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Autore: Leuviah_Utopia    05/11/2011    2 recensioni
La notte tiepida di una primavera quasi al limite infrangeva le mura possenti dell’enorme castello di Camelot. Nessun movimento percepibile dava il ben che
minimo disturbo alla gente che viveva all’interno di quelle mura, perché quel posto, oramai lo sapeva chiunque avesse varcato le porte di quella cittadina,
era un luogo sicuro [...] «Va’ dal tuo re e digli che qualcosa di terribile minaccia la tranquillità del suo regno. [...] Digli che siete tutti in pericolo», concluse Damon ,infine, con un sadico sorriso.
[...] uno strano gracchio arrivò dalla fitta foresta che, adesso, sembrava essersi fatta più profonda e…oscura. Morgana si mise in piedi, scrutando quell’oscurità che
sembrava avvicinarsi. «Chi va là?», domandò incerta la giovane. Improvvisamente un corvo sbucò da quegli alberi e si avventò verso la ragazza.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Damon Salvatore
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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La notte tiepida di una primavera quasi al limite infrangeva le mura possenti dell’enorme castello di Camelot. Nessun movimento percepibile dava il ben che minimo disturbo alla gente che viveva all’interno di quelle mura, perché quel posto, oramai lo sapeva chiunque avesse varcato le porte di quella cittadina, era un luogo sicuro.
Due guardie se ne stavano appostate nei rispettivi lati dell’ingresso principale. Chiacchieravano, a bassa voce, scandendo parola per parola per far si che la lontananza tra i due, di circa 4 metri, rendesse la loro discussione più comprensibile. Parlavano dell’imminente condanna a morte di una donna che, a quanto pare, era accusata di stregoneria.
Damon, senza farsi notare, si avvicinò di qualche metro alle guardie e, con uno scatto impercettibile, balzò sul ramo di un albero che sorgeva proprio accanto la colonna destra dell’ingresso principale. Il giovane aveva fame, molta fame, perché aveva viaggiato senza sosta per oltre due miglia. Spezzò un ramoscello dal ramo su cui si trovava e lo lanciò nella porta opposta a lui.
Le guardie sentirono un rumore provenire da dietro dei cespugli e si guardarono insospettiti.
«C’è qualcuno lì?», domandò una delle guardie. Ovviamente non ci fu alcuna risposta. «Tu aspetta qui, intanto io vado a controllare», continuò la guardia rivolgendosi al collega che annuì con un lieve movimento del capo.
La guardia “coraggiosa”, come l’aveva da poco definita Damon, cominciò ad avvicinarsi al cespuglio sospetto. Il piano del giovane stava funzionando.
Intanto, Damon con rapidità felina si avventò sulla guardia che era rimasta al suo posto e, con ferocia, si attaccò con i lunghi canini alla carotide dell’uomo che non ebbe nemmeno il tempo di lanciare un urlo.
L’altra guardia si voltò sentendo il rumore di qualcosa sbattere contro un muro, ma non vide niente, o meglio, nessuno. «Ehi!»
Damon se ne stava nascosto nell’ombra proiettata dall’arcata del portone ed un lieve sorriso si fece spazio nel suo volto non appena sentì l’uomo chiamare il collega, avvicinandosi verso la sua direzione. I suoi occhi neri e lucenti sembrarono ingigantirsi, mentre i capelli neri gli ricadevano sul viso. Non appena ci furono pochi passi a separarli, Damon uscì allo scoperto e si avventò alla gola della povera guardia che sobbalzò facendo un passo indietro, ma non ebbe il tempo necessario per darsela a gambe.
Stavolta, però, Damon decise di non uccidere l’uomo, come aveva fatto con l’altro poco prima, ma lo soggiogò, perché il vampiro, aveva altre intenzioni. Damon, infatti, si era recato a Camelot perché aveva saputo della buona nomina che la città possedeva per quanto riguardava la sicurezza e l’unione del popolo, l’interesse benevolo dei sovrani nei confronti dei sudditi e, soprattutto, per quanto riguardava il cibo che era di rado mancare. Su quest’ultimo punto Damon ci sperava fermamente, anche se il cibo che preferiva lui non era di certo una zuppa o un maiale arrosto. «Va’ dal tuo re e digli che qualcosa di terribile minaccia la tranquillità del suo regno. Digli anche che sei stato attaccato, ma che non ricordi cosa l’abbia fatto…forse un animale». Damon teneva l’uomo per le spalle, guardandolo fisso negli occhi. «Digli che siete tutti in pericolo», concluse infine, con un sadico sorriso. L’uomo assentì e Damon lo lasciò andare, così da far recapitare il messaggio al destinatario.
Il giovane si sentiva abbastanza sazio dopo aver prosciugato un’intera guardia ed era euforico per via della situazione in cui aveva deciso, spontaneamente, di cacciarsi. Non essendoci ancora guardie in giro, Damon si avviò all’interno delle mura, nella cittadella costruita ai piedi del castello. Cominciò ad aggirarsi furtivamente nell’oscurità attendendo l’allarme che non tardò ad arrivare. «Ce l’hai fatta, amico», disse Damon soddisfatto. «Bel lavoro».
Improvvisamente, una dopo l’altra, le fievoli luci delle candele nelle case cominciarono ad accendersi. L’oscurità si andava via, via allontanando e Damon non poteva correre il rischio di farsi scoprire, perché avrebbe destato sicuramente qualche sospetto. Velocemente, si infilò in una piccola via che, per fortuna, non era minimamente illuminata e attese lì pensando al successivo passo che avrebbe dovuto compiere.
Per le strade iniziarono ad affollarsi le guardie che, per prima cosa, si recarono all’ingresso principale. Poi, si separarono a gruppi di 4 o 5 persone iniziando a perlustrare la cittadella, entrando nelle case e, ovviamente, uscendo a mani vuote. Il caos stava già venendosi a formare tra la gente che, irrequieta, chiedeva spiegazioni a qualche guardia, ricevendo solo “Non preoccupatevi, non è niente di grave!” come risposta.
«Lo decido io se preoccuparsi o meno», disse Damon tra sé e sé.

