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Autore: Biohazard    14/11/2011    4 recensioni
Durante lo scoppio dell'epidemia, una ragazzina riesce ad arrivare miracolosamente indenne all'R.P.D. Come ha fatto Sherry Birkin a sopravvivere? Questa è la mia versione dei fatti.
Partecipa al conconrso [Is there someone who knows this fandom] di Ivola.
Genere: Avventura, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer 1: Mi sono sempre chiesta come avesse fatto Sherry Birkin a sopravvivere durante lo scoppio dell’epidemia e questa è mia via visione di come sono andati i fatti ^^ Vi auguro buona lettura!

Disclaimer 2: I personaggi del gioco di Resident Evil e del loro universo appartengono ai rispettivi proprietari. Di conseguenza non posseggo nulla e il racconto non ha scopo di lucro.

 

 

 

The Last Escape

 

 

 

 

“[…]Then they summoned me over to join in with them
To the dance of the dead
Into the circle of fire I followed them
Into the middle I was led”

(Deance of Death – Iron Maiden)

 

 

22 Settembre 1998 – Raccon City

 

 

 

Sherry Birkin ascoltava l’insegnante, mentre spiegava il Teorema di Pitagora alla lavagna. Matematica non le piaceva particolarmente, ma non aveva mai avuto difficoltà né a capire le spiegazioni, né a fare gli esercizi; si poteva dire che avesse una certa predisposizione per la materia.

Prese la matita e il piccolo righello dall’astuccio e disegnò un triangolo rettangolo, seguendo con attenzione la traccia dei quadretti.

Le piaceva che il quaderno fosse preciso ed ordinato, proprio come si addiceva ad una brava alunna. Guardò di nuovo la lavagna per seguire il disegno fatto dalla professoressa.

Una volta terminato, fissò soddisfatta il suo lavoro.

La Sig. Corbin continuava a parlare, ma Sherry sentì l’attenzione scemare.

Il suo sguardo prese a vagare per la classe decimata: più della metà dei suoi compagni aveva smesso di venire a scuola, persino Jenny, la sua migliore amica.

Da dieci giorni a quella parte, infatti, Raccoon City era stata investita da un’altra serie di brutali omicidi e in tv, sui giornali e alla radio non si parlava d’altro. All’inizio, sembravano casi isolati, ma poi la scia di sangue non aveva fatto altro che allungarsi e lo spettro di ciò che era accaduto soltanto due mesi prima sui monti Arklay era tornato a terrorizzare la città.

Le aggressioni, al momento, erano limitate in periferia, ma due giorni prima tre individui avevano aggredito di punto in bianco una donna in pieno centro, dilaniandola a morsi. In molti avevano parlato di un male incurabile, altri, invece, dicevano che si stava scatenando l’Apocalisse.

La polizia cercava di fare il possibile, ma le vittime continuavano ad aumentare.

Persone che aggredivano altre persone, senza apparente motivo, spinte soltanto da un’insaziabile furia assassina.

In questo clima di terrore, i genitori preferivano che i figli non uscissero di casa. Nemmeno per andare a scuola.

A Sherry il problema non si era posto, visto che non aveva notizie dei suoi genitori da qualche giorno e Jacqueline - o come preferiva chiamarla Sherry, Jacky - la sua tutrice, aveva disposto che fosse accompagnata a scuola da una scorta.

In qualunque bambino, la situazione avrebbe suscitato paura o tristezza, ma fin dalla nascita Sherry aveva sempre vissuto così: i suoi genitori sembravano solamente un’ombra nella sua vita, onnipresenti ovunque, ma allo stesso tempo, irraggiungibili.

Non che non le volessero bene, semplicemente erano troppo impegnati nel loro lavoro e, se quella situazione sembrava inconcepibile agli occhi di insegnanti e genitori, per Sherry Birkin rappresentava la normalità.

Proprio per questo motivo rimase stupita, quando a metà lezione, entrò la direttrice, la Sig. Deaver, per dirle che sua madre voleva parlarle urgentemente al telefono.

