Da:
me
Oggetto:
GRAZIE
Questa storia è dedicata con sincero affetto e gratitudine a
coloro che seguono "Obviously": non so davvero come ringraziarvi
per avermi regalato il coraggio di pubblicarla capitolo dopo
capitolo e per averla arricchita con i vostri commenti/critiche/scleri
. Spero di non dimenticare nessuno:
Agni,
AKindOfMagic, AlbaSilente91, aleka_80, Alice_In_Warblerland, Andy
didididi, Ari_92, aspasia776, Aya_Black, ayla992, ElyCecy,
Endgame_Klaine, falketta, Fedekikka, firework_, ghepardoshila,
helpless, HeyDreamerGirl, hipster, hisui, kiry95, LazyLuchi, LexiPopUp,
LoveUpMe, natalie91, ND_Warblers518, ProudToBeKlainer, Ransie86, rocketforPigfarts_, sakuraelisa, Shams, TheVampiresAssistant, valigleek, xRetteMichx, zexy, _Lety_
Giusu,
gleekinside, LexyDC__, Lullaa, Renee Jessica Johnson, TittiValechan91
AngelOfScarletMoon, AnotherDay, BiColfer, BrokenWings, Carolina110411, CherryTree, chiccahp, CMloveyou, dada_92, Elibì,
EricaCullen, Fireplace_, Grace98, hisako, Join The Club, Kakiis,
lady_marion, Lady_Nakahara, Lalla2095, LaTuM, Lau_80, Lib, lithi,
march, marica_27, meggap, MissBlackspots, Mony_Iero, Nimis,
pachelbel90, Paloma_201, Psike, renachan, roku_, safelia22, serenere91,
serysaku, sicy5, SlightlyMad, SweetKaaos, tellins,
TheScarfOfSexualPreference, tonkseremus4ever, Unknown118, Zebraviola,
_Choos e Freak11.
Grazie per aver contribuito, ognuno in modo diverso, a rendere questa mia "prima volta" indimenticabile. ♥ P.
"Mi piaci quando taci
perché sei come assente. / Distante e dolorosa come se fossi
morta. / Allora una parola, un sorriso bastano. / E son felice, felice
che non sia così."
(P. Neruda). Ecco, direi che queste pennellate descrivono
la realtà attuale di due personaggi che avete conosciuto tra
le infinite righe di Obviously
(per chi non conoscesse la storia, mi scuso per gli inevitabili
spoiler) eppure c'è stato un tempo in cui
l'assenza era invece deliziosa presenza ed è di questo che
racconta questa storia: dell'amore vivo e bruciante di Amihan e
Desmond, i genitori di Blaine.
Ho suddiviso il racconto della loro passione in tre quattro parti
perché le one-shot non si conciliano con la mia preoccupante
incontenibilità verbale e non volevo battere il record di
lunghezza pure qui. -.-'''
Chi erano i piccoli Amy e Des? Quali furono i loro sogni e i loro primi
dolori? Come si incontrarono? Quando capirono di amarsi come in pochi
possono vantarsi di saper fare? Ho pensato di dare una risposta a queste
domande e mi scuso se avessi deluso qualcuno con una scelta insolita a
scapito di Kurt e Blaine che tuttavia ho lasciato un attimo a coccolarsi
nel loro mondo caramellato e non credo abbiano di che lamentarsi.
Vi
lascio alla storia, scusandomi se nella trascrizione delle frasi in
lingua tagalog ci fossero degli errori, sul gaelico mi sento
più sicura (*-*).
Buona
lettura!
Nota
per R.
Murphy, la Fox o chi per loro: VOI
non possedete né Amihan,
né Desmond,
né Kevin,
né Kathleen e la sua corte,
né Connor,
né mister Steward,
né i dolcissimi coniugi Poon,
né i tre troll...
fatevene una ragione! ù.ù
*** How do you say... ? ***
-
Parte
I -
«Narito ang maaari
mong gawin kung ano ang nais mo», “qui
puoi fare ciò che vuoi”: questo le ricordava
sempre suo padre, e la piccola Amihan crebbe con questa salda certezza.
«Namhaid ceird mura
gcleachtar», “La
pratica rende perfetti”: questo gli ripeteva continuamente
suo padre, ed “essere perfetto” era lo scopo e la
condanna del piccolo Desmond.
La
ragazza tuttavia non si era mai soffermata a preoccuparsi di
ciò che pensavano gli altri e forse anche per questo adorava
New York che offriva realmente la possibilità di essere
liberi, nel senso più pieno del termine: liberi di essere
compiutamente folli ed eccentrici nel vestire, di correre per la strada
senza una meta, di saltellare sui mattoncini dei marciapiedi, di
azzardare un passo di breakdance con dei ragazzini portoricani
all’angolo della 73ª strada, di trovarsi a Central
Park e cantare vecchie ninnananne in lingua tagalog per esorcizzare la
nostalgia nel vedere le famiglie fare pic-nic a pochi passi da lei,
insomma liberi di essere pienamente e stupidamente se stessi in ogni
momento, senza che a nessuno importasse. Da
tre anni infatti New York era la sua casa ed è
lì che cercava di realizzare i suoi sogni impegnando ogni
sua fibra nello studio per cercare di divorare ogni attimo di quella
che si era presentata fin dal primo istante come la sua grande
occasione, quella che aveva sempre cercato fin da quando, quasi
quattrenne, aveva messo le sue dita piccine e nervose sui grandi tasti
d’avorio del pianoforte del signor Steward, presso il quale i
suoi genitori avevano prestato servizio per anni come domestici e dove
lei era nata. Era
stata da sempre incuriosita dallo strano ed ingombrante strumento,
ma non aveva mai osato toccarlo fino a quel giorno, quando decise di
arrampicarsi sullo sgabello e sfiorarne i tasti: incantata dal suono che
ne scaturì, si illuminò tutta e corse spedita
dalla sua mamma, le tirò l’orlo della gonna e le
chiese supplichevole «Mamma, me lo compi
peffavoe ??». «Forse
intende il pianoforte» chiarì
l’anziano padrone di casa divertito entrando nella stanza,
quindi si rivolse alla piccola e le propose «Ti va se lo
suoniamo insieme Amy?» L’uomo
portò dunque la bimba al pianoforte,
l’accomodò sulle sue ginocchia pronto a farla
suonare, ma la bimba scese subito e seria, quasi a non voler violare
quello strumento magico, gli notificò «No io, tu peffavoe!
