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Autore: miss dark    03/11/2011    3 recensioni
Amare senza coraggio è come tornare senza essere mai partiti: non si ha un posto in cui tornare, non si hanno sogni da raccontare.
L’utopica storia di Vittoria dall’animo infelice e di Riccardo dal cuore pavido.
[Prima classificata al concorso "All you need is love" indetto da superkiki92]
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ma come vorrei avere i tuoi occhi

spalancati sul mondo come carte assorbenti

e le tue risate pulite e piene quasi senza rimorsi

o pentimenti.

Ma come vorrei avere da guardare

ancora tutto come i libri da sfogliare

e avere ancora tutto, o quasi tutto, da provare.

Cosa vuoi che ti dica? Solo che costa sempre fatica

e che il vivere è sempre quello, ma è storia antica.

Dammi ancora la mano,

anche se quello stringere è solo un pretesto

per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato

o mi ha mai chiesto.

Vola, vola tu dov’io vorrei volare,

verso un mondo dov’è ancora tutto da fare

e dov’è ancora tutto o quasi tutto da sbagliare.

 

 

 

PRIMO CAPITOLO

 

 

Vittoria amava le stazioni ferroviarie e gli amanti senza coraggio.

Con le prime aveva avuto a che fare più spesso di ogni altra persona, dato che, nonostante vivesse in una grande città, chissà come, finiva sempre lì, a mangiare noccioline e ad osservare pendolari o turisti che le passavano davanti, immaginando le loro vite.

Verso i secondi provava una tenerezza dolce e smaliziata, come per un fiore o un piccolo animale. Loro, possessori della più ardente delle fiamme, colmi di filosofia e di ispirazione, avrebbero potuto impazzire ed essere leoni, per affrontare il mondo con fierezza, mentre non facevano altro che nascondersi come scoiattoli tra le frasche.

Vittoria non era mai stata innamorata, perché la vita le aveva portato altri dolori e lei pensava di dover imparare a convivere con i propri mostri prima di potersi smascherare di fronte ad un perfetto sconosciuto. Non si fidava degli altri e per questo preferiva studiare le persone dalla panchina della stazione, anziché salire sul treno e stringere loro la mano. Preferiva restare immobile e sembrare invisibile, invece di viaggiare e dare voce alle proprie riflessioni, troppo tristi, pensava, perché a qualcuno potessero interessare.

Aveva una ferita all’altezza dello stomaco, era piena di rimorsi e frasi spezzate, di lettere sospese e di penne scaricate nelle notti insonni. Era una ferita profonda e avida, che ingoiava qualunque cosa potesse rendere felice Vittoria. Finiva tutto lì dentro, in quel dolore appena sotto i polmoni che, dopo tutto quel tempo, era diventato talmente grande che spesso Vittoria faceva fatica a respirare.

Era specialmente in quei momenti che lei scendeva le scale di casa e correva alla stazione, nella speranza incosciente di veder scendere dal treno un vagabondo con una chitarra in spalla, un ragazzo senza alcun bagaglio e ricordo o con lo sguardo perso o, ancora, con una ferita proprio all’altezza dello stomaco. Sapeva che l’avrebbe riconosciuto, se l’avesse visto, ma credeva troppo poco nell’amore per guardare davvero negli occhi di tutti. Lasciava vagare lo sguardo tra valigie e distributori automatici, senza mai soffermarsi su nessuno in particolare.

Anche quel 20 di luglio sedeva a mangiare distrattamente noccioline con lo sguardo fisso sul marciapiede di pietra, quando il treno su cui viaggiava Riccardo si fermò proprio al binario 3. Vittoria alzò lo sguardo più per abitudine che per curiosità, perché quel giorno il dolore era troppo insopportabile per pensare che esistesse la fortuna; Riccardo imbracciò la custodia del proprio strumento e scese dal treno, senza far attenzione al gradino, preso com’era dalla musica che suonava nella sua testa. Lui inciampò e lei lo vide.

Fu una coincidenza se lui scese proprio davanti a quella panchina e fu un errore se lei guardò dritto nei suoi occhi e non vide altro che speranza. Fu tutto per caso e fu tutto inatteso, ma quando Vittoria lo vide non poté far altro che alzarsi lentamente e dire: - Ti ho aspettato per così tanto tempo. – Riccardo annuì e la prese per mano, come se fosse il gesto che si preparava a compiere da tutta una vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 







 







Sono contentissima, ma allo stesso tempo abbastanza stupita, di essere riuscita ad aggiudicarmi il primo posto e anche il "Premio Emozione", perchè questa storia è nata abbastanza in fretta e a fasi alterne di ispirazione e di quasi rifiuto della storia stessa. Una stesura molto travagliata, insomma! Ma sono davvero felice di questo risultato, perchè era da molto tempo che non scrivevo una storia lunga e con una trama "precisa" e, soprattutto, perchè era da quasi tre anni che non scrivevo una storia d'amore.

Spero che vi appassioniate, che vogliate commentare e consigliare: sarebbe bellissimo, ancora più bello dell'aver raggiunto il primo posto.

I prossimi capitoli saranno più lunghi e dato che sono già scritti, li pubblicherò abbastanza in fretta :)

 

Credits

La parole alla fine e all’inizio della storia sono tratte dalla canzone “Culodritto” di Francesco Guccini (cantante che io amo). Mi sembravano azzeccate e quindi le ho inserite nella storia.

Il titolo è un adattamento del titolo di una canzone dei Metallica, “Hero of the day”, che mi hanno ispirata molto durante la stesura del racconto e specialmente della fine, che è nata prima del vero sviluppo della storia.

I fatti raccontati sono ispirati alla mia vita di tutti i giorni, alle persone che mi circondano, ma non per questo reali e, soprattutto, non hanno tratto ispirazione da opere letterarie preesistenti.

L'immagine all'inizio del capitolo era quella a cui mi sono dovuta ispirare per scrivere la storia.

 

Al prossimo capitolo (è emozionante scriverlo di nuovo),

Miss Dark

 

 

 

 

 

  
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