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Autore: Lilla Wright    12/11/2011    6 recensioni
- Non ti lascerò mai –
- You’re my guiding light –
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro, altrimenti non sarei qui ma a Londra dove vorrei e

Disclaimer: I personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro, altrimenti non sarei qui ma a Londra dove vorrei essere da una vita <3

Chiedo scusa per eventuali errori di battitura o peggio di grammatica.

Buona lettura! :D

 

 

 

Per Matthew quella notte era troppo lunga.

Il cielo era scuro, senza il chiarore della luna che risplendeva alta nel cielo, e le stelle erano poche. Tirava un leggero venticello ma freddo, troppo per essere il mese di luglio, e le acque scure del lago rendevano quel paradisiaco luogo il set perfetto per un film dell’orrore. Quello che lui stesso stava vivendo.

Si era svegliato dopo un incubo, madido di sudore e con il respiro affannoso, cercando di scacciare dalla sua mente l’immagine del corpo di Dominic riverso in una stradina di quel buco di città, morto e con gli occhi verde-grigio ancora aperti, e involontariamente aveva allungato una mano sull’altra metà del letto matrimoniale, con il rimorso che presto avrebbe svegliato il compagno, ma toccando solo il candore del lenzuolo.

Era andato letteralmente nel panico. Dove diamine poteva essere andato? Moltrasio non era grande ma Dominic non la conosceva e sarebbe anche potuto arrivare al lago senza sapere come.

Poi qualcosa scattò nella mente di Matthew, un’immagine gli passò davanti agli occhi. Era quella del suo Dominic, con addosso una tuta logora, forse di quando era giovane, che nascondeva la magrezza disumana del suo corpo, i capelli secchi e indomati, la pelle di un bianco cadaverico e due profonde occhiaie a segnargli il viso. Il particolare più agghiacciante era il continuo sfregare dei denti gli uni contro gli altri, mentre con voce ferma gli diceva: “Matt, ne ho bisogno” e a cui lui rispondeva con un secco: “No!”.

Aveva capito tutto e, con il cuore in gola, andò verso il tavolino all’ingresso, dove tenevano le chiavi e il resto, prese il portafogli e, come aveva previsto, lo trovò vuoto, perfino delle monetine.

Sul momento gli era saltata addosso solo rabbia, tanta da scagliare il portafogli lontano e da prendere a pugni il muro, facendosi soltanto male. Era tornato a letto, pensando che se quel coglione voleva rovinarsi la vita lui non gliel’avrebbe impedito ma adesso, ancora sdraiato sul materasso, fissando quella piccola crepa sul soffitto, riusciva solo a capacitarsi di essere un deficiente a stare lì e non andare a cercarlo.

“.. This is the last time I’ll abandon you. This is the last time I’ll forget you. I wish I could..”

Canticchiò queste strofe con rammarico, ricordando che quelle parole le aveva scritte pensando a Dominic ma ora avrebbe dovuto rimangiarsele.

Lo stava abbandonando di nuovo.
Non avrebbe mai più cantato allo stesso modo quella canzone, non se avesse continuato a stare sdraiato sul quel fottuto letto senza cercare la persona che amava.

Si alzò di scatto e infilò i primi pantaloni che trovò, uscì di casa e iniziò a camminare per le buie vie di quel paese del lago di Como, senza veramente sapere dove andare. Per sua fortuna in Italia tutti i locali avevano l’abitudine di chiudere presto, tranne che nelle grandi città, così non avrebbe dovuto cercare in ogni angolo di Moltrasio ma comunque non sapeva da dove incominciare. Avrebbe potuto chiamare la polizia ma così facendo avrebbe solo fatto arrestare Dominic, se lo avessero trovato nello stato in cui Matthew era convinto che fosse.

In fondo non c’era molti luoghi dove cercare: in riva al lago o al parco giochi, luoghi perfetti per nascondersi a occhi indiscreti. Provò per primo al lago, così da quietare quel senso di oppressione a livello dello stomaco, un senso talmente forte da offuscargli anche la mente da qualsiasi pensiero positivo; il suo primo pensiero, infatti, fu di trovare Dominic annegato o sommerso dalle nere acque del lago.

