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Autore: Lunastorta92    08/07/2006    2 recensioni
John Frost è importante, bello e ricco. Ma cosa succederebbe se dovesse morire? LEGGETE E RECENSITE, PER FAVORE!
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                  I

John Dwight Frost si considerava l'uomo più fortunato del mondo, o almeno, fino a quel giorno...

John Frost, scapolo trentacinquenne, era uno degli uomini più importanti della Grande Mela, pubblicitario con una carriera in ascesa, così pieno di soldi come di donne adoranti, bello, scaltro, potente e con una posizione fissa all'undicesimo posto nelle classifiche degli "Uomini più Sexy del Mondo".
John guardò il suo orologio parecchio costoso, regalatogli da un magnate arabo del petrolio, per assicurarsi di non essere in ritardo per il suo volo; si tranquillizzò, aveva ancora due ore.
Ma il tempo di John Frost era infinitamente prezioso.
-Signor Frost?- la calda voce di Darla, la sua nuova segretaria "bomba-sexy", con gambe lunghe come un'autostrada, una fluente chioma di capelli biondo platino, la pelle brunita e gli occhi abbondantemente truccati con mascara costoso, irruppe nella sua stanza
-Sì?- rispose John, con tono indifferente e superiore
-L'auto per l'aeroporto arriverà a minuti.- rispose la donna.
Quando si parlava di "auto", non si intendeva un'auto normale, ma una Rolls-Royce nera, corredata di autista in divisa blu, con accesso a Internet, un televisore al plasma, un mini-bar e un Bancomat, in caso avesse avuto bisogno di soldi in contanti.
Perché un uomo come lui (e che uomo!) non poteva di certo muoversi con una limousine, un mezzo di trasporto così dozzinale che anche un qualsiasi pezzente medio-borghese avrebbe potuto affittarne una per la serata.
L'uomo ricontrollò l'orologio, anche se sapeva perfettamente che ore fossero, ma voleva osservare lo scintillio prodotto dall'oro massiccio se si spostava leggermente l'orologio verso l'alto, da dove proveniva la luce.
Sorrise fra sé e sé, soddisfatto.
Uscì dal suo ufficio, lasciando la valigia per terra; qualcuno, probabilmente un facchino, avrebbe provveduto a farla recapitare direttamente all'aeroporto.
-Arrivederci signor Frost!- lo salutò Darla, mentre giocava con i suoi capelli platinati.
John ne era sicuro, ancora un paio di giorni e, probabilmente al ritorno dal suo breve viaggio, Darla sarebbe stata così affascinata da lui che avrebbe potuto portarsela a letto anche solo schioccando le dita.
Faceva solitamente quest'effetto alle donne, forse era merito dei capelli corvini in contrasto con i suoi profondi occhi grigi, forse era per il suo fisico forte e la sua altezza fuori dalla media, forse anche per la quantità spropositata di zeri che riportava l'assegno del suo stipendio minimo... O forse era l'insieme di queste caratteristiche che faceva letteralmente girare la testa a tutte (ma proprio tutte!) le donne che avevano la fortuna di incrociare il suo cammino.
E senza troppe cerimonie John se le portava a letto un paio di volte e poi, una volta che il rapporto cominciava ad annoiarlo, cambiava donna; alcune avevano avuto anche il privilegio di essere perlomeno corteggiate prima di essere sedotte ed infine abbandonate.
Sorrise ancora, parecchio più soddisfatto di prima.
Se si toglievano a John Frost il suo notevole aspetto fisico e il suo altrettanto notevole conto in banca, non restava altro che una persona meschina, avara, gretta e totalmente desensibilizzata, senza un briciolo di umanità, egoista ed egocentrica.
Un uomo glaciale, come confermava anche il suo cognome... Frost.
In una parola: uno stronzo.
Ma a lui poco importava...

Il programma della sua giornata era piuttosto semplice: avrebbe preso un aereo per San Diego, in California, affinché potesse concludere un affare da milioni di dollari, poi avrebbe preso un aereo per Londra e successivamente un treno che l'avrebbe condotto a Blackpool, la sua città natale.
Era comodamente seduto su una poltroncina di pelle bianca, nella zona dell'aereo (che l'avrebbe condotto sulla West Coast) riservata alla Prima Classe, si stava godendo un film d'azione e sorseggiava quello che sarebbe dovuto essere un Bellini; cioè era un Bellini, ma John era così occupato a pensare agli affari propri da non accorgersi di ciò che stava bevendo.
Una bella hostess dall'aria avvenente e ancheggiante si avvicinò a lui con un sorriso stampato sulle labbra carnose e scarlatte, mentre gli porgeva un giornale:
-Ecco a lei Signor Frost...- gli disse con voce accattivante
-Grazie.- rispose lui, ammiccando e sfoderando il migliore dei suoi sguardi seducenti, irresistibile, a detta di tutte.
"Oh porca vacca!" imprecò l'uomo mentalmente, il giornale che l'hostess gli aveva portato non riportava buone notizie: era drasticamente sceso al sedicesimo porto della classifica degli "Uomini più Sexy del Mondo", superato da un paio di attoruncoli che raggiungevano a malapena i vent'anni.
Quello era solo un presagio di una giornata che sarebbe stata veramente cattiva...

