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Autore: chasingthesun_    17/11/2011    2 recensioni
La storia di William e Diana, lunga ed intensa, così tanto da regalare loro ogni tipo di sensazione, emozione.
La storia di un'alunna e del suo professore, di due innamorati.
La storia di due persone che si amano.
Attraverso il tempo, gli ostacoli e gli errori, una vicenda che si snoda in dieci lunghissimi anni.
Un amore che va oltre il tempo, il passato e se stessi.
(Dalla Storia):
Diana scoppiò a ridere." Beh, questo dimostra che non siamo poi così diversi ", fece un passo indietro, come se avesse paura delle sue stesse parole. "La letteratura, il silenzio... Ci sarà qualcos’altro?"
"Ti piacerebbe saperlo."
Lei scrollò le spalle. "Sarebbe carino ma non è che ora non ci dormo la notte."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
Bene, siamo Giulia e Maria Letizia, non siamo nuove dalle parti di EFP, ma stavolta torniamo in un un modo totalmente nuovo. Insomma, abbiamo cambiato abito.
Abbiamo deciso di creare un account comune dove pubblicare le storie che scriviamo insieme,  quattro mani  La passione per la scrittura ci accumana già da tempo, e dopo esserci conosciute (per caso.. oppure no?!) meglio, abbiamo deciso di intraprendere un percorso insieme.
Le nostre storie nascono da semplici conversazioni ed idee che ci incuriosiscono, ed ogni volta è sempre diverso.
Abbiamo scritto parecchie storie, e con questo account abbiamo intenzione di iniziare a proporvele (stavolta per il verso giusto), cominciando appunto, dalla storia di Will e Diana.
Diana Scott è una ragazza semplice, è esile e bionda, e non ha grandi ambizioni. E' nata e cresciuta nel centro di Londra, senza fratelli ma con due genitori ansiosi ma fantastici , ed ora studia letteratura nella piccola università di Hatfield, un paese nel cuore dell'Hertfordshire.
E' il suo sorriso dolce e sincero ad attirare lo sguardo di William Forster, l'attraente e misterioso professore di poesia, che cela dietro i suoi occhi qualcosa di profondo e taciuto.
Le loro personalità così diverse li trascineranno in un turbine di esperienze, un tornado di emozioni, una burrasca di lacrime ed una grandinata di gioie, che li porteranno a capire cosa significhi sconvolgere le proprie vite. Perché quando si ama davvero, non c'è altro da fare. L'amore va oltre le differenze di carattere, di idee, di età.
L'amore fa passare tutto, anche il tempo.
Un abbraccio e fateci sapere la vostra, sarebbe importantissimo per noi!
Giulia&MariaLetizia

