Salve
a tutti!
Bene,
siamo
Giulia e Maria Letizia, non siamo nuove dalle parti di EFP,
ma stavolta
torniamo in un un modo totalmente nuovo. Insomma, abbiamo cambiato
abito.
Abbiamo
deciso
di creare un account comune dove pubblicare le storie che scriviamo
insieme,
quattro mani La passione per la
scrittura ci accumana già da
tempo, e dopo esserci conosciute (per caso.. oppure no?!) meglio,
abbiamo
deciso di intraprendere un percorso insieme.
Le
nostre storie
nascono da semplici conversazioni ed idee che ci incuriosiscono, ed
ogni volta
è sempre diverso.
Abbiamo
scritto
parecchie storie, e con questo account abbiamo intenzione di iniziare a
proporvele (stavolta per il verso giusto), cominciando appunto, dalla
storia di
Will e Diana.
Diana
Scott è una ragazza
semplice, è esile e bionda, e non ha grandi ambizioni. E'
nata e cresciuta nel
centro di Londra, senza fratelli ma con due genitori ansiosi ma
fantastici , ed
ora studia letteratura nella piccola università di Hatfield,
un paese nel cuore
dell'Hertfordshire.
E' il suo sorriso dolce e sincero ad attirare lo sguardo di William
Forster,
l'attraente e misterioso professore di poesia, che cela dietro i suoi
occhi
qualcosa di profondo e taciuto.
Le loro personalità così diverse li trascineranno
in un turbine di esperienze,
un tornado di emozioni, una burrasca di lacrime ed una grandinata di
gioie, che
li porteranno a capire cosa significhi sconvolgere le proprie vite.
Perché
quando si ama davvero, non c'è altro da fare. L'amore va
oltre le differenze di
carattere, di idee, di età.
L'amore fa passare tutto, anche il tempo.
Un abbraccio e fateci sapere la vostra, sarebbe importantissimo per noi!
Giulia&MariaLetizia
Diana
sedeva davanti ad uno di quei tanti tavolini di legno chiaro tutti
uguali che
riempivano la mensa dell’università
dell’ Hertfordshire
mentre, con fare estremamente annoiato ed assente, si attorcigliava
una ciocca dei suoi capelli biondi attorno al dito indice. Con
l’altra mano,
quella libera, si portava alle labbra una carota cruda e la
sgranocchiava
passivamente, masticando con lentezza e deglutendo con forza. In quella
gelida
e piovosa mattinata di inizio Gennaio si era alzata con un
insopportabile e
massacrante mal di testa dovuto probabilmente alla serata che aveva
trascorso
al pub, proprio accanto alle casse che avevano rimbombato musica
country a
tutto volume per tutto il tempo e ora si domandava perché
non avesse deciso di
rimanere in camera a leggere un buon libro invece che autocondannarsi a
quella
tortura. Se c’era una cosa che odiava con tutta se stessa era
proprio aver mal
di testa, perché le impediva di pensare. E per lei pensare
era fondamentale.
Pensava la mattina, durante le lezioni, a pranzo, mentre studiava, la
sera e
prima di dormire. Nonostante si biasimasse profondamente per questo
lato del
suo carattere, era una ragazza decisamente riflessiva e forse un
po’ troppo
sognatrice. Di quelle che ancora aspettano il principe azzurro in
groppa ad un
cavallo bianco, sebbene siano perfettamente consapevoli che non
esistono
principi che cavalcano cavalli nel mondo d’oggi. Semmai figli
di papà su una
motocicletta d’ultima generazione.
