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Autore: Rota    13/11/2011    5 recensioni
Lui, lì, in realtà non voleva neanche andarci.
La biblioteca era un luogo freddo e buio, così piena di scaffali e mobiletti da sembrare alla sua mente semplicistica una specie di grande labirinto mangia-tutto. Aveva sentito, a tal proposito, proprio Gilbert borbottare la strana storia di un povero sventurato che si era perso alla ricerca di un libro e che più non era tornato indietro. Aveva anche aggiunto che i telegiornali non avevano dato la notizia perché il Preside della scuola aveva quel poco di potere all’interno della comunità da insabbiare ogni cosa velocemente.
Certo, se la mente di Alfred fosse stata appena un poco più sveglia e se la sua suggestione non così particolarmente imponente, avrebbe anche notato come Francis e Antonio, inseparabili del tedesco, avessero sghignazzato per tutto il tempo, rubando così ogni credibilità al racconto.

[Terza classificata al contest indetto sul forum di EFP da roro e Emiko "I was born to tell you I love you"]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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king lear 1 Titolo: King Lear
Nickname: Rota
Personaggi: Alfred F. Jones (America), Arthur Kirkland (UK), Matthew Williams (Canada), Un po’ tutti
Avvertimenti: Yaoi, AU, What if…?, Lime
Generi: Introspettivo, Romantico, Sentimentale
Rating: Arancione
Dedica: Vorrei dedicare "questa cosa" a una persona in particolare, che sicuramente apprezza il pair più di me (L) A KikiWhiteFly (L)
Note pre contest: Shakespeare mi ha aiutato molto nella stesura di questo testo. Le giudici sanno quanto sia stato travagliato, e non ho voglia di spiegarlo per l’ennesima volta. Dico solo che, quasi per errore o scherzo del destino, tutto quello che sono riuscita a scrivere mi piace.
Non amo particolarmente l’UsUk, è un pair come un altro ai miei occhi. Questo contest era una sfida contro me stessa, per dimostrare di essere in grado di fare una fanfic degna di questo nome anche su un pair non eccessivamente gradito.
Re Lear è una delle mie tragedie preferite, ma questo non significa che la mia fanfic è angst, anzi (L) Ogni informazione da me presa sul football americano è stata ricavata dalla santa, santissima wikipedia (L) Come fonte, ho praticamente solo quella XD Mi pareva carino integrare il tutto con questo particolare, per me ha dato più verosimiglianza alla fanfic e alla sua trama (L) Dopo, naturalmente, saranno le giudici a giudicare se ho fatto bene (L)
Cos’è il Re Lear, per i profani? Molto semplicemente, è lo scontro tra un ipotetico “mondo vecchio”, raffigurato dal Re, e uno “nuovo”, raffigurato dalle figlie, oltre che la lotta tra il bene e il male e molti altri temi minori, quali il rapporto padre- figli. Questi due mondi, nella mia fanfic, sono rappresentati da Alfred da una parte e Arthur dall’altra, il cui modo di vivere nulla ha di pienamente giusto e nulla ha di pienamente sbagliato. Sul campo del confronto la mia fanfic si staglia.
Note post contest: Questa fanfic ha partecipato al contest dedicato esclusivamente e specialmente all'UsUk indetto sul forum di EFP da Roro e Emiko, classificandosi addirittura terza - vedete il bellissimo banner lì sotto? Ecco (L)
In realtà non avrei molto da dire a riguardo, solamente che questa è la mia 50° fanfic all'interno del fandom ed è una UsUk. Questo lo ripeterò fino alla morte, temo XD
Penso di aver superato la prova che avevo con me stessa, il risultato che ho ottenuto mi piace e ne sono largamente soddisfatta. Persino le giudici, pur con qualche riserva, mi hanno fatto i complimenti in tal merito, e siccome ritengo che il loro giudizio su tale coppia sia sicuramente più valido del mio per me significa qualcosa. Dopotutto, sono felice (L)
Ora non mi resta da far altro che vedere se piace anche al mio pubblico *-*
Mi rimetto a voi lettori (L) Vi prego solamente di proseguire da qui in avanti con benevolenza.
Buona lettura (L)

 



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"I was born to tell you I love you"




 

King Lear
**1. Thou think’st ‘tis much that this contentious storm invades us to the skin**

 



 