***

Intanto, al castello, re Uther sedeva sul proprio trono aspettando di ricevere informazioni dalle sue guardie. Essere svegliato nel cuore della notte lo rendeva più nervoso di quello che era già e sapere che qualcosa o qualcuno minacciava il suo regno mutava il suo nervosismo in irrequietezza.
Le porte della sala in cui si trovava Uther si aprirono e il suo medico di corte gli fu subito accanto. «Sire, dov’è la guardia? Voglio esaminarlo».
«Gaius, cosa credi stia succedendo?», domandò Uther turbato.
«Non lo so Sire, ma ho bisogno di vedere comunque l’uomo», fu l’unica risposta di Gaius.
Uther fece chiamare la guardia che, terribilmente sconvolta, raggiunse il suo re inginocchiandosi ai suoi piedi. «Ripeti cosa ti è capitato», ordinò fermamente il re.
«C-c’è qualcosa di terribile che minaccia il nostro regno. Siamo tutti in pericolo, Sire!».
«Cosa vi hanno fatto?», domandò Gaius incerto.
«Sono stato attaccato», rispose l’uomo.
«Cosa ti ha attaccato?», chiese Gaius, con assoluta calma.
«Non ricordo cosa sia stato…forse un animale».
Gaius non fu soddisfatto da quella vaga risposta, così si avvicinò all’uomo e prese ad osservare il punto in cui era stato attaccato e restò spiazzato dalla sua scoperta.
«Cosa c’è Gaius? Si tratta di stregoneria?», la tipica domanda di re Uther.
«Sire, vedete questo morso?». Uther si avvicinò per controllare la ferita impasticciata di sangue. «Sono due piccoli fori che distano l’uno dall’altro di circa due, tre centimetri».
«E quindi? Cosa intendi con questo?».
«È una distanza che un per un animale è anomala, ma è la stessa distanza tra i canini di un uomo», rispose Gaius.
«Vuoi dire che è stato un uomo ad aggredirlo?», domandò Uther con sorpresa.
«Non posso dirlo per certo, ma anatomicamente sembrerebbe così».
«Può darsi che sia stato un druido…», commentò Uther con un tono turbato e arrabbiato nello stesso tempo.
«Non credo. Perché mai un druido avrebbe dovuto far questo? Ho saputo che l’altro uomo è stato ucciso. Se non vi dispiace vorrei esaminare il cadavere». Gaius era un uomo accuratamente colto, soprattutto in campo medico e…alchemico.
«Certo, fai pure! Lo farò portare nel tuo alloggio», rispose il re distogliendo lo sguardo dall’uomo che, ancora, stava ai suoi piedi. «Tu, intanto, puoi andare. Se ricordi qualcosa in più di ciò che ti è successo non esitare a dirmelo». L’uomo annuì e si precipitò verso l’uscita della sala.
«Se non vi dispiace andrei anche io», disse Gaius inchinandosi rispettosamente al re.
«Si, vai Gaius. Non appena scopri qualcosa corri a darmi notizie».
«Lo farò senz’altro, Sire».