Io non sono ancoa
capace!». La
bambina ascoltò rapita e quando l’uomo
terminò l’esecuzione batté le sue
manine poi si rivolse alla mamma con la vocina spezzata
dall’emozione «Mamma è quea
dei popotami
!». L’uomo
si fece pensieroso, poi propose «Secondo me
potrebbe essere portata per la musica, perché non mi
permette di darle qualche lezione?» Quell’uomo
dolcissimo era capace di infonderle la fiducia e
alimentare la sua fervida speranza di riuscire un giorno a vivere di
musica realizzando così quel sogno forse troppo grande per
la figlia di due emigrati, così tanto lontana dal mondo
sofisticato dell’arte: diventare una star. Non
fu semplice per lei trovare la forza di continuare a credere in
quel sogno quando capì che non avrebbe più potuto
contare sulla forza e la stima del suo maestro. «Devo
consegnare anche questo plico e questa
lettera» disse il corriere visibilmente stanco. “Gentile
famiglia
Poon, in qualità di legale della famiglia Steward mi preme
notificarVi che il giorno 19 giugno è stato letto alla
presenza dei familiari il testamento del signor
Blaine Owen Steward il
quale ha espresso le seguenti volontà tramite testamento
olografo: «Nel
caso mi accadesse qualcosa prima che possa provvedere di
persona nel giorno del suo sedicesimo compleanno, dispongo che il mio
amato pianoforte sia recapitato alla signorina Amihan Timtiman Poon che
ne diverrà proprietaria da subito, unitamente ai miei
spartiti. Dispongo inoltre che suo padre, Kidlat Sakay Poon, divenga in
mia vece titolare del fondo da me versato in favore di sua figlia
perché possa provvedere ai suoi studi qualora la ragazza ne
abbia piacere. Nel caso in cui Amihan non intendesse avvalersi della
cifra per i suoi studi, dispongo che ne entri in possesso alla maggiore
età per farne l’uso che ritiene più
opportuno quale risarcimento per tutti i regali che non avrò
potuto farle negli anni intercorsi» “Con il testamento il
signor Steward ha lasciato anche due righe per voi che vi allego.
Ricordo al signor Poon che per espletare le formalità
dell’intestazione del lascito in favore sua figlia,
può contattarmi al numero…” «Miei
cari Kidlat e
Malaya, vi siete presi cura di me con affetto e devozione e di questo
vi sono grato, mi siete cari come figli perciò vi chiedo
scusa se il mio gesto di generosità nei confronti di Amihan
avesse ferito il vostro orgoglio o leso la vostra autorità,
ma vi prego di accettare la mia interferenza quale risarcimento sincero
per aver allietato le mie giornate consentendomi di sentirmi parte
della vostra famiglia.
Miami, International
Airport, 27 dicembre 1989
I lunghi capelli neri non volevano saperne di darle tregua e
imperterriti continuavano a ricaderle sul viso occludendole la visuale
e rendendo ancora più complesso il tentativo di espletare le
procedure d’imbarco che la vedevano protagonista di un
insolito numero di equilibrismo: documenti e bagagli in mano, borsa in
bocca, zaino in spalla eppure per qualche strano motivo chiunque la
guardasse non avrebbe potuto non trovarla divinamente elegante.
La Grande Mela le era mancata tanto, ma non avrebbe mai rinunciato a
trascorrere le vacanze di Natale con la sua famiglia a Pembroke Pines,
in Florida.
Finalmente riuscì a raggiungere la zona del check-in per le
operazioni di routine e non poté fare a meno di commentare
l’ardua impresa ad alta voce davanti ad un impiegato
perplesso «Ce l’ho fatta! - e afferrando dalla
borsa un elastico con cui legare con astio le lunghe chiome aggiunse -
Appena arrivo a casa
li taglio!».
La madre, non capendo a che si riferisse, la guardò stranita e
benché l’entusiasmo non facesse difetto a quella
sua figlia tanto dolce quanto esuberante e intrepida, stavolta le parve
giustamente più esaltata del solito, quindi le chiese
«Cosa vuoi che ti compri Amihan?»
«Queo
che suona mamma, è lì» rispose
scalpitante la bimba e tese la sua manina in direzione
dell’ampia sala dove nell’angolo campeggiava il
lucidissimo Steinway & Sons bianco che l’aveva
stregata.
«Oh no, la perdoni signore!» si affrettò
a scusarsi sua madre mortificata per le licenze della figlia
«Non si preoccupi Malaya, sua figlia è un raggio
di sole in questa casa e quel piano è stato muto troppo a
lungo - poi si rivolse alla piccola e continuò - andiamo
Amy?»
Amihan puntò i suoi occhietti scurissimi sul volto del
signor Steward e batté le mani dalla felicità
gridando «Siiii siiii, gazie
!» prima di gettare le piccole braccia al collo di colui che
divenne in quel momento il suo personale eroe delle fiabe.
Il signor Steward sorrise, la riprese sulle sue ginocchia e la
rassicurò «Va bene, suono io stavolta, ma tu
ascolta, guarda ed impara perché la prossima volta
toccherà a te!» quindi lasciò correre
le sue lunghe dita sui tasti e il piano rivelò le note de “La
danza delle ore” di
Ponchielli.
