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Autore: Rainie    16/11/2011    3 recensioni
[Ispirata liberamente alla fine di Fade To Black.]
Una volta era tutto diverso. Niente shinigami, niente hollow, niente anime da mandare nella Soul Society. Rukia Kuchiki era una normale umana e Ichigo Kurosaki il figlio di alcuni amici dei genitori di quest'ultima. La vita della ragazza era sempre stata "Non farti reputare strana", ogni volta diligente e senza troppa voglia di ribellione, fino a quando non conobbe il giovane Kurosaki.
Si incontrarono ancora, più e più volte, senza neanche accorgersene. Non importava se fosse andata a fare una passeggiata nel parco o tra le vie della città, sentiva perennemente la sua esistenza perseguitata da quell’uomo. E non le dispiaceva.
Poco a poco la barriera che lo separava da sé sparì. Ancora una volta, non le dispiacque.
«Mi piacciono i girasoli» gli aveva riferito una volta, «Qui vicino nessuno ne possiede un campo, quindi devo sempre ammirarli dai quadri che vengono portati a casa mia. Quelli portati qua non vivono a lungo, e questo mi fa star male. Un giorno mi piacerebbe addentrarmi in un campo di girasoli ed ammirarli per tutta la giornata.»

[IchiRuki, Time line? What Time line?, credo abbastanza OOC, AU (?).]
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Long time no see
 
 
 
 
 
Tutti l’avrebbero definita una ragazza strana se avesse detto tutto quello che pensava.
Non che fosse importante, o, almeno, così era per lei. Tutto quello che desiderava era farsi gli affari suoi: l’alta società non l’era mai interessato così tanto, i vestiti costosi neppure, i gioielli figuriamoci, per non parlare di tutte le chiacchiere inutili che sentiva uscire fuori dalla bocca delle sue coetanee; non credeva fosse portata per le conversazioni riguardanti nobili, balli, teatro e quant’altro. Ma, nonostante tutto, le piaceva fingere davanti agli altri: era interessante vedere le reazioni che scaturiva nelle persone a cui parlava. Una normalissima chiacchierata con uomini normalmente ricchi in quell’epoca in cui era normale comportarsi in modo frivolo e ammiccante.
O forse, più che altro, metteva da parte il suo desiderio di comportandosi in modo insopportabilmente riservato e risultare eccessivamente irritata da tutto per poter seguire la strada della normalità (?); in ogni caso, era suo dovere non fare nulla di scandaloso che potesse infangare il buon nome della sua famiglia. Eccellere nelle arti femminili, divenire una signorina beneducata, sposarsi con un nobile ricco e dare eredi era tutto quello che doveva fare, e avrebbe eseguito tutto con particolare minuziosità per poter apparire perfetta in ogni luogo ed ad ogni occasione e irraggiungibile agli occhi della lista dei pretendenti non degni del suo sguardo – questo lo aveva imparato dalla madre.
Quella benedetta vita non andava proprio giù a qualcuno come Rukia Kuchiki, ma lei si adattava perché doveva adattarsi senza fiatare.
Per questo pensò che fosse stata un’assurdità assurda l’aver acconsentito di andare col fratello Byakuya ad incontrare il figlio di un vecchio amico dei genitori (tra l’altro, di cui lei non aveva mai sentito parlare) quando vide quell’assurdo giovane uomo, Ichigo Kurosaki, con quell’assurda capigliatura arancione – una vera novità per il suo piccolo mondo – nascosto sotto il cilindro di seta, con quell’assurda altezza e quell’assurdo modo di parlare diretto e senza tanti giri di parole su cose, a propria detta, futili, come era di moda fare a quei tempi.
