Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: SilentWings    15/11/2011    2 recensioni
Quello strano ragazzo aveva qualcosa di... incredibilmente meccanico. Drocell x OOC
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Drocell, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so se a qualcuno potrà mai interessare questa piccola one shot scritta per un'amica... se vi piace però non dimenticatevi di dirmelo :3

La prima cosa che Gloria notò, fu che l'aria si era fatta più fredda.
Qualcosa di bianco e gelido si posò sul suo naso. Sorrise: un fiocco di neve.
Lei amava la neve, adorava come, grazie al suo riverbero, tutto sembrasse più puro, luminoso e pulito.
Con il calare delle ombre della sera, le prime candele cominciavano ad illuminare i riquadri delle finestre di brevi bagliori arancioni.
L'odore acre del fumo impregnava l'aria, aggiungendo altro grigiore al cielo già plumbeo.
Gli ultimi passanti camminavano in fretta, stretti nei loro cappotti ed impazienti di tornare a casa per sottrarsi dalle mani gelide del vento, che con indiscrezione si infilava nei baveri delle giacche.
La ragazza invece indugiava. Il momento stesso in cui aveva messo piede in quella stradina stretta e poco illuminata, aveva percepito qualcosa. Non sapeva cosa fosse, ma un certo fremito di paura ed eccitazione le aveva precorso la spina dorsale, mettendola con i sensi all'erta. Sì, qualcosa stava per accadere.
"Non essere irrazionale, Gloria." si disse "Fa freddo e sei stanca, ti stai facendo suggestionare."
Eppure, il suo corpo sembrava non volerla ascoltare. Nonostante cercasse di convincersi che tutto era assolutamente in ordine, nel suo intimo sapeva che c'era qualcosa che non andava. Per qualche strano motivo non riusciva ad andarsene. Sembrava legata da una spessa ragnatela invisibile che le impediva di muoversi.
Sospirò, rassegnata, trascinando stancamente i piedi nella neve per andarsi a sedere sui gradini di una casa che sembrava abbandonata.
Più che una casa, aveva l'aria di essere stato un negozio in passato, a giudicare dall'insegna illeggibile e decrepita che penzolava cigolando sommessamente sopra alla porta d'entrata.
Gloria tirò fuori le mani dalle tasche, soffiandoci sopra. Il freddo le aveva rese rosse ed insensibili, nonostante i guanti.
Ormai era rimasta sola, lì fuori. L'unica presenza vivente rimasta era un grosso gatto nero dall'altra parte della strada, che si stava leccando una zampa.
La ragazza appoggiò una mano, ritraendola di colpo. Aiuto, cos'aveva toccato? La porta alle sue spalle tutto d'un tratto si era spalancata, con un sinistro scricchiolio. Un meccanismo nascosto all'interno del legno dello scalino doveva averne causato l'apertura. Troppo meccanica e lenta, per essere provocata da un colpo di vento.
Quasi ipnotizzata, la fanciulla varcò la soglia.Venne accolta da un pesante odore di chiuso. Chissà da quanto tempo quelle finestre erano rimaste serrate!
Nel buio, riusciva a percepire solo i contorni vaghi degli oggetti, illuminati appena dal riverbero pallido della neve fuori dalla finestra.
Controluce, individuò la forma di una candela appoggiata sul davanzale. A tentoni la raggiunse e, con l'aiuto di un fiammifero che giaceva abbandonato lì accanto, riuscì ad accenderla.
Si guardò intorno. Che luogo bizzarro.
Sembrava quasi il laboratorio di un giocattolaio. Sull'ampio banco da lavoro, disseminato di chiodi, pinze ed attrezzi vari, giacevano quelli che sembravano essere dei pezzi per la costruzione delle bambole. Braccia, gambe, stoffe per i vestiti e lana per i capelli. In un angolo del bancone, una grossa matassa di filo trasparente, e delle strutture formate da bastoncini di legno incrociati. Forse erano delle marionette?
Gloria fece vagare lo sguardo, e ne ebbe la conferma.
Su una mensola, diverse marionette dallo sguardo vitreo, erano disposte in bell'ordine, nonostante dessero l'impressione di non essere state toccate da molto tempo. Uno spesso strato di polvere ingrigiva i volti di ceramica dai lineamenti perfetti.
La ragazza ne prese in mano una, e con l'aiuto di un fazzolettino ne ripulì il viso. Era molto bella: raffigurava una bambina bionda, con gli occhi blu e le guance paffutelle. Il vestito arancione era finemente decorato, ed i capelli erano raccolti in due codini simmetrici ai lati della testa.