Malaya rifletté perplessa ma l’uomo
intuì subito «Forse ha visto “Fantasia”
di Disney?» chiese certo della risposta
«Ah ecco! - convenne la donna associando finalmente gli
ippopotami citati dalla figlia al film - sì, è il suo film
preferito, lo guarda in continuazione!»
«Sa Malaya - asserì con stupore e ammirazione
l’anziano musicista - non è da tutti un orecchio
così sensibile da individuare subito una melodia seppure in
variazione per piano, specie in una bambina così
piccola!»
«Beh, in effetti - ribatté orgogliosa la mamma -
Amy è bravissima in questo e ha una grande memoria per le
canzoni: se sente un brano nuovo dopo due minuti lo canticchia
già! Peccato che - aggiunse con un certo imbarazzo -
ciò sia valido solo per la musica, il resto lo dimentica
subito, compreso quale sia il suo posto».
«No signore - si affrettò ad obiettare la donna -
la ringrazio ma non posso permettere che lei sprechi il suo tempo per
star dietro a mia figlia e i suoi capricci»
«Ma non è affatto una perdita di tempo, anzi mi fa
piacere - e rivolgendosi alla bimba concluse - sempre se a te va di
imparare a suonare, piccola stellina».
«Siiiiii peffavoe
!!!» cinguettò Amihan saltellando per la stanza e
abbracciando le gambe della madre su cui iniziava a dipingersi
un’espressione rassegnata: non era certa che fosse il caso
che sua figlia varcasse quel confine di dovuta deferenza al suo datore
di lavoro, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di togliere dal volto
della sua bambina quel sorrisone e quella luce nuova, quindi rispose
che ne avrebbe parlato con suo marito.
Il signor Steward sorrise e sottolineò «Comunque
credo che sua figlia sappia esattamente quale sia il suo posto: ovunque
voglia essere».
Spesso la memoria di Amihan era tornata a quell’episodio e
non poteva evitare di chiedersi cosa sarebbe stato della sua vita se
quel giorno non fosse sfuggita alla sorveglianza della madre per
gironzolare per quella immensa casa fino ad imbattersi nello Steinway
& Sons e tentare di suonarlo. Non riuscì mai a darsi
una risposta ma aveva un’unica grande convinzione: sentiva di
non aver mai realmente vissuto prima che la musica entrasse nella sua
vita da protagonista ed era certa che finché avesse fatto in
modo che essa vi restasse, sarebbe stata viva.
Ora, seduta sul volo che la riportava a casa, mentre fissava dal
finestrino l’Oceano accompagnarla lungo il tragitto, con le
note di Chopin nelle orecchie, lasciò che il suo pensiero
corresse laddove la musica lo portava: al
signor Steward.
Erano passati tanti anni ma quando ascoltava le note dolci e
intense di un piano, nonché tutte le volte che le sue dita
sfioravano i tasti bianchi e neri di un pianoforte, il suo primo
pensiero correva a quel suo eroe dal cuore puro che era volato in cielo
troppo presto perché le avesse potuto insegnare a suonare lo
strumento come avrebbe voluto e potuto: Amy infatti aveva circa undici
anni quando ricevette la notizia dell’incidente in cui perse
la vita e per lei fu un colpo durissimo.
Con fare paterno il signor Steward aveva nutrito in lei
l’ambizione che già non le faceva difetto e le sue
parole erano destinate a risuonarle dentro ogni volta che si esibiva
«Tu
sei nata per la musica Amy, e la musica
rinascerà grazie a te se metterai la tua anima a suo
servizio».
Passarono tre settimane dalle esequie alle quali Amihan si
rifiutò di partecipare, incapace di reggere al pensiero di
sapere costretta dentro un angusto involucro ligneo la persona che le
aveva regalato una tela candida sulla quale dipingere il contorno via
via sempre più nitido dei suoi sogni.
Tre settimane, un tempo infinito per la ragazzina ferita le cui lacrime
non parevano voler cessare di manifestare appieno il lento fiume di
dolore che le scorreva dentro, e poi...
... il suono del campanello annunciò l’arrivo di
un corriere e dopo venti minuti un’enorme cassa venne
recapitata nel nuovo appartamento di Kidlat e Malaya Poon1.
«Mi dia pure tutto. Dove devo firmare?» rispose
Kidlat.
«Ecco, signor Poon, la lettera è per lei invece
questo devo consegnarlo espressamente a sua moglie credo»
replicò l’uomo.
Stupita Malaya si avvicinò chiedendo «A
me?»
«Sì signora, lei è Amihan Timtiman
Poon?» si assicurò il corriere
«No - rispose ferma la donna - Amihan è nostra
figlia»
«Ah, la vada a chiamare allora, per cortesia, così
posso andare via» ribatté.
Malaya si diresse in camera della figlia che, al solito, stava
accucciata sul letto al buio con le cuffie nelle orecchie ad ascoltare
musica cercando in essa consolazione. La ragazza non aveva sentito
nulla di quanto era accaduto visto il volume con il quale si torturava
le orecchie quasi che non volesse consentire ai suoi pensieri di
esplodere nel silenzio e tormentarla ancora.
«Amy» sussurrò la donna dopo aver acceso
il lume ed ottenuto l’attenzione della ragazza che si
portò una mano sugli occhi feriti dall’improvvisa
luce, quindi tolse una cuffietta da un orecchio ma a stento sentiva
ciò che la madre era venuta a dirle e del resto a che le
serviva sentire per l’ennesima volta le solite preghiere
circa il fatto che dovesse mangiare, farsi forza o altre simili
richieste, tutte assurde per lei in quel momento
«Vieni di là c’è una cosa
per te, l’hanno portata poco fa. Dai muoviti che il fattorino
sta aspettando!» le intimò.