Comunque Diana, seduta nel posto accanto
alla finestra, fissava l’esterno umido e nebbioso e le pareva quasi di
percepire l’odore di
erba bagnata e di fango dovuto al temporale. Per fortuna lei amava la
pioggia,
altrimenti non avrebbe sopportato il fatto di rimanere in Inghilterra
anche per
il college. Sarebbe scappata a gambe levate, esausta, per
Ma quel giorno sentiva qualcosa di strano
nell’aria, un’atmosfera più cupa del
solito. Forse perché ancora rimuginava
sulla lezione di Storia Americana che non era riuscita ad ascoltare,
forse
perché quel giorno la poltiglia che avevano servito nella
mensa era
particolarmente disgustosa e lei era stata costretta a prendere solo
verdure
dal banco frigo o forse perché era talmente stanca che tutti
gli arti le
pesavano. Pensò seriamente di saltare la lezione di poesia,
che avrebbe avuto
poco dopo il pranzo, e di rifugiarsi nella sua stanza per un
po’ di sano ed
indisturbato sonno. Ma finché Molly fosse stata nei paraggi
sapeva di non aver
speranza di riuscirci. Già la vedeva che la incalzava, col
suo finto tono
autoritario: << O studi o sei malata, Diana. Suvvia, non
fare la bambina.
>>
Sorrise distrattamente, mentre finiva la
sua carota. Forse non si sarebbe data per malata. Forse.
Di fronte a Diana,
sedeva Lucy, una sua compagna di
corso dall’espressione sempre buffa e allegra. Aveva due
grossi occhi celesti e
i capelli castani ed era riconosciuta in giro per il suo senso
dell’umorismo e
le imitazioni dei politici inglesi.
<< Ehi,
Diana, ci vieni dopo a poesia? >>,
le domandò, mentre condiva con un po’ di ketchup
la sua fettina di hamburger.
Diana
lanciò uno sguardo interdetto a Molly, accanto a
lei. Molly era la sua sbadata e stravagante coinquilina a cui, con i
suoi modi
decisamente fuori dalla norma, voleva già bene. Era
impossibile non adorare le
sue tazze di the bollente, i suoi occhiali spessi, i suoi libri assurdi
ed i
suoi modi da mamma chioccia. Senza parlare poi dei maglioni di lana a
righe e
dei suoi jeans stile anni ‘80.
Notando che questa la
stava bellamente ignorando, parlando
con suo cugino Phil, sospirò ed annuì sconfitta.
<<
Sì. Suppongo. >>
<< Io
amo il professor Forster >>,
commentò l’altra con un sorriso malizioso.
A fianco a lei,
Brandon, un allampanato ventenne
studente di ingegneria, aveva ascoltato la conversazione e ora stava
beatamente
ridendo. << A chi non piace Forster? >>
Lucy alzò
le spalle. << Ma non tutti hanno il
privilegio di fare lezione con lui. >>
Diana
sussultò impercettibilmente e si mise una ciocca
di capelli dietro l’orecchio. Il professor William Forster
era di sicuro l’uomo
più affascinante mai visto in tutta
l’università e, di certo, il fatto che
insegnasse poesia con quel seducente accento del nord non aiutava
affatto.
Alto, moro, con un paio di meravigliosi occhi verdi, aveva le mani
grandi e
soleva gesticolarle con trasporto quando parlava di un brano le lo
coinvolgeva
particolarmente. Sembrava trasudare sicurezza e, sì, anche
sensibilità.
Ma questo,
ovviamente, era ciò che Diana aveva
immaginato in una delle sue tante riflessioni.
<<
Siamo fortunate, Lu >>, disse
velocemente e poi diede una gomitata a Molly. << Tu hai
lezione ora?
>>
Molly si
aggiustò gli occhiali e ci pensò su, la sua
camicia a quadri metteva in risalto il suo viso perfettamente rotondo.
<<
Sì, di cinese >>, rispose alzando le
sopracciglia.
La bionda si
lasciò sfuggire un risolino e lanciò
un’occhiata
profondamente eloquente a Brandon e a Phil, il cugino di Molly.
<< Non
capisco come fai, Molly >>,
sentenziò quest’ultimo. << Cavolo,
il cinese! Non credo te l’abbia
passata zia Carol questa passione. >>
Diana
cercò di soffocare le risate in un bicchiere
d’acqua:
quella famiglia era tutta strana.
