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Autore: nainai    08/11/2011    6 recensioni
“You Belong to Me I Believe”
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Disenchanted

Well I was there on the day
They sold the cause for the queen,
And when the lights all went out
We watched our lives on the screen.
I hate the ending myself,
But it started with an alright scene.

It was the roar of the crowd
That gave me heartache to sing.
It was a lie when they smiled
And said, "you won't feel a thing"
And as we ran from the cops
We laughed so hard it would sting

If I'm so wrong, so wrong, so wrong
How can you listen all night long?
Now will it matter after I'm gone?
Because you never learn a goddamned thing.
 
“Disenchanted”
My Chemical Romance
“The Black Parade”
 
Frank sentiva il sapore della donna che amava. Il sapore di Jamia impresso a fuoco nei suoi sensi. E poi il rumore fastidioso di qualcosa in sottofondo, un trillo insistente, le note disarmoniche di una canzone sparata a volume crescente ed il rumore della plastica che urtava in modo ritmico e veloce sul legno laccato del comodino. Jamia si rigirò nel suo abbraccio, protestò contro il suo orecchio sottraendogli quel profumo stordente di bagnoschiuma dolce e shampoo alla frutta, un profumo che sapeva di licei da cartone animato. Lui non voleva svegliarsi e la inseguì nel letto, ma solo per farsi spingere via a mani aperte contro il petto.
-…rispondi!- biascicò lei in un ordine indispettito.
Frank sospirò, si voltò tra le coperte stizzito, facendo fatica per tirarsi a sedere e cercare a tentoni il cellulare sul comodino. Di aprire gli occhi non aveva nessunissima intenzione, la sua unica intenzione era mandare a ‘fanculo quel rompicoglioni dall’altro lato della comunicazione e tornare a raggomitolarsi contro il seno di Jamia. Lei aveva ricominciato a dormire con un sorriso soddisfatto appena lui aveva zittito l’apparecchio.
-…chi cazzo è che rompe a quest’ora della notte?!- chiese, sufficientemente assonnato da non riuscire nemmeno minaccioso quanto avrebbe voluto.
Gli rispose un silenzio così pesante che Frank si ritrovò nonostante tutto a trattenere il fiato. In accordo perfetto con la persona dall’altra parte della cornetta. Era quasi certo che anche i loro cuori avessero preso a battere allo stesso ritmo.
-…pronto…?- mormorò strozzato, a voce bassissima per non svegliare la moglie.
Questa volta qualcuno si lasciò scappare un singhiozzo.
Frank scostò le coperte lentamente, posando a terra i piedi e camminando scalzo ed al buio, un’occhiata alle spalle, dietro di sé, Jamia sorrideva ancora, lui si affrettò a chiudere la porta che separava la zona notte e quella giorno dell’appartamento. Dall’altra parte, chiunque fosse, continuavano a venire solo sospiri soffocati e nessuna parola, nessun respiro normale. Frank si sedette su un divano con uno sbuffo pesante, chiudendo di nuovo gli occhi ma solo perché non riusciva a sopportare tutto quello.
…no…non aveva necessità di vedere chi fosse.
-Gee.- chiamò.- Stai bene?
Era una domanda di circostanza. La risposta era nella lentezza con cui lui prendeva fiato, come se respirare ancora dovesse richiedergli uno sforzo di volontà e non fosse più un gesto incondizionato dettato dall’istinto di sopravvivenza.
-Ho bisogno di te.- si sentì implorare Frank in un sussurro sottilissimo.
***
Ci sono molti modi di impazzire. Gerard lo aveva realizzato nel momento in cui aveva capito che lui era impazzito, ad esempio. E nessuno pareva essersene accorto.