La propria risata le riecheggiò nella testa nel momento in cui si accorse che egli (doveva avere solo un paio di anni in più di lei) la divertiva assai con i suoi discorsi per metà filosofici e l’altra metà sarcastici su una qualsiasi cosa gli venisse in mente o su un argomento che il fratello tirava fuori; sebbene non avesse fatto altro che stare in silenzio, commentando con qualche battuta o facendo qualche risatina di tanto in tanto, per la prima volta si accorse di voler smettere di fingere e mandare a monte tutto. «È stato un vero piacere conoscervi, signor Kurosaki» disse in uno dei suoi sorrisi che era solita fare, sebbene odiasse ripetere ogni volta lo stesso copione, persino davanti a qualcuno che aveva suscitato in lei un pizzico di interesse. Egli, invece, si inchinò e le baciò – più che baciare, era sfiorare con le labbra – la mano che, in confronto a quella del ragazzo, era piccola e con un aspetto fragile e delicato. Nessuno l’aveva mai fatto, tutti gli altri nobili eseguivano il baciamano solo una volta, mentre quel ragazzo aveva la sfacciataggine di farlo persino due volte! «Penso proprio di venire a trovarvi presto ancora una volta» replicò con un sorrisetto sghembo, il quale fece venire voglia a Rukia di alzare un sopracciglio perplessa, non sapendo se si stesse riferendo a lei oppure alla sua famiglia.
«Bada a non dargli troppa confidenza» l’ammonì Byakuya, una volta che il giovane se ne fu andato. La mora chiuse gli occhi, «Lo so, fratello».
La società era basata sui matrimoni combinati: senza quelli, non si sarebbe mai fatto nulla. Lei lo sapeva, sapeva che un giorno sarebbe finita così. Quel poco interesse che aveva provato verso quell’Ichigo Kurosaki svanì presto nell’aria, come se non fosse mai esistito, giusto per proteggersi. Ritornò alla vita di sempre, con le chiacchiere ipocrite e colloqui con diverse persone che avevano una certa influenza nell’alta società. Si era preparata a qualcosa del genere.
Innamorarsi non era scritto nelle regole.
La prima volta in cui poté assaporare le labbra del giovane Kurosaki fu la seconda volta che lo incontrò, e lei non se lo aspettava per niente. Non aveva affatto messo in conto il suo carattere – si accorse che non gli piaceva affatto non andare subito al sodo – ma conosceva le conseguenze del stare troppo attaccata a qualcuno. Nonostante tutto, non fece niente per allontanarlo da sé.
«Avete visitato molti luoghi, signorina Kuchiki?» le aveva chiesto quel momento in cui Byakuya Kuchiki uscì dalla stanza per sbrigare una faccenda, lasciando i due giovani da soli. Lei lo osservò leggermente curiosa, con le mani intrecciate in grembo come era solita fare. «La mia famiglia possiede una villa fuori città, ma non molto lontano da qui. Credo di non essere mai uscita da qui dentro» rispose con lentezza, non era il suo solito modo di fare. Quel pizzico d’interesse aveva cominciato di nuovo a fare i capricci da quando l’aveva visto di nuovo, ma non le era importato più di tanto. “Passerà”, aveva pensato semplicemente.
«Non credete che sia così noioso stare dentro le mura di questa città? A volte serve qualche distrazione dalla quotidianità per poter rendere la vita più attiva ed interessante» commentò di rimando Ichigo continuando a fissarla con quegli occhi di un profondo color nocciola. “Almeno ha degli occhi normali” pensò. «Da che pulpito!» disse la mora con un sorriso, «Voi invece avete sempre quella rughetta fra le sopracciglia che vi fa sembrare perennemente preoccupato per qualcosa.»
«Sono abituato ad avere questa espressione da molto tempo orsono, signorina Kuchiki» rispose, appoggiandosi nuovamente allo schienale della poltrona senza staccarle gli occhi di dosso. Per un momento, la ragazza si sentì a disagio. Ne seguì un breve silenzio. «Vi piacerebbe andare in qualche posto in particolare?» chiese ancora il ragazzo dai capelli arancioni. A Rukia non vennero molti dubbi su quelle domande, quindi rispose, con quel tono scherzoso nella voce che solitamente usava per provocare quei gran signori quali erano gli ospiti della propria famiglia: «Oh, signor Kurosaki, sbaglio o state cercando di farmi la corte? Sono ancora tanto giovane, non posso di certo lasciarmi andare a cose del genere!»
Odiava parlare in quel modo, lo detestava con tutta sé stessa. Non le era mia piaciuto fare la civetta, lo reputava inutile e ridicolo, ma non poteva fare altrimenti: doveva comportarsi così per poter essere considerata nella norma. Senza contare che nessuno aveva mai scoperto che stava fingendo spudoratamente – forse solo con il fratello riusciva ad essere naturale senza badare a quello che diceva.