<<
Infatti mi è venuta così >>,
commentò
laconica Molly. << Che ne vuoi capire tu! >>
Lucy
scoppiò a ridere e guardò Brandon stranita.
<<
Stasera verrete con noi in città? C’è
una
serata tributo per i Beatles, tanto per cambiare. >>
Diana alzò
gli occhi al cielo. << Per venire
assordata dalla musica come ieri? Non ci penso nemmeno
>>, brontolò.
<< Me ne starò tanto bene sdraiata sul letto a
dormire o a leggere.
>>
<< Come
al solito >>, fece la sua compagna
di stanza con una smorfia. << Io esco, non iniziare a
rompere con il
fatto che non c’è niente da mangiare,
c’è un supermercato aperto ventiquattro
ore su ventiquattro. >>
Brandon
aggrottò le sopracciglia, non capendo cosa
c’entrasse
quel discorso, ma preferì tacere e continuare a mangiare.
La bionda
scoppiò a ridere. << Non preoccuparti,
al limite vado a fregare qualcosa in camera di tuo cugino. Vero, Phil?
>>
Phil si
passò una mano tra i ribelli ricci castani ed
annuì frettolosamente. << Certo!
>>
Lucy sorrise
leggermente, chiedendosi quanto da uno a
dieci Molly e Phil fossero strani. Poi si rivolse a Diana e
continuò a dirle:
<< Certo che però Forster è uno
degli uomini più belli che io abbia mai
visto >>, sospirò. << Se solo
non fossi così piccola! >>
Prima che Diana
rispondesse, intervenne Phil
infervorato. << Sei proprio ossessionata!
Perché non vai lì e gli chiedi
di uscire? >>
Tutti, al tavolo,
scoppiarono a ridere.
<< Ehi,
andateci piano! Io mi sto frequentando
con Jeff del terzo anno, cosa volete insinuare? >>,
ribatté lei con una
risata.
<<
Jeff? Quello alto con i capelli neri?
>>, chiese Brandon.
<<
Sì, lui >>, rispose Lucy scuotendo il
capo.
<< E da
quando, scusa? >>, domandò Diana
confusa. << Non stavi con Matthew la settimana scorsa?
>>
La castana scosse il
capo. << No, lui stava con
un’altra >>, fece una smorfia infastidita.
<< Voi maschi siete
tutti uguali. >>
La bionda
annuì sconsolata e, di fronte all’evidente
esperienza di Lucy in fatto di relazioni, si vergognò
improvvisamente di avere
diciannove anni e di non aver avuto tanti fidanzati e, soprattutto, di
non
essere mai stata a letto con nessuno. Ma questo era un dettaglio che,
ovviamente, non aveva mai confessato.
<<
Confermo >>, borbottò. << Ma
lasciamo perdere. >>
<<
Neanche voi ragazze siete tutto questo gran
che >>, si lamentò Brandon, mentre guardava
Lucy con aria divertita.
<< Rendete sempre le cose più difficili.
>>
Diana
scrollò le spalle e decise di
lasciare che Brandon e Lucy proseguissero con questa futile e
già tante volte
ripetuta conversazione. Sbuffò, sentendo un leggero crampo
allo stomaco dalla
fame e guardò il piatto di Molly, con l’intento di
rubarle qualcosa da
sgranocchiare. Quando vide però proprio la poltiglia in non
identificabile che
aveva evitato, si rimangiò subito gli ultimi pensieri e
sorrise alla sua amica.
<< Hai steso il bucato, alla fine?
>>
Molly
sbuffò << Il mio, sì, certo. Ma ho
stinto un paio di magliette >>,
alzò le spalle. << Si vede che era destino.
>>
La
bionda annuì, soffocando una risata. << Magari
possiamo farci dei loghi e
dipingerle >>, propose. << Oggi pomeriggio
vediamo. Tanto non devo
studiare molto. >>
<<
Mi hai preso per una comunista? E comunque, poi vediamo, io voglio
arrivare in
città >>, replicò Molly, mentre
tirava una pallina di carta a suo cugino.