La ragazzina restò immobile per qualche istante poi, con fare
lentissimo, come se le gambe avessero un peso immane, portò
i piedi a terra e si costrinse a trascinarli fino alla stanza adiacente.
Il corriere le porse il plico poi andò via, Amy lo prese e
senza dire una parola si avvicinò al tavolo del salotto. Fu
allora che vide l’enorme cassa dentro la stanza.
Stupita si voltò verso il padre in cerca di conferme ed
egli, pur senza che lei parlasse, le chiarì
«È arrivata insieme alla lettera e al tuo
pacchetto, non so cosa sia».
La ragazzina abbassò lo sguardo e sempre avvolta
dall’apatia aprì il grande plico, quindi con
lentezza estenuante liberò la grande busta dalla ceralacca
per estrarne il contenuto. Il suo volto rimase impietrito quando tra le
sue dita apparve il nitido susseguirsi di pentagrammi e note su carta
pergamenata che ben conosceva: erano gli spartiti d’autore
collezionati dal signor Steward.
Come scaraventata nuovamente sulla terra dopo esserne stata assente per
un tempo tale da non essere più in grado di reggere
l’impatto con la gravità, la giovane si
sentì schiacciata da un peso fortissimo e prese a tremare
mentre con gli occhi sbarrati cercava di capacitarsi di quanto stesse
accadendo: fu infatti un attimo il tempo che le occorse per presentire
quanto contenesse l’enorme ingombro appena scaricato che
stava lì, a qualche metro da lei, ma non poteva
né sapeva né osava credere d’aver
capito bene. Per cercare conferma porse gli spartiti al padre che
vedendoli capì a sua volta e insieme rivolsero lo sguardo
alla grande cassa.
Possibile che contenesse proprio quanto i due avevano pensato? Kidlat
decise di sincerarsene al più presto perciò,
senza che nessuno avesse il coraggio di violare quel silenzio che li
avvolgeva, scardinò la trave che bloccava il lato
dell’apertura, tolse le sicure e aprì la cassa.
Lì, avvolto con cura affinché non fosse
danneggiato durante lo spostamento, riluceva il contorno chiaro dello
Steinway & Sons.
Malaya corse ad aiutare il marito e mentre i genitori toglievano
l’imballaggio restituendo alla
luce il pianoforte, Amihan, incapace di muovere anche solo un muscolo,
guardava immobile la scena ancora vittima di quel peso immane che le
toglieva il respiro.
Terminata l’operazione nessuno dei tre riuscì
ancora a dir nulla, Malaya si avvicinò alla figlia ed
indicò al marito la lettera che giaceva sul tavolo.
L’uomo capì: spettava a lui aprirla e leggerne il
contenuto e così fece. Con voce tremula lesse il contenuto
mentre la donna abbracciava stretta le spalle della figlia quasi a
volerle infondere quel coraggio che però neppure lei aveva.
L’uomo tralasciò le ultime righe formali e
voltò pagina per leggere quelle righe scritte nella grafia
ampia ed ampollosa del suo ex datore di lavoro:
A
te Amy, lascio quel po’ di me che rimarrà sempre
incastrato tra i tasti del mio pianoforte e che suonerà con
te ogni volta che poserai le tue dita su di esso. Vivi ogni tua
passione fino in fondo e non credere mai di non essere
all’altezza dei tuoi sogni.
Sinceramente grazie,
Blaine Steward».
Il suono delle parole lette cadde come balsamo sull’anima
ferita di Amihan che si sentì pervasa nuovamente da quella
forza che le era connaturata: quel giorno ricevette in
eredità una ancor più ferma determinazione, se
mai questo fosse possibile, e la linfa concreta con cui nutrirla,
l’ultimo regalo del suo eroe delle fiabe.
Il respiro di Amy si fece affannoso, come sempre quando riviveva quel
ricordo ancora così nitido nella sua memoria,
così come la dolcezza di suo padre nel mettere da parte
l’orgoglio e chiederle «Qual è la cosa
che desideri di più al mondo?»
«Diventare una stella di Broadway, papà»
rispose senza tentennamenti sua figlia
Suo padre si avvicinò e le lasciò un bacio sulla
fronte deciso a darle tutto il sostegno necessario perché si
preparasse adeguatamente: lui sarebbe stato sempre al suo fianco
credendo il lei e sostenendola con le sue mani
forti e il suo incantevole sorriso che avrebbe lasciato in
eredità a suo nipote per la delizia di Kurt.
Quando poi Amy ebbe l’età giusta fu lui a
prenderla per mano e accompagnarla a New York, per esaudire il sogno di
entrambi: “gawin kung ano ang kanilang nais”, fare
ciò che lei desiderava, e così avrebbe sempre
fatto.
Forte
di questa consapevolezza, mentre Chopin seguitava ad accarezzarle
le orecchie, si addormentò.
Fu risvegliata delicatamente dall’assistente di volo che le
ricordò di allacciare le cinture di sicurezza durante
l’atterraggio: finalmente stava per tornare a casa, alla High
School of Performing Arts, al
suo appartamento scalcinato che adorava dove il suo Kevin
l’aspettava smanioso, alla sua vita di sempre insomma e la
cosa la
rassicurava.
Di
certo non poteva immaginare che il destino aveva
tutt’altri piani in serbo per lei.
Lima, Ohio, 27 dicembre, 1989
«A che ora arriva Sean?» chiese Connor Anderson a
suo figlio che riponeva gli ultimi abiti nella sua valigia con cura
maniacale
«Sarà qui tra un’ora» rispose
stancamente il ragazzo
«Bene» commentò l’uomo
prendendo posto sulla sedia della scrivania nella camera del ragazzo
«Sai Desmond, i prossimi mesi saranno fondamentali per il tuo
futuro e avrai bisogno di concentrarti nello studio in vista della
laurea, ormai ci siamo, perciò faresti bene a lasciare la
squadra di nuoto» suggerì l’anziano
padre con quel tono autoritario che da sempre aveva la
capacità di urtare la spiccata sensibilità di
quel figlio che per tanti anni si era sempre rimesso alle sue decisioni
perché così gli era stato insegnato: i figli
devono rispettare i padri più che loro stessi.
