Ma come vorrei avere i tuoi occhi
spalancati sul mondo come carte
assorbenti
e le tue risate pulite e piene quasi senza
rimorsi
o pentimenti.
Ma come vorrei avere da guardare
ancora tutto come i libri da sfogliare
e avere ancora tutto, o quasi tutto, da
provare.
Cosa vuoi che ti dica? Solo che costa sempre
fatica
e che il vivere è sempre quello, ma è storia
antica.
Dammi ancora la mano,
anche se quello stringere è solo un
pretesto
per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha
dato
o mi ha mai chiesto.
Vola, vola tu dov’io vorrei volare,
verso un mondo dov’è ancora tutto da
fare
e dov’è ancora tutto o quasi tutto da
sbagliare.
Vittoria
amava le stazioni ferroviarie e gli amanti senza coraggio.
Con
le prime aveva avuto a che fare più spesso di ogni altra persona, dato che,
nonostante vivesse in una grande città, chissà come, finiva sempre lì, a
mangiare noccioline e ad osservare pendolari o turisti che le passavano davanti,
immaginando le loro vite.
Verso
i secondi provava una tenerezza dolce e smaliziata, come per un fiore o un
piccolo animale. Loro, possessori della più ardente delle fiamme, colmi di
filosofia e di ispirazione, avrebbero potuto impazzire ed essere leoni, per
affrontare il mondo con fierezza, mentre non facevano altro che nascondersi come
scoiattoli tra le frasche.
Vittoria
non era mai stata innamorata, perché la vita le aveva portato altri dolori e lei
pensava di dover imparare a convivere con i propri mostri prima di potersi
smascherare di fronte ad un perfetto sconosciuto. Non si fidava degli altri e
per questo preferiva studiare le persone dalla panchina della stazione, anziché
salire sul treno e stringere loro la mano. Preferiva restare immobile e sembrare
invisibile, invece di viaggiare e dare voce alle proprie riflessioni, troppo
tristi, pensava, perché a qualcuno potessero interessare.
Aveva
una ferita all’altezza dello stomaco, era piena di rimorsi e frasi spezzate, di
lettere sospese e di penne scaricate nelle notti insonni. Era una ferita
profonda e avida, che ingoiava qualunque cosa potesse rendere felice Vittoria.
Finiva tutto lì dentro, in quel dolore appena sotto i polmoni che, dopo tutto
quel tempo, era diventato talmente grande che spesso Vittoria faceva fatica a
respirare.
Era
specialmente in quei momenti che lei scendeva le scale di casa e correva alla
stazione, nella speranza incosciente di veder scendere dal treno un vagabondo
con una chitarra in spalla, un ragazzo senza alcun bagaglio e ricordo o con lo
sguardo perso o, ancora, con una ferita proprio all’altezza dello stomaco.
Sapeva che l’avrebbe riconosciuto, se l’avesse visto, ma credeva troppo poco
nell’amore per guardare davvero negli occhi di tutti. Lasciava vagare lo sguardo
tra valigie e distributori automatici, senza mai soffermarsi su nessuno in
particolare.
Anche
quel 20 di luglio sedeva a mangiare distrattamente noccioline con lo sguardo
fisso sul marciapiede di pietra, quando il treno su cui viaggiava Riccardo si
fermò proprio al binario 3. Vittoria alzò lo sguardo più per abitudine che per
curiosità, perché quel giorno il dolore era troppo insopportabile per pensare
che esistesse la fortuna; Riccardo imbracciò la custodia del proprio strumento e
scese dal treno, senza far attenzione al gradino, preso com’era dalla musica che
suonava nella sua testa. Lui inciampò e lei lo vide.
Fu una coincidenza se lui scese proprio davanti a quella panchina e fu un errore se lei guardò dritto nei suoi occhi e non vide altro che speranza. Fu tutto per caso e fu tutto inatteso, ma quando Vittoria lo vide non poté far altro che alzarsi lentamente e dire: - Ti ho aspettato per così tanto tempo. – Riccardo annuì e la prese per mano, come se fosse il gesto che si preparava a compiere da tutta una vita.
Sono contentissima, ma allo stesso tempo abbastanza stupita, di essere
riuscita ad aggiudicarmi il primo posto e anche il "Premio Emozione", perchè
questa storia è nata abbastanza in fretta e a fasi alterne di ispirazione e di
quasi rifiuto della storia stessa. Una stesura molto travagliata, insomma! Ma
sono davvero felice di questo risultato, perchè era da molto tempo che non
scrivevo una storia lunga e con una trama "precisa" e, soprattutto, perchè era
da quasi tre anni che non scrivevo una storia d'amore. Spero che vi appassioniate, che vogliate commentare e consigliare:
sarebbe bellissimo, ancora più bello dell'aver raggiunto il primo
posto. I prossimi capitoli saranno più lunghi e dato che sono già scritti,
li pubblicherò abbastanza in fretta :) Credits La parole alla fine e all’inizio della storia sono tratte dalla canzone
“Culodritto” di Francesco Guccini (cantante che io amo). Mi sembravano azzeccate
e quindi le ho inserite nella storia. Il titolo è un adattamento del titolo di una canzone dei Metallica, “Hero
of the day”, che mi hanno ispirata molto durante la stesura del racconto e
specialmente della fine, che è nata prima del vero sviluppo della
storia. I fatti raccontati sono ispirati alla mia vita di tutti i giorni, alle
persone che mi circondano, ma non per questo reali e, soprattutto, non hanno
tratto ispirazione da opere letterarie preesistenti. L'immagine all'inizio del capitolo era quella a cui mi sono dovuta
ispirare per scrivere la storia. Al prossimo capitolo (è emozionante scriverlo di nuovo), Miss Dark