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Diana sedeva davanti ad uno di quei tanti tavolini di legno chiaro tutti uguali che riempivano la mensa dell’università dell’ Hertfordshire mentre, con fare estremamente annoiato ed assente, si attorcigliava una ciocca dei suoi capelli biondi attorno al dito indice. Con l’altra mano, quella libera, si portava alle labbra una carota cruda e la sgranocchiava passivamente, masticando con lentezza e deglutendo con forza. In quella gelida e piovosa mattinata di inizio Gennaio si era alzata con un insopportabile e massacrante mal di testa dovuto probabilmente alla serata che aveva trascorso al pub, proprio accanto alle casse che avevano rimbombato musica country a tutto volume per tutto il tempo e ora si domandava perché non avesse deciso di rimanere in camera a leggere un buon libro invece che autocondannarsi a quella tortura. Se c’era una cosa che odiava con tutta se stessa era proprio aver mal di testa, perché le impediva di pensare. E per lei pensare era fondamentale. Pensava la mattina, durante le lezioni, a pranzo, mentre studiava, la sera e prima di dormire. Nonostante si biasimasse profondamente per questo lato del suo carattere, era una ragazza decisamente riflessiva e forse un po’ troppo sognatrice. Di quelle che ancora aspettano il principe azzurro in groppa ad un cavallo bianco, sebbene siano perfettamente consapevoli che non esistono principi che cavalcano cavalli nel mondo d’oggi. Semmai figli di papà su una motocicletta d’ultima generazione.
Comunque Diana, seduta nel posto accanto alla finestra, fissava l’esterno umido e nebbioso  e le pareva quasi di percepire l’odore di erba bagnata e di fango dovuto al temporale. Per fortuna lei amava la pioggia, altrimenti non avrebbe sopportato il fatto di rimanere in Inghilterra anche per il college. Sarebbe scappata a gambe levate, esausta, per la Francia o magari per l’Italia, esattamente come aveva fatto sua madre alla sua età. Ma poi era ritornata.
Ma quel giorno sentiva qualcosa di strano nell’aria, un’atmosfera più cupa del solito. Forse perché ancora rimuginava sulla lezione di Storia Americana che non era riuscita ad ascoltare, forse perché quel giorno la poltiglia che avevano servito nella mensa era particolarmente disgustosa e lei era stata costretta a prendere solo verdure dal banco frigo o forse perché era talmente stanca che tutti gli arti le pesavano. Pensò seriamente di saltare la lezione di poesia, che avrebbe avuto poco dopo il pranzo, e di rifugiarsi nella sua stanza per un po’ di sano ed indisturbato sonno. Ma finché Molly fosse stata nei paraggi sapeva di non aver speranza di riuscirci. Già la vedeva che la incalzava, col suo finto tono autoritario: << O studi o sei malata, Diana. Suvvia, non fare la bambina. >>
Sorrise distrattamente, mentre finiva la sua carota. Forse non si sarebbe data per malata. Forse.

Di fronte a Diana, sedeva Lucy, una sua compagna di corso dall’espressione sempre buffa e allegra. Aveva due grossi occhi celesti e i capelli castani ed era riconosciuta in giro per il suo senso dell’umorismo e le imitazioni dei politici inglesi.

<< Ehi, Diana, ci vieni dopo a poesia? >>, le domandò, mentre condiva con un po’ di ketchup la sua fettina di hamburger.

Diana lanciò uno sguardo interdetto a Molly, accanto a lei. Molly era la sua sbadata e stravagante coinquilina a cui, con i suoi modi decisamente fuori dalla norma, voleva già bene. Era impossibile non adorare le sue tazze di the bollente, i suoi occhiali spessi, i suoi libri assurdi ed i suoi modi da mamma chioccia. Senza parlare poi dei maglioni di lana a righe e dei suoi jeans stile anni ‘80.

Notando che questa la stava bellamente ignorando, parlando con suo cugino Phil, sospirò ed annuì sconfitta.

<< Sì. Suppongo. >>

<< Io amo il professor Forster >>, commentò l’altra con un sorriso malizioso.

A fianco a lei, Brandon, un allampanato ventenne studente di ingegneria, aveva ascoltato la conversazione e ora stava beatamente ridendo. << A chi non piace Forster? >>

Lucy alzò le spalle. << Ma non tutti hanno il privilegio di fare lezione con lui. >>

Diana sussultò impercettibilmente e si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il professor William Forster era di sicuro l’uomo più affascinante mai visto in tutta l’università e, di certo, il fatto che insegnasse poesia con quel seducente accento del nord non aiutava affatto. Alto, moro, con un paio di meravigliosi occhi verdi, aveva le mani grandi e soleva gesticolarle con trasporto quando parlava di un brano le lo coinvolgeva particolarmente. Sembrava trasudare sicurezza e, sì, anche sensibilità.

Ma questo, ovviamente, era ciò che Diana aveva immaginato in una delle sue tante riflessioni.

<< Siamo fortunate, Lu >>, disse velocemente e poi diede una gomitata a Molly. << Tu hai lezione ora? >>

Molly si aggiustò gli occhiali e ci pensò su, la sua camicia a quadri metteva in risalto il suo viso perfettamente rotondo.

<< Sì, di cinese >>, rispose alzando le sopracciglia.

La bionda si lasciò sfuggire un risolino e lanciò un’occhiata profondamente eloquente a Brandon e a Phil, il cugino di Molly.

