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Autore: raimoldatolda    07/11/2011    0 recensioni
Tutto nasce da "un'estate al mare" e questo è il secondo seguito dopo "se son normali non le vogliamo"
-storia già pubblicata ma cancellata per sbaglio -
Allyson ora ha 23 anni, altri disastri combinati, altre avventure da affrontare e altra comicità. Sempre al seguito di Cassie, Meg e tutti gli altri, o quasi.
dal 2°capitolo:
- ma quand’è che te ne vai? Domani?
- mi dispiace per te, ma sono stato espulso per cinque giornate.
- ah benissimo, cinque giornate, cinque giorni, così te ne vai la prossima settimana...
- non conosci bene il calcio, cinque giornate significa cinque settimane... – dice. Mi volto di scatto verso di lui.
- stai scherzando?
- ti piacerebbe
- sì mi piacerebbe – rispondo a tono continuando a guardarlo intensamente.
- beh comunque no.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Surfin' USA'
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Il tempo passa in senso relativo. A volte ti sembra che non passi mai, altre che voli. A pensarci, durante la settimana quante volte si ripete “uffa è solo martedì” o “wow, finalmente è venerdì” e ripetere questo conto settimana per settimana ti ritrovi ad aver passato un sacco di tempo. Riguardandosi indietro nel tempo, un anno prima è come se fosse già passata un’era. Figuriamoci a pensare a sei anni fa, quando in questa stessa ora , di questo stesso giorno avresti mai pensato a cosa saresti diventato e cosa sarebbe cambiato nella tua vita. Sei anni fa mi trovavo su un autobus scassatissimo, arrabbiata perché il mio i-pod si era scaricato, con una gallina sbiondata che mi odiava ancora prima di sapere che fossi, diretta per il posto delle vacanze che avevo sempre odiato e che ora è l’unico posto in cui vorrei andare in vacanza. Oggi invece mi ritrovo davanti all’entrata di un palazzo che come minimo avrà trenta piani, con scarpe con tacchi vertiginosi, in una tipica scena da film, in cui la plurimiliardaria fanatica dello shopping fa il suo ingresso al gran galà. Anche se io non sono né plurimiliardaria né faccio il mio ingresso al gran galà. Entro nel palazzo, calpestando il tappeto marrone con su scritto “Hotel Palace” e mi guardo intorno nella hall per orientarmi, poi lo vedo. Eccolo il mio appuntamento. Occhi azzurri, capelli neri, alto abbastanza, sorriso splendente. Alexander. Avere un collega così figo nuoce gravemente alla stabilità mentale sul posto di lavoro. Questo dovrebbe essere il nostro quarto appuntamento se non sbaglio. Mi sorride mentre mi avvicino e mi fa strada per un lungo corridoio che porta a una sala con un lampadario di cristallo così grande e così accecante, che subito me ne innamoro.
- tu mi devi spiegare come fai ad avere tanto successo in ufficio, io non lo so proprio. Sono il tuo supervisore e fra un mese potresti direttamente sostituire il capo! Ma come fai? – chiede lui con entusiasmo.
-potrei dirtelo, ma poi dovrei ucciderti – ci scherzo su. Che battuta triste, penso subito dopo. In realtà a stare dietro una scrivania a scrivere scemenze sono buoni tutti, mica solo io. La mia battuta idiota non riscuote grande  successo; lui mi guarda un po' storto in effetti, ma faccio finta di niente.
- ma posso farti una domanda... quanti anni hai?
- prova a indovinare – gli propongo. Chissà a dove voglio arrivare. Non lo so neanche io.
- 24... – prova a dire, ma scuoto la testa – dai allora 26
- no...
- non puoi averne di più, no, lo so – si convince. Gli dico che infatti ha ragione e mi guarda con aria di sfida. Il suo sguardo però sembra più dire “sono tuo, saltami addosso”. I miei ormoni sono impazienti del dopo. Se mai ci sarà. Chissà se mi sta chiedendo quanti anni ho per verificare che non sia minorenne. Chissà per fare chissà cosa.... sorrido maliziosa. Ok, non sono io che sto parlando, sono i miei ormoni che si sono impossessati del mio cervello. Io non potrei mai dire cose del genere – 25? Dai non puoi avere meno anni. È impossibile, non ci credo. Devi per forza averne 25!
- invece no. Ne ho 22 – taglio corto. Come faccio a sembrare una donna di 25 anni? Non ho neanche la faccia da venticinquenne. In realtà non ho neanche la faccia da ventiduenne.
- non ci credo. E secondo te quanti anni ho io?
- 28? – chiedo, fingendo un’accurata riflessione. In realtà lo so già. C’è chi mi informa. Ci rimane anche male quando conferma la sua età. Continuiamo a parlare un altro po', mentre la sala pian piano si svuota e rimangono pochi tavoli apparecchiati e altre poche persone.
- io personalmente come sport odio il football. Preferisco più il calcio, anche se non è uno sport americano – commenta tra un discorso e l’altro.