Aveva chiuso la porta di casa con un’urgenza assurda addosso. Si era precipitato al piano di sopra – aveva scaraventato il giubbotto per terra passando nel corridoio, da qualche parte sulle scale o davanti al salotto – dentro la camera da letto, prendendo a scavare nel marasma confuso degli scatoloni e dell’altra immondizia che aveva raccolto lì. Aveva buttato tutto all’aria perché nemmeno lui sapeva cosa cercava, aveva solo bisogno di ritrovarla…qualunque cosa fosse…di ritrovare la propria anima, buttata da qualche parte assieme a tutto il resto che andava gettando via senza nessuna cura. C’era la sua vita lì dentro. C’era tutta la sua vita, cazzo! e lui voleva solo liberarsene -  o ritrovarla? – e poi ri-iniziare, perché era certo che si potesse fare, che si potesse ricominciare in un mondo in cui Lindsay non c’era, il bambino non c’era, Jimmy non era un’ombra incombente, Frank non era un sorriso dimenticato…
Frank.
Gerard si era fermato ansante al centro del disastro. Si era lasciato cadere a sedere per terra. I suoi occhi giravano tutto attorno, spostandosi rapidi ed isterici su qualsiasi oggetto senza vederne nessuno. Frank. C’era anche lui là in mezzo – si ritrovava tra le mani i pezzi rotti di vecchi 45 giri, i Misfits di cui avevano parlato assieme fino alla noia! – c’erano le notti in tour e le cazzate fatte o dette, in interviste, sul palco, da soli o in mezzo agli altri. Lui e Frank erano sempre stati uguali a se stessi, che stessero scherzando tra loro o con gli amici di sempre o che stessero cazzeggiando davanti al mondo intero, lui e Frank erano sempre gli stessi. Lui e Frank.
E poi era arrivata Lyn-z e Gerard non si riusciva proprio a ricordare come. Da quel “vaffanculo, siete una manica di sfigati e basta!” ad un “ti amo” detto labbra contro labbra. Le labbra di Lyn-z erano buone, anche se tutti stavano lì a dirgli di no, lei sapeva di femmina e di sesso, sapeva di una normalità un po’ assurda e divertente che lo faceva stare bene. E poi Frank c’era comunque, no? Sì, certo, protestava un po’, lei non gli piaceva ma non piaceva a nessuno e Gerard aveva imparato a scuotere le spalle e fare ciò che gli andava. E allora che fosse la bocca di Frank o quella di Lynz, Gerard stava bene lo stesso e magari…ma solo per errore…quei due sapori doveva averli mischiati un po’ nella sua mente. Ed ora non ricordava più dove fosse finito quello di Frank.
-Perché lo hai baciato?
-Non l’ho baciato.
-…gli hai infilato la lingua in bocca.
-Lo facciamo sempre.
-…No. Non sei credibile, Way.
Lynz era una buona amica. Una di quelle che fanno le domande giuste e si danno le risposte che tu non fornisci. Si fa presto a confondere le idee così, no?
-…che cosa cazzo ho fatto?- si domandò Gerard a voce bassa, guardando il vuoto che aveva creato attorno a sé.
Gli venne da ridere. Anche a non voler tirare fuori metafore spicciole da presente e passato, ci si ritrovava male in quel vuoto. In fondo lui da solo non sapeva proprio stare, no? E lei l’aveva bruciata, veloce e violento, l’aveva spinta lui stesso in quella vasca, sul baratro della morte, a premersela in vena per non doversi ricordare di una vita in cui erano due atomi nemmeno in rotta di collisione. E lui…lui lo aveva perso, ancora prima, lasciandolo a curarsi da solo le ferite che aveva inferto ad entrambi, a riattaccare i cocci di se stesso – ed ora anche di lui, Gerard, che con i cocci non aveva mai saputo farci – e vedere un po’ se dalle briciole ci si poteva costruire qualcosa. Ripartire da zero. Con uno di loro due impegnato a trascinarseli tutti verso quello “zero”, in una discesa che non era più solo auto-distruttiva, quanto deflagrante e basta.
Nel guardarsi attorno, Gerard pensò che tra le macerie l’erba gramigna come lui attecchisce proprio bene.