Ringraziando il cielo non era successo niente di tutto ciò. Dominic non c’era, né appresso alla ringhiera né in riva al lago, e così Matthew poté tirare un sospiro di sollievo ma solo momentaneo, perché comunque non sapeva dove fosse il suo compagno.

Senza pensarci più di tanto fece dietro front e iniziò a camminare velocemente verso il parco giochi.

Ci aveva portato il ragazzo qualche giorno fa, senza un motivo preciso, forse per farlo rilassare un po’ e magari far prendere anche un po’ di colore alla pelle bianchissima. Si erano seduti su una panchina un po’ distante dai bambini che giocavano, in modo da non innervosire il biondo più del dovuto, non troppo contento di quell’uscita, e anche in modo da rimanere un po’ appartati in santa pace, senza fotografi o qualsiasi altra seccatura.

Non si dissero niente per mezz’ora, lasciando a Matthew il tempo di analizzare la figura del ragazzo seduto vicino a lui.

Dominic non era il più la persona che aveva conosciuto un giorno a Teignmouth. Non aveva più niente che esprimesse gioia e tranquillità e alla luce del sole la sua figura acquistava sempre più particolari inquietanti. I capelli biondi erano spenti, disordinati come mai, la pelle era secca, quasi squamosa come mostravano le chiazze che si potevano vedere sulle sue braccia, gli occhi tendevano a un grigio quasi innaturale e le occhiaie dominavano sul resto del viso bianco.

I vestiti larghi nascondevano un corpo che una volta era stato sodo e muscolo ma che adesso non era altro che ossa sporgenti e pelle tesa.

Difficilmente sorrideva, anzi non sorrideva affatto, chiuso in una teca di apatia che dimostrava con chiunque, Matthew compreso. Il più delle volte era irritato da qualcosa che neanche lui sapeva cosa fosse, ma quel mal contento lo accompagnava per tutta la giornata, riuscendo impossibile ogni qualsivoglia forma di conversazione. Solo ogni tanto si calmava, quando Matthew lo stringeva a sé e gli chiedeva implorante di smetterla; solo allora tornava quel biondino un po’ pazzo e intraprendente, che piano si avvicinava al compagno e gli dava un bacio, per poi riuscire ad addormentarsi stretto a lui, dopo tempo che non lo faceva, mosso dall’insonnia.

Dopo quel momento di contemplazione Dominic aveva stretto la mano a Matthew e gli aveva sorriso. Dal canto sul il moro rimase molto stupito da quel gesto ma se ne fregò altamente; ciò che importava in quel momento erano le loro mani unite e il volto radioso del biondo.

Non erano più tornati al parco giochi dopo quel giorno, un po’ per via di Matthew che ogni 3 giorni doveva tranquillizzare Chris, Tom e la famiglia Howard che entrambi stavano bene, nonostante molte volte mentiva spudoratamente per non far impensierire gli altri, e un po’ per via dello stesso Dominic che aveva ripreso con le sue crisi e i suoi momenti di depressione.

Per quanto ci girava intorno, Matthew non poteva negare: Dominic era un tossicodipendente.

Gli aveva fatto male ammetterlo ma non poteva negare l’evidenza. Perfino il più stolto degli uomini avrebbe capito il problema che affliggeva il ragazzo ma nessuno, a parte lui e pochi altri, sapevano il motivo di questa follia. L’unico rimpianto di Matthew fu di averlo spinto a fare cose che lo stesso Dominic non aveva voluto e che l’avevano portato a una lenta autodistruzione fisica e mentale.

Ricordava benissimo come il tutto era iniziato.

Quel giorno aveva percepito nell’aria qualcosa di negativo, non che fosse un mago o altro, ma sentiva che qualcosa non sarebbe andato per il verso giusto. Magari un cavetto mancante, magari la sua chitarra che non avrebbe suonato decentemente o magari un terremoto. Esagerate come previsione ma non riusciva a rimanere calmo.

Alla fine andò tutto come di norma, il loro show era stato grandioso e la folla sembrava non volerli più lasciare andare tanta era l’adrenalina che ancora avevano da spendere, ma prima o poi sarebbe dovuta finire e così finì, ma non con il solito festino dopo show ma con una corsa all’ospedale per un mancamento del signor Howard.

