Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: virgily    17/11/2011    1 recensioni
-Non vi sentite bene bocchan?- domando’ voltandosi appena, accendendo con un suono graffiante il cerino che getto’ su quella massa di carne, che in pochi istanti, prese a fuoco come un falo’. Tuttavia, sebbene il color ocra delle ardenti fiamme cominciasse a risplendere nelle sue iridi macchiate, Ciel non rispose. Inarco’ la schiena lasciando il capo all’ indietro, e gli occhi al cielo. Le nuvole grige e colme di pioggia e neve parevano una distesa buia e priva di forma. Una cecita’ inusuale colpi’ il giovane conte, che socchiuse appena le labbra, lasciando sgusciare un sottile gemito dalle sue labbra. Poi, come d’incanto torno’ a vederci... ma non era la realta’ quello che stava osservando:
Era piuttosto buio, ma la luce della luna illuminava la fanciulla accovacciata a terra. Sebbene polvere e degrado incorniciassero l’esile figura, Ciel riconobbe la sua camera da letto. Ma chi era quella ragazza dai lunghi capelli color nocciola, che si teneva la testa fra le mani, rannicchiata al suolo? Preche’ tra le dita affusolate e pallide, che le sorreggevano il capo, spiccava il suo anello che aveva abbandonato lo stesso giono incui aveva smesso di essere il “Cane da guardia” della regina?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Why does it seems a Nightmare?

 

28/X/2011

“Non ci si aggira da sola nel bosco attorno alla villa”
Le aveva ripetuto una volta la nonna. Tuttavia non le sembrava una cattiva idea andare a dargli una sbirciatina, non prima di accorgersi di aver perso la via di casa almeno. Arbusti e mastodontici alberi dalla chioma sfoltita e corvina la circondavano, confondendole le idee.

