato a buttar giù questo obrobrio...già. Questo primo capitolo non ha un filo logico, davvero, ma ho voluto scriverlo così (Arthur, dopottutto è confuso, spossato, assente e disperato, pertanto non potrebbe realmente essere lucido sufficentemente per riordinare i pensieri nella propria mente). Spero che come introduzione vada bene, ugualmente. I prossimi saranno molto differenti, promesso^^
E' un po' triste (anche se non sono portata per questo genere, benchè mi piaccia parecchio) come fic ma, se vi fossero anime pie interessate a questa cosa, li avverto che non amo particolarmente i finali strappa lacrime, quindi...xD
Spero piaccia almeno un po'...
Saluti

_Electra_
  
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