Sentì lo sguardo dei suoi pochi compagni concentrarsi su di lei, mentre si alzava sconcertata. Affrettò il passo uscendo dall’aula.

La direttrice fece di tutto per mantenere un’espressione tranquilla, ma Sherry riuscì a cogliere ugualmente piccoli gesti di ansia mal celata. Aspettò che la porta dell’aula si fosse richiusa, prima di chiedere cosa fosse successo.

“Non lo so cara. Tua madre mi sembrava veramente molto agitata. Ho cerato di farmi dire qualcosa, ma è stata irremovibile. Ha detto che vuole parlare solo con te.”

Sherry sentì la paura crescere dentro di lei. Che fosse successo qualcosa di brutto?

Seguì la direttrice lungo i corridoi colorati e tempestati di disegni. L’unico rumore, a parte i brusii provenienti dalle aule, erano i tacchi della Sig. Deaver, contro il pavimento liscio del parquet. A Sherry sembrava che facessero un rumore infernale.

Non aveva mai visto sua madre indossare un paio di scarpe eleganti; nella maggior parte dei suoi ricordi, la figura di Annette Birkin era sempre avvolta da un camice bianco da laboratorio.

Entrarono nell’ufficio ben arredato e, senza aspettare il consenso della direttrice, Sherry afferrò la cornetta.

“Mamma?” disse incerta.

“Sherry, ascoltami attentamente” il tono di voce era frettoloso “una macchina si trova già fuori dalla scuola, devi andare a casa e prendere il ciondolo che ti ho regalato”.

“Sì, ma perché?” domandò la bambina. Adesso, cominciava veramente ad essere spaventata; non aveva mai sentito sua madre tanto agitata.

“Ora non posso spiegarti, ma una volta preso il ciondolo, devi andare alla stazione di Polizia, sarà molto più sicuro. L’ospedale è sotto assedio e tra poco le aggressioni si espanderanno anche in centro. Devi andare via da lì!” concluse la donna.

“Ho capito mamma” rispose docile la bimba, poi aggiunse con un filo di voce “Papà sta bene?”

Silenzio.

Annette non rispose; si sentiva solo il suo respiro affannoso al di là della cornetta.

“Mamma?” domandò di nuovo la bambina con voce incrinata. Si sentiva sull’orlo delle lacrime.

“Sì, tesoro, papà sta bene.” rispose in fine sua madre, anche se dal tono di voce non sembrava molto convinta delle sue parole “Vai alla stazione di Polizia. Ti verremo a prendere il prima possibile. Adesso passami la Sig. Deaver”.

 

 

 

Il grande SUV nero sfrecciava lungo le strade della città. In più punti avevano incontrato diversi posti di blocco, che li avevano costretti a cambiare strada e ad allungare il tragitto. Tutta la zona del distretto North Raccoon e di Huntingon Acres era sigillata ed avevano esteso il cordone di controllo anche alle zone limitrofe. Non era possibile andare oltre la strada principale, Raccoon Street, collegata al ponte di Raven’s Gate che portava fuori città. Sherry abitava lungo Bond Street, vicino allo Zoo cittadino. La strada era parallela a Raccon Street e, di conseguenza, era piuttosto complicato arrivarci.

Adesso erano bloccati lungo Etna Street e stavano procedendo a passo d’uomo; la via era colma di persone che cercavano di allontanarsi il più possibile e di poliziotti che incitavano i cittadini a mantenere la calma.