«Posso
fare entrambe le cose papà -
osservò - e poi il nuoto mi aiuta a concentrarmi
meglio»
«Mah, ho i miei dubbi - sentenziò
l’anziano - e poi ricorda che ti aspetta il Master in
Economia e Finanza... a proposito, hai deciso dove frequentare? Direi
che sarebbe opportuno che restassi ad Oxford o se preferisci puoi
tornare qui in Ohio»
«Pensavo a New York, in fondo è la capitale
finanziaria mondiale» replicò il ragazzo
«Sean che farà?» domandò
Connor ben sapendo che suo figlio non amava i continui paragoni con
l’amico che agli occhi del padre era il figlio
perfetto.
Desmond non gli diede la soddisfazione di mostrarsi stizzito e con
forzata calma rispose alla domanda «Lui e Katherine credo si
sposeranno dopo la laurea e poi andranno a vivere a New York»
«Mi pare una scelta matura, come sempre -
commentò pungente l’uomo - A proposito, Kathleen
come sta?» aggiunse poi sconfinando nell’unico
ambito dove da sempre Desmond l’aveva escluso da ogni potere
decisionale: la sua vita sentimentale.
«Penso bene» sviò il ragazzo attendendo
l’inevitabile seguito di un discorso che ormai conosceva bene
«È una ragazza incantevole, educata e intelligente
- evidenziò infatti il signor Anderson - e dovresti
affrettarti a chiederglielo... prima che sposi un altro» gli
intimò senza fronzoli
«Kathleen è solo un’amica, siamo
cresciuti insieme e ci vogliamo molto bene,
nient’altro» ribadì per
l’ennesima volta Desmond mentre richiudeva la valigia e la
riponeva accanto alla porta
«Non ti capisco - sibilò contrariato suo padre - è per via di quella Ruth con la quale ti vedevi
l’anno scorso?» chiese quasi con speranza
«Si chiama Rachel - puntualizzò il giovane - e no,
non è per questo, è che non sono innamorato di
lei né lei di me... e non sono certo di dover rendere conto
a te di questo» osservò esasperato uscendo dalla
stanza per trasportare la valigia di sotto
«Devi renderne conto eccome! - gli tuonò dietro
l’uomo - sono tuo padre, non dimenticarlo!»
Desmond si fermò sulle scale tentando di reprimere il
desiderio di dire la sua in merito, inutilmente «No, non lo
sei mai stato» gli rivelò voltandosi per un attimo
con lo sguardo duro e ferito che tuttavia suo padre pareva non saper
vedere
«Quando ti deciderai a comportarti da uomo fammi
sapere» si limitò a notificargli e quella fu
l’ultima cosa che gli disse prima che partisse con Sean alla
volta di Oxford, e alla sua solita vita, o almeno così
credeva in quel momento.
New
York, Greenwich Village, 27 dicembre 1989
Amy entrò nell’appartamento e Kevin le corse
incontro travolgendola in un abbraccio impetuoso
«Promettimi che non mi lascerai mai più solo
così a lungo» piagnucolò il ragazzo
stringendola fino quasi a toglierle il fiato
«Kevin - annaspò la giovane - son stata via solo
una settimana» gli fece notare
«Lo so, ma mi manca l’aria quando non ci
sei» sussurrò il ragazzo allentando la presa e
investendola con la dolcezza dei suoi occhi nocciola
«Tu dovresti uscire e trovarti un fidanzato invece di
investire tutto il tuo stucchevole romanticismo su di me» gli
suggerì la ragazza liberandosi dalla morsa e lasciando un
bacio sulla guancia di quel suo coinquilino eccentrico con cui formava
una coppia indissolubile fin dal loro primo incontro alle audizioni per
la School of Performing Arts
che frequentavano entrambi per il quarto e ultimo anno.
«Ci sto lavorando - rimarcò allusivo - ma fino
ad allora rassegnati ad essere l’unico amore dolce e spietato
della mia vita» le ribadì baciandola a sua volta
sulla fronte
«Se non ti adorassi ti ucciderei: come si fa ad essere
così smielati?» sbuffò disgustata
Amihan trascinando i bagagli sul pavimento fino alla sua stanza aiutata
dal re del fluff in persona
«Tu dici così solo perché non hai mai
trovato uno che ti faccia perdere la testa sul serio, sono certo che
diventeresti miss glucosio in un batter di ciglia»
replicò il ragazzo provocandola
«Dovrebbero lobotomizzarmi - rise Amy certa come di poche
altre cose di non essere fatta per certe sdolcinatezze che le davano la
nausea da sempre - e poi non temere io non perderò mai la
testa, non ho tempo per l’amore» aggiunse con fiera
convinzione
«Dovresti trovarlo invece e... “sfogarti”
un
po’ - ammiccò Kevin - magari la finiresti di
investire tutto il tuo stucchevole cinismo su di me»
concluse beffardo parafrasandola.
La
ragazza esplose in una risata ancora più fragorosa, poi
si voltò verso l’amico e gli sussurrò
con aria da donna vissuta «Ti do una notizia piccolo cucciolo
innocente: per “sfogarsi” non
c’è bisogno di innamorarsi, credimi»
«Ma non è la stessa cosa»
commentò il giovane con risolutezza.
Amihan si limitò a sollevare gli occhi al cielo rassegnata:
non c’era via di ravvedimento per quel giovane Lord Byron
imbevuto di romanticismo fino al midollo.