Per un istante, le parve che lo sguardo del giovane Kurosaki si facesse più diffidente. «Suvvia, non vi agitate tanto. È una semplice domanda a cui desidero voi rispondeste» rispose lui con tono neutro ed un lieve sorriso (erano alquanto inquietanti i suoi sorrisi). La ragazza non aveva ancora staccato gli occhi da lui.
«E voi?» disse, «Voi avete visitato qualche posto interessante?» Lo guardò alzarsi e cominciare a camminare per la stanza, rispondendo: «Direi che sono così tanti che non riuscireste nemmeno ad immaginare, signorina Kuchiki».
«Dev’essere meraviglioso poter uscire così spesso da questo paese» commentò annuendo lievemente Rukia. «Com’erano i paesaggi, gli odori, i sapori di quei luoghi?»
Lui si voltò a scrutarla con i suoi occhi ambra, dopodiché si avvicinò. «Volete davvero sapere?» chiese. La ragazza si sentì confusa, ma fece un cenno affermativo.
Fu in quel momento che successe.
Avrebbe dovuto dirgli di smetterla, di non farlo mai più; avrebbe dovuto respingerlo, riferire tutto al fratello, convincere i genitori a farla allontanare da quella maledetta città. Avrebbe davvero dovuto fare un sacco di cose, da allora, per non essere tentata da qualcosa di più grande di lei.
Non fece mai nessuna di queste cose.
Si incontrarono ancora, più e più volte, senza neanche accorgersene. Non importava se fosse andata a fare una passeggiata nel parco o tra le vie della città, sentiva perennemente la sua esistenza perseguitata da quell’uomo. E non le dispiaceva.
Poco a poco la barriera che lo separava da sé sparì. Ancora una volta, non le dispiacque.
«Mi piacciono i girasoli» gli aveva riferito una volta, «Qui vicino nessuno ne possiede un campo, quindi devo sempre ammirarli dai quadri che vengono portati a casa mia. Quelli portati qua non vivono a lungo, e questo mi fa star male. Un giorno mi piacerebbe addentrarmi in un campo di girasoli ed ammirarli per tutta la giornata.»
«Sono sicuro che, in qualche modo, quel giorno arriverà» aveva detto Ichigo in risposta, sorridendo al viso della ragazza che sembrava così triste e speranzosa allo stesso tempo.
Nella sua vita, non aveva mai parlato così tanto di sé a qualcuno, Rukia. Sebbene sapesse che era completamente inutile continuare a sentirsi felice, non poteva farne a meno. La sua mente le diceva “Fermati, fermati, fermati, non è questa la vita che tu dovresti vivere”, ma lei, dal giorno in cui quel ragazzo aveva fatto irruzione nella sua vita così maleducatamente, aveva vissuto con il cuore.
Sarebbe stato giusto? Avrebbe continuato la vita così, per sempre? Al diavolo tutte quelle domande, non si era mai sentita così viva. Quando sentiva il contatto della sua pelle con quella del giovane uomo, tutte le certezze svanivano, lasciando solo la traccia di un fastidioso passato ed un radiante possibile futuro.
Ma, in qualche modo, aveva sempre tenuto in mente solo una cosa.
Sin dal primo ricordo che aveva in mente, da quando aveva capito come girava – doveva girare – il mondo, aveva sempre saputo di dover resistere alle cose che le piacevano di più: sarebbe stato troppo doloroso una volta che gli altri li avrebbero tolti di torno. Un sacco di favole avevano circondato la sua infanzia, e non aveva mai creduto a nessuna di esse, limitandosi a sorridere ed a fingere di essere entusiasta ad ogni falso sogno che le propinavano per testarla.
Non avrebbe mai protestato, né detto alcunché quando avrebbero deciso per lei cosa farne della propria vita. Si limitò a chiudere gli occhi ed ad annuire quando le dissero che era stata promessa in sposa al figlio di un ricco borghese.
