Titolo: La Lama dell’Arpinate
Autore: Nemeryal
Fandom: Axis Power Hetalia
Rating: Giallo
Genere: Slice of Life, Drammatico,
Storico
Avvertimenti: One-Shot, Missing
Moments
Personaggi: Romanus/Impero
Romano; Marco Tullio Cicerone
Pairing: Nessuno
Musica: This
Ends Here – HetaOni Original Soundtrack
Trama: -Perché dunque- è la voce esitante –Non
ti affacci e domandi tu stesso, dissertissime
Romuli nepotum?-
L’oratore chiude gli occhi, ma sorride
per l’appellativo: un sorriso stanco, tirato sulle labbra livide, ma comunque
un sorriso.
-E sia- mormora –Deponete la
portantina!- è l’ordine che gli raschia la gola -Lasciate che io guardi in viso
questa mia ultima notte-
Dedica: a Silentsky
Note: Nota necessaria, io odio Cicerone, non posso farci nulla, lo
detesto profondamente. Le sue versioni mi hanno fatto dannare e ho tirato un
sospiro di sollievo quando ho realizzato di non doverlo più tradurre.
Nonostante
questo, non posso passare sopra al fatto che egli sia stato comunque una figura
importante nella Roma dell’epoca, come oratore, come filosofo, come politico,
come uomo.
Ecco dunque,
un piccolo tributo alla sua figura. Vedi che poi tanto nemici non siamo,eh,
Cicci?
Nota storica: Con la morte di Cesare, Cicerone aveva cercato di appianare i rapporti
tra lui e l’erede del dictator, Ottaviano. Tuttavia, non riuscì nell’intento di
condizionare il futuro Augusto, non capendo che questi non si sarebbe
mai potuto riconciliare con i Cesaricidi (Bruto e Cassio), che l’Arpinate
sosteneva apertamente.
Dopo la
formazione del Secondo Triumvirato (Ottaviano – Marco Antonio – Lepido),
creato da Ottaviano per muovere guerra contro Bruto e Cassio, Cicerone venne
inserito nella lista di proscrizione voluta da Antonio, i cui dissapori
con l’Arpinate risalivano alle Filippiche (14 Orazioni in cui dure
furono le accuse nei confronti del “delfino” di Cesare).
Per maggiori
informazioni, QUI.
La
Lama dell’Arpinate
E’ il frastuono che infrange la notte:
sibili di gladi, ruggiti di uomini, gemiti di cavalli.
Marco Tullio stringe tra le mani
tremule il velo della portantina: al di là delle pieghe bagnate d’ombra e
fiaccole, già indovina il suo destino. Il tessuto ruvido nasconde i volti dei
sicari, scomponendoli in frammenti distorti; solo un’ombra pare intoccata:
nera, si staglia dinanzi all’oratore, immobile nella confusione della battaglia
circostante.
Cicerone piega la testa e ride,
facendo gorgogliare le pelle cadente del collo; con gli occhi socchiusi,
intravede la figura farsi più vicina, più nitida. Si delineano i contorni del
mantello, la forma aguzza delle spalle coperte dalla lorica, finanche il
profilo del gladio alla cintola.
-Romulus
Lucius Octavianus1- gracchia Marco Tullio, lasciando cadere la
mano rugosa -Il sangue di chi, macchia
le tue mani?-
Un istante di silenzio e l’Arpinate
vede l’ombra di Roma alzare le braccia, il viso piegarsi all’indietro nel
mentre che le mani, nello spostarle alla luce dei bracieri, prendono la forma lampeggiante
di due lame.
-Non saprei dirlo- mormora Romanus –E’ troppo il rosso che le
ricopre-
-E dimmi- continua l’oratore, un
sorriso rassegnato sulle labbra –E’ denso?-
-Più della tua concinnitas2!- lo raggiunge la risata di Roma, dietro il
velo della lettiga.
La confusione aumenta d’improvviso,
stride la lama contro quella dell’avversario, il singulto d’un moribondo,
Cicerone riconosce la voce di Erennio, il Centurione, d’un tratto si unisce a
lui Popillio, il Tribuno3.