«Comunque - si affrettò ad annunciarle il ragazzo
mentre la aiutava a disfare la valigia - visto che sei ancora
l’unico amore della mia vita, devi farmi da cavaliere alla
festa di Capodanno al Club»
«No! - sbottò lady cinismo - Dopo l’anno
scorso non voglio più saperne!» tagliò
corto
«Ti prego, non farmi andare da solo... e poi chi bacio a
mezzanotte?» la implorò Kevin gettandosi ai suoi
piedi
«Trovati uno lì, magari stavolta del sesso giusto -
precisò Amihan mentre lo trascinava fuori dalla sua stanza -
io non voglio passare un altro capodanno in mezzo a un mucchio di
boriosi irlandesi, con tutto il rispetto» e prima che il
ragazzo potesse dire altro lo liquidò con un secco
«Fine del discorso» e richiuse la porta della
stanza.
Kevin continuò a supplicarla da dietro l’imposta,
ma Amy non gli prestò ascolto: lì,
nell’angolo della sua camera c’era il suo
pianoforte che la aspettava, lo accarezzò gentilmente poi
si lasciò cadere esausta sul letto.
Era a casa
ed era felice.
Ammesso che all’epoca sapesse cosa fosse la
felicità.
New York Irish Center, Long Island City, 31 dicembre 1989
Mentre scendeva dal taxy Amihan ancora si chiedeva come avesse fatto
quel dannato ragazzo a convincerla, eppure era lì fasciata
in un abito da sera preso in forzato e clandestino
“prestito” dalla sala dei costumi di scena della
scuola, che si apprestava a passare un altro capodanno in compagnia di
una sala zeppa di fieri irlandesi agiati e donne altolocate che
l’avrebbero guardata come se fosse una marziana.
Entrata nel palazzo cercò con lo sguardo qualche indicazione
per trovare la Ballroom2
da sola visto che Kevin le aveva promesso di
attenderla all’ingresso alle ventidue ma non c’era,
tuttavia non trovò alcuna segnalazione e inoltre
c’erano diverse sale occupate da altrettante feste per cui
non era possibile stabilire in quale avrebbe dovuto rassegnarsi a
trascorrere le successive interminabili due ore della sua vita.
Spazientita decise di chiedere aiuto a qualcuno e così fece.
«Scusate,
sapete dirmi dov’è la sala da
ballo?» domandò ai primi che le capitarono a tiro.
I due si voltarono all’unisono: erano una giovane coppia di
altissimi, bellissimi ed elegantissimi giovani irlandesi, si disse
osservando i suoi interlocutori
«È qui al piano terra, possiamo farle strada:
stiamo andando lì anche noi» si offrì
gentilmente il ragazzo con una voce lievemente graffiata e occhi
verdissimi
«Però per la cucina si entra dall’altra
parte» specificò la stupenda ragazza bionda
stretta saldamente al braccio del suo fidanzato, presumendo fosse una
cameriera o comunque una che si occupava del catering: il solito
effetto “marziana” a cui Amy non faceva
più caso, anzi la divertiva prendersi gioco di quei poveri
sprovveduti che finivano sotto la lama sottile della sua lingua
«Se lei deve entrare in cucina è sufficiente che
mi indichi per dove proseguire» rispose infatti subito con un
sorrisetto di teatrale cortesia.
Mentre l’avvenente biondina la guardava perplessa il ragazzo
accanto a lei dovette mordersi il labbro per soffocare una risata
«Ma è invitata?» si stupì la
biondina
«Perché?» esclamò la ragazza
con enfasi, quindi si portò la mano alla bocca assumendo
un’aria stupita ed esclamò forzatamente
preoccupata «Oh santo Cielo! Si è accorta persino
lei - scandì per bene
- che non sono irlandese?» domandò concludendo la
pantomima.
Non
era certo la battuta del secolo, ma l’espressione
sfacciatamente impertinente che si dipinse sul volto di Amy fiera di
aver zittito la spilungona disorientandola, fece scoppiare nel ragazzo
la risata a lungo trattenuta e quel suono aveva una nota calda e
genuina che stupì la ragazza.
«Amore
mio! - esclamò Kevin trafelato raggiungendo
di corsa i tre ragazzi nell’atrio - pensavo ci avessi
ripensato» sospirò sollevato baciando la fronte di
Amy che lo accolse con un’occhiata torva
«Anderson, non pensavo venissi anche tu!» disse poi
rivolgendosi al ragazzo della coppia e porgendogli la mano
«Ciao Kevin come stai?» lo salutò il
ragazzo
«Benissimo, ora che ho accanto il mio sole
d’oriente» rispose l’altro rivolgendo uno
sguardo ammiccante ad Amihan che già sentiva
l’orticaria impossessarsi della sua pelle
«Kathleen sei sempre bellissima» aggiunse poi
salutando la ragazza bionda.
«Grazie - cinguettò la ragazza - ma vi
conoscete?» chiese poi stupita e Amy fu costretta a mordersi
la lingua pur di non sottolineare un’altra volta la
formidabile perspicacia della Barbie lì davanti a lei
«Oh, scusate, che sbadato!» esclamò
Kevin, quindi prese la mano di Amy e la baciò con riverenza
presentandola con un certo orgoglio «lei è
l’amore dolce della mia vita»
«Ok, io me ne vado!» sbuffò la ragazza
nauseata
«No aspetta! - la fermò Kevin divertito che
adorava stuzzicarla specie in pubblico sperando che prima o poi si
imbarazzasse anche lei - giuro che censurerò il mio lato
romantico» le promise
«Cosa c’è di male ad essere
romantici?» si lasciò sfuggire il giovane Anderson
«Niente suppongo - rispose prontamente la ragazza voltandosi
verso di lui - ma io sono allergica» specificò con
sicurezza.