***
Frank aveva trovato il portone aperto. La scala era nera e portava su su verso un Inferno fin troppo conosciuto. Non era la prima volta che affrontava le crisi di Gerard – sorrise – non sarebbe stata nemmeno l’ultima a quanto pareva. Aveva lasciato la macchina parcheggiata dove non avrebbe potuto, l’indomani, con tutta probabilità, sarebbe dovuto andare a riprendersela al deposito della polizia. Non gliene fregava un cazzo. Non era riuscito a fregargliene abbastanza nemmeno quando aveva scritto quelle due righe stringate a Jamia, mollandole il biglietto sul tavolo della cucina e fingendo di non sentire quando lei si era svegliata, alla fine, e lo aveva chiamato nel buio che era già sulla porta. Per essere certo che lei non lo rintracciasse, spense il cellulare appena arrivò davanti la soglia di casa dell’altro. Bussò. Ovviamente non gli rispose nessuno, ed ovviamente era aperta anche quella di porta. Lasciò la borsa nell’ingresso e buttò un’occhiata al salotto. Era tutto spento, nessuna luce e nessun movimento. Nessun suono nemmeno. Perfino il respiro di Gerard non faceva rumore quando si avvicinò a lui, davanti al divano nel salotto.
Il bruno non lo guardò. Sembrava che nel disegno del pavimento ci fosse una qualche verità nascosta che lui, Frank, non afferrava proprio. Né si sentiva particolarmente incline alla filosofia esistenziale, non dopo quel rocambolesco risveglio che gli avrebbe guadagnato il peggior litigio della sua vita matrimoniale!
Sospirò. Era nervoso, ma la sua non era rabbia – e sì che sarebbe stato giustificato se lo avesse preso a pugni in faccia per quello che gli aveva fatto! – era preoccupazione, ed il silenzio che Gerard si ostinava ad osservare, il buio sepolcrale nel quale si era rifugiato – fisicamente e non solo – lo irritavano perché gli facevano paura. A Frank le cose piaceva affrontarle e Gerard, invece, non gli dava mai un mulino contro cui scagliarsi, preferendo di gran lunga fantasmi intangibili che giravano in tondo solo nella sua dannata testa.
-Parlamene.- esordì il più piccolo quando, in piedi davanti all’altro, non fu riuscito a strappargli nemmeno uno sguardo.- Gee, cazzo, parla!- insistette freddo e rapido.- Parla o giuro che lo faccio io e non ti piacerà per un cazzo quello che ho da dirti.
Sapeva che non erano state le sue minacce. Quando Gerard prese un respiro profondissimo, come stesse riemergendo dal mare di merda in cui stava annegando, e gli sollevò in faccia due occhi che Frank al buio intuiva solo – ma bastava, cazzo se bastava a fare male! – Frank sapeva che non erano state le sue minacce a farlo decidere.
-Li ho ammazzati io.- si sentì dire in tono distaccato, quasi incurante. A Gerard piaceva giocare ad uccidersi fingendo verso di sé un’indifferenza che il suo egoismo dissipava del tutto agli occhi di chi lo conosceva. Frank lo conosceva dannatamente bene.- E’ stata una presa per il culo dall’inizio, non avrei mai dovuto sposarla. Sapevamo che nessuno di noi amava l’altro abbastanza, ci si sono messi la mia fottuta paura di restare solo e la sua leggerezza idiota nel fare le cose e bam! eravamo con un anello al dito ed un figlio in arrivo senza nemmeno accorgercene.
-Sono errori che si fanno, Gee.- mormorò Frank senza forza, non ci credeva manco lui che certi errori si fanno. E sì che era colpevole allo stesso identico modo…
Gerard sorrise triste.