<< Non capisco come fai, Molly >>, sentenziò quest’ultimo. << Cavolo, il cinese! Non credo te l’abbia passata zia Carol questa passione. >>

Diana cercò di soffocare le risate in un bicchiere d’acqua: quella famiglia era tutta strana.

<< Infatti mi è venuta così >>, commentò laconica Molly. << Che ne vuoi capire tu! >>

Lucy scoppiò a ridere e guardò Brandon stranita.

<< Stasera verrete con noi in città? C’è una serata tributo per i Beatles, tanto per cambiare. >>

Diana alzò gli occhi al cielo. << Per venire assordata dalla musica come ieri? Non ci penso nemmeno >>, brontolò. << Me ne starò tanto bene sdraiata sul letto a dormire o a leggere. >>

<< Come al solito >>, fece la sua compagna di stanza con una smorfia. << Io esco, non iniziare a rompere con il fatto che non c’è niente da mangiare, c’è un supermercato aperto ventiquattro ore su ventiquattro. >>

Brandon aggrottò le sopracciglia, non capendo cosa c’entrasse quel discorso, ma preferì tacere e continuare a mangiare.

La bionda scoppiò a ridere. << Non preoccuparti, al limite vado a fregare qualcosa in camera di tuo cugino. Vero, Phil? >>

Phil si passò una mano tra i ribelli ricci castani ed annuì frettolosamente. << Certo! >>

Lucy sorrise leggermente, chiedendosi quanto da uno a dieci Molly e Phil fossero strani. Poi si rivolse a Diana e continuò a dirle: << Certo che però Forster è uno degli uomini più belli che io abbia mai visto >>, sospirò. << Se solo non fossi così piccola! >>

   Prima che Diana rispondesse, intervenne Phil infervorato. << Sei proprio ossessionata! Perché non vai lì e gli chiedi di uscire? >>

Tutti, al tavolo, scoppiarono a ridere.

<< Ehi, andateci piano! Io mi sto frequentando con Jeff del terzo anno, cosa volete insinuare? >>, ribatté lei con una risata.

<< Jeff? Quello alto con i capelli neri? >>, chiese Brandon.

<< Sì, lui >>, rispose Lucy scuotendo il capo.

<< E da quando, scusa? >>, domandò Diana confusa. << Non stavi con Matthew la settimana scorsa? >>

La castana scosse il capo. << No, lui stava con un’altra >>, fece una smorfia infastidita. << Voi maschi siete tutti uguali. >>

La bionda annuì sconsolata e, di fronte all’evidente esperienza di Lucy in fatto di relazioni, si vergognò improvvisamente di avere diciannove anni e di non aver avuto tanti fidanzati e, soprattutto, di non essere mai stata a letto con nessuno. Ma questo era un dettaglio che, ovviamente, non aveva mai confessato.

<< Confermo >>, borbottò. << Ma lasciamo perdere. >>

<< Neanche voi ragazze siete tutto questo gran che >>, si lamentò Brandon, mentre guardava Lucy con aria divertita. << Rendete sempre le cose più difficili. >>

Diana scrollò le spalle e decise di lasciare che Brandon e Lucy proseguissero con questa futile e già tante volte ripetuta conversazione. Sbuffò, sentendo un leggero crampo allo stomaco dalla fame e guardò il piatto di Molly, con l’intento di rubarle qualcosa da sgranocchiare. Quando vide però proprio la poltiglia in non identificabile che aveva evitato, si rimangiò subito gli ultimi pensieri e sorrise alla sua amica.
<< Hai steso il bucato, alla fine? >>     

