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Autore: Ziggie    09/11/2011    2 recensioni
E rieccomi qui a scrivere di nuovo del capitan Barbossa. Nei frammenti precedenti ho narrato della sua storia prendendo spunto da situazioni accennate nella sua biografia, qui invecce si cambia musica. In questa storia Hector narrerà dei propri pensieri, delle proprie sensazioni di fronte a quanto ha vissuto: morte, resurrezione e tutte le altre imprese alquanto epiche che lo hanno accerchiato nel corso della saga. Quindi non mi resta che augurarvi buona lettura ;)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hector Barbossa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bella gente, scusatemi se vi ho fatto attendere così tanto, ma ero a corto di idee e piena di impegni, è un periodo pre-esami all'uni e sto studiando come una forsennata, visto che sono indietro. Comunque ecco a voi il farmmento 11, qui solo poche battute sono prese dalla saga, altre sono puramente di mia invenzione, così come il motivo del perchè Hector si taglia la gamba, ma non vi voglio dire altro, a voi la lettura ;) e se volete, recensite. Alla prossima.                                 

  11. Una vittoria decantata troppo presto


La partita era conclusa; il nemico di sempre sconfitto; la nave maledetta risanata.

Ogni capitano , ogni ciurma gridava – Hooray – con foga, come se avessero fatto loro tutto il lavoro. Ma non li criticherò, l’ho già fatto e, forse, le mie parole sono state vane; non li criticherò, perché è un giorno di vittoria: la vittoria dei fratelli della costa.

Il capitolo amoroso dei coniugi Turner si chiuse con una nave che sparisce all’orizzonte e vi riappare ogni dieci anni, dopo aver compiuto il compito per anni rimasto nell’ombra, e con una donzella che, in attesa del suo amato, gliene conserva il cuore. Ma lasciamo le questioni legate agli animi amorosi, è una storia che non mi compete, ne mi appartiene; parliamo di Tortuga, il regno dei piaceri dovuti, dopo la fatica della battaglia.

La presenza di Sparrow era assidua, non potevo fare un passo che ritrovavo la sua figura al mio fianco, come fosse la mia ombra, ma con una velatura di timore negli occhi: scottato dall’essere stato abbandonato a terra per ben due volte? Credo proprio di si.

Quando entrammo alla Sposa Devota mi guardò scettico negli occhi, ricambiai lo sguardo alzando un sopracciglio – Serbi troppo rancore, Jack – gli dissi tranquillo, battendogli una mano sulla spalla – rilassati, abbiamo una vittoria da festeggiare -. Dovevo mostrarmi molto convincente, l’avevo fregato una volta con l’atteggiamento da lecchino mieloso, non avrebbe funzionato ancora quella carta, dovevo giusto assecondarlo.

- Si, hai ragione – mi sorrise, più rilassato, mentre veniva trascinato dalle sue solite donnine allegre.

Lo osservai disperdersi tra la folla e attesi ancora qualche attimo, alzando anche io qualche boccale alla salute della vittoria. Quando fui completamente certo che Sparrow fosse impegnato nelle grazie delle sue amabili donne, feci cenno a Pintel e Ragetti di raggiungermi.
- Radunate gli uomini con più discrezione possibile, capitan Sparrow deve esserne all’oscuro anzi, date ordine da parte sua – ghignai, arricciandomi la barbetta attorno all’indice sinistro.

Troppi uomini erano dalla parte di Jack, stavolta; avrei rischiato il contro ammutinamento e perciò, era meglio che i suoi fedelissimi, scoprissero il tutto una volta al largo.

Era fatta, ci liberammo di due piccioni con una fava: del caro vecchio Jack, impegnato con le sue amate e del suo compare Gibbs, che ronfava sbronzo, abbracciato al suo orso spelacchiato di peluche. Uno lo lasciammo in taverna, l’altro a dormire sul molo, perché ogni uomo che indietro rimane, indietro viene lasciato e questa era la prassi che, in qualche modo, riguardava anche stavolta. Partimmo, ma il malcontento regnava tra i seguaci di Sparrow e, forse un po’ troppo, anche in Pintel e Ragetti.

- Signore! Alcuni degli uomini si sentono a disagio per aver lasciato capitan Jack da parte … - asserì Pintel.

- Di nuovo – gli suggerì Ragetti e il cicciottello lo aggiunse alla frase.

- E allora? – feci con non chalance.

- Ci farebbe sentire molto meglio, riguardo alla nostra sorte, poter vedere quella cosa di cui ci avete parlato … -

- Sulla carta – specificò il nanetto di Marty.

- Questo per poter alleviare il peso della colpa, diciamo così – specificò lo smilzo, no, Ragetti non era poi così pentito.

Un capitano sa sempre come soddisfare le gole della propria ciurma, così misi mano alle carte di Sao Feng, che avevo tranquillamente tenuto, dopotutto ero passato come cartomante, no?