***

«Forza, voi andate da quella parte, mentre noi andiamo da questa! Se vedete qualcosa o qualcuno di sospetto attaccate, ma non uccidetelo». Una voce altezzosa e risoluta rimbombava per strada. La voce di un uomo, un ragazzo forse, che, sicuramente, aveva il diritto e il dovere di dare degli ordini.
Damon si sporse leggermente a guardare chi fosse costui e vide un giovane che, più meno, doveva avere due o tre anni in meno di lui, se faceva un calcolo dal punto di vista “umano”. Un giovane dai capelli biondi come il grano e un paio di occhi azzurri come un cielo estivo, facilmente notabili anche di notte. Reggeva una spada che sembrava essere stata costruita apposta per lui, ed aveva un portamento a dir poco elegante e aggressivo allo stesso tempo.
«Principe Arthur, abbiamo perquisito tutte le case della cittadella, ma non abbiamo trovato niente!». Una guardia era corsa incontro al giovane informandolo della situazione attuale.
Sei il principe! Adesso è tutto chiaro.
Pensò Damon osservando il giovane, ignaro del fatto che, proprio colui che stavano cercando, fosse vicino a loro e che, in quel preciso istante, li stava guardando.
«Allora assicuratevi che non ci sia gente per strada. Dite a tutti di entrare nelle proprie case e che noi saremo qui a proteggerli», concluse Arthur con fermezza.
Damon si mise il cappuccio del mantello nero e rientrando nell’oscurità da cui era lievemente uscito, scomparve all’istante, nel nulla.

