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Autore: titania76    11/11/2011    4 recensioni
[Lost Canvas: Gemini Aspros, Gemini Deuteros, Nuovo Personaggio]
Quando una circostanza imprevista e imprevedibile cambia gli eventi, quando qualcuno di impensabile, celato alla vista e alla memoria di tutti, si diverte a sconvolgere le vite di persone ignare, a spostare le pedine sulla scacchiera del mondo, ad alterare lo scorrere del tempo per il suo divertimento.
Cosa succederebbe se un giorno, all’improvviso, senza possibilità di impedirlo, ci si ritrovasse nello stesso luogo ma in un lontano e sconosciuto passato? Attraversare territori familiari ma che nulla hanno di casa, vivere la propria vita incontrando persone sconosciute ma per certi aspetti simili a chi si è conosciuto.
Ricordi che si accavallano fra passato e presente per essere rivissuti in un nuovo presente che sa di passato, accettando senza riserve una nuova possibilità di vita e cercando una nuova dimensione per se stessi, rimanendo forse vittima del fato, spettatrice di eventi incomprensibili.
Rielaborazione e sviluppo, con nuovo titolo, della fanfiction presentata al contest del Forum Sorkino: “E se voi, un allievo/a di un Cavaliere d'Oro del 1990, vi trovaste nel 1741 al Grande Tempio, due anni prima della Guerra di Lost Canvas, cosa fareste?”
Genere: Generale, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gemini Aspros, Gemini Deuteros, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La beffa del tempo


Ehilà! Sono di nuovo fra voi. Questa che presento è una one-shot che ha partecipato al primo contest del forum Sorkino. A dire il vero è una rielaborazione della storia originale, con un titolo tutto nuovo, scevra dei vincoli limitativi del numero di parole (alla fine è venuta fuori lunga il doppio). Non so cosa sia rimasto della storia originale qui dentro. Lo scheletro però, la trama, è la stessa. Di certo ho potuto dare maggiore sviluppo sia all'ambientazione che al personaggio originale.

L'ambientazione è quella di Lost Canvas, non avendo il manga in versione cartacea, non so a che punto siamo arrivati con la pubblicazione, ma considerando che questa storia si svolge 2 anni prima non dovrebbe contenere spoiler di alcun tipo se tutti voi conoscete già i flashback con la storia dei Gemelli, vero?.
Il titolo... beh, ha come sempre molteplice valenza.

Era nelle mie intezioni rendere l'ambiente oscuro, opprimente, disagevole e che intimorisse un po'. Ci sarò riuscita? ... A voi giudicare com'è.




Buona lettura.


La beffa del "Tempo"





Terrorizzata. Incespicata sui suoi passi, si era ritrovata a terra tremante e con gli occhi sgranati mentre lo fissava. Arretrava impacciata su quei freddi lastroni di pietra del pavimento dei corridoi, quasi infiniti, del terzo tempio; avvolti da quelle oscure ombre che aveva imparato a conoscere e amare ma che ora le sembravano così opprimenti, estranee e ambigue. Cercava con tutte le sue forze di sfuggire a quegli occhi, a quello sguardo profondo e pesante, carico di dolore e risentimento. Occhi che diffidenti baluginavano di inquietante luce in quella familiare semioscurità che permeava il passaggio che portava alla zona privata del custode dorato. Quel volto! Quel volto così sospettosamente celato da essere reso quasi indistinguibile e per questo spaventoso. Quel volto la seguiva lentamente ma senza darle tregua e quella mano, protesa in avanti verso di lei, sembrava volerla ghermire con ferocia.
Parole incomprensibili provenivano da quella misteriosa presenza e quel tono, era così strano, così roco e vibrante. Non era umano. Quei suoni così sgradevolmente penetranti non potevano appartenere ad un uomo.

Si guardava attorno stranita, spaesata e con un crescente timore che attanagliava il suo animo. Cercava qualcosa, qualsiasi cosa potesse esserle d’aiuto in quella situazione, ma nulla pareva rincuorarla, niente poteva trovare nei vuoti meandri della casa. Quegli occhi ancora la seguivano! Quegli occhi, così simili a quelli di una bestia in gabbia, esigevano la sua attenzione, erano così ipnotici che piano le stavano sottraendo ogni volontà.