Lui, lì, in realtà non voleva neanche andarci.
La biblioteca era un luogo freddo e buio, così piena di scaffali e mobiletti da sembrare alla sua mente semplicistica una specie di grande labirinto mangia-tutto. Aveva sentito, a tal proposito, proprio Gilbert borbottare la strana storia di un povero sventurato che si era perso alla ricerca di un libro e che più non era tornato indietro. Aveva anche aggiunto che i telegiornali non avevano dato la notizia perché il Preside della scuola aveva quel poco di potere all’interno della comunità da insabbiare ogni cosa velocemente.
Certo, se la mente di Alfred fosse stata appena un poco più sveglia e se la sua suggestione non così particolarmente imponente, avrebbe anche notato come Francis e Antonio, inseparabili del tedesco, avessero sghignazzato per tutto il tempo, rubando così ogni credibilità al racconto.
Ma lui era Alfred F. Jones e se era in grado di compiere l’intera lunghezza di un campo da football, con tanto di pallone in mano, nel minor tempo di tutta quanta la contea, era anche in grado di credere ad una assai ridicola e poco logica storia stramba su fantasmi e mostri simili. D’altronde, questa era una delle caratteristiche per cui lui era così ben voluto all’interno della scuola – perché sicuramente essere tronfio e megalomane non l’aveva mai aiutato nei rapporti sociali.
In più, si era in mezzo Ivan Braginski, quell’odioso e sporco comunista. Alfred una sola volta si era preso la briga di prenderlo in giro perché ballava su un palco invece che fare a botte in strada come tutti i maschi sani e si era ritrovato non più di cinque secondi dopo con la faccia dolorante spalmata contro il primo duro muro. Non aveva mai rinunciato, da allora, ad un’occasione per entrare in conflitto con lui ma sicuramente aveva preso le debite distanze.
Quell’infido essere gli aveva sbattuto sul naso la sua indubbia e superiore capacità intellettiva, recitando a memoria un passo della sua amatissima e raffinatissima letteratura russa. In lingua, giusto perché così Alfred non aveva potuto far altro che guardarlo con quella faccia da ebete che sfoggiava ogni volta che era indeciso tra la sorpresa e il disgusto. E come ogni europeo che si rispetti, il russo gli aveva imputato – sorridendo come se fosse la cosa più naturale e quindi innocente del mondo – non solo di non conoscere un minimo di letteratura mondiale basilare, ma neanche di sapere cosa diamine significasse la parola in sé.
Quindi Alfred si era impuntato, aveva aperto per la prima volta in vita sua il libro di letteratura inglese, assolutamente a caso, e aveva letto il primo nome in grassetto che vi aveva trovato.
William Shakespeare.
Gli era suonato abbastanza familiare, con un briciolo di sforzo si era anche ricordato il perché: la recita scolastica di fine anno appena passata era su una commedia di quel tale, se non ricordava male, ed era piena di fate, asini e persone pazze – si era divertito come un matto ad andare a vedere Ivan che interpretava il Re delle Fate, lo aveva trovato estremamente spassoso.
Trovava un po’ meno spassoso il fatto che, per ripicca, aveva praticamente detto a mezza scuola che avrebbe imparato a memoria e avrebbe compreso, anche, metà delle sue opere. Dopo aveva ritrattato, saggiamente, con una, e la più magnifica.
Si era reso conto del guaio in cui si era cacciato solamente perché il suo pio fratello gli aveva fatto notare quanto il signor Shakespeare avesse scritto, tra commedie e tragedie. Era sempre stato Matt a indicargli alcuni nomi illustri tra i quali scegliere, scartando opere minori che il suo gusto proprio non apprezzava.
“Riccardo III” e “La tempesta” furono i primi a essere consigliati, ma Alfred li rifiutò con una semplice smorfia molto eloquente del viso – quando voleva, quel ragazzo sapeva essere particolarmente diretto.
“Macbeth” fu presentato dal fratello con grande entusiasmo, ma quando gli disse che c’erano anche delle streghe lo vide incupirsi all’istante, e desistette.
