Ran Mouri si sfiorò il ventre con apprensione. Le dolorose
fitte che la attanagliavano, le avevano imposto di fermarsi.
Si era agitata tutto il giorno in ufficio, e ora, stesa
sul divano del salotto, rimpiangeva di aver corso tra un fax e l’altro nel vano
tentativo di far arrivare tutti i vari documenti in orario.
Era passata una settimana dal test che aveva fatto a casa
di Kazuha. Shinichi, ovviamente, non
sapeva nulla.
L’improvvisa voglia di cioccolatini la costrinse a
distendere le sopracciglia finora aggrottate per scrutare attentamente la
cartellina che teneva avanti a sé. Si alzò lentamente e si avviò verso un
mobile dove riponeva tutte le fantasie gastronomiche regalatele dai clienti per
cui lavorava. Si ritrovò a spizzicare i cioccolatini di un’assurda scatola a
forma di cuore di un ventenne particolarmente farfallone che si era ritrovata a
difendere in tribunale per una patente tolta a causa di guida per alcolismo.
Sorrise: Shinichi era stato una giornata irritato per quell’assurdo regalo.
Doveva dirglielo. Doveva.
Eppure, l’averci litigato furiosamente, quella mattina,
non l’aiutò granché a cercare una soluzione a quello che, oggettivamente, per
ogni donna è un problema.
D’altronde, quello scemo di suo marito non dormiva a casa
da due notti ormai e il motivo era sempre ed esclusivamente un caso.
Dopo averle giurato sincerità e disponibilità, si
ritrovava nella stessa situazione di sei anni prima: ci mancava solo che
tornasse a casa alto poco più di un metro.
Mentre assaporava lentamente un cioccolatino al rhum,
sentì la serratura della porta scattare e si affrettò a posare la scatola
scarlatta sul tavolino davanti alla TV.
Controllò velocemente i vestiti: a parte gli shorts
decisamente troppo corti e la maglietta troppo scollata, non aveva macchie di cioccolata.
Un passo avanti.
- Sono a casa!-
La voce suadente di un ventitreenne riecheggiò tra le mura
dell’appartamento:- Ran?-
Un viso stanco, affaticato, eppure così terribilmente
affascinante si affacciò al salotto.
In giacca e cravatta, Shinichi si era appoggiato al muro
con le braccia conserte e un’aria sensuale.
- Ancora arrabbiata?- chiese, tra il dolce e il divertito.
Ran girò di scatto il viso e portò il naso all’insù: era
davvero stanca di fargliele passare tutte, e poi la gravidanza la rendeva
capricciosa.
- Andiamo! Sai che non avevo scelta…- aggiunse con poca
convinzione, ripensando a Megure che gli aveva suggerito di tornarsene a casa,
la sera prima.
- Figurati! Dove vai tu, muoiono dozzine di persone…-
esclamò irata Ran, continuando a evitare il suo sguardo.
Shinichi le si sedette accanto:- Perché mi hai chiamato?-
chiese serio: se c’era una cosa che Ran non faceva era contattarlo per
scemenze:- Cosa mi devi dire?-
- Lascia stare, non sono in vena.- lo liquidò offesa.
Shinichi alzò un sopracciglio e la guardò malizioso. La
fissò per circa cinque secondi, sorridendo, poi le si mise dietro con un
movimento velocissimo e le iniziò a baciare il collo.
- Beh…- continuò, carezzandole contemporaneamente i
fianchi:-…sicura?-
Ran lo lasciò fare: in fondo erano due giorni che non lo
vedeva.
Shinichi la fece lentamente scendere lunga distesa,
cominciando a baciarle il viso:- Mi sei mancata, sai?-
- Ah, si?-. Il sarcasmo si tagliava a fette.
- Da morire…- le sussurrò in un orecchio. E Ran ci ricascò
per l’ennesima volta.
Si svegliò al leggero movimento del corpo accanto a lei.
Era nella sua camera e anche Shinichi doveva essersi appena svegliato.
Lo guardò assonnata, scrutando i suoi pettorali nudi:
bello, non c’è che dire.
Shinichi la ispezionava sorridendo, giocando con una lunga
ciocca dei suoi capelli corvini.
- Ora hai voglia di parlarne?-
Il volto di Ran si fece di nuovo serio, si mise a sedere
sul letto, mantenendo con una mano le lenzuola al petto.
- Aspetto un bambino.- sputò pragmatica.
Basta scappare.
Shinichi sgranò gli occhi e Ran, come se le stessero per
dare un pugno, li strizzò: ecco, pensò, non lo voleva.
- MA È GRANDIOSO!- urlò Shinichi, balzando a sedere,
sorridendo felice:- Un bambino! Un bambino mio e tuo!-
Stavolta fu il turno di Ran di sgranare gli occhi:- Ti fa…
ti fa piacere?- balbettò, titubante e incredula.
- Un bambino!- ripeté:- Tutto nostro! Ma ti rendi conto?-
poi si rabbuiò di botto:- Perché è mio, vero?-
Ran non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. Poi lo
baciò, sbilanciandolo e facendolo ricadere sul letto, lei sopra di lui.
- No, è del dottore Araide!- rise, continuando a
baciarlo.