“Perdersi nel bosco la vigiglia del tuo compleanno. Bel colpo Aileen!” penso’ mentre con il display del cellulare tentava di farsi luce, adentrandosi in quel fitto intreccio maledetto che sembrava non volerle lasciare alcuna via di fuga. Per quanto poteva, la ragazza tentava di mantenere la calma, respirando profondamente ogni qual volta che udiva un qualche rumore sospetto. Il vento soffiava leggero e congelato, facendo sibilare le foglie; sfiorandole la pelle al di sotto dei vestiti. Per quanto si sforzasse di ricordare, non aveva la minima idea di dove si potesse trovare il sentiero fino a casa. Come se non bastasse, non c’era alcun segnale e per quanto terribile fosse ammetterlo, Aileen era sola, e lo sarebbe rimasta per un bel po finche’ non avesse fatto giorno. Eppure si sforzava di non piangere, continuando a camminare dritta per un sentiero preso a casaccio. All’orizonte non vedeva piu’ le alte vette dei sempre verdi, ma bensi’ una magnifica magione ottocentesca dalle bianche mura. La famosa villa di cui sua nonna parlava sempre: la residenza Phantomhive. Tutte le notti, sin da quando era piccina, sua nonna le raccontava la storia di un giovane conte dagli occhi blu oceano, profondi e magnetici... Velati da un malinconico strato di tristezza. Questo, assistito da un misterioso maggiordomo dagli occhi cremesi, eseguiva in gran segreto gli ordini della nobilissima regina Vittoria. E quel bambino dal magnifico volto perennemente imbronciato mori’ altrettanto giovane, interrompendo bruscamente la linea di sangue che da generazioni in generazioni aveva creato la potente famiglia Phantomhive. Eppure c’era una domanda a cui Aileen non era mai riuscita a darsi una risposta: come faceva un ragazzo cosi’ giovane e un maggiordomo a svolgere indagini su omicidi tanto complicati come il famoso caso di Jack lo squartatore? Tutti i suoi amici non si erano minimamente preoccupati di questo, repuntando il tutto come una vecchia “favola” dallo humor black che si raccontano ai bambini della periferia. Ma non lei, che era cosi’ maledettamente curiosa che aveva deciso, di punto in bianco, di sgattagliolare dalla finestra e intrufolarsi nel bosco, e il tutto solo per vedere quella magione... La villa dei suoi sogni di bambina. Probabilmente questa folle voglia di avventura era data dal fatto che il giorno dopo avrebbe compiuto diciasette anni. Il pensiero che avrebbe smesso di fantasticare per dedicarsi seriamente allo studio e alle vere responsabilita’ che ben presto sarebbero cominciate a spettargli, la terrorizzava al quanto. Continuando a farsi luce la castana prosegui’ dritta fino al mastodontico cancello in ferro battuto, deteriorato dal tempo e dalle frequenti piogge, che come e’ ben noto a tutto il mondo, caratterizza il clima britannico. Onestamente, ripensandoci beffarda, la ragazza aveva seri dubbi di riuscire a trovarne l’ingresso... E invece, superando tutte le sue aspettativa, eccolo li ad un palmo dal suo naso. Riponendo il telefono nella tasca anteriore dei jeans, lentamente poggio’ le mani sul ferro ruvido e rossiccio, colore provocato dalla ruggine. Dopo essersi assicurata con qualche pressione che la struttura fosse ancora stabile, la giovane comincio’ ad arrampicarsi per tutta la lunghezza del cancello. Attorno a lei, il buio... E una volta in cima, in bilico tra l’interno e l’esterno del giardino, Aileen ebbe un breve attimo di rimorso: odiava il buio, lo detestava proprio perche’, assieme alla solitudine, era la sua piu’ grande paura. Il vento si percepiva meglio da quella altezza, e dopo aver preso una bella boccata d’aria chiuse gli occhi, e lentamente scese per poi poggiare i piedi tra i primi fili d’erba del grande giardino. Soffici nuvole biancastre fuoriuscivano dalle sue labbra. E condensandosi velocemente il suo respiro accresceva. Passo dopo passo il suo cuore batteva forte dall’euforia mentre giungeva presso gli scalini che portavano all’ingresso principale. Il verso tenebroso delle civette notturne accompagnava il suo cammino, e i tacchetti dei suoi stivali risuonavano sopra gli scalini marmorei ancora perfettamente intatti. Sfilo’ nuovamente il cellulare dai jeans, e prima di tornare a farsi luce, controllo’ l’ora: 23:00. Tra una misera ora...