“Romeo e Giulietta” non lo propose neanche, “Otello” parlava di un’emozione che Alfred non aveva mai davvero provato e quindi gli sarebbe stato impossibile capirlo appieno.
Provò con “Il mercante di Venezia”, però Alfred si accorse come il protagonista principale della vicenda fosse una donna e lui di questioni di fanciulle non ne voleva proprio sapere.
Fu un lampo di interesse che risolse ogni ricerca quasi all’istante. Alfred vide per caso un titolo inserito nell’elenco delle tragedie e ne fu subito attratto. Gli sembrava coerente con la sua vincente persona e quando seppe che non aveva quel contesto storico attorno da risultargli incomprensibile ne fu solamente più felice.
Aveva deciso.
Il problema, però, era di andare a recuperare il testo, che era appunto in biblioteca; neppure Matt che era un secchione teneva testi teatrali in casa, preferendo altri scrittori e altri autori più moderni. Alfred gli aveva chiesto di fargli quel piacere, perché lui nella bocca del mostro non ci voleva proprio andare. E probabilmente Matt lo avrebbe anche accontentato, pur trovando ridicola tutta la faccenda, se solo non si fosse ritrovato talmente oberato di impegni, quasi tutti all’improvviso – maledetto lui che frequentava mille e più corsi scolastici – e quindi con neppure cinque minuti liberi.
Dopo essersi fatto violenza da solo, Alfred si era convinto ad andare.
In quel preciso momento vagava per gli scaffali alla ricerca di qualcosa. Perché, pur essendoci passato davanti, persino più di una volta, nella follia della sua totale mancanza di orientamento, non gli era balzato in mente di chiedere informazioni alla bibliotecaria della scuola, che ogni tanto lo guardava perplessa e poi tornava ai suoi cruciverba.
Si era trovato a vagare per nomi strani, ogni tanto sbirciava i titoli messi in verticale, l’uno di fianco all’altro, e cercava in alto qualche cartello che potesse aiutarlo, più o meno con la stessa logica con cui si sarebbe mosso in un super mercato.
Quando fece l’ennesimo tentativo e sbirciò la copertina di un libro dalle tinte scure, lesse una cosa assurda come “Asimov” e si ritrasse sconsolato, senza più speranza in corpo. Percorse qualche altro scaffale, senza più darsi la briga di sbirciare. Vide all’improvviso la porta di servizio, un’uscita di emergenza con tanto di lucetta verde piazzata proprio sopra lo stipite. Tanto valeva prendere quella ed allontanarsi in fretta: sarebbe tornato successivamente e avrebbe ritentato.
Lo fermò una voce, una voce che si stava schiarendo e stava evidentemente prendendo fiato. Si illuminò, a quel punto, scorgendo in questo sconosciuto una possibile fonte di salvezza. Magari era uno di quegli sfigati che passavano più tempo sui libri piuttosto che rincorrere le ragazze, o magari un secchione come suo fratello che aveva imparato a memoria la cartina di quel luogo. Titubò solo al pensiero che fosse il fantasma tanto temuto, ma nel sentire una voce umana, seppur non esattamente comprensibile, decise che valeva la pena rischiare.
Lui era Alfred F. Jones dopotutto, e non poteva avere paura.
Seguendo quella voce, cercò di farsi strada attraverso gli scaffali. Si fermava quando quella prendeva delle pause, si muoveva più velocemente quando quella recitava: riconobbe l’intonazione d’istinto.
Alla fine arrivò a destinazione.
Era nell’area bambini – la scuola contava anche scuole inferiori medie ed elementari, per cui di bambini ce n’erano parecchi in giro – lo poteva capire dal tappeto di spugna colorato che stava per terra e la quantità assurda di cuscini che c’erano, gli scaffali bassi e le copertine dei libretti così accattivanti. Era anche l’unico luogo della biblioteca ad avere una finestra così grande e luminosa, dalle tende gialle e dal piccolo balcone con le sbarre.
Proprio sulla finestra, stava un ragazzo con un libro in mano, la voce limpida e profonda che ancora recitava – sembrava perso in quelle parole, senza dare credito ad altro se non alla loro bellezza.