Chi era quella creatura diabolica sbucata dalle ombre nascoste di una casa che lei credeva non avesse più segreti, che sembrava volere la sua vita? Perché le era comparsa di fronte così all’improvviso?

Eppure lei non aveva fatto nulla di male. Come ogni mattina era entrata nel terzo tempio percorrendo il solito sentiero nascosto, da sempre peculiarità del tempio dei Gemelli che permetteva di aggirare la grande scalinata bianca e arrivare fino al tempio del Sommo Pontefice, per porgere i suoi saluti al suo maestro e consegnare e ricevere, se ce ne fossero state, le direttive della giornata. Forse quella mattina in particolare era arrivata un pochino più tardi del solito, eppure quella sembrava essere come ogni altra noiosissima mattina che viveva al Santuario, anche se, forse quel piccolo contrattempo…

Era stato un bagliore improvviso quello che l’aveva investita in pieno volto accecandola per alcuni momenti, costringendola così a fermarsi. Forse quel fenomeno era stato causato da un raggio di sole riflesso da qualche parte, si era detta senza pensarci su troppo. Forse poteva essere stato qualche ragazzino dispettoso che giocava con gli specchietti, era una spiegazione plausibile anche quella. Ultimamente se ne vedevano in giro parecchi in quelle terre segrete, considerato che dopo il ritorno in vita di tutti i fedeli cavalieri della Dea Atena, il Santuario era tornato alla sua solita routine facendo arrivare dai più disparati angoli del mondo nuovi apprendisti e servitori. Ragazzacci che avrebbero smesso presto di divertirsi.

Se non avesse avuto il dubbio privilegio di non dover indossare la maschera, non ne sarebbe rimasta infastidita di quell’inopportuno riflesso accecante. Una concessione che a dire il vero suonava più come “a te la maschera non serve tanto non sarai mai una di noi”. Però, forse quella maschera l’avrebbe voluta, segno distintivo che apparteneva alla casta guerriera invece che essere una via di mezzo che non trovava collocazione fra le gerarchie delle caste, agendo al di fuori di esse. Un raro esemplare, isolato e mal sopportato da tutti.

Aveva poi sentito, dopo aver ripreso il cammino e fatto pochi passi, il suo corpo attraversato da una leggera scossa, quasi un brivido freddo e un lieve senso di stordimento l’aveva fatta barcollare costringendola nuovamente a fermarsi. Davvero uno strano avvenimento se si considerava che era piena estate. Una torrida e lunga estate. Era stato un attimo, solamente un attimo e tutto era tornato alla normalità e aveva potuto riprendere il suo cammino verso la sua meta.

Possibile che quella presenza, che la stava braccando senza darle tregua, era sempre stata presente nel tempio e lei non se n’era mai accorta?

- No, no! Vattene, vai via mostro! Lontano da me! – la voce le era uscita dalla gola tremante e piena di angoscia mentre continuava a fatica ad indietreggiare ancora da terra. Approfittando di un leggero momento di esitazione del suo inseguitore, era riuscita a rimettersi in piedi e girarsi per correre verso l’uscita che ora si apriva di fronte a lei, verso la salvezza. Le gambe, le sentiva molli e fiacche e poco riuscivano a reggere il suo peso mentre quei pochi passi che stava compiendo, cercando di colmare la distanza che la separava dall’uscita, sembravano così difficili e pesanti.

Un’improvvisa mano l’aveva afferrata per un braccio e subito spinta con violenza di lato, contro uno dei muri dell’ampio corridoio centrale del tempio, facendola poi rovinare malamente a terra. Quella stessa mano, dalla stretta mortale, l’aveva afferrata alla gola e rimessa in piedi senza apparente fatica, neanche fosse stata un sacco vuoto. Quella presa le aveva tagliato il respiro e una voce infinitamente minacciosa, infine l’aveva atterrita. Era stata raggiunta, non le sembrava possibile ma l’aveva raggiunta. Ora per lei non ci sarebbe stato alcuno scampo. Teneva il volto girato nella direzione della luce che poco più oltre sembrava attenderla, ma non poteva muoversi inchiodata a quel muro con tale forza che le toglieva tutte le energie. Non aveva il coraggio di guardarlo in faccia, il pensiero di quegli occhi così vicini a lei la soggiogava. La sua salvezza era lì, a portata di mano, sentiva quasi il caldo dell’estate sul suo volto, la via d’uscita era a pochi passi…