Diana
scoppiò a ridere. << Per loghi non intendevo
niente di politicizzato, ma
semplicemente qualche scritta affettuosa. Vedila come vuoi...
>>, guardò
l’orologio. << Beh, è ora di andare.
Lucy! >>, esclamò poi.
Lucy
tirò un colpo affettuoso sulla spalla di Brandon e, ridendo,
si alzò dalla
sedia. << Ci becchiamo dopo! >>
Diana
baciò distrattamente la guancia a Molly e salutò
i due ragazzi con un cenno
della mano, prima di essere presa da Lucy sottobraccio ed essere
trascinata
verso l’aula.
<<
Cos’è tutta questa fretta? >>
<<
Forse Brandon ci stava provando >>, borbottò
lei. << Non lo so, è
simpatico, ma tutto qui >>, disse poi scuotendo il capo.
<< Ma lui
fa così con tutte di solito. >>
<<
Ah, che vuoi saperne >>, disse l’altra con
nonchalance, mentre
attraversavano la piazzola che conduceva all’edificio con le
classi. << Tanto
stai con Jeff! O no? >>
<<
Io non voglio stare proprio con nessuno, ho deciso di lasciarlo
>>, ribatté
la castana con una risata.
La
bionda scosse la testa ed alzò gli occhi al cielo.
<< Tu ti contraddici,
mia cara! >>, esclamò, entrando
nell’edificio dove c’erano le classi, che
puzzava leggermente di umido. Salì una rampa di scale e si
ritrovò davanti ad
una porta, sulla cui targa era inciso: Introduzione
alla poesia. Professor W. Forster.
Sorrise
appena ed entrò, andandosi ad accomodare
nell’ultima fila, come al solito. I
banchi erano già occupati da altri studenti, ma la cattedra
era ancora vuota.
Oggi
avrebbe parlato di Dante e della Vita Nova, un po’ come la
sua, ma non poteva
assolutamente accostare il poeta a sé stesso. Lui, fino ad
allora, non aveva
mai provato sentimenti così profondi come quelli. In
ventisette anni di vita,
non era riuscito a provare niente se non dolore e amarezza. Ma non
amava
pensarci, infatti fumava spesso e così meditava su quello. Poveri polmoni, commentava tra
sé e sé.
Aveva
conseguito due lauree, una in lettere e l’altra in filosofia,
ma, fin ad ora,
neanche lui aveva capito perché avesse scelto quella strada
seppure amasse
quello che faceva. Quindi preferiva dimenticarsene estemporaneamente e
poi ci
avrebbe ripensato. Magari durante la notte, in una delle tanti notti in
cui non
riusciva a dormire.
Arrivò
in aula molto tranquillamente, gli alunni che seguivano il corso erano
pochi. Sorrise
appena a tutti i presenti e, sena far caso all’altissimo
numero di alunne
presenti in classe, prese un pennarello e scrisse: Dante
Alighieri – Vita Nova.
Diana
notò come, non appena il professor Forster entrò
in aula, tutte le ragazze
presenti si fossero voltate al suo passaggio, seguendolo con lo sguardo
fino a
che non si era fermato a scrivere alla lavagna. Sorrise amaramente,
pensando
che, per una volta, anche lei si era ritrovata omologata alla massa di
oche
giulive che la circondavano: doveva ammettere che il professore fosse
davvero
un gran bell’uomo. Ma la prima cosa che aveva notato in lui
da subito era stata
la sua dedizione, la sua passione, la luce entusiasmata che coglieva i
suoi
occhi quando parlava di una poesia d’amore. Era sicura che
in lui ci fosse qualcosa di molto profondo dietro quella maschera di
bellezza
quasi idilliaca, e ciò la incuriosiva molto. Ma, ovviamente,
queste erano solo
le sue fantasie da ex adolescente romantica.
<<
Smettila di sbavare >>, suggerì a Lucy
sottovoce.
