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Autore: dalialio    20/11/2011    6 recensioni
Una foto, due volti, una famiglia persa per sempre.
Una riflessione, molti dubbi.
Una persona che può tirare su il morale a Gibbs.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Leroy Jethro Gibbs
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'She Cαme Into Our Lives And Chαnged Everything'
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La famiglia è più vicina di quanto credi
I personaggi presenti in questa storia sono di proprietà di Donald P. Bellisario, tranne Amy Steel (la mia creatura! (: ) che è di mia proprietà. Questa storia non è stata scritta con alcuno scopo di lucro.



Questa storia fa parte della serie She came into Our Lives and Changed Everything ed è collegata con l'altra storia della serie, Interceiding Is Often Hard.
Non è necessario che abbiate letto la storia precedente per comprendere questa shot, ma, se volete conoscere meglio il personaggio di Amy Steel, vi consiglio vivamente di leggere la long (sono in tutto 13 capitoli e non sono tanto lunghi). In ogni caso, vi basta sapere solo che Amy Steel (il personaggio inventato da me) è la pronipote adolescente di Gibbs.

Dedico questa shot a zavarix, che mi ha fedelmente seguita in ogni capitolo della long - esponendomi le sue impressioni e pensieri - e alla quale mi sento particolarmente legata da un rapporto di lettura/recensione delle reciproche storie. Marghe, so che ti interessa particolarmente Gibbs e la sua famiglia, quindi spero che questa storia ti piaccia! :)

Vi lascio leggere :) spero che vogliate lasciarmi un commento piccino piccino alla fine, ne sarei davvero felice! :)