La bocca si storce per la delusione. Oh tempora, oh mores! Pensa con
amarezza, portandosi una mano alla fronte, Quale
esempio migliore della decadenza, se l’uomo che prima difesi dal parricidio ora
è venuto a reclamare la mia vita?
-Fai cessare la
confusione, Romulus Lucius Octavianus.
Sono vecchio, come potrebbe la mia testa sopportare ulteriormente questo
trambusto? Lontani sono i tempi gloriosi
del Foro, tu meglio di me dovresti saperlo!- deve prendere un respiro, perché la
voce gli manca. Sa che la sua domanda è inutile, ma vuole avere la conferma. In
fondo, di lontano sente ancora lo scroscio del mare4 -Perché questa
confusione?-
Forse è uno scherzo della luce, forse
sono i suoi occhi che non vedono altra nitidezza se non quella dell’ombra, ma a
Marco Tullio pare davvero che la figura
di Romanus si sia d’un tratto
rattrappita, quasi avesse timore di rispondere.
-Perché dunque- è la voce esitante –Non
ti affacci e domandi tu stesso, dissertissime
Romuli nepotum5?-
L’oratore chiude gli occhi, ma sorride
per l’appellativo: un sorriso stanco, tirato sulle labbra livide, ma comunque
un sorriso.
-E sia- mormora –Deponete la
portantina!- è l’ordine che gli raschia la gola -Lasciate che io guardi in viso
questa mia ultima notte-
Cicerone scosta la tenda e poggia il
mento sulla mano sinistra, gli occhi che guizzano e corrono e scrutano: di
tutti i sicari, Romanus è l’unico a
sostenere il suo sguardo.
-Sono forse lacrime a bagnarti il viso,
Roma?-
Poi, è solo lo scintillare della lama
nella notte nera.
[Formia,
7 Dicembre 43 a.C.]
***
1All’epoca, era usanza
chiamare la gente coi tre nomi. Che faticaccia, eh?
2Stile elegante,
tipico di Cicerone, caratterizzato da periodi lunghi e anche piuttosto
complessi, con largo uso di subordinate, cui corrisponde, però, un equilibrio
dato da simmetrie, parallelismi e coppie sinonimiche.
3” Nel frattempo,
sopraggiunsero i sicari: Erennio, un centurione, e Popillio, tribuno militare
che, a suo tempo, Cicerone aveva difeso dall'accusa di parricidio. Con loro, un
gruppetto di soldati.” (Plutarco, Vita di Cicerone).
Cicerone aveva difeso Popillio in
tribunale dall’accusa di parricidio.
4Indovinando la sua
sorte, Cicerone decise di scappare in Macedonia: ma, per le condizioni
burrascose del mare, fu costretto a ritardare la partenza di un giorno. Ciò gli
fu fatale.
5”Eloquentissimo tra i nipoti di Romolo” (Catullo, carme 49)
(…)Il tribuno,
allora, presi con sé pochi uomini, fece di corsa il giro della casa,
dirigendosi verso l'uscita; Erennio, invece, si lanciò in gran fretta lungo i
viali. Cicerone se ne accorse e ordinò ai suoi servi di depositare la
portantina a terra.
4. Con un gesto che
era solito fare, appoggiò il mento sulla mano sinistra e fissò lo sguardo in
quello dei suoi assassini. I capelli erano sporchi e arruffati, il volto
segnato dalle preoccupazioni di quei giorni: quasi tutti i presenti preferirono
coprirsi gli occhi, quando Erennio lo colpì a morte.
5. Fu ucciso mentre
protendeva il collo dalla lettiga. Aveva sessantaquattro anni.
6. Per ordine di
Antonio gli vennero tagliate la testa e anche le mani, perché con quelle aveva
scritto le Filippiche. Era questo il titolo scelto da Cicerone per le sue
invettive contro Antonio e ancora oggi l'opera si chiama così.
(Plutarco, Vita di Cicerone)