Con un senso inspiegabile di commozione, Gloria la accarezzò a lungo, prima di rimetterla al suo posto.
All'improvviso, si aggrappò alla mensola per non cadere. Di nuovo quella strana sensazione. Ora ne era sicura: non era sola, lì dentro.
Qualcuno la stava fissando.
Si girò di scatto, sperando di poter cogliere di sorpresa il misterioso osservatore.
Lanciò un grido terrorizzato. Qualcuno c'era.
Ed era proprio di fronte a lei.
L'unica cosa che riuscì a cogliere prima di svenire per la paura, fu un paio di grandi occhi viola.
E tutto divenne buio.

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Percepiva chiaramente la sua posizione.
Era distesa su una superficie morbida.
E cos'era quel suono?
A dire il vero, più che un suono sembrava una CANZONE.
Suonava stranamente simile a "London bridge is falling down", la celebre canzoncina che tutti i bambini inglesi imparavano negli anni dell'infanzia.
Aprì lentamente gli occhi e guardò, sbalordita al suo lato sinistro.
Gli occhi di ametista che aveva visto prima appartenevano ad un ragazzo, lo stesso che ora, accucciato sul pavimento, stava giocando con i fili di una marionetta, quella che prima Gloria aveva accarezzato. Stava canticchiando sommessamente, tra sé e sé.
"Che bella voce" pensò la ragazza.
Lo osservò più attentamente: era scalzo, o meglio, portava un paio di calze a righe bianche e nere, alte fino al ginocchio. Sopra, un paio di pantaloni neri, rimboccati fino al ginocchio. Più in su, una strana giacca blu coi risvolti dorati, ricopriva una camicia bianca riccamente decorata.
Il viso era pallido, e sotto all'occhio destro, era tatuato un fleur de lis blu. Sui capelli rossi, era appoggiato un cilindro nero, ornato di due vistose piume dello stesso colore.
Nell'insieme, offriva una visione alquanto singolare. A vederlo così, sembrava un bambino rapito dai suoi giochi.
Poi, improvvisamente e senza che lui muovesse un dito, la bambola si liberò dai suoi fili e cominciò a camminare verso Gloria.
-Sei sveglia.- disse una voce metallica. Non era una domanda, ma un'affermazione.
Non potendo più fingere di dormire, la fanciulla si sedette. Si trovava su un piccolo divanetto, situato di fronte alla finestra, oltre la quale la neve ancora non aveva smesso di cadere.
Il ragazzo la fissava con i suoi grandi occhi viola.
Lo sguardo vacuo, simile a quello delle bambole presenti sul ripiano, la affascinava ma allo stesso tempo le incuteva timore e rispetto.
-Ti ho spaventata, Gloria.- ancora una volta un'affermazione.
-Sì beh... un po'.- poi si riscosse, sorpresa. -Come sai il mio nome?-
-Me l'ha detto lei.- rispose lo strano individuo, indicando la bambola, che ormai si era fermata, rigida ed impettita..
Perplessa, Gloria alzò un sopracciglio.
-Le bambole ti parlano?- chiese con un tono tra lo sbalordito e l'ironico.
-Io le ho create, loro sono le mie fedeli guardiane e sentinelle. Sanno tutto.-
-Ma come faceva la marionetta a sapere il mio nome? Non gliel'ho mica detto...-
- E' bastato che la toccassi. L'ha capito da sola, dal modo in cui l'ha sfiorata. Nel modo in cui ci poniamo, possiamo far capire molte cose di noi. Nel nostro nome è scritta la nostra indole, le nostre aspirazioni e i nostri sogni... e anche un pezzetto del nostro destino... Gloria.- ripeté quel nome come se fosse in una lingua straniera.
La ragazza lo fissò, interdetta.
Quel tizio non era del tutto normale. Di certo era stato lui ad averle provocato quelle strane sensazioni, prima. Non sembrava nemmeno del tutto umano, aveva un aspetto quasi... quasi meccanico.
I movimenti non erano fluidi, e degli strani scricchiolii provenivano dalle sue giunture.
Gloria stette a fissarlo a lungo, prima di decidersi a parlare.
-Tu... tu chi sei?-
Lo strano ragazzo accennò ad un inchino rigido, portandosi la mano al cappello.
-Il mio nome è Drocell Keinz. Burattinaio della famiglia Mandalay.-
Drocell? Aveva già sentito quel nome da qualche parte, quand'era bambina.
Nella favola dello Schiaccianoci, ecco dove!
Il geniale e malefico creatore di giocattoli, artefice dello schiaccianoci protagonista, si chiamava Herr Drosselmeyer. Una pronuncia così simile!