«Ichigo, vi ricordate quando mi avevate chiesto se fossi stata da qualche parte fuori da questa città?» disse, quella volta che decise sarebbe stata l’ultima in cui si sarebbe potuta permettere un simile lusso quale era la serenità. Il giovane annuì, senza distogliere lo sguardo dal panorama che si presentava dinnanzi a loro: il sole crogiolante dietro le montagne che colorava di un porpora brillante il cielo, facendo divenire deboli fulgori le diverse luci della città che stavano via via aumentando. «Sto per avere l’occasione per allontanarmi da qui» disse successivamente Rukia; non sorrise. Ichigo si voltò, annuendo: «Meraviglioso. Posso sapere quale sarà la vostra meta?»
«Molto lontano» rispose la ragazza, «una città a circa 800 miglia da qui. Resterò lì… fino alla fine dei miei giorni.» Nessuna esitazione, nessun rimpianto, nessuna emozione. Niente di niente. Si girò verso di lui, guardandolo negli occhi, «Ichigo, domani mi sposo. Andrò a vivere da un’altra parte, non ritornerò. Mai più
Nel suo sguardo non vi lesse nient’altro che impassibilità. Ma cosa poteva aspettarsi, in fondo, da qualcuno come Ichigo Kurosaki? Era sempre stato così enigmatico, cosicché nessuno gli avrebbe potuto scalfire la mente, l’orgoglio, il cuore.
Ma, in un modo o nell’altro, lo aveva indotto ad avere la sua stessa reazione: chiuse gli occhi e chinò leggermente il capo – che avesse avuto dei poteri psichici?
L’ombra di un sorriso apparve fugace sulle sue labbra quando disse: «Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Dovrei essere felice per voi?»
«Non saprei» rispose sincera la ragazza, «Diciamo che, se è per il buon nome e l’onore della mia famiglia, sono disposta a tutto.»
«E se non fosse così? Voglio dire, avreste accettato se fosse stata una vostra scelta personale?» In quella domanda, Rukia vi lesse una leggera ansia, celata abilmente dal tono di voce che usò il ragazzo. «Quale fanciulla non vorrebbe sposare qualcuno che ha un gran potere finanziario tra le mani?» rispose ipocritamente.
«Capisco.»Vi fu una pausa, nella quale la giovane puntò gli occhi violetti in quelli di Ichigo, il quale sembrò voler dire qualcosa. «Dunque, questa si suppone essere l’ultima volta che vi vedo?» chiese infine quest’ultimo.
«A meno che non veniate al matrimonio, direi che, sì, questa è l’ultima volta. Non vi sembra buffo? – risatina – È come se fosse stato appena ieri il giorno in cui vi conobbi, e oggi vi sto già dicendo ‘Addio’.» Il vento autunnale soffiò portando con sé odore di foglie cadute. Entrambi sapevano bene che, se avessero avuto anche solo un minimo di rimpianto per non avere avuto abbastanza tempo per loro, non sarebbero riusciti a dire nemmeno ‘Arrivederci’.
«Sapete, Rukia?» parlò lui, «Io credo che le persone, dopo essere morte, si possano reincarnare, e che i legami che esse costruiscono non si spezzino mai, non importa quante volte si riviva. Ogni volta avranno, sì, nuove vite, ma incontrerebbero sempre le stesse persone – in qualche modo potrebbe anche risultare noioso, ma dal mio punto di vista lo reputo molto interessante, sebbene non sappia se sia vero o meno.» Rukia lo guardò con una certa perplessità. «Come potete affermare una cosa del genere?» chiese, e per un momento la sua determinazione vacillò vedendo uno spicchio di speranza.
«Provate ad immaginare un filo che collega due anime, ed altri due fili che collegano ognuna delle anime in questione alla vita. Secondo voi, cosa succederebbe al filo del legame se quelli della vita venissero recisi?»
«Direi niente, se è questo quello che volete dire.»
«Esattamente.» La mora notò che il colore degli occhi di Ichigo era ancora più affascinante grazie al tramonto. «Anche se la morte fosse davvero la fine, due persone con un legame sono destinate ad incontrarsi. Sempre.» Fece una pausa. «Se questa fosse davvero la fine di noi due in questa vita, ce ne sarà sempre un’altra. Magari questa non è nemmeno la prima volta che ci incontriamo. Forse siamo stati collegati tanto tempo fa, ma, se anche fosse, nella prossima vita saremo ancora collegati. Io continuerò a seguire quel filo, Rukia, fino a quando non vi troverò un’altra volta. Non ci ricorderemo questi momenti, ma ne creeremo altri. Un giorno ci rivedremo di nuovo; non credete che sarebbe davvero meraviglioso?»