- Ah! Rifatevi gli occhi con quel che vedrete. C’è più di un modo per ottenere la vita eterna: signori, ecco a voi la fonte della giovinezza – ghignai piuttosto sicuro, quello era un tesoro che faceva gola a molti e, riprendere in mano le redini di una vita immortale, senza maledizioni o fatti simili, era allettante e non poco. Srotolai le carte nautiche, ma la curiosità, che brillava negli occhi dei miei compari, era svanita, lasciando spazio a sguardi corrucciati, sopraccigli alzati e smorfie. Che diavolo!!! Osservai per bene la mappa, dannazione! Come era possibile?!?!?! Dannato Jack! Alzai la mappa per osservare per bene l’elaborato di quel cane rognoso, perché null’altro poteva esser definito. Sospirai e roteai gli occhi – Sparrow! – Poteva avere anche la mappa; poteva avere mille assi nella manica o, come suo solito, una fortuna sfacciata, ma lo sfidavo volentieri ad inseguire quella rotta a bordo di quel guscio di noce, che gli avevamo lasciato. Potevo essere senza una rotta, ma, sotto il mio comando, avevo la nave che avevo sempre agognato e con quella dama avrei raggiunto, volente o nolente, quella rotta decantata in leggende e che ora, sembrava più veritiera che mai.

La notte aveva ormai fatto il suo ingresso in scena, eravamo al largo di Hispaniola e tutto intorno a noi era perfettamente calmo. Una brezza leggera solleticava i volti dei pochi che, come me, eran rimasti sul ponte. Tutto ad un tratto il vento si alzò, alcune vele ammainate si sciolsero da quanto era potente quella forza, il legno della nave iniziò a vibrare talmente forte, che sembrava si dovesse spaccare da un momento all’altro. Le assi del ponte presero a scricchiolare dapprima in un movimento lieve, poi sempre più intenso, come fosse un terremoto, pronto ad inghiottire la terra.

Non mollai la mia posizione e misi mano al cannocchiale: c’era qualcosa sotto, non accadono movimenti repentini, come quello, dal nulla. Scrutai l’orizzonte in ogni parte, in ogni dove, finché sul lato di babordo, in lontananza, non scorsi una figura nera, un’ombra di una nave imponente, ferma nell’oscurità come se attendesse qualcosa. Cercai di scorgere la bandiera, nonostante quel buio, e la vidi: il teschio assetato di sangue su quel drappo nero significava solo una cosa: Barbanera.
La Queen Anne’s Revenge, uno dei terrori dei sette mari, ci stava attaccando.

- Bracciate il croce, uomini! – dettai legge, di certo non mi sarei fatto prendere in contro piede – mano ai cannoni – urlai così forte, che la mia voce librò nel vento.

Barbanera attaccava le sue vittime per una ragione precisa, poche volte lo faceva per il solo piacere personale e questa, non credo fosse da classificare con la seconda opzione; quell’uomo maledetto aveva uno scopo, anche nel più misero granello di sabbia.

Non appena i miei misero mano alle micce per far cantare i cannoni, la situazione si trasformò in un incubo: il legno della nave vibrò maggiormente, tanto che la Perla sembrava si dovesse spezzare; il sartiame prese vita, avvolgendo la ciurma come spire di serpi. In molti tentarono di gettarsi in mare per salvarsi, ma videro solo una fine peggiore, dato che le cime li scaraventarono a portata delle bocche da fuoco della Revenge, che li accoglieva con raffiche di palle di cannone.

Urla strazianti accompagnavano il vento, mentre le cime avvolgevano ognuno di noi in maniera differente l’uno dall’altro; se solo tagliavi la corda, questa ti riprendeva stringendo maggiormente la stretta: eravamo condannati.

Cercai fino al’ultimo di evitare quelle cime infernali, ma una di queste mi prese alla sprovvista, di spalle, avvolgendomi la gamba destra così stretta, che potevo sentire il sangue abbandonare la circolazione nelle vene.

Caddi a terra, le mani libere e la spada a portata di fronte a me, la afferrai: no, non l’avrei data vinta a Barbanera, io ero il padrone del mio destino, io ero il capitano della mia nave e non sarei caduto di fronte a quel diavolo, a costo di inseguirlo fino in capo al mondo per prendermi la mia vendetta.

La Perla, la dama dell’oscurità, era orami perduta, così come la ciurma: quei compagni di avventura, che mi avevano accompagnato in ogni impresa, erano, ormai, più morti che vivi.

Strinsi forte la spada e il colpo fu netto, assestato, un colpo solo. Socchiusi appena gli occhi, mentre una smorfia di dolore si dipinse sul mio volto: avevo fatto l’unica cosa che era in mio potere, avevo detto addio alla mia gamba destra, dallo stinco in giù; Teach aveva, in tutti i sensi, le redini di quella partita tra le sue mani, ma la vendetta si serve fredda e io mi sarei preso tutto il tempo per gustarmela al meglio.

Digrignai i denti, il dolore era lancinante e il sangue, ormai, fuoriusciva libero, come fosse un fiume in piena. A carponi raggiunsi un corpo inerte sul ponte, mentre uno strattone del fasciame, mi sbalzò via il cappello, gli strappai un ampio lembo dalla camicia e lo legai stretto attorno al moncherino che avevo creato son il taglio della gamba, giusto per bloccare , come meglio potevo, quel fiume rosso intenso, che si stava trasformando in emorragia.

Strisciai fino al parapetto e mi issai con le forze che mi rimanevano, gettandomi, poi, a mare, lasciando il mio corpo in balia delle onde, ma, nonostante quell’ampia ferita che mi ero procurato, la morte poteva attendere, avevo ancora un conto aperto e non sarei tornato nel suo limbo, finché non avrei posto la parola fine a quel fatto.

Le forze iniziavano a venir meno, la debolezza prevaleva, le palpebre si facevano pesanti, ma un’immagine fossa era ben disegnata nei miei occhi, nella mia mente: la nave che avevo sempre bramato, ora era perduta, vincolata ad un potere sovrannaturale, persa nell’oscurità che la distingueva, caduta in uno scontro impari. 
 
 
  
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