- Non osare mai più chiamare a quel modo mio fratello. – Quella voce, era poco più di un sussurro che carezzava il suo orecchio, ma era così dura, autoritaria, rancorosa. Quelle parole, che celavano una gelida minaccia, le penetravano in testa come una lama tagliente mentre un respiro caldo, quasi incandescente, le scivolava addosso provocandole intensi brividi di terrore fin quasi al punto di farle perdere i sensi. Era forse quella stretta così micidiale che le serrava la gola, che le stava rubando la vita? Era forse la presenza così schiacciante di quello sconosciuto che piano la stava dominando, che annebbiava i suoi sensi facendole perdere così rapidamente il contatto con la realtà? Quale realtà poi?

No, quello era un incubo!

- Aspros fermati! Non è necessario, così rischi di ucciderla. – si era affiancato a lui, prudente ma titubante, quella strana presenza palesatasi solo con la voce, la sua “ombra”. Era uscito allo scoperto pur restando nascosto alla vista, rimanendo occultato nelle ombre della casa. – Non ti intromettere! – Gli si era rivolto seccamente, irritato da quella situazione e senza degnarlo di uno sguardo. Aspros di Gemini, custode d’oro della terza casa dello zodiaco. Continuava invece a tenere saldamente la presa Aspros, fissando quell’intrusa con occhi duri. Rivolgendosi infine al fratello, la sua ombra, non aveva risparmiato neanche a lui uno sguardo di rimprovero carico però di preoccupazione. – Ti avevo detto di stare più accorto! – Concentrandosi nuovamente sulla ragazza, che annaspava per respirare stretta nella sua morsa, sembrava soppesare ora il da farsi.
Il suo primo dovere come cavaliere della Dea Atena, sarebbe stato quello di ucciderla o quantomeno imprigionarla e chiedere colloquio con il Sommo Pontefice per riferire dell’intrusione, ma qualcosa aveva attirato la sua attenzione sulla giovane. Qualcosa nel suo aspetto era strano, se non bizzarro. Un lieve sorriso, una smorfia di vaga malizia aveva ammorbidito la durezza e la determinazione dell’espressione che il suo volto aveva mantenuto fino a quel momento.

“Due voci, distinte.” Stava perdendo lucidità sempre più velocemente la ragazza e non era riuscita a percepire con chiarezza ciò che quelle due presenze si erano dette, ma era riuscita nonostante tutto a capire che si trattava di due entità diverse. Non era dunque il “mostro” colui che l’aveva raggiunta e afferrata. Le ultime energie le stavano ormai venendo meno, con un disperato tentativo la ragazza, tentando di allentare quella presa come poteva, stava cercando dentro di sé il coraggio e la forza per voltare lo sguardo, sempre più offuscato, verso il suo aggressore.
Maestro… Kanon?... Voi… perché? – con l’incredulità nello sguardo, ormai appannato, per quell’ultima immagine che i suoi occhi avevano visto, quasi in un sussurro le erano uscite quello poche e incerte parole prima di abbandonarsi al fato e perdere completamente i sensi.



*****



Non sapeva quanto tempo fosse passato, quando riapri gli occhi la ragazza si ritrovò semisdraiata a terra, sulla fredda pietra del pavimento e con la schiena appoggiata in qualche modo al muro. Si sentiva il corpo completamente indolenzito. Non le ci volle molto, mentre si guardava attorno, per rendersi conto che non si trovava più vicino all’entrata del tempio, ma era invece in una piccola stanza nella quale poco arrivava della luce del sole e l’unica fiaccola affissa al muro era spenta. Sicuramente quella stanza era collocata in una delle parti più interne del tempio, forse addirittura nella zona privata.

Un ambiente tristemente familiare le si era presentato alla vista richiamando ricordi che sperava invece di aver cancellato. Quelle quattro mura di pietra erano così simili a quell’umido scantinato che per quasi tutta la sua infanzia le aveva fatto da casa. Però che strano, eppure ricordava bene come il cavaliere dei Gemelli suo maestro avesse provveduto a fornire quella zona di un’ampia illuminazione, anche lui infatti non amava l’oscurità e le sue infide ombre, nei suoi alloggi soprattutto.