La ragazza abbassò la testa, chiudendo gli occhi. Cercò di immaginarsi come sarebbe stato, che sensazioni avrebbe potuto provare, cosa avrebbe potuto dire senza avere alcun senso di colpa dentro di sé. E forse non sarà nemmeno costretta a fingere. Le sembrò che il peso di un macigno dentro al proprio cuore scomparisse. «Suppongo che allora, alla luce di tutto quello che avete detto, questo non sia un vero ‘Addio’, dopotutto» disse, con un lieve sorriso. «Suppongo di dovervi dire invece ‘Ci vediamo tra una vita’.»
«Ci vediamo tra una vita,» ripeté lui, «e magari potrò anche portarvi a vedere un campo di girasoli.»
Per Rukia, Ichigo era come un sole nero.
Passivo. Misterioso. Poco incline a farsi notare, ma quando lo fa, tutto quello intorno a lui sembra apprezzarlo.
Gli ospiti della sua famiglia le avevano spesso parlato delle eclissi. Ne era sempre stata affascinata dalle descrizioni che facevano. Le sarebbe piaciuto davvero vederne una dal vivo.
Il sole nero poteva comparire solo grazie alla luna bianca. La luna bianca avrebbe cercato disperatamente per ricongiungersi con il sole nero. Lei sarebbe stata la sua luna, cosicché i suoi raggi potessero penetrare giù, sempre più giù, in profondità. E dove la sua luce non sarebbe arrivata – il fondo – lei gli avrebbe donato altra luce, altra forza per andare avanti, non importava cosa sarebbe successo. Sarebbe stata il fuoco che illuminava il suo cammino. E lui le avrebbe donato tutte le eclissi del mondo, sempre, sempre, sempre.
Ancora e ancora, sarebbero rinati ed il ciclo si sarebbe ripetuto per l’eternità, si sarebbero cercati, desiderati, odiati, supportati, stancati, ma mai dimenticati l’uno dell’altra. Fino a quando entrambi non avrebbero detto “Finiamola qui, abbiamo avuto fin troppo tempo” – non avrebbero mai avuto troppo tempo, erano troppo attaccati perché quel (poco) tempo delle loro (così brevi ed innumerevoli) vite potesse bastare.
Quel filo non si sarebbe mai spezzato. Il destino aveva già deciso per loro.
Ogni volta, lei lo avrebbe cercato fino a quando non l’avrebbe trovato. Ogni volta, avrebbero giocato a rincorrersi fino a quando uno dei due non avrebbe preso l’altro, e poi di nuovo, sicuri di poter continuare per un sacco di tempo, fino a quando l’infinito non toccherà il cielo e la terra come due enti separati l’uno dall’altro.
Quando, un giorno, si incontreranno di nuovo
«È da molto che non ci vediamo» sorriderà lei, ricordando il passato
Lui, invece,
dirà
 
 
 
L’intera città di Karakura era soggiogata dal sonno, se non per pochi locali notturni, alle 3.13 di notte.
Rukia si svegliò, trovandosi faccia a faccia in un letto caldo con un Ichigo che la stava insistentemente fissando. «Perché ancora sveglio a quest’ora?» gli chiese in un sussurro, avendo paura che, parlando più forte, Isshin, Yuzu e Karin si potessero svegliare, ma il tono della voce sembrò lo stesso molto forte dato il silenzio che regnava nella stanza. «Niente, pensavo» rispose lui.
Rimasero qualche secondo lì, a fissarsi negli occhi. Non volle sapere a cosa stesse pensando il sostituto shinigami.
«Ho fatto un sogno» disse lei con il tono di voce più naturale del mondo, «qualcosa riguardante il passato.»
«Ah, sì? Di cosa parlava?»
La mora sorrise. «Niente d’importante. Forse è meglio che dormi, oggi è stata una lunga giornata» consigliò. Il ragazzo le diede ragione, chiudendo gli occhi. Quel silenzio opprimente lasciò in sospeso una domanda di Rukia, la quale si decise a farla qualche minuto dopo.