Molly sbuffò << Il mio, sì, certo. Ma ho stinto un paio di magliette >>, alzò le spalle. << Si vede che era destino. >>
La bionda annuì, soffocando una risata. << Magari possiamo farci dei loghi e dipingerle >>, propose. << Oggi pomeriggio vediamo. Tanto non devo studiare molto. >>
<< Mi hai preso per una comunista? E comunque, poi vediamo, io voglio arrivare in città >>, replicò Molly, mentre tirava una pallina di carta a suo cugino.
Diana scoppiò a ridere. << Per loghi non intendevo niente di politicizzato, ma semplicemente qualche scritta affettuosa. Vedila come vuoi... >>, guardò l’orologio. << Beh, è ora di andare. Lucy! >>, esclamò poi.
Lucy tirò un colpo affettuoso sulla spalla di Brandon e, ridendo, si alzò dalla sedia. << Ci becchiamo dopo! >>
Diana baciò distrattamente la guancia a Molly e salutò i due ragazzi con un cenno della mano, prima di essere presa da Lucy sottobraccio ed essere trascinata verso l’aula.
<< Cos’è tutta questa fretta? >>
<< Forse Brandon ci stava provando >>, borbottò lei. << Non lo so, è simpatico, ma tutto qui >>, disse poi scuotendo il capo. << Ma lui fa così con tutte di solito. >>
<< Ah, che vuoi saperne >>, disse l’altra con nonchalance, mentre attraversavano la piazzola che conduceva all’edificio con le classi. << Tanto stai con Jeff! O no? >>
<< Io non voglio stare proprio con nessuno, ho deciso di lasciarlo >>, ribatté la castana con una risata.
La bionda scosse la testa ed alzò gli occhi al cielo. << Tu ti contraddici, mia cara! >>, esclamò, entrando nell’edificio dove c’erano le classi, che puzzava leggermente di umido. Salì una rampa di scale e si ritrovò davanti ad una porta, sulla cui targa era inciso: Introduzione alla poesia. Professor W. Forster.
Sorrise appena ed entrò, andandosi ad accomodare nell’ultima fila, come al solito. I banchi erano già occupati da altri studenti, ma la cattedra era ancora vuota.
Se William Forster non fosse stato un giovane professore in carriera di certo avrebbe avuto la stoffa per fare l’attore o il modello, tanto era il suo fascino. Nell’università ogni ragazza, professoressa giovane o anziana che fosse, rimaneva attratta da lui come se fosse sotto ipnosi. Eppure, seppure il suo aspetto fisico, lui aveva preferito dedicarsi allo studio. Non voleva perdere tempo, così diceva. Gli occhi verdi chiarissimi sembravano nascondere perennemente qualcosa, mentre il suo sorriso enigmatico, lasciava sospirare ogni sua alunna. Ma lui non aveva niente di così speciale rispetto agli altri uomini sulla Terra. Come tutti, aveva un passato alla spalle che preferiva dimenticare, e stava provando a crearsi una nuova vita lontana dalla precedente. Infatti, era originario di Liverpool, di una altolocata famiglia della zona, ma di questo non ne parlava mai. Preferiva restare in silenzio o ridere sprezzante: E’ davvero questo che ti interessa sapere?
Oggi avrebbe parlato di Dante e della Vita Nova, un po’ come la sua, ma non poteva assolutamente accostare il poeta a sé stesso. Lui, fino ad allora, non aveva mai provato sentimenti così profondi come quelli. In ventisette anni di vita, non era riuscito a provare niente se non dolore e amarezza. Ma non amava pensarci, infatti fumava spesso e così meditava su quello. Poveri polmoni, commentava tra sé e sé.
Aveva conseguito due lauree, una in lettere e l’altra in filosofia, ma, fin ad ora, neanche lui aveva capito perché avesse scelto quella strada seppure amasse quello che faceva. Quindi preferiva dimenticarsene estemporaneamente e poi ci avrebbe ripensato. Magari durante la notte, in una delle tanti notti in cui non riusciva a dormire.
Arrivò in aula molto tranquillamente, gli alunni che seguivano il corso erano pochi. Sorrise appena a tutti i presenti e, sena far caso all’altissimo numero di alunne presenti in classe, prese un pennarello e scrisse: Dante Alighieri – Vita Nova.
Diana notò come, non appena il professor Forster entrò in aula, tutte le ragazze presenti si fossero voltate al suo passaggio, seguendolo con lo sguardo fino a che non si era fermato a scrivere alla lavagna. Sorrise amaramente, pensando che, per una volta, anche lei si era ritrovata omologata alla massa di oche giulive che la circondavano: doveva ammettere che il professore fosse davvero un gran bell’uomo. Ma la prima cosa che aveva notato in lui da subito era stata la sua dedizione, la sua passione, la luce entusiasmata che coglieva i suoi occhi quando parlava di una poesia d’amore. Era sicura che in lui ci fosse qualcosa di molto profondo dietro quella maschera di bellezza quasi idilliaca, e ciò la incuriosiva molto. Ma, ovviamente, queste erano solo le sue fantasie da ex adolescente romantica.