L’uomo al volante imprecò sottovoce, aprì appena il finestrino e si accese nervosamente una sigaretta; Sherry non lo conosceva, ma sulla giacca aveva appeso un cartellino d’identificazione con il logo della Umbrella, la ditta per cui lavoravano i suoi genitori. Quando era uscita da scuola, l’uomo si era limitato ad aprirle la portiera della macchina e non aveva proferito parola, se non fino a qualche secondo prima. In un'altra situazione, gli avrebbe chiesto di non fumare, tuttavia quello era l’ultimo dei suoi pensieri al momento. Continuava a ripensare alla telefonata di sua madre e non poteva fare a meno di sentirsi in apprensione. Non vedeva l’ora di arrivare a casa per buttarsi nel caldo abbraccio di Jacky. Sperava vivamente che stesse bene, erano solo tre ore che non la vedeva, ma con tutto quello che stava accadendo, le sembravano giorni. Era sicura che sarebbe riuscita a sollevarle il morale e a rassicurarla.

Poi, accadde tutto in un attimo, senza alcun preavviso: una serie di spari, grida di terrore, un clacson impazzito e uno schianto. Sherry urlò, mentre un’altra macchina, lanciata a tutta velocità, centrava in pieno la parte anteriore del SUV, facendolo ribaltare su un fianco: le lamiere stridettero sull’asfalto e i vetri dell’auto andarono in frantumi.

Quando Sherry aprì gli occhi, la prima cosa che percepì fu parecchio dolore. Portò una manina tremante verso la fronte percependo un rivolo di sangue scorrerle lungo la tempia; aveva un taglio sulla fronte, ma non sembrava particolarmente profondo. Per il resto era miracolosamente illesa. Sentiva lo stomaco sottosopra dalla paura e dallo shock. Con un gesto impacciato, cercò la sicura della cintura e si sganciò. Mantenne l’equilibrio reggendosi ai poggiatesta in pelle beige dei seggiolini anteriori. Lanciò uno sguardo all’uomo seduto al posto di guida: aveva il cranio fracassato. Emise un gemito d’orrore, sentendo lacrime di disperazione pizzicarle gli angoli degli occhi. Udì altri spari provenire da molto vicino e sirene della polizia. Facendo attenzione a dove metteva i piedi, uscì facilmente dall’auto attraverso il finestrino rotto.

Intorno a lei regnava il caos.

Sherry pensò di essere sprofondata nel peggiore degli incubi, voleva svegliarsi, ma quella che aveva davanti era solo l’orribile realtà. I poliziotti stavano sparando contro un gruppo di persone, erano circa una trentina, solo che non potevano essere umani, assomigliavano più a mostri famelici. Avanzavano con passo lento e ciondolante, emettendo singulti e suoni sommessi. Era un lamento lugubre, che fece drizzare a Sherry i capelli dalla paura. Gi agenti continuavano a sparare, ma sembravano essere inarrestabili. Alcuni mostri cadevano a terra, colpiti dai proiettili, ma si rialzavano senza alcun problema, continuando la loro lenta avanzata.

“Dobbiamo ritirarci!” gridò uno dei poliziotti ai compagni.

Un urlo disumano si alzò al di sopra del frastuono, Sherry gridò a sua volta dal terrore, non aveva mai sentito nulla di così spaventoso: uno dei mostri aveva afferrato un uomo e gli si era scaraventato addosso, mentre altre creature si avvicinavano con sguardo famelico al malcapitato. Si gettarono sulla preda come un branco di lupi. In preda all’orrore Sherry fece l’unica cosa sensata e cominciò a correre. La paura le stava mettendo le ali ai piedi, non sentiva più nemmeno il dolore alla testa.

“Devo arrivare a casa” continuava a ripetersi come un mantra.

Poco lontano un uomo farneticava urlando frasi apocalittiche “Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla terra!”(1). La ragazzina continuò a correre, percorrendo vie secondarie e, dopo quella che le parve un’eternità, scorse in lontananza casa sua. Le sembrava un raggio di sole in una notte buia di cui non riusciva a scorgere la fine. La vedeva chiaramente: il giardino, i muri bianchi, il tetto di un bel verde cupo. Si fermò un secondo tirando un sospiro di sollievo, con l’adrenalina che cominciava a dissiparsi. I muscoli cominciarono a rilassarsi, scaricando la tensione, al punto che, reggendosi allo steccato, Sherry vomitò. Il sapore della bile era disgustoso, si sentiva stanca e desiderava raggiungere casa il prima possibile, per questo riprese a correre. Tuttavia non poté fare a meno di notare che la strada era completamente deserta, non c’era nessuno. Non era un buon segno.