Perplessa, la ragazza scosse la testa.
-Ma... i tuoi padroni non ti ospitano nella loro dimora?-
Drocell inclinò lentamente la testa, fissandola con quelle sue pupille vuote.
-La famiglia Mandalay non ha più membri in questo mondo. Sono solo. Solo in questa casa con le mie marionette.-
Alla fanciulla si strinse il cuore.
Chissà che solitudine doveva patire quella povera creatura, chiuso tra quelle mura tetre.
Le venne spontaneo sorridergli.
-Se vuoi ti posso tenere compagnia io stasera. Ormai è buio, e le tenebre mi impedirebbero di trovare la strada di casa.-
Il ragazzo, se possibile, sembrò irrigidirsi ancora di più.
Poi, parlò con la solita calma, contraddistinta da quella strana cadenza ritmica.
-Sarà un onore per me riceverti come ospite.-
La ragazza sorrise di nuovo, contenta di essere una presenza gradita.

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Dieci minuti dopo, i due se ne stavano in silenzio attorno al tavolo di legno, bevendo tè da due grosse tazze di ceramica. L'unico rumore, oltre a quello dei loro respiri cadenzati, era quello del fuocherello che erano riusciti ad accendere nel piccolo camino di pietra.
Ora che era ben illuminata, quella stanza sembrava molto meno tetra.
Gloria fissava di sottecchi lo strano ragazzo. Ad un certo punto, gli uscì da sola una domanda dalle labbra.
- Da quanto tempo vivi qui da solo?-
-Tre anni.- rispose lui.
-Tre anni in questa solitudine da clausura?-
-Non sono completamente solo. Ho le mie marionette che mi ascoltano. Non mi rispondono mai, ma almeno ascoltano. E ascoltare non è una dote di tutti.- rispose, guardando nel vuoto.
Presa da una tenerezza sconfinata ed incapace di controllare i propri movimenti, la fanciulla accarezzò lentamente la guancia di Drocell. Lui alzò gli occhi e fece una strana smorfia.
Stava forse cercando di sorriderle?
Senza ormai più dominarsi, Gloria lo raggiunse, sedendosi accanto a lui ed appoggiandogli delicatamente la testa sulla spalla.
"Accidenti, sembra fatto di legno." pensò quando il suo zigomo incontrò la stoffa della spallina.
Stettero in silenzio per qualche istante.
Poi, la voce ritmica di Drocell ruppe l'imbarazzo.
-Mi fa piacere.-
Gloria alzò lo sguardo, confusa. -Cosa "ti fa piacere"?-
Di nuovo quella strana smorfia.
-Mi fa piacere che ci sia tu. Mi ha fatto piacere la tua carezza. E mi piace da morire come te ne stai appoggiata sulla mia spalla.- la guardò, e per la prima volta il suo sguardo sembrò vivo. -... Mi piaci tu, Gloria.-
Commossa, la ragazza lo fronteggiò, per poi baciare con decisione quelle sue labbra fredde e rigide.
- Non so cosa mi abbia spinta a rimanere davanti alla porta di questa casa, ma qualsiasi cosa sia stata, la devo ringraziare per avermi fatto incontrare una persona come te...- sorrise lei.
Drocell la abbracciò e la tenne stretta a sé.
Dopo un po', la stanchezza e l'emozione ebbero la meglio sulla fanciulla, che, in silenzio, si addormentò tra le braccia del burattinaio della famiglia Mandalay. Che fialmente riuscì a far sorgere sulle sue labbra un sorriso autentico, colmo di tenerezza ed adorazione.
La mattina dopo, sulla soglia, i due si abbracciarono, scambiandosi un dolce bacio.
Gloria gli sorrise, socchiudendo gli occhi.
-Allora questo pomeriggio porto qui le mie cose. Riporteremo questo posto alla vita!- annunciò soddisfatta, ammirando la casupola cadente alle spalle del suo amato.
-Sì.- sorrise il ragazzo. -Non aspetto altri che te.- E così dicendo, con un ultimo bacio, si chiuse la porta alle spalle.
La ragazza, al colmo della gioia, si avviò di buon passo verso casa. Era stato quello il loro accordo. Avrebbero vissuto e lavorato assieme: Drocell le avrebbe insegnato a costruire le marionette, come muoverle e come inventare storie.
Dal canto suo, Gloria si sentiva a sua volta una piccola marionetta, i cui fili, mossi dalle abili mani del burattinaio dei Mandalay, la rendevano protagonista di una stupenda, meravigliosa fiaba a lieto fine.
  
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