Quegli occhi che tanto l’avevano spaventata quella mattina, erano ancora puntati su di lei. Nonostante il proprietario fosse celato al sicuro nella semioscurità, nascosto appena oltre la soglia di quella piccola stanza, poteva sentirseli addosso quegli occhi, poteva scorgerne l’inquietante luccichio nelle ombre della dimora dorata. Profondi e limpidi occhi blu come non ne aveva mai visti in vita sua, che la scrutavano attenti e pazienti. Subito d’istinto si ritrasse la giovane, raddrizzandosi un poco dolente e rannicchiandosi più che poteva addosso a quel muro.

Era dunque ancora dentro quell’incubo?

- Non farmi del male, ti prego. – La sua voce era ancora leggermente tremante per lo shock e roca a causa della gola secca e del dolore che tutt’ora sentiva per quella stretta subita. - … non aver paura – un poco incerto le aveva risposto quella voce così strana, il suo improvvisato guardiano, mantenendosi sempre nell’ombra. – Mio fratello tornerà presto e sistemerà le cose … non ti preoccupare – aveva poi aggiunto con maggiore convinzione, vedendo che la giovane si era stretta ancora più a sé, contro quella parete spoglia.
Interminabili attimi di silenzio trascorsero nella pesante immobilità di quello spartano ambiente, dopo che quelle ultime parole erano risuonate nell’aria. Parole che lei non aveva percepito come rassicuranti. “Quando lui tornerà sistemerà le cose e vedrai!” Quante volte se le era sentite ripetere parole simili? E quante volte le conseguenze per lei erano state negative? Ancora le sentiva risuonare aspre e crudeli nella sua testa. Parole pesanti, pronunciate da coloro che avrebbero dovuto amarla ed invece la trattavano come un oggetto, un impiccio di cui avrebbero voluto disfarsi liberamente. Si rannicchiava sempre più la giovane, appoggiando la testa alle ginocchia a nascondere il volto e dondolandosi avanti e indietro in quell’attesa, come faceva da bambina aspettando la sua inevitabile punizione.

Perché ancora non era riuscita ad affrancarsi dal suo passato?

La torrida estate greca anche quell’anno non aveva risparmiato le sacre terre del Santuario. Penetrava invadente e soffocante attraverso una piccola fessura posta in alto quasi all’altezza del soffitto, che non poteva certo chiamarsi finestra e poco riusciva ad illuminare quella stanzetta o anche solo permettere un minimo di circolazione d’aria. Quel caldo si stava facendo sentire come non mai in quell’angusto ambiente. La nausea le stava salendo inesorabile in gola e i sensi le stavano nuovamente venendo meno.

Non un rumore si sentiva all’interno, solamente il frastornante frinire delle cicale che proveniva dall’esterno arrivava a lei. Un suono che la immergeva ancora di più in quella pesante solitudine che quel luogo così spartano le faceva pesare addosso come un carico insostenibile. Davvero strano come quel suono potesse attraversare quelle spesse mura, o giungeva a lei solamente attraverso quel buco?
Quattro mura spoglie che ospitavano solo un paio di casse di legno chiuse ermeticamente, quella stanzetta sembrava anche meno ospitale delle celle detentive dei quartieri militari. Piano la ragazza si stava lasciando andare sempre più, affaticata da quel caldo e dall’inquietudine.
Lentamente il suo sorvegliante entrava guardingo nella stanza, celandosi il più possibile nelle ombre presenti e portando con sé una grossolana brocca riempita di acqua e un bicchiere di semplice terracotta. Posandoglieli per terra vicino a lei, si era poi rintanato in un angolo buio, sedendosi ed osservandola incuriosito.

- Grazie – aveva risposto in modo fiacco la ragazza, alzando leggermente la testa per vedere cosa le era stato portato, avventarsi poi sull’acqua e berne a grandi sorsate, rovesciandone una buona parte tutt’intorno, mentre nuovamente calava il silenzio. – Conosco tutti qui e non ti ho mai vista al Santuario. Chi sei? Come sei riuscita ad eludere le guardie e come fai a conoscere il sentiero che conduce a questo tempio? - Quella voce così strana aveva rotto nuovamente il silenzio. Una voce triste e dal tono tenebroso, lievemente soffocata da quella compatta e indiscreta barriera innaturale che l’uomo portava sul volto. Una voce strana sì, ma anche stranamente calma e rassicurante.