- sul serio? – chiedo sbiancata, mentre la tipica gocciolina scende lentamente dalla mia fronte.
- lo conosci?
- certo – affermo, pensando a tante, troppe cose. – è uno sport europeo, io sono stata un anno in Italia a studiare – dico vantandomi un po'.
- io tifo per i New England Revs – dice come un fulmine a ciel sereno. Con tutte le squadre che ci sono nella Major League Soccer. A quelle parole comincio a tossire. Qualcosa mi è andato di traverso, di sicuro.
- forse sarebbe meglio andare – dico approfittando dell’ennesima coppia che si alza. Non vorremmo rimanere solo noi là dentro. Poi la fatidica frase “ti riaccompagno a casa”. Al quarto appuntamento , penso che un uomo si aspetti anche di essere invitato dentro. Ora cominciano a salire i dubbi e i sensi di colpa. Ma sorvolo quando vedo la macchina che accende le luci appena Alexander preme un pulsante del telecomando. Un suv nero. Il viaggio in macchina, oltre ad essere comodissimo, sembra non finire mai. Passiamo anche davanti alla casa di papà. Osservatina veloce se la luce della camera sia accesa. No. Sospiro. Proseguiamo fino alla mia casa. Alexander si ferma e spegne il motore.
- questa è la tua casa? – chiede con aria curiosa. Che domanda scontata, penso intanto. Lo so che vuole entrare, e io so che voglio che entri in casa.
- eh sì... ti va di entrare? – chiedo dopo una lunga pausa di riflessione di circa... tre secondi.
- certo – sorride lui scendendo dalla macchina. Entriamo in casa come ragazzini imbarazzati. Subito accorre Sushi con la velocità di un bradipo in letargo pronto a strusciarsi contro ai pantaloni del nuovo ospite.
- ma che gatto carino... – commenta ridendo, ma sempre mantenendo le distanze. – forse gli dai tanto da mangiare... – continua mentre aspetta che io torno. Vado a prendere la bottiglia più adatta al momento, e intanto lui se ne sta fermo a rimirare il salotto. Lo raggiungo dopo poco con due bicchieri di spumante. Sta guardando le foto.
- eri tu da piccola? – chiede prendendo in mano il bicchiere che gli porgo, indicando la foto di un bambino dalla faccia simpatica.
- no, no, non sono io – sorrido, senza aggiungere altro. – hai visto la sala? L’ha arredata la mia amica – cerco di cambiare discorso, e cerco anche di riempire silenzi imbarazzanti.
- bella, molto bella – commenta guardandosi ancora intorno, sempre sorridendo. Oddio quel sorriso. Ora, arrivati a un certo punto, dico a me stessa, non è possibile stare seduta sul divano con il vestito più corto che ho, con davanti Mister Seduzione a parlare di lavoro. No! “Allyson datti da fare” mi ripropongo. Mi decido, mando giù per intero tutto lo spumante nel mio bicchiere e di fretta tolgo quello di Alexander dalle sue mani prima di saltargli LETTERALMENTE addosso. Cosa che, pensandoci bene, non è neanche una mossa da Allyson. Ma è il quarto appuntamento e lui ha gli occhi azzurri e le labbra che urlano “baciami” e non solo loro!
- dov’è la tua camera? – mi chiede fermo, impalato sotto di me con aria furbetta. Mi alzo traballando un po' e mostrando malamente con il braccio la strada per arrivarci. Saliamo le scale insieme fino alla mia camera, finché non ho un maledetto ripensamento. Quella poi è LA camera. Ci spostiamo sul letto e lui comincia a baciarmi dappertutto. Scaccio un brutto pensiero dalla mia testa e continuo nella mia ostinazione. Mi va di farlo e nessuno me lo impedirà, penso mentre cerco nervosamente di sbottonare la camicia di Alexander, con scarso successo. Santo cielo, non so neanche più come si sbottona una camicia.
- non posso più farlo – mormoro rovinando tutto, dopo l’imbarazzante risultato ottenuto con quella maledetta camicia. Era meglio non l’avesse avuta dall’inizio!
- cosa? – chiede lui che, a un passo dall’aver rintracciato la cerniera sulla mia schiena, rimane interdetto e a bocca spalancata.
- non dovevo farlo, no, non dovevo fare quello che ho fatto – rispondo confusa ripetendo scemenze.
- non hai fatto niente, perché?
- beh, non posso farlo con te, non qua, non... no! – esclamo. Ora sembro ancora più scema di prima. Ora le mie parole sono ancora più insensate.
- se è per via del lavoro, io non ho problemi sai?
- no, non è per quello, ti prego lasciamo stare... – farfuglio mettendomi una mano sulla fronte per la disperazione. Forse ho la febbre, forse sono malata.
- ok, va bene. Come vuoi. ma almeno fammi alzare.... mi sei addosso – commenta aumentando la mia voglia di sprofondare nel vuoto. Mi scanso e lo lascio andare via. Ho mai detto che crescendo sono rimasta lo stesso cretina? No? Ora lo sapete... SONO UNA CRETINA!


   
 
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