 
Thou think’st ‘tis much that this contentious storm
Invades us to the skin: so ‘tis to thee;
But where the greater malady is fix’d,
The lesser is scarce felt. Thou’ldst shun a bear;
But if thy flight lay toward the roaring sea,
Thou’ldst meet the bear I’th’mouth. Where the mind’s free
The body’s delicate; this tempest in my mind
Doth from my senses take all feeling else
Save what beats there – filial ingratitude!(1)

 

Alfred non seppe mai dire se fosse rimasto più sorpreso dalla scena in sé, dalle parole recitate o proprio dalla voce che le stava recitando – il ragazzo nella sua fattispecie.
Però rimase immobile, finché quello non si accorse di avere inaspettato pubblico e con un gesto brusco e seccato chiuse di colpo il libro e si rivolse ad Alfred.
La sua voce, lontana dalle melodie di prima, divenne piena di rimprovero e molto più simile al gracchiare nervoso di un corvo.
-Cosa vuoi?-
Alfred si risvegliò dal suo momentaneo letargo, e lamentoso rispose all’altro, avvicinandosi di qualche passo.
-Sto cercando la sezione di letteratura inglese, ma questo posto è un vero labirinto! Mi sono perso!-
Il ragazzo lo guardò circospetto e sospettoso, chiedendosi intimante cosa ci facesse una persona del genere in una biblioteca. Sapeva di fama chi egli fosse, e sempre per fama sapeva anche quanto l’altro fosse restio a mettere piede in luoghi come quello.
Alfred, mentre l’altro lo osservava, poté tranquillamente notare alcuni particolari che si prodigò di commentare subito.
-Che ciglia folte che hai! Ma non ti cadono giù?-
Arthur Kirkland, più orgoglio inglese che contegno, lo guardò ancora più male di prima e con l’esplicito intento di levarselo di torno il prima possibile gli fece un’altra domanda secca.
-Che compito ti hanno assegnato?-
Alfred divenne tronfio di colpo, perché davvero non aveva inteso la poca stima che Arthur aveva messo nel tono col quale si era rivolto a lui – o forse gli era talmente poco credibile essere poco considerato che lo escludeva a priori.
Un passetto in avanti e le braccia che si aprivano, in segno di vittoria.
-Nessun compito, sono qui di mia iniziativa!-
Ovviamente Arthur non diede peso a quello. E se forse una piccola parte di lui lo fece, venne strozzata sul nascere dal forte cinismo dell’altra, tanto che nel cervello del ragazzo non comparì neanche l’opzione.
Sospirò con pesantezza, prendendo il libro con una mano e avvicinandosi a lui con aria stanca.
-Dimmi che cosa cerchi e ti aiuterò ad andartene il più velocemente da qui!-
Si incamminarono assieme verso destra, Arthur sapeva con esattezza dove dirigere il passo e Alfred gli trottava dietro pieno di fiducia: qualcosa andava per il verso giusto!
-Grazie! Cerco un’opera di un certo Shakespeare…-
Voltarono a destra dopo aver percorso lo scaffale di letteratura spagnola, sezione europea. Si allungò accanto a loro lo scaffale di letteratura francese, mentre dall’altra parte c’era ancora uno squarcio di letteratura dell’America Latina.
-Tragedia o commedia?-
Alfred si fece pensieroso, perché a malapena ricordava la differenza.
Ah, sì, nella tragedia morivano tutti, nella commedia normalmente no.
-Penso tragedia… Sì, sì, è proprio una tragedia!-
-Sai almeno il titolo oppure tiri a indovinare anche quello?-
-Era il nome di un re…-
-Un re, hai detto?-
-Sì… Oh, ora mi ricordo! Il titolo era “Re Lear”! Sai dov’è?-
A quel punto erano arrivati a destinazione, a quel punto Arthur si fermò nel bel mezzo del corridoio.
Guardò Alfred con aria di sufficienza, come se si fosse all’improvviso reso conto di trovarsi di fronte un completo deficiente.
Ad Alfred non piacque proprio per niente una cosa simile, specie perché rovinò in un sol colpo tutta l’atmosfera allegra che si era creata. Almeno, lui l’aveva percepita così.
-Non capiresti proprio nulla del “Re Lear”! Perché hai scelto un testo simile?-
Lo guardò male di rimando, perché istintivamente si sentiva minacciato nell’orgoglio. Era la stessa, identica sensazione spiacevole che provava ogni volta che si confrontava con Ivan – come se dovesse, sempre e comunque, rendere conto a qualcuno di quello che era e di quello che non era.
Lui era un giocatore di football, dannazione, non un premio nobel.
-Parla di un Re, è ovvio!-
Arthur guardò distrattamente lo scaffale al suo fianco e ne prese un volumetto piccolo e dalla copertina bisunta, porgendoglielo.
-Anche “Enrico V” parla di un re! Perché non prendi questo?-
Alfred fece un passo indietro, guardando l’oggetto come a volerlo incenerire con il solo sguardo. Era arrabbiato e la sua irritazione non fece altro che farlo impuntare sul suo obiettivo ancora di più.
A costo di sembrare ancora più stupido.
-Non mi piace la storia, preferisco Lear!-
Dopo qualche secondo di silenzio, Arthur sospirò ancora e ripose il volume che aveva preso al suo posto.
Porse il libro che aveva precedentemente in mano all’altro, sfoggiando di nuovo la stessa espressione di sufficienza di prima. Sembrava più infastidito dalla momentanea perdita del testo che dalle parole di Alfred – come se non si aspettasse proprio nulla, da tutto quello.
-Ecco qua… divertiti. Almeno cerca di non rovinare il libro…-
Senza neanche ringraziare o sorridere, Alfred si girò e andò via, pieno di rabbia, con l’intento di non tornare proprio mai più in quel luogo e con il fortissimo desiderio di non rivedere mai più quella persona.
Tra l’altro, non gli aveva neanche chiesto il suo nome.
   
 
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