Erano domande lecite quelle, se rivolte ad uno straniero, ma che rivolte a lei parevano del tutto fuori luogo. – Che razza di domande mi fai? Se conosci tutti saprai anche chi sono io. La messaggera del Santuario, ecco chi sono. E passo per quel sentiero tutti i giorni. – Aveva risposto in modo piccato la ragazza, pensando che l’uomo di fronte a lei non volesse riconoscere il suo ruolo. Tutti al Santuario la conoscevano. Non solamente per quel ruolo naturalmente, “la piaga dei Gemelli” la chiamavano e non aveva certamente una valenza positiva, era praticamente un insulto ma lei non ci badava più, anzi, con grande determinazione aveva tramutato quel soprannome in un qualcosa di positivo per lei, qualcosa di cui andare fieri. Nonostante non avesse avuto requisiti sufficienti per poter aspirare ad essere un’amazzone di alto livello, aveva però avuto la costanza di seguire e superare con ottimi risultati l’addestramento.

Era un ottimo elemento per il Santuario, aveva fatto onore al suo maestro ed aveva ricevuto come ricompensa l’onore di ricoprire il ruolo di messaggero del Santuario. Carica di grande responsabilità che le permetteva una certa libertà sia all’interno che all’esterno delle terre sacre. Aveva però il quasi trascurabile difetto, a detta degli altri, di essere una scansafatiche cronica, anche se invece preferiva isolarsi per mantenere le distanze, e attaccabrighe all’occorrenza, soprattutto con le parole, la sua arma preferita.
No, il suo vero difetto stava nel carattere, era imprevedibile e indomabile ma anche semplice e complessa al tempo stesso. Portava con fierezza in sé il significato del suo nome. Odiava qualunque tipo di imposizione e non ne faceva mistero con nessuno, mal sopportava le limitazioni delle libertà personali e il cieco rispetto per la subordinazione gerarchica delle caste, perché non ne poteva far parte.

Tutto quello che vi era al Santuario le era fastidioso, abitanti compresi. Tranne il suo maestro Kanon, al pari del suo gemello Saga naturalmente, che lei venerava sopra ogni altra cosa e al quale ubbidiva ciecamente. Era forse incoerenza di pensiero la sua, ma lei gli doveva tutto. La sua intera esistenza era votata a Kanon, da quando 3 anni prima, poco dopo la restaurazione del Santuario, lei poco più che adolescente era stata raccolta dalla strada dopo che fu scacciata dalla sua stessa famiglia che la riteneva un peso inutile. Kanon le aveva dato una nuova ragione per vivere. Certamente era grata anche alla Dea Atena, tornata a guidare i suoi paladini anche in tempo di pace come quello che stavano vivendo. Nonostante non fosse una credente, non mancava di rispettarla e seguirne i dettami, era grazie alla Dea se poteva considerare il Santuario la sua nuova casa.

- Menzogne, nessuno ricopre ufficialmente quel ruolo da anni. Sei dunque una nemica? – Con tono inquisitorio l’uomo voleva farle rivelare la verità - Balle! È più di un anno che ho questo incarico! – aveva risposto furiosa – E poi quale nemica vuoi che possa essere, non c’è nessuno che attualmente minaccia il Santuario ne tantomeno la Dea, dopo la vittoria che ha riportato 3 anni fa circa – aveva aggiunto in tono strafottente, voltando indignata il volto dall’altra parte. – Di che stai parlando? Quale vittoria? - erano incalzanti le domande dell’uomo, che ora sembrava non solo interessato, ma anche preoccupato per quella strana rivelazione. La guerra sembrava ben lungi dall’essere imminente, come poteva essere dunque già vinta?

- Non ne so molto a dire il vero, quando sono arrivata al Santuario stavano già ricostruendo e non mi interessava saperne di più. – Con un certo imbarazzo aveva dovuto ammettere il suo scarso interesse per quei fatti. Al Santuario certamente non era un argomento di conversazione, ma tutti sapevano per filo e per segno delle eroiche gesta dei paladini di Atena. – Non hai ancora risposto alla mia domanda. Chi sei? -
- Il mio nome è Anemos! – aveva risposto la giovane mettendosi più composta e imprimendo in quel nome tutto il suo ritrovato orgoglio. Quel nome a lei tanto caro, dono del suo maestro. Il suo nome, quello che aveva portato fin dalla nascita, lo aveva volutamente cancellato dalla sua memoria, scomodo ricordo di un doloroso passato che ora non le apparteneva più. - … Anemos… - aveva ripetuto atono il suo guardiano cercando forse un significato nascosto. – “Vento” … che nome bizzarro. Chiunque sia stato dev…