-Non le fai certe vaccate sulla pelle degli altri, Frank.- sibilò in un rimprovero che affondò nello stomaco del chitarrista tanto quanto nel suo. L’immagine di Jamia appena sveglia, ancora intontita dal sonno, che sentiva la porta di casa chiudersi su una speranza di normalità che andava a puttane, ferì Frank come un pugno diretto in piena faccia.- Io lo sapevo che lei si faceva scopare da un altro ed ho finto di non saperlo perché c’era quel cazzo di bambino di mezzo. Ma certe cose non le nascondi nemmeno se vuoi, Frank, io non riuscivo proprio a fingere che me ne fottesse qualcosa e Lindsay non è mai stata stupida.
-…stai esagerando. Lo ha scelto lei di farsi.
Lui non lo ascoltava e fu chiaro quando si limitò a lasciarsi andare con la testa sulla mano, appoggiato pesantemente allo schienale del divano, arruffando e tirando i capelli annodati.
-…dovevi vederla, Frank…- mormorò con un sorriso, chiudendo forte gli occhi come avesse bisogno sul serio di visualizzarla davanti a sé. Fantasma del Natale Passato – Era bellissima mentre parlava del bambino. Era felice come non la vedevo da mesi. Ed io avrei voluto dirglielo in quel momento,- Frank mandò giù la saliva, ignorò il dolore che provava al petto finché poté e poi, quando fu troppo, ci portò la mano artigliando la maglietta e la carne con la stessa ferocia. Ma Gerard non lo guardava.- che era bellissima ed ero felice anche io e volevo quel bambino proprio come lo voleva lei. Invece non dicevo nulla e scappavo sempre. Un impegno e poi un altro, e poi uno suo, e poi Jimmy che chiamava e lei che rideva al telefono con lui, e poi lei sempre più distante, sempre più silenziosa, con sempre meno voglia di condividere i sorrisi con qualcuno che non voleva vederglieli fare…
Jamia era a casa e lo aspettava. Jamia aspettava Frank per l’ennesima volta. Lo avrebbe aspettato per tutta la vita? A volte Frank se lo era chiesto…quella volta Frank se lo era chiesto e si era detto di no. Sposarla era stata la risposta ad una paura fottuta, la paura di perderla perché nemmeno l’amore di Jamia poteva essere per sempre.
Ed ora l’aveva lasciata ad aspettare una volta di più.
-Li ho ammazzati io.- chiuse Gerard in un circolo perfetto.
Frank annuì. Perché era vero e perché era inutile. Lindsay e suo figlio erano morti, di chiunque fosse quel bambino ed a chiunque appartenesse il cuore della donna la verità incontestabile era che a perdere, alla fine, era stato Gerard. E lui stava per accollarsi la metà di quella sconfitta.
-Ci facciamo un caffè?- domandò pratico e diretto.
Si stupì lui per primo di come il suo tono fosse rimasto saldo e sicuro. E sì che il cuore doveva essere scoppiato ormai, o almeno doveva averlo stritolato davvero forte tra le dita.
***
Prese il telefono in automatico. Squillava. E poi era troppo vicino al suo orecchio. E se avesse continuato si sarebbe svegliato anche Gerard e lui non voleva. Arrotolato sulla poltrona di fianco al divano in cui aveva dormito Frank, il cantante si rigirò nel sonno borbottando qualcosa ed aggrappandosi ai cuscini sgualciti come un bambino. Ci doveva stare fottutamente scomodo su quell’arnese, sarebbe stato piccolo perfino per Frank stesso. Sospirò, la notte prima non c’era proprio riuscito a spedirlo a letto a dormire, così aveva ripiegato sul piano “B”, quello che prevedeva di tenerlo sveglio a suon di chiacchiere fino a che non fosse crollato di suo. A quel punto, però, ci si doveva accontentare riguardo alle sistemazioni logistiche.
Frank rispose solo quando fu in cucina, lontano da Gerard e senza il rischio che lui sentisse.
-Pronto?- chiamò con voce impastata.
-…che cazzo sta succedendo?- si sentì aggredire da un Mikey alquanto preoccupato.
Si strofinò gli occhi, era così stanco che le crisi isteriche dell’altro gli scivolavano addosso con un’indifferenza ammirevole.