Il
ragazzo la fissò per qualche impercettibile istante e Amy
non lo avrebbe mai ammesso ma qualcosa in quello sguardo mise radici
dentro di lei.
«Desmond» si presentò porgendole la mano
e un sorriso
«Amihan» lo imitò la ragazza fondendo la
sua mano piccola e fredda con quella calda di lui per un tempo che a
entrambi sembrò troppo breve.
Kathleen
quella sera non strinse alcuna mano e tempo dopo Kevin avrebbe
scritto su quella stretta una delle sue canzoni d’amore
più riuscite.
Entrati nella sala Amihan raggiunse l’angolo meno esposto
della stanza e Kevin la aiutò a togliere il cappotto
«Accidenti Amy, ma cosa ti sei messa addosso?»
esclamò estasiato il ragazzo
«L’unica cosa bianca che ho trovato: una
riproduzione dell’abito di My
Fair Lady del ballo
all’ambasciata, direi molto adatto»3
spiegò l’amica ironizzando
«Non so se è adatto ma stasera sei più
bella di sempre» commentò illuminato
dall’avvenenza della sua amica che aveva il dono di rendere
divinamente elegante qualunque cosa indossasse, ma che quella sera
riluceva come un piccolo diamante.
«Grazie, ma ciò non toglie che ti odio per avermi
trascinata qui a farmi dare della imbucata da una biondina»
sottolineò aspra
«Io invece ti amo per questo - le dichiarò Kevin
stringendola a sé - e ora vado a prenderti da mangiare» propose più per tenerla occupata a mangiare
anziché a lamentarsi che per reale cortesia.
In quella sala dominata dai toni rossi e verdi degli abiti dei
presenti, c’era un’unica macchiolina di luce
bianca, difficile da scorgere, ma per tutta la sera lo sguardo di
Desmond si sorprese più volte inspiegabilmente a cercarla.
La lancetta dell’orologio ormai aveva superato la mezzora
delle ventitré e Amy si congratulò con se stessa
per aver resistito un’ora senza fare fuori nessuno degli
esseri
mezzi ubriachi che le facevano delle avances più o meno
esplicite, e soprattutto per non aver ucciso Kevin per averla messa in
quella situazione e poi dileguarsi lasciandola sola.
Mentre
avvolgeva qualcosa in un tovagliolo per poi riporla in borsa, un
altro tizio si avvicinò a lei, era alticcio e
tentò anch’egli un approccio che Amy respinse con
garbo per poi fingere di interessarsi ad un quadro appeso alla parete
finché l’uomo non se ne andò.
Ma dopo meno di un minuto, quell’ombra la sovrastò
nuovamente da dietro e la ragazza senza voltarsi sbottò
esasperata
«Mi scusi forse non ha capito: ma non mi va di ballare,
uscire con lei e tantomeno farmi dare una ripassata sul sedile posteriore della
sua macchina!»
«Beh, grazie dell’informazione!»
commentò divertita l’ombra dietro di lei e il
suono di quella risata le sembrò familiare
Amy
si voltò di scatto e lui era lì: la
metà di quella coppia perfetta.
«Scusami pensavo fossi un tizio che - tentò di
scusarsi la ragazza, rinunciandoci un attimo dopo -
vabbe’ lasciamo stare»
«Kevin?» si chiese il ragazzo
«Quel simpatico ragazzo mi ha lasciata qui da
sola!» si lamentò Amy con uno sguardo omicida che
però al suo interlocutore destava tutt’altro che
paura
«Da quando tu e Kevin...» si interrogò
Desmond
«Ci amiamo? - lo anticipò Amihan - Circa due
anni» rispose poi
Desmond la guardò perplesso chiedendosi se lei fosse a
conoscenza di
ciò che era noto a tutti circa l’orientamento
sessuale di Kevin, e vinto dalla convinzione che avesse diritto di
sapere, si sforzò di introdurre con tatto
l’argomento
«Scusami forse non spetta a me dirtelo
ma... Kevin non è interessato alle ragazze»
le spiegò
«Forse alle altre no - obiettò la ragazza - ma io non sono come le altre» affermò con
risoluta ovvietà puntando i suoi occhi nel verde intenso di quelli di lui
«Non lo metto in dubbio - ammise il giovane irlandese
ancorato a quello sguardo - ma intendo che non è attratto
dalle donne»
«Desmond, giusto? - gli chiese e quando lui annuì
proseguì - Beh Desmond, l’amore non è
mai scontato, e non ha niente a che vedere col sesso»
professò solenne la giovane
«Strana opinione per una che dice di essere allergica al
romanticismo» osservò l’altro con un
sorriso compiaciuto che infastidì la ragazza
«Scusami
Des - proruppe Kevin riapparendo
all’improvviso - ma ho bisogno della mia donna!»
poi prese la mano della ragazza e la pregò di seguirlo
«Andiamo Amy dobbiamo cantare»
«Cosa? No, non vorrei mai rubare la scena ai tre magnifici
troll» si tirò indietro indicando il gruppo
sconclusionato di tre emuli degli U2 che da un’ora
massacravano senza pietà il repertorio del gruppo
«Per favore, duetta con me, non credo che Ian, Brad e Ryan se la prendano se li sostituiamo per due minuti sul palco» la
implorò Kevin inginocchiandosi davanti a lei.
«Posso accompagnarti al piano, ma non sono in vena di
cantare» gli concesse estenuata
«No, tu devi cantare: è un sacrilegio non farlo - ribatté il giovane - pensa a Desmond che non ti ha mai
sentita» aggiunse poi rivolgendosi all’ignaro
spettatore di quella scenetta
«Sarebbe un piacere sentirti - si affrettò a dire
Desmond - ma se ti mette in imbarazzo...»
specificò per
evitarle un eventuale disagio.
Kevin e Amy si guardarono in faccia e poi scoppiarono a ridere
«La mia Amy non sa cosa sia l’imbarazzo»
spiegò il ragazzo, poi prese per mano la sua amica e si
incamminarono verso il palco.