Arrivò davanti all’ingresso con il cuore in gola, si appoggiò alla porta per cercare di riprendere fiato, ma questa cedette sotto il suo peso. La ragazzina ricadde malamente atterra; le ci volle qualche secondo per capire cosa fosse successo. La porta d’ingresso non aveva ceduto, era già aperta. Chiuse gli occhi cercando di regolarizzare la respirazione ancora affannosa. La momentanea sensazione di sollievo per essere arrivata indenne a casa sparì di colpo, quando, nel tentativo di rialzarsi, appoggiò la mano in una pozza di liquido denso e viscoso. Sbarrò gli occhi alla vista del sangue che colava dal palmo fino al polso. La paura tornò ad impossessarsi di lei, e il cuore prese a battere nuovamente con forza nel piccolo petto. Sfregò l’arto contro un punto pulito del pavimento per liberarsi del sangue e si alzò in piedi, con le gambe che le tremavano.

Il suo primo pensiero razionale andò a Jacky.

Dalla pozza di sangue si dipanava una scia cremisi che si dirigeva in cucina, come se qualcuno si fosse trascinato fino all’altra stanza.

Cercando di fare meno rumore possibile, nonostante il passo malfermo, Sherry si avvicinò allo stipite della porta della cucina. Cercò di appiattirsi al muro il più possibile, quasi sperando di mimetizzarsi con il rivestimento come un camaleonte. Con la coda dell’occhio sbirciò nella stanza e il respiro le si mozzò, alla vista del corpo senza vita di Jacky, disteso sul pavimento. La ragazza giaceva in costa, dando le spalle alla porta. Sherry, abbandonata ogni prudenza, corse verso ciò che restava della ragazza. Si inginocchiò, allungando una mano verso il corpo. Non riusciva a controllare il tremito della mano, mentre afferrava la spalla della tutrice. Il cadavere si riversò in posizione supina e la bambina incontrò lo sguardo senza vita di Jacky. Un singhiozzo le salì in gola e le lacrime le offuscarono la vista. Era uno spettacolo terribile, ma lo shock le impediva di distogliere lo sguardo: la ragazza aveva la gola squarciata, il viso era ricoperto di graffi e sulle braccia, parecchi pezzi di carne erano stati strappati a morsi. Sherry sentì lo stomaco contrarsi in uno spasmo doloroso. Tra le mani teneva ancora un grosso coltello: con ogni probabilità aveva cercato di difendersi.

“Non è giusto…” singhiozzò.

Jacky le era sempre stata vicina e Sherry la considerava come una sorella maggiore. All’inizio, data la sua giovane età, doveva solo farle da baby-sitter, ma poi era stata assunta a tempo pieno, perché badasse a Sherry. Quante volte, in quei 7 anni, avevano fatto i compiti insieme, guardato film in tv, o giocato in cortile? Quante volte, durante la notte, Sherry era corsa nel suo letto dopo un brutto sogno?

Rimase a fissare il corpo di Jacky, per quelle che potevano essere ore, ma non le importava. Desiderava solo uscire da quell’incubo, e svegliarsi l’indomani mattina nel suo letto, con Jacky che la chiamava dal piano di sotto, dicendole che la colazione era pronta.