-A cosa ti riferisci, Mikes?- domandò svogliatamente.
-…perché ci hai messo tanto a rispondere?- spiegò il bassista.- Perché lo hai fatto tu e non mio fratello? dov’è mio fratello? ‘cazzo ci fai tu lì a quest’ora, Iero?!
-Ci ho dormito. Sono arrivato stanotte, dopo che tuo fratello mi ha chiamato in preda alla depressione più nera ed io ho pensato che fosse il caso di venire a controllare fosse vivo e non si fosse suicidato dopo aver riattaccato con me.- riassunse spiccio Frank. Le altre domande trovavano risposta implicita.
-Gee dorme?- borbottò Mikey dopo qualche momento di silenzio in cui metabolizzò le informazioni e pensò che aveva voglia di un altro caffè. Frank si sentiva di condividere quel bisogno e si voltò intorno cercando con gli occhi la brocca di vetro che avevano lasciato da qualche parte quella notte. “Uhm”, bofonchiò intanto.- Hai avvisato Jamia?- chiese bruscamente l’altro.
Frank smise di cercare di tenere in bilico telefono, brocca e tazza e posò tutto quello che non era strettamente indispensabile. Prima che cadesse.
-Più o meno.- mormorò a mezza voce, chiudendo gli occhi. Aveva mal di testa.
-“Più o meno” significa “no”?- infierì Mikey. Frank lo sentì sbuffare un sorriso che non capì ma che suonava come un rimprovero fraterno.
-…le ho lasciato un biglietto…
-Stamattina ha chiamato Alicia.- spiegò Mikey e Frank pensò che non doveva essere tanto male infilare la testa nel cesso e tirarsi dietro lo sciacquone da solo. Lo avrebbe fatto sentire meno una merda, per dire…- Aly si è chiusa in camera e non ho sentito cosa si sono dette, ma mi pare chiaro quale fosse il problema.
-E’ stata Alicia a dirti di chiamare qui e vedere se c’ero?
-No, Alicia non mi ha detto di cercarti. Immagino che ti abbia difeso con lei, conoscendola…
-Ottimo. Così sono pure in debito con tua moglie.
-Frank, hai una voce del cazzo. Che sta succedendo?- interloquì Mikey senza dare retta alle ultime battute del chitarrista.
Frank si chiese se fosse il caso di parlargliene. Si appoggiò al piano della cucina e fissò distratto la punta delle scarpe. Forse Gerard aveva ragione a cercare le risposte alle domande esistenziali nelle mattonelle del pavimento…
-Senti, tuo fratello è a pezzi…- cominciò piano.
-Questo era lampante. Come era lampante che non volesse nessuno attorno ieri e te meno di tutti. Perché ti ha chiamato?
-Immagino che sia stata la disperazione.- rispose Frank, a lui ed a sé stesso, e si concesse un sorriso beffardo già mentre lo diceva.- Però…ora è tutto sotto controllo, Mikes, fidati.
-Se non di te, non so davvero a chi attaccarmi, Iero.- ridacchiò il bassista e Frank gli andò dietro, anche se nessuno dei due riusciva a suonare sereno come avrebbe voluto.- Chiama Jamia.- gli consigliò subito dopo.
-Ah, sì. Certo.- mentì Frank con disinvoltura.
-…guarda che poi pure Alicia smette di difenderti.- ci provò ancora Mikey.
-No, ma la chiamo.
-…oggi.
-…
-Frank.
-Frank?!- intervenne una voce esterna - Dove diavolo sei finito? Guarda che se ti stai bevendo il mio caffè, ti ammazzo e seppellisco il cadavere in cantina!
Frank rise.
-Tuo fratello si è svegliato.- annunciò.
-Sì, ho sentito.- gli andò dietro l’altro.- Passamelo.- chiese poi e Frank allungò il telefono quando Gerard entrò sbadigliando nella stanza.
 
 
                                                                                                                       
  
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