<< Smettila di sbavare >>, suggerì a Lucy sottovoce.

La ragazza annuì frettolosamente e prese i libri dalla sua borsa.

Il professore ridacchiò tra sé, ripensando a quanto avesse odiato Dante durante i corsi. Mentre ora lo amava in particolar modo, tant’è che aveva tradotto il canto V dell’Inferno in una notte sola.

<< Quanti di voi conoscono    bene     questo autore? >>

La sua voce era intensa, profonda. Era compiaciuto di se stesso quando insegnava.

Diana si guardò attorno e, oltre a vedere ragazze in uno stato di trans ormonale, contò le cinque persone, di cui quattro erano maschi, che avevano alzato la mano. Prontamente, li imitò: d’altronde, aveva portato al liceo un saggio su Dante Alighieri e si ricordava di averlo apprezzato molto, specie per la storia di Paolo e Francesca.

William annuì, chiedendo ad un ragazzo tra le ultime file di riferirgli tutto ciò che sapeva di Dante. Che sciocco, pensò, che sciocco perché non aveva idea di chi stesse parlando e cosa si nascondesse dietro quella figura che apparentemente sembrava così pesante. Mise un foglio che aveva preparato la sera prima sullo scanner che subito lo proiettò su una lavagna libera.

<< Bene, grazie mille >>, disse, poi allontanò dalla cattedra e si appoggiò al primo banco. Iniziò a parlare di Dante, ponendo particolare accento sul motivo dell’esilio, presente in buona parte delle sue opere. Lui si sentiva un po’ esiliato, esiliato da quello che aveva lasciato dietro di sé. Lanciò uno sguardo distratto alla giovane ragazza bionda di fronte a sé. E, mentre continuava a parlare, non smetteva di fissarla.

      Come al solito, Diana si perse in quegli interessanti discorsi e ne rimase estasiata, proprio come la prima volta. Amava come Forster parlava, gesticolava, e come sapeva senza troppi problemi trovarsi al centro dell’attenzione. Era come se fosse nato per stare sotto i riflettori.

Guardandolo mentre scriveva stralci di poesia alla lavagna o titoli di libri di critica, si chiese se lui avesse mai osservato per davvero i suoi studenti. Era chiaro che riconoscesse i visi, magari anche le voci, ma li conosceva oppure li guardava solo passivamente? Si domandò se qualcuno in particolare avesse attirato la sua attenzione e poi si diede della stupida per aver pensato una cosa del genere.

A metà lezione, Will si sedette tra i suoi alunni. Scelse la terza fila, a proprio di fronte a quella ragazza che stava osservando prima.

<< Tu, per esempio, che ne pensi di questa donna che    pare     tanto gentile e tanto onesta? >>, le rivolse uno sguardo rassicurante, ed incrociò le braccia in attesa di una risposta.

Diana sussultò, sentendosi chiamata in causa per la prima volta dopo sei mesi di lezioni e non poté fare a meno di arrossire. Sperò solo che il professore non la giudicasse come una frivola. Lei era semplicemente timida.

<< Io... Io credo che sia veramente intenso il tono con cui Dante descrive Beatrice. >>

Molto intenso, si corresse. Un tono di totale devozione, amore, sottomissione.

           L’uomo annuì, scrutandola con estrema attenzione. Pensò che era davvero,    davvero     molto bella.

<< E tu avresti mai descritto la persona che ami con questi toni così alti? >>

Lei deglutì rumorosamente e, con una punta di malinconia, si ricordò di non essersi mai innamorata. O almeno, non in un modo così struggente e logorante.