Chiara





La famiglia è più vicina di quanto credi






Una sera, durante la settimana in cui era ospite negli uffici dell’NCIS, Amy si avvicinò alla scrivania dello zio silenziosamente, tanto che – se Gibbs non fosse stato Gibbs – probabilmente non l’avrebbe sentita arrivare.
Tutto l’ufficio era immerso nella strana atmosfera della sera: le luci soffuse infondevano un senso di calma negli zelanti agenti che erano rimasti a lavorare fino a dopo l’orario lavorativo. Il silenzio innaturale che aleggiava nella stanza, per di più, contribuiva a far assopire le menti stanche dei lavoratori.
Jethro era rimasto solo: i suoi agenti erano andati a casa o in giro per l’edificio, lasciandolo lì ad ultimare le sue scartoffie. Apparentemente Amy, invece, aveva deciso di rimanere lì con lui.
Gibbs non distolse lo sguardo dalla cornice che teneva in mano, nemmeno quando la ragazza si sedette sull’angolo della scrivania e lo fissò intensamente.
Gli accadeva spesso che, quando si ritrovava di sera in ufficio da solo, aprisse il cassetto e tirasse fuori la foto di Shannon e Kelly. Fissava i loro visi finché questi non si offuscavano e i suoi pensieri non si colmavano di malinconia, poi spostava per qualche secondo lo sguardo di fronte a sé e, poco dopo, ritornava con gli occhi sulla foto. Avrebbe potuto continuare così per ore.
Quella sera, però, la presenza di Amy lo costrinse, una volta spostato lo sguardo dalla foto, a posare gli occhi sul suo viso. La nipote sorrideva serena e i suoi occhi sembravano fare altrettanto. Disegnata sul suo volto non c’era la tristezza di vedere lo zio così malinconico, ma un’espressione di pace.
“Com’erano?”, domandò in un sussurro.
Jethro capì a cosa si riferisse. “Erano... umane, reali”, mormorò, tornando con lo sguardo ai visi sulla foto.
Amy piegò la testa da un lato. “Perché? Ora non lo sono più?”.
Jethro alzò le spalle. Aveva compreso cosa la nipote intendesse dire: lei sapeva che sua moglie e sua figlia erano morte. La sua domanda riguardava cosa lui pensasse. “Alcune volte mi sembra quasi che non siano mai esistite... le sento lontane, come se fossero appartenute ad un’altra vita”.
“E tu ti senti in colpa”, disse Amy, sempre appollaiata sulla scrivania. Posò una mano sulla foto che suo zio teneva in mano e carezzò i due volti con le dita.
Jethro la guardò, sorridendo forzatamente. Ah, Amy... spesso si sorprendeva di quanto perspicace fosse quella ragazza: aveva compreso perfettamente come lui si sentisse in quel momento.
Si sentiva davvero in colpa.
“Tu devi andare avanti con la tua vita, non puoi rimanere legato al passato per sempre”. Amy gli posò una mano sulla spalla, cercando di consolarlo. “Se pensi costantemente a ciò che hai perso, non potrai vedere le cose belle che la vita ti riserva”.
Parole sagge, si disse Gibbs, guardando gli occhi lucenti della nipote con un sospiro. Ma difficili da mettere in pratica. Il senso di colpa in alcuni momenti era così forte da lasciarlo senza fiato. Non riusciva a comprendere come lui potesse andare avanti con la sua vita, ignorando sua moglie e sua figlia, come se non fossero mai esistite.
Gibbs credeva che quella fosse ciò che gli psicologi chiamavano la “sindrome del sopravvissuto”.
Jethro aveva un pensiero che gli frullava per la testa costantemente, ora dopo ora, giorno dopo giorno... in quel momento sentiva il bisogno di palesarlo, ma non sapeva se ci sarebbe riuscito: non lo aveva mai fatto con nessuno.
Poi si ricordò che sua nipote riusciva a capirlo fin troppo bene e che sarebbe potuta arrivarci anche da sola. Quindi si sforzò di tramutare quel pensiero in parole.
“Loro erano tutto per me. Erano la mia famiglia”, mormorò. Il suo tono era triste e malinconico.
Amy gli sorrise. “Beh, guardati intorno Jethro!”, esclamò, aprendo le braccia ad indicare l’ambiente attorno a loro. “Questa per caso non è una famiglia?”.
Gibbs la fissò con espressione confusa, non riuscendo a capire cosa intendesse.
Amy capì il suo smarrimento. “Ogni mattina DiNozzo ti porta il caffè, amaro come piace a te; McGee ti accende il computer perché sa che, quando si tratta di tecnologia, tu dai di matto; Ziva si accerta che le tue pratiche siano in ordine sulla tua scrivania...”. Si lasciò andare ad una risata. “E poi tu, li tratti come i tuoi figli! Li sgridi quando combinano guai e assesti scappellotti quando non ti ascoltano o si comportano male. E poi vuoi bene ad Abby e hai rispetto per Ducky. Non è forse questa la famiglia?”.
Jethro piegò la testa da un lato con espressione pensierosa.
Amy ne approfittò per continuare. “Sono sicura che Shannon e Kelly sarebbero felici di vedere che ti sei lasciato alle spalle i brutti ricordi per riempire la tua vita di belle persone. Non se la prenderebbero vedendo che hai trovato un’altra famiglia”. Sorrise. “Loro resteranno per sempre vive nel tuo cuore. Davvero, Jethro. La tua famiglia è più vicina di quanto credi”.
Improvvisamente DiNozzo sbucò dal nulla. Afferrò la sua giacca dallo schienale della sua sedia, pronto per andare a casa. Accorgendosi degli altri due, non poté fare a meno di guardarli con sguardo interrogativo: non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
“Capo, ho portato la tua auto dal meccanico per quel problemino ai freni”, disse. “Ti serve un passaggio fino a casa?”.
Amy assistette alla scena con compiacimento, poi lanciò un’occhiata eloquente allo zio.
Jethro lesse negli occhi della nipote cosa pensava in quel momento. Tony è stato premuroso con te, pensando alla tua auto. Non la chiami famiglia, questa?, lesse nei suoi occhi.
Gibbs sospirò. “Va bene”, mormorò ad Amy, che sfoderò un’espressione vittoriosa. “Grazie Tony: accetto volentieri.










*Nota dell'autrice*

Se state leggendo questa nota, immagino che abbiate letto tutta questa ff :) quindi a questo punto potete lasciare un commentino, se volete. Se lo faceste, mi rendereste davvero felice! :)
Ribadisco di nuovo ciò che ho detto all'inizio (sì, lo so, sono una rompiballe (: ): questa storia è collegata con una mia long, che potete trovare qui. Se voleste leggerla, sarei davvero contentissima! :)
Grazie a tutti quelli che leggeranno e recensiranno le mie storie! :)
Chiara
   
 
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