Dominic aveva invitato il padre al concerto e per tutto il giorno era andato in giro per il backstage pregando di non sbagliare, di fare come al solito un grande spettacolo, tutto questo senza degnare nessuno di alcuno sguardo. Solo nel pomeriggio lui e Matthew erano riusciti a ritagliarsi un po’ di tempo per stare assieme e, seppur fosse felice per il compagno, dopo un po’ che il biondo parlava spinto dall’euforia, il moro fu costretto a zittirlo con un bacio.

E poi, a notte inoltrata, si ritrovarono in quel freddo ospedale ad aspettare che qualcuno dicesse loro qualcosa. Chris sedeva su una delle scomode sedie di plastica, guardandosi in giro, mentre Matthew e Dominic erano in piedi, a fissare fuori dalla finestra il paesaggio scuro.

Per quanto il desiderio fosse forte, il cantante resistette all’impulso di parlargli, di distrarlo e di sdrammatizzare con qualche battutina la situazione perché sapeva che non sarebbe servito a niente. Conosceva l’affetto che il batterista provava per il padre e sapeva che era giusto lasciarlo ai suoi pensieri, non interferendo in quel momento di muta preghiera. Tutto ciò che fece fu di stringergli la mano, per dirgli che lui era lì.

Dopo quelle che parvero ore, finalmente diedero loro delle notizie, lasciando sottintendere nelle complicate spiegazioni del medico che il signor Howard non ce l’aveva fatta.

Da quel giorno il batterista dava sempre più segni di cedimento e spesso era come se ci fossero due personalità che albergavano in lui: la parte chiusa e triste, quella che non lasciava uscire niente e che mai si sarebbe rivelata al mondo, e la parte aggressiva, piena di rabbia repressa che esplodeva al minimo gesto involontario.

Fu per quella ragione che Matthew lo portò in Italia, pensando che fosse un modo per dare al compagno un minimo di spazio per tranquillizzarsi, senza persone che ogni minuto gli giravano attorno, e magari per vederlo sfogarsi. Da quando era successo, non aveva mai pianto.

Non fu quello a preoccupare il cantante le prime notti, bensì il fatto di trovarlo sempre sveglio e, man mano che i giorni passavano, vedere sotto i suoi occhi le occhiaie farsi spazio sul suo viso. Sapeva che Dominic soffriva di insonnia, specie dopo periodi di forte stress, ma dopo più di una settimana che non dormiva, Matthew non poteva più far finta di niente.

Fu allora commise il più grosso sbaglio della sua esistenza.

Senza dare a Dominic il tempo di controbattere, lo aveva spinto in macchina e portato dal suo medico di fiducia, un uomo abbastanza avanti con l’età che lasciava trapelare alcuni degli acciacchi tipici della vecchiaia ma che dimostrava ancora un gran senso pratico nel suo mestiere. Quando visitò il batterista gli fu subito chiaro quale fosse il problema e in pochi minuti diede disposizioni a Matthew su cosa avrebbe dovuto fare.

Quello che il dottore diede al cantante erano delle pastiglie, ma non di quelle che prendi per farti passare il mal di testa, piuttosto di quelle che si vedono nei film americani, piccole e di un colore tendente al rossastro.

Il medico gli disse che quelli erano dei farmaci da usare con moderazione, essendo degli antidepressivi molto efficaci, e che avrebbero inoltre permesso al ragazzo di dormire.

Dominic Howard morì nel momento in cui Matthew Bellamy lo costrinse con la forza e con l’inganno a ingoiare la prima pillola.

Da quel momento venne alla luce un essere che il cantante non riusciva più a definire il proprio fidanzato, se non in rari momenti. Era tutta colpa sua se si era creata quella situazione e ora ne stava pagando le conseguenze, anche se in minor misura rispetto a quelle che pativa Dominic in ogni momento.

Si strofinò gli occhi con forza, impedendo alle lacrime di uscire, e continuò a camminare verso la sua meta. Quando entrò al parco giochi sentì un cigolio proveniente dalla sua destra, un rumore sinistro paragonabile al sottofondo di una scena da film dell’orrore, come se quella notte niente e nessuno volesse dargli un po’ di pace mentale, e involontariamente un brivido gli percorse la schiena ma subito scacciato non appena appurato che il rumore era venuto da una vecchia altalena.