<< Beh >>, provò a dire, imbarazzata. << Credo di sì. Anche se fossi la persona più dura e fredda del mondo... Ciò che voglio dire è che ci sono tanti tipi di carattere, che si riversano in uno solo quando incontrano l’amore. O sbaglio? >>

Temeva di dire qualcosa di errato, di essere presa in giro per la sua visione troppo sentimentale e romantica della vita.

Il professore si lasciò sfuggire un sorriso. Era ancora così bello interagire con dei ragazzi dalle idee così fresche e giovani.

<< Sì, hai ragione >>, le rispose semplicemente. << Ora voglio che scriviate cinquecento parole su questo sonetto e che poi veniate qui a leggerli per esercitarvi per la tesina degli esami >>, guardò i suoi alunni con aria furba. << Non accetto scuse e non voglio sentirmi dire che vi vergognate. Giusto? >>, domandò, sempre rivolto a quella giovane.

Diana impallidì e non rispose, chinando di scatto il capo sul banco.

   E brava    , si disse,    Bella figura della cretina    .

Si era sentita così a disagio, puntata da quelle iridi verde ghiaccio e cullata da quella voce calda. Era inutile dire che quell’uomo era un mago nell’assoggettare le donne, riusciva a far cadere ai suoi piedi anche la più restia nei confronti dei seduttori, proprio come lei. Ma tanto non ci sarebbe caduta, mica come Cindy Cooper, che gli moriva dietro da sempre.

          William si sedette dietro la cattedra, giocherellando con una penna. Osservava la lavagna, tutte quelle parole scritte da lui stesso gli sembrarono per un attimo estranee. Si rese conto di non avere uno scopo preciso, di non essere pieno nella sua vita. Era sempre così insoddisfatto, inquieto, melanconico. Cinico e freddo. Insofferente nei confronti dei rapporti con gli altri, si mostrava sempre disinteressato e scompiacente. Ecco perché non aveva amici, escluso Charles. Per il resto, solo amiche. Sì, certo, amiche che morivano per andare a letto con lui. Amiche che ogni tanto doveva pure accontentare.

<< Avete finito? >>

      Ci fu un’esplosione di mormorii confusi, di risatine e di commenti. Diana non aveva neanche tirato fuori un foglio e una penna per scrivere, tanto aveva la mente annebbiata e confusa. Guardò Lucy mentre terminava furiosamente il suo testo e poi trovò il coraggio per alzare gli occhi, che incontrarono subito quelli del professore. Li abbassò di scatto.

         << Tu >>, la richiamò Will.<< Scommetto che non hai scritto niente. >>

Amava leggere negli occhi dei suoi alunni, specie in quelli di quella ragazza che lo aveva colpito. Anche se ci pensava solo ora.

Per chissà quale grazia scesa dal cielo, lei riuscì a sorridergli beffarda. << Suppongo di no >>, disse, stupendo persino se stessa.

<< Come mai? >,> insistette l’uomo, sorridendo sghembo.

<< Perché non ci sono parole per descriverlo >>, gli rispose la diciannovenne di rimando. << Dante ha già detto tutto. >>

William arretrò dinnanzi quella risposta. << Per questo ti meriteresti un bel voto >>, le disse, avvicinandosi alla sua fila. << Ma voglio che tu me lo scriva, almeno. >>

Lei rise ed estrasse un foglio ed una penna dalla sua cartellina viola ed obbedì.

   Non ci sono parole per descrivere questo canto, Dante ha già detto tutto. Diana Scott.     scrisse.

<< Ecco a lei >>, dichiarò, porgendogli il foglio.

<< Perfetto >>, ribatté lui, prendendolo in mano. << Voi altri lasciate le composizioni sulla cattedra e tu,    Diana Scott,     per la prossima volta voglio un saggio sul primo sonetto dell’opera, minimo due pagine. >>

Amava scontrarsi con ragazze diverse dal solito, come era sicuro fosse lei. I suoi in particolare, lo avevano ammaliato, senza che lui potesse pensarci due volte,

Diana scoppiò a ridere e non prese sul serio quel compito, anche se era sicura che l’avrebbe svolto. Scrollò le spalle e strizzò l’occhio a Lucy, che era rimasta muta per tutta la lezione.

  
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