Amo
quell’indole tua spregiudicata,
quella dolcezza occasionale ma profonda,
quel febbrile, dedito carisma.
Amo
quella smorfia assoggettata,
lezio del bisogno
a solcare il candido volto
di quel che dolcemente ancor pare un fanciullo,
smorfia
che nasce subitanea
ogniqualvolta tu voglia, chieda qualcosa.
Smorfia
che tanto veloce quanto breve sia la primavera della vita umana
volge facile in ira,
ira feroce,
macchiata impietosamente d’insoddisfazione,
scontento atroce e disperato,
che piega subito i tuoi occhi
in uno sguardo di supplica
tanto dolce quanto meschina.
Amo
quegl’occhi limpidi, un po’ pretenziosi,
d’improvviso a pregar dedizione,
quella tua dolcezza così riprovevole
dai fini contestabili
ma di fascino ineguagliabile.
Amo te,
la complessa tua purezza,
la tua intricata essenza.
E l’espressione che attanaglia violenta i tuoi occhi
nell’istante in cui non puoi prevalere
mostrarti per quel che sei
e divampare come una fiamma che non esige focolare
mi perseguita nelle notti mie solitarie,
notti di dubbio, di solitudine ansiosa,
durante le quali mi soffoca il sentore
di non averti accanto.
E in quelle notti,
accolgo silente il pensiero di te
bramando una vicinanza che non esiste,
pregando quel tuo sguardo,
quella tua voce,
quella tua essenza,
di rinascere prepotenti in me
per farti sentire
più vicino di quanto tu sia.
E non possa essere.