«Hey, Ichigo,» lo chiamò, «questo weekend andiamo a fare una piccola gita fuori città, magari in un posto dove ci sono dei campi di girasoli? Sono sicura che Yuzu e tuo padre – forse anche Karin – ne saranno felici.»
Lui riaprì gli occhi ambrati. «Perché no?» rispose, premendo la testa della ragazza contro il proprio petto ed appoggiando il mento sui suoi capelli corvini. «Sarebbe bello.»
Rukia sorrise. La sensazione di essere abbracciata da lui – ancora una volta – le riscaldò il cuore.
Quando si fu accertata che Ichigo dormisse, sussurrò contro il suo petto
«Long time no see, Ichigo.»





















I don’t own Bleach or any of its characters; they belong to Tite Kubo.
N/A: Ah, sto leggendo così tante fan fiction inglesi che mi veniva voglia di scrivere “It’s been a while since I last read Bleach” – l’ho scritto. Vi prego, curatemi da questa malattia d’amore per codesta lingua, e smettiamola anche di parlare con termini difficili, mi sono già ammazzata nel scrivere una fanfic del genere. Tra l’altro sono le due di notte, quindi sto sclerando ancora di più, ma solo perché domani (oggi?) entro alla seconda ora.
Yess, non ho mai scritto in questo fandom, viva i novellini! :D Il fatto è che, come ho detto (in inglese), è un po’ che non leggo questo manga. Dovrei ringraziare un’amica su Facebook che me l’ha fatto riscoprire di nuovo.
Ci ho messo un sacco a leggere le saghe di Hueco Mundo e quella dell’invasione di Karakura e, sinceramente, mi stavano rompendo un po’. Ah, che bei tempi quelli della saga della Soul Society (full of IchiRuki scenes <3), mi manca. Kubo l’aveva disegnata con grande maestria.
Sto letteralmente impazzendo per questa coppia, ma non mi dispiace nemmeno la HitsuHina e la RangiGin (oh, Gin, perché sei morto?! D’: ). E forse pure la UlquiHime potrebbe piacermi. Ma il mio OTP sarà sempre l’IchiRuki <3 *loves forever*
Anyway, ho provato semplicemente ad immaginare come potesse essere stata la vita precedente di questi due. Fade To Black! Un IchiRuki stupendo a dir poco. Ah ah, scusatemi, ma proprio non sono brava ad inventare nomi alternativi. Si suppone che la storia non sia ambientata in Giappone, ma da qualche altra parte.
Quando scrivo non riesco a trattenere di mettere del mio nei personaggi. La storia è venuta tremendamente OOC, ammettiamolo. Faccio schifo nel mantenere i caratteri dei personaggi, scusate anche questo. E, comunque, che diamine ci fa Rukia nel letto di Ichigo?! D:
Uhm, avrei voluto fare di questa one shot una long, ma faccio schifo pure nelle long, quindi non fate caso a tutte le stupidate che dico (scrivo).
Ho voluto lasciare in sospeso quello che avrebbe detto Ichigo perché voglio che ve lo immaginiate voi :) Mi piace scrivere in questo modo, lascio (credo di lasciare) la parola al lettore. E ho voluto scrivere l’ultima frase in inglese perché mi piaceva un sacco così >:D
Ringrazio chiunque abbia letto ed apprezzato questa mia fan fiction qui dentro :D Di solito la prima fan fiction che scrivo su una coppia mi fa sempre altamente scappare la cacca (woooh, Word non mi corregge “cacca”! :’D), ma questa mi piace abbastanza. Che sia la magia dei paroloni e/o dialoghi che ho inserito?
Visto che ho riletto la fan fiction 45364789504384573289 volte, penso di non aver fatto alcun errore. Ma se per caso ne trovaste uno, vi prego di segnalarmelo!
Sì, parlo (SCRIVOOOO.) sempre così tanto quando ho libertà assoluta nelle note d’autore oppure quando sono gasatissima.
Alla prossima (con vostro grande rammarico). Spero (con vostro grande sollievo).
Noth aka Rainy (aka Ameshiri) :D
PS: E se ci aggiungessi anche un bel “aka Crietozza grigliata al sapore di cipolla”? D:
PPS: Ho praticamente scritto una flash fiction con queste note d'autore. Scusate.
   
 
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