Il rumore di uno sparo non molto lontano la fece sobbalzare e, con estrema riluttanza, si allontanò dal corpo, asciugandosi le lacrime e il naso sulla manica della maglietta. Non voleva abbandonarla, ma non poteva perdere altro tempo, forse il mostro che aveva ucciso Jacky poteva essere ancora nelle vicinanze o, peggio ancora, altri avrebbero potuto irrompere in casa in qualsiasi momento. Corse su per le scale, diretta nella sua stanza. Spalancò di colpo la porta e individuò il medaglione sul comodino, accanto al letto, proprio dove lo aveva lasciato quando era uscita quella mattina. Da quando sua madre glielo aveva regalato, lo aveva sempre tenuto lì, così la sera poteva dare la buonanotte ai suoi genitori, osservando il loro ritratto all’interno del ciondolo. Lo afferrò e se lo mise al collo. Non indugiò più del necessario nella stanza, conscia del fatto che, con grande probabilità, non vi avrebbe mai più messo piede. Attraversò di nuovo il corridoio fino alle scale, stava per scendere il primo gradino, quando si bloccò di colpo, impietrita.

In fono alla scalinata, la figura ciondolante di Jacky, la fissava con sguardo famelico.

“Jacky?” lo disse piano, in un sussurro timoroso e impaurito.

Un lamento cavernoso fu tutto ciò che ricevette in risposta, e Sherry non ebbe più alcun dubbio: Jacky si era trasformata in uno di quei mostri.

Il terrore tornò prepotentemente, mentre la creatura cominciava a salire le scale emettendo gemiti sommessi. Senza pensarci due volte, corse in camera sua, chiudendo la porta a chiave. Si avvicinò alla piccola libreria e, usando tutte le sue forze, la spinse contro la porta. Il cuore le batteva all’impazzata dalla paura, voleva piangere, gridare aiuto, ma nessuno poteva aiutarla. Andò verso la finestra, mentre i lamenti della creatura si facevano sempre più vicini.

La stava cacciando, mossa da una furia famelica e irrazionale.

L’unica via per la salvezza era percorrere la parte di tetto che la separava dall’albero che si ergeva proprio davanti alla sua finestra e della cui presenza si era sempre lamentata, perché, durante la primavera, quando le sue fronde erano cariche di foglie verdi, le ostruiva completamente la vista del cielo. Adesso, non poté fare a meno di essere felice che fosse stato piantato proprio lì.

Strinse il ciondolo tra le mani.

“Mamma, papà, datemi il coraggio”

Sobbalzò, quando sentì il mostro raschiare contro la porta della sua stanza e, senza altro indugio, scavalcò la finestra, facendo attenzione a non scivolare. Per le strade si sentivano urla e scoppi, alcuni anche molto vicini, ma a Sherry sembravano lontani mille miglia, se ne sarebbe preoccupata una volta in salvo. Con cautela, avanzò, passo dopo passo verso l’albero, cercando di mantenere l’equilibrio. Quando fu abbastanza vicina, allungò un braccio afferrando uno dei rami più vicini, felice di avere un appoggio stabile su cui fare affidamento. Individuò un ramo spesso e robusto e, facendo leva con le gambe, vi si issò a cavalcioni. Questo scricchiolò pericolosamente per un attimo e Sherry chiuse gli occhi, aspettando di precipitare da un momento all’altro. Dopo qualche secondo di immobilità, tirò un respiro di sollievo, ma decise comunque di muoversi con cautela. Strisciò verso il tronco e lo afferrò saldamente, poi ramo dopo ramo, cominciò la sua lenta discesa. Quando arrivò in fondo, vide che c’erano ancora due metri e mezzo che la separavano da terra. Saltando da quell’altezza rischiava di farsi molto male, poteva addirittura rompersi una gamba. L’unica cosa che poteva fare era ridurre la caduta aggrappandosi con le mani al ramo lasciando il resto del corpo sospeso in aria, così facendo la distanza d’impatto si sarebbe ridotta di almeno un metro e mezzo e, con quella posizione, avrebbe ammortizzato l’urto con le ginocchia in maniera più efficace.

Sherry si sentì orgogliosa di se stessa per essere riuscita ad elaborare quella strategia. Sua madre glielo aveva sempre detto che era un piccolo genio.

Tuttavia, tra il pensarlo e il farlo c’era una discreta differenza, e solo quando la ragazzina si ritrovò appesa come un salame all’albero che ebbe qualche ripensamento. Voleva tornare indietro e cercare un’altra soluzione, ma ormai era tardi e non aveva altra alternativa, se non quella di saltare. Fece un respiro profondo, chiuse gli occhi e lasciò la presa.