La ragazza
annuì frettolosamente e prese i libri dalla
sua borsa.
Il professore
ridacchiò tra sé, ripensando a quanto
avesse odiato Dante durante i corsi. Mentre ora lo amava in particolar
modo,
tant’è che aveva tradotto il canto V
dell’Inferno in una notte sola.
<<
Quanti di voi conoscono
La sua voce era
intensa, profonda. Era compiaciuto di
se stesso quando insegnava.
Diana si
guardò attorno e, oltre a vedere ragazze in
uno stato di trans ormonale, contò le cinque persone, di cui
quattro erano
maschi, che avevano alzato la mano. Prontamente, li imitò:
d’altronde, aveva
portato al liceo un saggio su Dante Alighieri e si ricordava di averlo
apprezzato molto, specie per la storia di Paolo e Francesca.
William
annuì, chiedendo ad un ragazzo tra le ultime
file di riferirgli tutto ciò che sapeva di Dante. Che sciocco, pensò, che
sciocco perché non aveva idea di chi stesse
parlando e cosa si nascondesse dietro quella figura che apparentemente
sembrava
così pesante. Mise un foglio che aveva preparato la sera
prima sullo scanner
che subito lo proiettò su una lavagna libera.
<<
Bene, grazie mille >>, disse, poi
allontanò dalla cattedra e si appoggiò al primo
banco. Iniziò a parlare di
Dante, ponendo particolare accento sul motivo dell’esilio,
presente in buona
parte delle sue opere. Lui si sentiva un po’ esiliato,
esiliato da quello che
aveva lasciato dietro di sé. Lanciò uno sguardo
distratto alla giovane ragazza
bionda di fronte a sé. E, mentre continuava a parlare, non
smetteva di
fissarla.
Come al solito, Diana
si perse in quegli interessanti
discorsi e ne rimase estasiata, proprio come la prima volta. Amava come
Forster
parlava, gesticolava, e come sapeva senza troppi problemi trovarsi al
centro
dell’attenzione. Era come se fosse nato per stare sotto i
riflettori.
Guardandolo mentre
scriveva stralci di poesia alla
lavagna o titoli di libri di critica, si chiese se lui avesse mai
osservato per
davvero i suoi studenti. Era chiaro che riconoscesse i visi, magari
anche le
voci, ma li conosceva oppure li guardava solo passivamente? Si
domandò se
qualcuno in particolare avesse attirato la sua attenzione e poi si
diede della
stupida per aver pensato una cosa del genere.
A metà
lezione, Will si sedette tra i suoi alunni.
Scelse la terza fila, a proprio di fronte a quella ragazza che stava
osservando
prima.
<< Tu,
per esempio, che ne pensi di questa donna
che
Diana
sussultò, sentendosi chiamata in causa per la
prima volta dopo sei mesi di lezioni e non poté fare a meno
di arrossire. Sperò
solo che il professore non la giudicasse come una frivola. Lei era
semplicemente timida.
<<
Io... Io credo che sia veramente intenso il
tono con cui Dante descrive Beatrice. >>
Molto
intenso, si corresse. Un
tono di totale devozione, amore,
sottomissione.
L’uomo
annuì, scrutandola con estrema attenzione.
Pensò che era davvero,
<< E tu
avresti mai descritto la persona che ami
con questi toni così alti? >>
Lei
deglutì rumorosamente e, con una punta di
malinconia, si ricordò di non essersi mai innamorata. O
almeno, non in un modo
così struggente e logorante.
<< Beh
>>, provò a dire, imbarazzata.
<< Credo di sì. Anche se fossi la persona
più dura e fredda del mondo...
Ciò che voglio dire è che ci sono tanti tipi di
carattere, che si riversano in
uno solo quando incontrano l’amore. O sbaglio?
>>
Temeva di dire
qualcosa di errato, di essere presa in
giro per la sua visione troppo sentimentale e romantica della vita.