- È stato il mio maestro a farmene dono e non ti permetto di insinuare nulla! – non gli aveva lasciato terminare la frase e con grande determinazione, indispettita da quel giudizio che sentiva come di scherno, la giovane aveva risposto a quel tipo strano che si manteneva a distanza da lei continuando ad osservarla e a studiarla. Era stata punta sul vivo Anemos, proprio nel suo punto debole, il suo tallone d’Achille. Tutto avrebbe potuto accettare su di sé ma non una parola contro il suo maestro, men che meno allusioni di alcun tipo che potessero lederne la dignità. Si era alzata in piedi di scatto, pronta a lasciare quel luogo a lei divenuto ancora più sgradevole, per tornare nei quartieri femminili, per quel giorno si era già scocciata abbastanza. Era dunque riuscita ad uscire da quella che sembrava a tutti gli effetti una prigione senza sbarre nella quale era rimasta per chissà quanto tempo.

Si guardava attorno Anemos, mentre attraversava nuovamente i corridoi del terzo tempio per tornare alla luce del sole. Qualcosa di strano sembrava apparirle davanti agli occhi. Poteva dare l’impressione che quella fosse la stessa casa di sempre, il tempio dei Gemelli d’oro, ma qualcosa in lei le diceva che non lo era, non del tutto almeno. Era tutto così uguale ma al tempo stesso tutto diverso. Non ci aveva badato sul momento, non ne aveva praticamente avuto il tempo. Ora però, il dubbio che qualcosa non fosse al posto giusto iniziava a crescere nella sua mente ancora confusa e agitata dalla situazione spaventevole che l’aveva coinvolta e ancora non se ne sentiva al sicuro.

- Fermati! No, non puoi uscire di qui! – l’aveva raggiunta e bloccata l’uomo, era nuovamente a pochi passi dalla luce. L’aveva afferrata prima per un braccio, tirandola indietro per poi cingerle la vita e trascinarla dentro, al sicuro nelle ombre a lui familiari della casa. – Lasciami, lasciami ti ho detto! Chi diavolo sei tu per trattenermi contro la mia volontà? – urlava e si agitava convulsamente Anemos, per liberarsi di quel costrittivo abbraccio, troppo forte per lei, che la allontanava sempre più dalla libertà.

- Io … non sono nessuno … senza alcun valore. Solo una delle tante ombre di questa casa … - le aveva risposto l’uomo abbassando la testa e allentando la presa fino a lasciarla andare, consapevole del significato di quelle dolorose parole che per la prima volta aveva pronunciato a voce alta, rivolgendole a se stesso. Parole che da sempre la gente del Santuario gli ripeteva, che gli erano penetrate ormai in testa e tormentavano la sua mente. Che sempre più, col passare del tempo diventavano per lui veritiere. Parole tristi, pronunciate senza apparente emozione ma che erano arrivate a lei piene di amarezza e rassegnazione. Pesanti schiaffi che facevano più male di qualsiasi altra cosa. “Non vali niente”, “Non sei nessuno”, ci era cresciuta con quei duri giudizi che da sempre le erano piovuti addosso. Ed era arrivata anche a crederci, finché un giorno Kanon, non le aveva aperto gli occhi e dimostrato il contrario. – Avrai almeno un nome immagino – anche Anemos aveva abbassato la testa, per nascondere il dolore che stava provando nel ricordare il suo passato e per non mostrare ad altri la sua debolezza. Cercando di trattenere le lacrime che spingevano prepotenti per uscire libere e con voce contrita gli aveva posto quella domanda. – Deuteros -

- Deuteros … “secondo”. Anche tu non sei messo tanto bene con il nome. – Aveva abbozzato un lieve sorriso azzardando anche un pizzico di ironia per cercare di stemperare la tensione e l’imbarazzo che provava in quel momento, sotto lo sguardo perplesso dell’uomo. “Ma anche copia, replica… poteva significare” tutti valori negativi pensava Anemos mentre un cupo velo di tristezza continuava ad occupare la sua mente. – È colpa di questa cosa, vero? – Aveva allungato la mano Anemos, subito raggiunta e accompagnata in quel movimento dalla mano di Deuteros, a toccare quella maschera di cuoio e metallo che nascondeva parzialmente quel volto triste. Ora che i suoi occhi non erano più annebbiati dalla paura, la poteva osservare meglio.