Camminò sul selciato del piccolo parco, rammaricandosi di non aver trovato il biondo neanche lì e, pronto ad andarsene, si girò verso l’uscita ma qualcosa riscosse la sua attenzione. Un lamento. Non nel senso esplicito della parola, quello era più un mugolio sommesso, una parola lasciata scappare con intenzione ma che subito dopo si cerca di fermare, facendone scaturire un piccolo suono, come un singhiozzo.

Matthew si avvicinò alla fonte del suono e seduto su una panchina, con le gambe raccolte al petto e la testa nascosta tra esse, trovò Dominic. Il primo impulso fu quello di correre verso di lui e abbracciarlo, gridargli addosso di essere un idiota, che l’aveva fatto preoccupare come non mai, ma la ragione gli impose di sedersi vicino al compagno e aspettare che fosse lui il primo a parlare.

Nessuno dei due fece alcuna mossa. Matthew sedeva composto sulla panca, il busto leggermente spostato verso sinistra e gli occhi azzurri fermi sulla figura accanto a sé mentre Dominic non accennava ad alzare il capo, lasciando che i raggi lunari illuminassero quella matassa secca che erano i suoi capelli.

Nessun suono fu udito, se non il vento che ogni tanto spostava quella vecchia altalena e faceva scrosciare le chiome degli alberi attorno a loro, ma poi, dopo essere rimasto in contemplazione per un po’, anche il sonoro sbuffo di Matthew si aggiunse a quella melodia di suoni freddi e stonati.

Fu allora che Dominic parlò.

- Sei venuto. Perché? –

- Non lo so sinceramente –

Ed era vero. Non sapeva con esattezza cosa l’avesse spinto ad andare a cercarlo o per meglio dire sapeva che non era solo per amore come aveva pensato fin dall’inizio; era anche un modo per riscattarsi dai precedenti errori e per questo si sentiva estremamente meschino.

- Puoi anche andartene allora, non ho bisogno di te –

Quelle parole gli fecero male, ma non per le parole stesse, più per il tono con cui erano state pronunciate, fredde e dirette, senza esitazione alcuna che potesse indicare una bugia.

La rabbia ormai era padrona del suo essere.

- Non hai bisogno di me eppure di quella fottuta merda ne hai sempre bisogno giusto? – esplose Matthew con tutta la sua collera e frustrazione accumulate durante la notte.

- Mi fa star bene – fu la semplice risposta del biondo.

- Perché?! Io non ti faccio stare bene?! –

Dominic non rispose a quella domanda, continuando a nascondere il viso tra il petto e le gambe. A Matthew ricordava tanto un bambino che aveva paura dell’uomo nero e che cercava di scacciarlo chiudendosi in sé stesso, e i sensi di colpa non tardarono ad arrivare, soprattutto quando nel silenzio assoluto del parco sentì i singhiozzi del compagno echeggiare.

- Dom.. Io.. – provò a dire il moro ma si interruppe subito, non sapendo cosa dire. Forse non esistevano parole per descrivere come si sentiva distrutto da quella situazione.

Poi Dominic alzò il viso e la poca luce che c’era illuminò i suoi occhi chiari e le guance percorse dalle lacrime.

- E’ proprio per stare bene con te che prendo quella roba – rivelò con la voce rotta dal pianto – Io.. vedo sempre una macchia nera intorno a me e mi sento solo, abbandonato. Mi sento chiuso in uno spazio infinito dove non posso fare altro che sfogare la rabbia e poi è troppo tardi. Solo dopo mi rendo conto di essermi sfogato sull’unica persona che mi aiuta e mi ama –

Si fermò un attimo, prendendo un profondo respiro ma senza staccare gli occhi da quelli dell’amante, i quali esprimevano una profonda sorpresa.

- Non riesco a vedere una luce, niente – continuò Dominic - Quando invece prendo le pillole tutto sparisce, rimane solo una sensazione di pace e di leggerezza d’animo di cui sento di aver bisogno. E ci sei tu –

Prese un altro respiro ma sta volta i suoi occhi si spostarono su un punto indefinito del parco e la sua voce si fece più grave, come se ad esprimere quell’ultimo concetto si vergognasse di sé stesso.