Il professore si
lasciò sfuggire un sorriso. Era
ancora così bello interagire con dei ragazzi dalle idee
così fresche e giovani.
<<
Sì, hai ragione >>, le rispose
semplicemente. << Ora voglio che scriviate cinquecento
parole su questo
sonetto e che poi veniate qui a leggerli per esercitarvi per la tesina
degli
esami >>, guardò i suoi alunni con aria furba.
<< Non accetto scuse
e non voglio sentirmi dire che vi vergognate. Giusto? >>,
domandò, sempre
rivolto a quella giovane.
Diana
impallidì e non rispose, chinando di scatto il
capo sul banco.
E brava, si disse,
Si era sentita
così a disagio, puntata da quelle iridi
verde ghiaccio e cullata da quella voce calda. Era inutile dire che
quell’uomo
era un mago nell’assoggettare le donne, riusciva a far cadere
ai suoi piedi
anche la più restia nei confronti dei seduttori, proprio
come lei. Ma tanto non
ci sarebbe caduta, mica come Cindy Cooper, che gli moriva dietro da
sempre.
William si sedette
dietro la cattedra, giocherellando
con una penna. Osservava la lavagna, tutte quelle parole scritte da lui
stesso
gli sembrarono per un attimo estranee. Si rese conto di non avere uno
scopo
preciso, di non essere pieno nella sua vita. Era sempre così
insoddisfatto,
inquieto, melanconico. Cinico e freddo. Insofferente nei confronti dei
rapporti
con gli altri, si mostrava sempre disinteressato e scompiacente. Ecco
perché
non aveva amici, escluso Charles. Per il resto, solo amiche.
Sì, certo, amiche
che morivano per andare a letto con lui. Amiche che ogni tanto doveva
pure
accontentare.
<<
Avete finito? >>
Ci fu
un’esplosione di mormorii confusi, di risatine e
di commenti. Diana non aveva neanche tirato fuori un foglio e una penna
per
scrivere, tanto aveva la mente annebbiata e confusa. Guardò
Lucy mentre
terminava furiosamente il suo testo e poi trovò il coraggio
per alzare gli
occhi, che incontrarono subito quelli del professore. Li
abbassò di scatto.
<< Tu
>>, la richiamò Will.<<
Scommetto che non hai scritto niente. >>
Amava leggere negli
occhi dei suoi alunni, specie in
quelli di quella ragazza che lo aveva colpito. Anche se ci pensava solo
ora.
Per chissà
quale grazia scesa dal cielo, lei riuscì a
sorridergli beffarda. << Suppongo di no >>,
disse, stupendo persino
se stessa.
<< Come mai?
>,> insistette l’uomo, sorridendo sghembo.
<<
Perché non ci sono parole per descriverlo
>>, gli rispose la diciannovenne di rimando.
<< Dante ha già detto
tutto. >>
William
arretrò dinnanzi quella risposta. << Per
questo ti meriteresti un bel voto >>, le disse,
avvicinandosi alla sua
fila. << Ma voglio che tu me lo scriva, almeno.
>>
Lei rise ed estrasse
un foglio ed una penna dalla sua
cartellina viola ed obbedì.
Non ci sono parole
per descrivere questo canto, Dante
ha già detto tutto. Diana Scott. scrisse.
<< Ecco
a lei >>, dichiarò, porgendogli il
foglio.
<<
Perfetto >>, ribatté lui, prendendolo
in mano. << Voi altri lasciate le composizioni sulla
cattedra e tu, ,
per la prossima volta voglio un
saggio sul primo sonetto dell’opera, minimo due pagine.
>>
Amava scontrarsi con
ragazze diverse dal solito, come
era sicuro fosse lei. I suoi in particolare, lo avevano ammaliato,
senza che
lui potesse pensarci due volte,
Diana
scoppiò a ridere e non prese sul serio quel
compito, anche se era sicura che l’avrebbe svolto.
Scrollò le spalle e strizzò
l’occhio a Lucy, che era rimasta muta per tutta la lezione.