Cadde con un tonfo sordo sull’erba. Cercò di rimettersi subito in piedi, ma il contraccolpo alle gambe la costrinse a fermarsi un attimo. Doveva arrivare alla stazione di polizia, se seguiva Central Street ci sarebbe arrivata in mezz’ora, il vero problema era arrivarci indenne. Forse avrebbe avuto più speranze passando per le piccole strade laterali e attraverso i giardini delle abitazioni. Si alzò e con le gambe ancora doloranti, cominciò a correre.

 

28 Settembre 1998 R.P.D

 

 

 

Era trascorsa quasi una settimana da quando Sherry era arrivata alla Stazione di Polizia di Raccoon City. All’inizio aveva pensato di essere al sicuro, gli agenti erano stati molto gentili con lei, l’avevano medicata e un poliziotto di colore, Marvin Branagh, le aveva dato dei visti puliti: un completo alla marinara, con camicetta bianca e pantaloncini blu elettrico.

Mentre all’esterno, Raccoon City si stava trasformando in un inferno, Sherry aveva aspettato incessantemente l’arrivo dei genitori, ma fino ad allora non aveva ancora avuto loro notizie. Tuttavia non aveva ancora perso le speranze, sarebbero venuti a prenderla di sicuro ed era questa certezza a farla andare avanti, a darle il coraggio per non arrendersi. In seguito, con il trascorrere dei giorni, la situazione era precipitata, oltre agli zombie, così li chiamavano gli agenti, erano comparsi altri mostri terribili con una lingua biforcuta. Sherry era sopravvissuta, strisciando nei condotti di ventilazione della stazione. Gli zombie non erano un grosso problema, erano lenti e goffi, mentre lei era piccola e veloce e riusciva a schivarli senza troppe difficoltà. I mostri con la lingua lunga erano territoriali e non si allontanavano mai dalla loro zona di caccia, bastava starne lontani ed il gioco era fatto. Quello che la preoccupava maggiormente era il mostro gigantesco che aveva incrociato nel corridoio delle celle due giorni prima. Era addirittura peggio degli altri orrori che si aggiravano nella Stazione di Polizia: era alto quanto un uomo adulto, aveva gli occhi gialli e un enorme braccio mutante con un orribile occhio bulboso che sfrecciava in ogni direzione sulla spalla. Quell’abomino l’aveva inseguita e tutt’ora continuava a cacciarla. Sherry aveva trovato un rifugio sicuro nella stanza dei trofei del capo della polizia, Brian Irons. Adesso se ne stava rannicchiata nel buio, senza poter fare altro se non aspettare. Rimase in quella posizione molte ore, stava per assopirsi quando udì dei passi sulla moquette nella stanza adiacente e di qualunque cosa si trattasse, si stava muovendo nella sua direzione. Si alzò pronta a scappare e quando la luce illuminò la stanza, gridò e corse senza nemmeno alzare lo sguardo. Quando si sentì afferrare per una manica, gridò ancora. Il mostro l’avrebbe uccisa.

“Lasciami andare!” strillò.

“Calmati!” disse una voce dolce “Non sono uno zombie!”

Sherry aprì gli occhi e vide una ragazza con folti capelli castani, raccolti in una coda alta, aveva un viso gentile e profondi occhi azzurri. Sherry si immobilizzò, mentre le lacrime le salivano agli occhi. Un’immagine si sovrappose a quella della ragazza.

Jacky.

Quella ragazza le assomigliava terribilmente.

“Sei al sicuro adesso” le disse dolcemente e Sherry le credette.

Abbracciò senza remore quella sconosciuta, abbandonandosi ad un pianto liberatorio.

 

 

 

 

 

 

Note:

(1) La frase “Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla terra” è tratta dal film “L’alba dei morti viventi” remake del 2004 dell’opera di Romero.

 

 

 

  
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