- Posso starti vicino senza sentire i sensi di colpa corrodermi per come ti tratto, riesco ad abbracciarti senza pensare che tutto ciò che tu fai sia per compassione, riesco a vederti dormire senza sentire l’impulso di strangolarti nel sonno. Riesco ad essere umano, o almeno avere una parvenza tale. E solo loro riescono a fare tutto questo –

I singhiozzi si erano fatti più intensi, scuotendo quel piccolo corpo chiuso in posizione fetale e Matthew lo fissava stralunato e spaventato allo stesso tempo.

Compassione? Strangolarlo nel sonno? Era questo che il suo compagno pensava di lui? Voleva ucciderlo per quello che gli aveva fatto? Credeva davvero che tutto quello che faceva lo faceva solo per compassione?!
Involontariamente il suo viso si contrasse in un piccolo sorriso di scherno a sé stesso. Pensandoci a mente fredda Dominic non aveva neanche tutti i torti; lui stesso si sarebbe ucciso per quello che aveva fatto e la compassione superava di gran lunga l’amore quando gli dimostrava affetto.

D’un tratto sentì un peso gravargli sulla spalla e poté distintamente percepire la sua maglietta bagnata dalle lacrime del compagno e le sue braccia stretta attorno al suo collo. Lo abbracciò con quanto più calore potesse, stringendolo a sé e posandogli dei piccoli baci tra i capelli, mentre sentiva i suoi singhiozzi farsi più forti, come la stretta della sua mano sul suo braccio.

Restarono in quella posizione per poco tempo, quel che bastava per permettere a Dominic di fermare il pianto e regolarizzare il respiro, poi il biondo puntò i suoi occhi verde-grigio in quelli del compagno e, senza attendere alcun segno, lo baciò.

Non era un bacio vero e proprio, solo un leggero sfiorar di labbra per ritrovare un calore e una morbidezza che entrambi avevano dimenticato e per sentire di nuovo quella fiammella di passione da tempo estinta ardere di nuovo vicino al cuore.

Quando si staccarono, Matthew sentì qualcosa posarsi sulla sua mano e, senza pensarci, distolse lo sguardo da quello del fidanzato per vedere cosa fosse. Aveva in mano una bustina bianca con all’interno, a occhio e croce, 50 pillole di colori diversi, che andavano dal rosso sangue al blu intenso.

Cercò di nuovo gli occhi chiari di Dominic ma al posto di due occhi colpevoli, come aveva pensato di trovare, trovò solo due piccole pietre verdi luccicanti di lacrime, scuse e tanta vergogna.

- Aiutami, ti prego – lo supplicò con un filo di voce, prima che le lacrime facessero capolino ancora sulle sue guance.

Matthew lo avvicinò a sé, facendo cozzare le loro fronti e con la mano, dolcemente, spazzò via quelle piccole gemme salate dal viso di Dominic. Tenevano entrambi gli occhi chiusi, bastava sentire il respiro caldo dell’altro scontrasi con il proprio per avere la consapevolezza che nessuno dei due avrebbe abbandonato il compagno e la sensazione di tranquillità aumentava, tanto che il biondo si sporse di più verso quella mano posata sulla sua guancia, cercando un calore maggiore.

- Te lo prometto Dom – sospirò il moro, continuando ad accarezzare la pelle del suo amante – Quanto è vero che ti amo da morire, ne usciremo da questa storia, insieme. Non ti lascerò mai –

- You’re my guiding light – disse il biondo prima di posare ancora le sue labbra su quelle della persona amata, questa volta in un bacio più audace e carico di passione.

 

 

 

 

 

 

Probabilmente molti si staranno chiedendo cos’è sta cosa :D
E’ una shot che scrissi più di un anno fa, in un momento non proprio bellissimo, e ritrovandola mi sono detta che la volevo pubblicare, perché un po’ ci tengo, nonostante non sia il massimo dell’allegria.
Una cosa: il finale non ha una fine precisa, così come il sogno che feci e che mi ispirò questa storia. Vi lascio liberi di pensare quello che volete: un bel finale felice o un finale angst :D
Ovviamente siete liberi di dirmi qualsiasi cosa che vi passa nella testa, se volete. Ogni qualsivoglia tipo di recensione è ben accetta ^^
Thank you!

Lilla xD

 

 

   
 
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