“Chissa’ se la nonna si e’ che non ci sono a casa...” penso’ aprendo senza alcuno sforzo il portone, che un tempo doveva essere di legno massello. Pur essendo buio e polveroso, l’interno della villa si era conservato anche piuttosto bene nel tempo: la carta da parati, sebbene in alcuni tratti fosse strappata e scolorita, ancora manteneva il disegno originale in filo d’oro; la scalinata che sostava nel mezzo dell’ampio salone era a malapena illuminato dal suo cellulare. L’aria rarefatta e pesante era piuttosto sgradevole; tuttavia Aileen non sembrava dar segni di cedimento. Voleva sapere tutto sul giovane conte Phantomhive, anche a costo di dover passare la notte nella sua magione abbandonata. Immersa in un inquietante silenzio, la ragazza percorreva senza sosta ogni corridoio, esplorava ogni angolo di quella casa con un sorrisetto serenamente dipinto sul viso. Felice e intimorita, cosi’ si sentiva la giovane che passava per lussuose camere da letto e stanze eleganti. Il suo sguardo, lucido dall’emozione guardava in ogni dove... alla ricerca di qualcosa, un qualcosa di cui neanche lei sapeva di che si trattasse. Ma non le importava, perche’ anche un misero brandello di stoffa che l’avesse condotta a “lui” l’avrebbe finalmente appagata della sua ossessa sete di curiosita’ per la storia. Sentiva i polpacci pulsare dal dolore; il latte alle ginocchia e le palpebre chiudersi per il sonno. Sbadiglio’ appena, entrando nell’ultima delle stanze incui potesse andarsi a cacciare a quell’ora. Sospirando un –Grazie a Dio- la giovane constato’ che quella fosse una camera da letto, e sebbene il suo buon senso le diceva che era seriamente ora di trovare un modo per tornare a casa, decise che qualche attimo di riposo di sicuro non le avrebbe fatto del male. Uno spesso strato di polvere  rivestiva il copriletto di lana pesante, un tempo doveva essere bluastra. Ne afferro’ un lembo, e la fece vorticare per aria, affinche’ quel velo grigiastro di dissolvesse nell’aria, per poi rimetterla al suo posto, stendendosi comodamente su di essa. Dalle tende logore e stracciate s’intravedeva la luna, che alta nel cielo illuminava appena quella camera: una predella cassettonata percorreva l’intero perimetro della stanza, le maniglie dei cassetti, se lucidate a dovere, potevano mostrare ancora il loro colorito dorato originale. Sul fondo della parete, vicino alla grande finestra c’era un armadio piuttosto piccolo, probabilmente il possessore di quelle camera non possedeva troppi abiti. Le sue narici oramai si erano abituate all’odore soffocante del chiuse e della polvere, tuttavia si sollevo’ dal comodo giaciglio per aprire la finestra, lasciando che l’aria fresca purificasse quell’abiente che un tempo doveva essere molto ospitale. Si volto’ a guardare nuovamente la totalita’ di quel luogo: cupo, solitario... rispecchiava un po quell’idea che si era fatta del rampollo dei Phantomhive: austero, impegnato totalmente, anima e corpo nel suo lavoro. E fu proprio in quell’istante, puramente contemplativo, che gli occhi grandi della fanciulla seguirono curiosi il bagliore bluastro che proveniva dal comodino sulla destra del grande letto a baldacchino. Chino’ appena il capo su un lato, corrucciando le labbra, aggrottando la fronte sforzandosi a capire di cosa si trattasse. Lentamente, facendo scricchiolare il pavimento sotto i suoi piedi, Aileen si avvicino’ al suddetto mobile, e sedendosi per comodita’ sul ciglio del letto, comincio’ a spulciarlo affondo. Cassetto per cassetto. Ma la sua ricerca non necessitava un’eccessiva perdita di tempo; quello che cercava era proprio sotto i suoi occhi. Completamente di argento lavorato e sormontato da una grande pietra, era quell’anello ad aver rapito la sua attenzione, a tal punto da farle mancare il fiato. Lo prese fra le mani e lo porto’ piu’ vicina al viso, studiandolo attentamente. Non era capace di catalogare una pietra preziosa, tantomeno stimarne il valore. Ma il suo cuore batteva all’impazzata, estasiato dal blu-oltremare di quello zaffiro. Blu, come gli occhi di quel bambino che adulava come un eroe, come il principe azzurro di una favola tetra e intrisa di supperfugi e intrighi. Finemente incisa all’interno dell’anello una scritta: “Potentia”. Lo accarezzo’ con tenera delicatezza, poi lo fece scivolare sul suo anulare, ma le stava troppo grande. Guardo’ con piu’ accortezza la sua circonferenza, e sospirando lo infilo nell’unico dito dove era sicura che potesse starle: il pollice. Un brivido freddo si arrampico’ veementemente sulla sua schiena, aggrappandosi vertebra per vertebra sulla sua spina dorsale, facendole inarcare la schiena. Inizialmente interpreto’ quella strana reazione come sintomo del freddo, ma il suo respiro si mozzo’ tra le sue labbra mentre cominciava a vedere scuro. No, non era l’ombra della sera ma l’ofuscata mente a negarle la vista. Serro’ forte gli occhi mentre l’adrenalina entrava in circolo. Grida, voci straziate e dilagnate. Si tappo’ le orecchie con le mani, ma sembrava non bastarle. Veloci come fulmini immagini confuse si susseguivano nella sua testa: maschere scure, ghigni maligni... Una gabbia. E le faceva male respirare, come se quella gabbia le stesse comprimendo i polmoni. Annodo’ le dita ai propri capelli, tirandoli appena mentre un grido fuoriusciva squarciando la penosa quiete che fino a quel momento regnava sovrana.

