Guscio e gheriglio
~ l’importanza
di un colore sbagliato
I’m walking away from everything I had; I need a
room with new colors.
I passi del Boscaiolo di
Latta si erano ormai spenti in lontananza, lasciandolo solo con i trilli degli
uccelli tra i rami. Lo Spaventapasseri si rallegrò ancora una volta di
aver avuto l’idea di separarsi dal compagno: quel bosco era così
vasto e fitto che in questo modo avrebbero potuto attraversarlo molto
più in fretta, dividendosi i possibili nascondigli e guadagnando un
po’ di tempo per salvare la povera Ozma. Non
che il suo fenomenale cervello credesse
fino in fondo che Ozma fosse nascosta qui – ma,
come aveva detto Dorothy, il Paese di Oz era grande,
e non bisognava tralasciarne neppure un angolino buio.
I cespugli di rovi non
erano un problema per le gambe imbottite dello Spaventapasseri; tuttavia, le
radici continuavano a farlo inciampare. Dopo un po’ la cosa cominciava ad
essere fastidiosa. Forse fu per la seccatura che ci mise così tanto
tempo ad alzarsi, l’ultima volta, e si accorse di conseguenza
dell’albero di noci dritto di fronte a sé.
Lo Spaventapasseri
rivolse alla pianta il suo sorriso dipinto. Le noci erano tra i frutti
preferiti di Dorothy – lo ricordava bene: ne aveva riempito molte volte
il suo cestino, durante quel primo, lontanissimo viaggio alla volta della
Perfida Strega dell’Ovest, e lei ne era sempre stata contenta. Gli
sarebbe piaciuto che Dorothy fosse qui.
Appena sfilò lo
stivale dall’ennesima radice che lo aveva ostacolato, un riflesso dorato
catturò la sua attenzione. Si voltò ancora e abbassò lo
sguardo. Ai piedi del noce c’era un oggetto strano, che pareva proprio un
bacile, uno di quelli in cui di solito la buona Jellia
portava i pasti delle Principesse; solo che era ancora più sfarzoso,
lucente e incastonato di pietre che – se ricordava bene com’erano
fatti quelli degli Gnomi – sembravano diamanti.
Lo Spaventapasseri si
avvicinò, incuriosito, e si chinò appena verso il bacile.
« Che strano! Cosa
ci fa qui un oggetto simile? Non è il posto più adatto per
fermarsi a mangiare. »
Si guardò
intorno, aspettandosi quasi di veder sbucare dagli alberi il legittimo
proprietario di quel curioso strumento, ma in questa parte del bosco sembrava non
esserci nessuno oltre a lui e a un uccello che cantava chissà dove,
sopra la sua testa. Tornò a guardare il bacile, riflettendo.
« Be’, non
sta bene lasciarlo qui. Non è utile a nessuno. Ah » si corresse
poi, sollevando di nuovo il volto sorridente verso i rami del noce, « invece
sì! »
Senza indugi, raccolto
il catino per uno dei due manici, cominciò ad arrampicarsi
sull’albero. Era un’operazione nella quale si era scoperto
bravissimo, poiché ogni volta che intraprendeva un viaggio con uno dei
suoi amici di carne e sangue doveva preoccuparsi che fossero ben nutriti: non
avrebbe mai potuto lasciare che la piccola Dorothy s’intrufolasse tra i
rovi per cogliere le more, giusto?... Così non ebbe difficoltà ad
arrivare presto in cima.
Ma qui, quando sedette a
cavalcioni su uno dei rami più robusti, lo Spaventapasseri si
ritrovò faccia a becco con l’uccello più strano che avesse
mai visto.
Era grosso più o
meno quanto un corvo, anche se dei corvi non aveva proprio nient’altro.
Il suo piumaggio era di un grigio fumoso e le sue forme, tutto sommato, molto
più aggraziate dei corpi tozzi di quei brutti mangiapannocchie.
In più – se ne rese conto non appena lo vide – era lui a
cantare quel verso triste che aveva sentito dabbasso: ma la tristezza se ne
stava soprattutto nei suoi occhi, piccoli e lucidi di lacrime.
« Salute »
disse lo Spaventapasseri, con la consueta buona educazione appresa dal
contadino. « Perché una creatura così bella sembra
così afflitta? »
L’uccello lo
fissò per un istante senza reagire. Poi i suoi occhi scivolarono sul
bacile prezioso che lo Spaventapasseri teneva ancora saldamente in mano, e
allora il suo petto esile si gonfiò in un sospiro carico di dolore.
« Un tempo »
esordì, con voce acuta e tremula, « la creatura che vedi, e che da
povero, stupido pupazzo quale sei definisci ‘bella’, era un essere
umano di straordinaria potenza. È stato un destino avverso a condurmi
qui, in questa forma, e ora non mi resta che piangerne. »
Lo Spaventapasseri si
era offeso non poco per via della faccenda dello stupido pupazzo. Poi però ci pensò su. L’uccello
non poteva certo sapere chi lui fosse, o si sarebbe ben guardato dal definirlo
così... Oppure, forse la tristezza portava a dire cose nelle quali non
si credeva. Di questo non sapeva nulla, purtroppo. Lui non si era più sentito triste da quando Dorothy era
tornata a Oz.