***

Il vento soffiava leggero cullando dolcemente le foglie degli alberi della foresta che, in primavera, sembrava essere un luogo incantato ed isolato dal resto del mondo. I versi degli animali echeggiavano liberi in quella natura che elargiva pace e serenità in ogni angolo.
Morgana se ne stava seduta in una piccola radura ricoperta da fiori bianchi. Poco distante c’era un ruscello limpido in cui i pesci nuotavano contro corrente, come se aspettassero di raggiungere un meta trasparente come quell’acqua che scorreva senza sosta.
«Che serenità! Ci passerei tutta la vita qui», Morgana parlava molto spesso da sola e Uther, suo padre, l’aveva rimproverata molte volte, dicendole che simili comportamenti non si addicevano ad una donna del suo rango. Discutevano sempre per queste cose, ma si dibattevano anche per altro.
La ragazza raccolse un fiore da quel prato paradisiaco, lo odorò e se lo mise fra i capelli. Voleva creare una coroncina in realtà, ma alla fine la noia prese il sopravvento e si accontentò di quel semplice gesto.
Morgana guardava la sua immagine riflessa sul ruscello. Vedeva sempre la stessa figura: una ragazza molto bella, così dicevano tutti almeno, dai capelli corvini lunghi fin sotto il seno, con occhi verde smeraldo così profondi da lasciare il segno a chiunque osasse guardarli più del normale, con la pelle chiara e candida da far invidia a tutte le donne del regno. Già, era questa Morgana Pendragon. Lei, però, non voleva essere soltanto una semplice donna figlia di un re. Lei, ogni volta che si vedeva riflessa in uno specchio o, in questo caso, in un ruscello, desiderava vedere qualcosa di più, qualcosa che la caratterizzasse di più del suo aspetto esteriore.
Mentre continuava a pensare a ciò che avrebbe potuto renderla unica, uno strano gracchio arrivò dalla fitta foresta che, adesso, sembrava essersi fatta più profonda e…oscura. Morgana si mise in piedi, scrutando quell’oscurità che sembrava avvicinarsi. «Chi va là?», domandò incerta la giovane.
Improvvisamente un corvo sbucò da quegli alberi e si avventò verso la ragazza che, istintivamente, si fece scudo al volto con le braccia. Per fortuna, il colpo non arrivò.
Morgana abbassò lentamente gli arti, assicurandosi che il corvo non le fosse davanti, pronto a beccarle gli occhi. Si guardò intorno e notò che l’uccello se ne stava appollaiato su di un ramo. Si sentì terribilmente intimorita da quell’animale, ma non perché l’aveva quasi aggredita, bensì per il fatto che se ne stava lì di fronte a fissarla e la fissava come quando un uomo la osservava solitamente, con la stessa bramosia di possederla e con la stessa maliziosità. Un brivido le percorse la pelle, fino a giungere alla colonna vertebrale, che la fece sussultare lievemente.
Morgana cercò un sassolino e glielo lanciò contro, mancandolo di qualche centimetro, ma il corvo non si mosse. Non sembrò per niente impaurito da quel gesto che, di solito, faceva volar via tutti gli uccelli. «Va’ via!». La ragazza gli fece segno con la mano, cercando di cacciarlo, ma niente…era inutile. Quel corvo era di dimensioni anomale rispetto ai suoi simili ed il colore delle sue penne era così lucido da rispecchiare la luce del sole, ed aveva qualche sfumatura più chiara lungo il corpo. «Bene, se non vai tu vorrà dire che andrò via io!». Morgana fece per incamminarsi verso il bosco, quando quel corvo si avventò nuovamente verso di lei e, questa volta, la ragazza sapeva che il colpo sarebbe arrivato.
«Lasciami!», la voce di Morgana echeggiò nella sua stanza come il vento durante le notti di tempesta. La giovane si mise, con uno scatto, seduta sul proprio letto. Aveva avuto un incubo.
«Lady Morgana! State bene? Avete fatto un brutto sogno!». Ginevra, la sua serva, era subito corsa da lei e aveva poggiato una mano nella fronte della Lady. «Avete la fronte che scotta. Vado a prendere una panno e dell’acqua e sono subito da voi». Gwen, come tutti oramai la chiamavano, si allontanò momentaneamente per adempire al suo compito.
Intanto Morgana sentiva il suo cuore battere all’impazzata. Quello non era un semplice incubo, bensì una visione. E si, perché Lady Morgana non era una semplice e bella ragazza come tutti la vedevano. Lei riusciva ad avere visioni sul futuro, nei suoi sogni…o incubi, in questo caso. Ovviamente non lo sapeva nessuno, a parte il medico di corte Gaius, che cercava di alleviare il suo peso preparandole delle medicine fatte apposta per lei, ma che, sfortunatamente, le servivano ben poco.
«Eccomi qui. Scusate se ci ho messo troppo». Gwen era tornata con l’occorrente che le serviva. Aveva inzuppato il panno con l’acqua e l’aveva poggiato con delicatezza nella fronte di Morgana.
«Grazie Gwen». Morgana sorrise dolcemente alla sua serva che, oramai, era divenuta un’amica per lei. «Potresti farmi un favore?».
«Certo, dite pure Milady».
«Va’ a chiamare Gaius e digli che ho avuto un altro dei miei incubi. Lui saprà cosa fare». Morgana prese la mano di Gwen e l’avvicinò a se. «Non farne parola con nessun altro, però». Gwen assentì chinandosi leggermente e si avviò verso la porta della camera.
Morgana si guardò intorno, focalizzandosi su alcune zone della sua stanza che erano completamente oscurate dal buio della notte. Sentì nuovamente lo stesso brivido che le aveva percorso la schiena nella sua visione.
«Cosa mai vorrà dire? Cosa rappresenta quel corvo?». Morgana cominciò a porsi una serie di domande a cui, però, non seppe dare alcuna risposta.

Note d'autore:

Bene. E rieccomi con una nuova fanfiction. E' un pò insolita, lo so, ma è da tanto tempo che desidero scrivere una storia con i miei personaggi preferiti di due mondi diversi.
Non posso ancora aggiungere altro perchè non vorrei togliervi il piacere di fare le vostre supposizoni su questa storia >.<
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto o, quantomeno, vi abbia interessato ed incuriosito anche in minima parte =)
Faccio una premessa a tutti coloro che decideranno di seguire o meno questa mia storia: l'aggiunta dei capitoli non sarà in versione "uno dopo l'altro", perchè purtroppo non riesco a trovare il tempo materiale per mettermi al pc e scrivere =( e poi c'è anche il fattore "ispirazione" che influenza il periodo di pubblicazione -.-"
See you soon ;)

   
 
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