***

28/X/2011 Transilvania. 23:45

Morbida e docile neve ondeggiava presso i grandi sempreverdi del bosco. Si posava gelida e candida sulle cime dei pini, sul suolo... Sulle loro spalle ben coperte. Ma si scioglieva facilmente sulle loro guance, sulle loro mani macchiate di sangue. Ancora caldi i due corpi ai loro piedi subivano convulsioni involontarie. Lento e denso il rosso cremesi del sangue bagnava la terra, e sporcava la neve, quella limpida neve che come lacrime rigavano la loro pelle pallida
-Avevate fame eh, bocchan?- domando’ canzonatorio l’uomo in nero vestito passandosi avidamente la mano ancora profumata di quel purpureo nettare sulle labbra, leccandosi le dita per ripulirle di ogni singola traccia
-Taci Sebastian- sussurro’ in cagnesco sollevandosi da quella preda che, ormai raggiunta la fine del tunnel, guardava il suo famelico assassino con occhi spenti, svuotati della vita e dell’anima. Un sorriso storpio si scarabocchio’ sulle sue labbra mentre le ripuliva con l’orlo di un fazzoletto estratto dalla tasca del capottino azzurro e curiosamente “pulito” sebbene avesse fatto a pezzi quel povero malcapitato. Osservo’ con stizza quelle pupille dilatate e prive di colore. Erano azzurre una volta, prima che lo uccidesse. Non gli piaceva il modo incui quell’uomo lo guardava, pietoso e debole. Ancora luccicava una l’acrima all’angolo del suo occhio destro
-Oh Dio, Sebastian disfati di questi due e torniamo a casa. Non lo sopporto il modo incui mi guardano!- affermo’ voltandogli le spalle, superando di qualche passo il suo maggiordomo
-Ma come fanno a guardarla signorino? Sono morti!- ribatte’ l’uomo sollevando beffardo l’angolo delle labbra
-Non mi interessa. Fai come ti ho detto e non replicare. E’ un ordine-
-Yes, my lord- rispose con un inchino prima di piegarsi a raccogliere i brandelli di carne ammassati in quell’angolo d’inferno.
Ormai erano anni, molti anni, che Ciel viveva cosi’. Migrava da un luogo all’altro del globo nella costante ricerca di cibo. E Sebastian, per tutto questo tempo, non aveva fatto altro che seguirlo come un’ombra... L’unica ombra del suo passato mortale.
Sollevo’ appena il palmo della mano destra, accolse un fiocco di neve tra le dita, lo osservo’ con freddezza mentre perdeva la sua soffice consistenza, tramutandosi in viscida acqua. Poi d’un tratto, gli parve di sentirsi colpito, trapassato da parte a parte sulla sommita’ del petto. Trattenne appena il respiro tra le labbra mentre il suo occhio, dal profondo oltremare s’illuminava di un diabolico rosa-violaceo, catturando l’attenzione del suo indaffarato maggiordomo
-Non vi sentite bene bocchan?- domando’ voltandosi appena, accendendo con un suono graffiante il cerino che getto’ su quella massa di carne, che in pochi istanti, prese a fuoco come un falo’. Tuttavia, sebbene il color ocra delle ardenti fiamme cominciasse a risplendere nelle sue iridi macchiate, Ciel non rispose. Inarco’ la schiena lasciando il capo all’ indietro, e gli occhi al cielo. Le nuvole grige e colme di pioggia e neve parevano una distesa buia e priva di forma. Una cecita’ inusuale colpi’ il giovane conte, che socchiuse appena le labbra, lasciando sgusciare un sottile gemito dalle sue labbra. Poi, come d’incanto torno’ a vederci... ma non era la realta’ quello che stava osservando:
 Era piuttosto buio, ma la luce della luna illuminava la fanciulla accovacciata a terra. Sebbene polvere e degrado incorniciassero l’esile figura, Ciel riconobbe la sua camera da letto. Ma chi era quella ragazza dai lunghi capelli color nocciola, che si teneva la testa fra le mani, rannicchiata al suolo? Preche’ tra le dita affusolate e pallide, che le sorreggevano il capo, spiccava il suo anello che aveva abbandonato lo stesso giono incui aveva smesso di essere il “Cane da guardia” della regina? Sentiva la sua voce gridare struggente e arrendevole, mescolata a singhiozzi deboli, a respiri gravosi e mozzati. Per quanto il suo pianto, lagnoso e sgraziato fosse, perfino il piccolo demone aveva cominciato a sentire un cerchio stringersi attorno alla sua testa, perforandogli le meningi
-Bocchan!- posangoi ambo le mani sulle spalle Sebastian, notata l’assensa temporaneamente innaturale del suo padroncino, entro’ in anzione, riportandolo con i piedi per terra
-C-C’e’ qualcosa che non va...- sussurro’ il ragazzo sbattendo piu’ e piu’ volte le palpebre, lasciando che il barlume demoniaco delle sue iridi si dissolvesse nell’oscurita’ magnetica e succulenta di quel blu che sembrava essersi perso, affogato in una visione
-Cosa? Signorino cosa c’e’ di strano?- domando’ piu’ volte il suo maggiordomo guardandosi intorno, dopotutto doveva salvaguardare la sua persona per l’eternita’... Anche se il suo era perfettamente in grado di diferndersi da solo, ora che era un demone
-Dobbiamo tornare a casa...- rispose Ciel tutto d’un fiato, penetrando le iridi ancora fiammanti del suo mero maggiordomo. Sebastian rimase spiazzato dall’affermazione insolita che fuoriusci’ austera e seriosa dalla sua bocca. Erano anni che viaggiavano, e per tutto quel tempo il suo padroncino non aveva mai accennato ad un ipotetico ritorno alla villa. Perche’ proprio adesso? Che fosse per il fatto che adesso fossero tutti morti? Cosa aveva visto il suo bocchan in quell’ interminabile attimo di smarrimento?
-A casa?- domando’ nuovamente fingendosi tonto. Sebbene da una parte moriva dalla voglia di scoprire cosa turbasse il suo giovane animo, dall’altra quasi si rifiutava di farlo, disarmato dalla marea di dubbi che il suo volere cominciava a far nascere
-Si Sebastian. A casa-          
  
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