« Non capisco
perché tu debba disperartene » disse allora, sistemandosi meglio
sul ramo. « Non hai perso questa gran cosa. Gli esseri umani sono una
specie complicata ed esigente, mentre gli animali si accontentano di poco...
Non sei felice di questo cambiamento? »
L’uccello lo
guardò con severità. « Ma io ero un grande Stregone. Adesso
sono soltanto un cigno del colore sbagliato. »
Lo Spaventapasseri scrollò
le spalle, come aveva imparato a fare dal giovane Ojo,
e rivolse finalmente la propria attenzione al motivo per cui era salito
lassù. Tese le braccia verso i rami e raccolse con cura tutte le noci
più vicine, badando ad assicurarle nel bacile.
« Gli uccelli »
disse, « sono le creature più fortunate di tutte. Possono volare
dove vogliono e trovare sempre una nuova casa; mangiano i semi e i chicchi che
trovano nei campi e bevono gocce d’acqua dai ruscelli. Se io non fossi
uno Spaventapasseri, mi piacerebbe essere un uccello.* Anche se l’unica
scelta fosse un cigno del colore sbagliato. »
Il cigno grigio rimase
in silenzio per molto, molto tempo. Lo Spaventapasseri era concentratissimo nel
raccogliere le noci, così non poté soffermarsi a chiedersi se
quel silenzio fosse contrariato o combattuto; però fu una gradita
sorpresa quando timidamente quel becco aguzzo scese ad aiutarlo a riempire il
bacile. Si rese conto allora che il grande Stregone trasformato in cigno era
una compagnia davvero molto più piacevole dei corvi – che nessun
incantesimo avrebbe mai potuto aiutare a migliorare, poveri loro.
Continuarono ad
occuparsi delle noci finché i rami non furono quasi vuoti; soltanto
allora lo Spaventapasseri guardò di nuovo il pennuto, che ancora lo
studiava da vicino.
« Sei stato molto
gentile, amico mio. »
E il cigno gli
sfiorò un braccio con la testolina, imbarazzato, e poi aprì le
ali e volò via dall’albero, lasciandosi dietro un canto che
suonava meno triste.
Tenendo sempre ben
stretto il bacile d’oro e di diamanti, lo Spaventapasseri saltò a
terra. Si assestò il petto impagliato e si preparò a riprendere
le ricerche di Ozma, rincamminandosi per raggiungere
il Boscaiolo. Gli sarebbe piaciuto seguire con lo sguardo il viaggio del cigno
grigio; peccato che il bosco fosse così fitto. Gli uccelli erano davvero
le creature più fortunate di tutte.
Chissà se a
Dorothy quelle noci sarebbero piaciute.
Now I’m dreaming of the simple things: old ways
erased.
Spazio
dell’autrice
Prima
di tutto ci tengo a dire che non vi farò spoiler per sempre,
perché due donne meravigliose hanno deciso di tradurre finalmente in
italiano l’intera saga di Baum, così
forse, ehm, capirete qualcosa in più dei miei numerosissimi trip
mentali. ♥
Ed ora, sotto con la contestualizzazione!
Nell’undicesimo
volume, The lost
Princess of Oz, la Reale Ozma viene
rapita, assieme a tutta la magia del regno. Dopo una lunga serie di
vicissitudini e l’introduzione di nuovi personaggi si viene finalmente a
scoprire che il colpevole è Ugu il Calzolaio,
uno Stregone in erba: il gruppetto di ricercatori guidato da Dorothy e dal Mago
va ad affrontarlo e, grazie alla Cintura Magica, Ugu
viene trasformato in un colombo grigio [sì, io ho usato un cigno, è vero. Un mio errore di traduzione risalente alla prima lettura ^////^], ma riesce a scappare grazie al bacile
magico in grado di ingrandirsi e trasportare chiunque da un capo all’altro
del mondo. Successivamente ritroviamo lo Spaventapasseri e il Boscaiolo di
Latta, che ancora cercano Ozma a sud; sotto un albero
i due s’imbattono in uno strano bacile d’oro, giusto durante una
discussione su quanto siano privilegiati gli animali – e in particolare
gli uccelli – rispetto agli uomini. Questo per specificare che il
discorso dello Spaventapasseri contrassegnato dall’asterisco è
preso direttamente dal testo; bellissimo, vero? ♥
Insomma,
nel libro Ugu si ravvede sulla propria condizione e
va a chiedere perdono a Dorothy dopo aver semplicemente ascoltato lo Spaventapasseri, senza mostrarglisi.
Io ho voluto invece immaginare un vero e proprio colloquio, per quanto breve. È
che sono rimasta molto colpita da questo messaggio di ‘semplicità
= felicità’, e mi piaceva l’idea di ripresentarlo, anche
solo per condividerlo con voi. ♥
Le
lyric sono tratte da New age di Marlon Roudette.
Hope you liked it,
Aya
~