Un ripugnante strumento di tortura era quella maschera. Un oggetto che inibiva lo spirito e la volontà della persona che lei aveva di fronte, che negava l’esistenza stessa della sfortunata persona legata ad essa. Ne aveva già viste altre di quelle “cose” in passato, alcuni esemplari incompleti erano conservati nei musei, altri invece, perlopiù disegni, nei libri di storia. Poco più che rimasugli di un’epoca buia, vergognosi resti della decadenza dell’uomo, sempre prodigo nella ricerca di nuovi modi per causare sofferenza ai suoi simili. Usanze fortunatamente abbandonate da lungo tempo al Santuario, così credeva. Quell’oggetto era così anacronistico per lei, non era possibile che potesse essere ancora in uso, non ce n’era motivo. Perché allora?
Adesso che guardava meglio Deuteros, poteva notare altri particolari che non riconosceva. C’era qualcosa di inusuale in quei semplici vestiti che l’uomo indossava, non era la solita tenuta da addestramento, quei vestiti non avevano nulla di familiare nella loro foggia. Ancora non era sicura, sogno o realtà che stesse vivendo in quel momento, tutto le appariva troppo strano.

- Ferma! Non toccare!

Ancora quella voce, inaspettata! E questa volta era risuonata imperiosa e tonante, amplificata dall’eco che la casa stessa produceva. Con uno scatto improvviso e rapace Aspros aveva ghermito il braccio di Anemos, allontanando quella mano che troppo curiosa e impertinente, aveva osato toccare la maschera costrittiva sul volto di Deuteros. Non si era mai allontanato Aspros, era rimasto lì, occultato nell’oscurità della sua stessa casa per tutto quel tempo. Era rimasto in attesa, ad osservare, ad ascoltare, a pianificare. A trarre qualsiasi tipo di vantaggio che quell’imprevista presenza materializzatasi sul suo cammino potesse offrirgli. Ad approfittare di quelle interessanti informazioni che il fratello con molta accortezza aveva carpito. Sembrava quasi che fosse stato il volere degli Dèi o semplicemente un loro capriccio, poco importava ad Aspros, di qualunque cosa si fosse trattato, lo avrebbe sfruttato!

Quell’improvvisa azione aveva fatto sobbalzare entrambi dalla sorpresa. Aspros si era avvicinato a loro rapidamente, senza che nessuno dei due avesse avuto il tempo di rendersene conto. Lo sguardo che aveva rivolto a lei era pieno di indignazione mentre le stringeva ancora il braccio, imprimendo in quella stretta, più forza del necessario, spingendola poi lontano da Deuteros. Forse in lui in quel momento c’era anche collera per il gesto irriguardoso compiuto verso il fratello. Spostando poi l’attenzione verso il fratello, un velo di compassione aveva preso ad offuscare il blu intenso, quasi oscuro, dei suoi occhi. – Lo sai che non puoi toglierla di fronte ad estranei vero? Non dovresti neanche avere contatti con altri. Mi spiace Deuteros, fratello mio, non è ancora il momento, ma presto vedrai, presto quel tempo arriverà e non dovrai più nasconderti. Tutti dovranno riconoscere i tuoi diritti, tutti sapranno quanto vali e potrai gridare al mondo che tu esisti! – Con una tenera carezza piena di affetto e con il suo volto ora tornato disteso e gentile, Aspros aveva posato la sua mano su quella maledetta maschera, a rassicurare il proprio gemello che con devozione assoluta accettava quel gesto e quelle parole che sapevano di promessa solenne.

Rivolgendosi poi nuovamente alla ragazza, l’espressione del viso di Aspros si era fatta più pensosa e distaccata ma manteneva una parte di quella gentilezza che poco prima aveva donato al fratello. – Ragazza! Sono stato a colloquio con il Sommo Sage, il Grande Sacerdote della Dea Atena. Sono stato incaricato dal Sacerdote, con la benedizione della Dea stessa, di occuparmi della tua situazione, visto che sei stata trovata ad aggirarti in questo tempio. – Aveva usato un tono conciliante e affabile Aspros, per tranquillizzare Anemos che pareva ora essere nuovamente tesa e nervosa, ma ascoltava con attenzione quelle parole. – Non mi sembri una normale apprendista, sei troppo grande per esserlo, né tantomeno hai l’aria di essere una serva. I tuoi abiti poi sono così inusuali e bizzarri, non mi è mai capitato di vederne altrove. E non certamente indosso ad una donna! – aveva aggiunto scettico mentre la squadrava da capo a piedi provocando il Anemos un fremito di nervosismo e imbarazzo.