L'aeroporto era parecchio affollato, John Frost prese distrattamente la sua valigia e si diresse verso l'uscita del Gate.
L'impresa fu abbastanza difficile, divincolarsi tra le persone che si abbracciavano prima di separarsi o che trasportavano pesanti valige era particolarmente complicato per lui, che raramente badava alla gente.
-Ehi, stronzo!- gli urlò contro un uomo molto simile ad un armadio, dopo che John gli andò a sbattere contro
-Scusa, amico!- esclamò, senza nemmeno voltarsi.
E perché mai "amico"? Quell'uomo non era suo amico, nessuno era suo amico, non c'era bisogno degli amici quando si è solo degli ignobili arrivisti!
Ignorando completamente le urla dell'uomo, riuscì a raggiungere l'uscita; con un fischio chiamò un taxi e salì, diretto a San Diego.
In cuor suo sperava tanto di riuscire a concludere quell'affare, ma pensava anche che far firmare un paio di carte ad un vecchietto paraplegico (ma immensamente ricco) sarebbe stato un gioco da ragazzi.
E dopo il "lavoro" sarebbe tornato a casa, finalmente dopo tanto tempo, chissà se sua madre si ricordava di lui...
I coniugi Frost, gli "adorabili" genitori di John, erano la famiglia più ricca di Blackpool quando lui era un ragazzino, troppo occupati a fare soldi o a garantire una vita esemplare a Judith, la loro bellissima figlia maggiore, nonché otto volte di seguito Reginetta di Bellezza di Gran Bretagna e Studentessa Modello, lasciarono che il piccolo John crescesse da solo, senza essere amato e coccolato, senza avere degli amichetti e senza essere elogiato; trasformandosi piano piano nell'uomo senza scrupoli di oggi.
La madre di John, Meredith, non pensava ad altro che alla splendida figlia, a comprarle abiti firmati e portandola nei Saloni di Bellezza; e quando Judith si trovava in Collegio a studiare, Meredith si occupava dei party che avrebbero avuto come invitati tutta l'Alta Società di Blackpool, e che venivano sempre organizzati nella loro maestosa villa.
Il padre di John, Dwight Senior, un finanziere troppo legato ai suoi soldi per pensare alla famiglia, e spesso all'estero per lavoro, era ancora più occupato della moglie per accorgersi del figlio.
Judith, tanto bella quanto arrogante, aveva come passione, dopo la cura della propria persona, quella di tormentare il fratello minore, di farlo sentire a soli sei anni già un fallito, a ricordargli che mamma e papà volevano più bene a lei che a lui e via discorrendo...
Una famiglia modello, insomma...
John era così occupato a rimuginare sulla sua situazione famigliare che non si accorse di aver sbagliato strada, e non se ne accorse neanche quando, intento ad attraversare le strisce pedonali, gli squillò il telefono:
-Pronto?-
-Pronto John...- era Chester Kirkpatrick, il suo assistente e "braccio destro"
-Che vuoi, Chet?- gli chiese annoiato
-Hai concluso quell'affare col nonnetto?-
-No, devo ancora incontrarlo!-
-Ok, fai il bravo. Ciao!- detto questo, riattaccò.
John, questa volta occupato a riporre il suo cellulare ultimo modello nella custodia in pelle, non si rese conto di essersi fermato in mezzo alla strada, né che un'auto gli si stava fiondando contro.
Un colpo.
Una luce, bianca, o forse nera, o forse di tutti i colori; John non ne era sicuro.
E poi il nulla.
Riprese conoscenza poco più tardi, al Pronto Soccorso dell'ospedale di San Diego, quando aprì lentamente gli occhi e vide solo delle fortissime luci al neon nel soffitto; era legato ad una barella che si muoveva velocemente.
Gli girava la testa, non sentiva più le gambe, e dal poco che riusciva a vedere, era coperto di sangue.
-Cosa abbiamo qui?- disse una voce, femminile, John pregò perché si trattasse di un medico, e in effetti lo era
-Incidente d'auto, quest'uomo è stato investito.- disse meccanicamente il paramedico che muoveva la barella
-E' cosciente?- chiese ancora la voce femminile
-Più o meno.- John non credeva che "più o meno" si potesse considerare una risposta scientifica
-Mi sente?- continuò la donna, piegandosi leggermente verso John -Qual è il suo nome, il suo nome?-
L'uomo rimase sorpreso: era ridotto così male che la dottoressa nemmeno l'aveva riconosciuto
-John. John Frost.- rispose, preoccupandosi per il tono così flebile e arrochito della sua voce.
Da quel momento in poi, John Frost (o perlomeno quell'ammasso sanguinante in cui era ridotto), non seppe più riconoscere nulla: il luogo in cui si ritrovava, le voci che sentiva; il dolore lancinante che gli pervadeva tutto il corpo si affievolì.
Morfina. La migliore delle amiche.
E il dolore finalmente sparì, portandosi via tutto...
Non rimaneva altro che il buio.

-Ora del decesso?-
Un'infermiera guardò l'orologio, lentamente:
-17 e 45...- rispose, con voce bassa, mentre la dottoressa scriveva e firmava una cartellina.
John Frost era morto...
  
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