- Te ne farò avere di più adatti, che non diano nell’occhio come questi che indossi, perché tu possa integrarti con gli altri qui al Santuario per il tempo che ti sarà concesso restare. Per ora rimarrai qui, nascosta. Deuteros, mio fratello, avrà cura di te. – Con fare quasi indifferente ma con un leggero sorriso, aveva ripreso Aspros dopo una breve pausa, stabilendo i termini del suo soggiorno prima di allontanarsi da loro. Nulla aveva potuto Anemos, rimasta sbalordita dalla presenza così dominante del cavaliere d’oro, per ribattere o accennare anche solo ad una timida protesta per quella situazione. La figura autoritaria di Aspros non aveva lasciato spazio a repliche di alcun genere, proprio come era solito fare Kanon, il suo maestro.

Era rimasta sbigottita anche da quell’inaspettato cambiamento della sua sorte, da potenziale prigioniera o peggio, perché questo aveva avuto timore potesse succederle, a quasi “ospite” anche se lontana dai sui alloggi. Ancora confusa e perplessa Anemos, era allo stesso tempo rimasta affascinata dalla mutevolezza della figura di Aspros. Quel repentino cambio di atteggiamento, prima aggressivo verso uno sconosciuto e protettivo verso il fratello, ed in seguito gentile, quasi premuroso, una volta che la situazione si era chiarita. Si era ritrovata davanti una persona decisa e determinata, perfino dura, ma che allo stesso tempo sapeva essere benevola.

Ora cominciava ad avere chiaro il contesto in cui sembrava essere finita, aveva avuto davanti a sé quella persona che si fregiava del titolo di cavaliere d’oro dei Gemelli, che ne indossava con orgoglio la sacra armatura e che all’inizio aveva erroneamente scambiato per il suo maestro. Iniziava a comprendere le differenze e le uguaglianze che esistevano fra i due uomini. Al di là dell’aspetto esteriore, del colore degli occhi e dei capelli che solo ora, con maggiore calma e serenità nell’animo notava davvero, aveva percepito la vera essenza di Aspros ed era così uguale a quella di Kanon. Non si era sbagliata da quel punto di vista. Ed anche se in quel momento le sembrava quasi di tradire il suo maestro, era disposta a riporre piena fiducia in quell’uomo e nel suo gemello, lei che nella sua vita aveva chiuso il suo cuore al mondo intero tranne a quell’unica persona, il suo venerato maestro Kanon.

Ora aveva avuto nuovamente la possibilità di trovare qualcun altro così. Aspros di Gemini, così altero, nobile, sicuro di sé, enigmatico, ammaliante anche nei modi bruschi con cui l’aveva trattata quella mattina in quel loro burrascoso incontro. Sì, era davvero così simile a com’era Kanon di Gemini quando l’aveva presa con sé come allieva, a come lo vedevano i suoi occhi devoti, il suo maestro, il suo tutto. Le aveva insegnato a difendersi, a combattere per un’ideale, ad avere rispetto per se stessa. Le aveva insegnato a vivere. Ora le mancava solamente di essere più indipendente. Ma forse per quello non era ancora pronta.

Diventava sempre più consapevole che quello non era il suo tempo e il suo Santuario e si stupì nel pensare che tutto sommato non le importava molto, nessuna preoccupazione all’ipotesi di poter tornare o meno al suo di Santuario, le era nata nella mente. Forse in qualche modo non le dispiaceva affatto essere lì, forse se ne sarebbe pentita più avanti. Forse avrebbe potuto ricominciare da capo, ma una certezza in lei c’era.

Sì! Ne era sempre più convinta, poteva affidarsi a lui.


“Presto sarà il tempo. Presto!” pensava Aspros con un leggero ghigno malevolo sul volto, uscendo e allontanandosi definitivamente dalla terza casa. Oscure nubi si stavano addensando sul Santuario, una tempesta era in arrivo annunciata da lampi accecanti e l’incombere di eventi sinistri, portatori di morte e disperazione.



   
 
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