«Aspettami un attimo» gli chiese Amy che aveva
lasciato la sua borsa sulla panca dove sedeva e tornò
indietro a riprenderla, ma Desmond l’anticipò e
gliela porse
«Grazie - disse la giovane - e allora... goditi questo
piacere» gli suggerì con un’espressione
maliziosa per poi voltarsi e raggiungere Kevin.
I due ragazzi si esibirono sulle note di “Happy
new year” degli Abba.
Amy prese posto al piano e la luce che irradiava diventò
ancor più intensa quando le sue dita presero a scorrere sui
tasti con leggerezza e decisione, come se danzassero, e quel tocco
raggiunse inesorabile la schiena del giovane Anderson che
rabbrividì.
La voce di Kevin calda e sensuale lambì la stanza, ma quando
Amy iniziò a cantare la sala si fermò ad
ascoltarla: la cristallina perfezione del suo canto accese una fiamma
gentile dentro gli astanti. Desmond la ascoltò colpito dalla
dolcezza di quel suono così in contrasto con la vivace
impertinenza della giovane, quando poi Amy sollevò lo
sguardo e forse per caso lo fissò dritto negli occhi, il
fiato gli venne meno.
“Happy new year. May
we all have our hopes, our will to try. If we don’t we might
as well lay down and die, You and I”
No, convenne Desmond vedendola stringersi tra le braccia
dell’amico al termine dell’esibizione e scoprendosi
ad invidiarlo, lei non era come le altre.
Kathleen rientrò nella sala dopo una lunga seduta di
rifacimento del trucco alla toilette in vista della mezzanotte, quando
sperava di festeggiare l’arrivo del nuovo anno sulle labbra
del suo Desmond che raggiunse raggiante «Rieccomi, scusami se
sono sparita» si giustificò
«Scusa?» domandò il giovane che non le
aveva prestato ascolto né si era accorto della sua assenza
«È quasi mezzanotte, ci pensi? -
commentò la ragazza cingendogli il braccio -
L’anno che verrà sarà speciale per
noi!»
«In che senso?» si stupì il ragazzo
«Beh la laurea e... non so magari...» aggiunse
sognante la giovane che da quando aveva sette anni faceva le prove per
diventare la signora Anderson così come tutti si
aspettavano.
Mentre Kathleen tesseva mentalmente un abito nuziale per suggellare il
suo amore per l’amico
d’infanzia,
una piccola ragazza vestita di
luce bianca lasciava velocemente la sala e un giovane uomo non
riuscì a impedirsi di correrle dietro.
«Scusami» si congedò
dall’amica sguarnendole il braccio per raggiungere Amy che
era già arrivata nell’atrio e si guardava intorno
spaesata con lieve apprensione.
«È quasi capodanno e vai via?» le chiese
il ragazzo
«No, ma devo rispettare le mie tradizioni e non ho molto
tempo accidenti a Kevin!» rispose sempre più
agitata la giovane
«Posso aiutarti?» si propose Desmond
«Devo trovare altri cinque frutti rotondi e un
telefono» gli chiarì Amy senza troppa fiducia
nell’aiuto del giovane
«Andiamo!»
la rassicurò invece il ragazzo che
conosceva bene quel posto ed era intenzionato a darle ciò
che desiderava: la prese dunque per mano con naturalezza e la
trascinò delicatamente ma con decisione con sé
attraverso le scale, per poi correre ancora mano nella mano lungo il
corridoio fino alla
biblioteca del seminterrato.
«Vedi se riesci a trovare un telefono, io mi occupo della
frutta» si offrì con un sorriso di cui la ragazza
percepì tutta la dolcezza scorrergli dentro e stranamente la
sua allergia al miele stavolta non si palesò.
Amihan entrò nella biblioteca e si sincerò che il
telefono presente funzionasse, sospirando sollevata nel sentire il
suono della linea libera. Si sistemò dunque su un tavolino
dove predispose il necessario per il suo rituale tradizionale di fine
anno.
Desmond tornò dopo qualche minuto con in mano un piattino su
cui aveva disposto qualche acino di uva di diverse qualità,
amarene, mirtilli e ribes e una fetta d’ananas: il respiro
del ragazzo già provato per via della corsa, divenne ancora
più affannato avvicinandosi a lei e accorgendosi di quanto
fosse ancora più bella illuminata dalla tenue fiamma della
candela che aveva acceso.
«Ecco» soggiunse porgendole il tutto
«Grazie» mormorò la ragazza prendendo il
piattino su cui dispose gli altri frutti che aveva trovato «Ma questo?» chiese divertita guardando l’ananas
che non corrispondeva ai requisiti richiesti
«La fetta è rotonda» si
giustificò Desmond
«Si, ma non è così che
funziona!» rise la ragazza mentre il giovane la guardava
mortificato e quell’espressione la colpì
più di quanto riuscisse a prevedere «Non
importa - lo rassicurò con dolcezza - però se non
hai ragione avrò un mese d’inferno»
«Cioè?» si incuriosì il
giovane
«Ogni frutto è un mese dell’anno - gli
spiegò Amy - nel Paese dei miei, mangiare dodici frutti
tondi a capodanno dovrebbe garantire un anno propizio»
«Quale Paese?» chiese il ragazzo con un interesse
non di circostanza
«Le Filippine» rispose con fierezza
«Beh se dovessi avere un mese d’inferno per colpa
mia sono pronto a pagarne le conseguenze» affermò
assumendosi per la prima volta la responsabilità del suo
futuro, cosa che avrebbe fatto per il resto del sua vita
«Ok - sorrise Amy - Beh grazie, ora puoi tornare dai tuoi
amici e... dalla tua fidanzata» aggiunse liberandolo da ogni
impegno
«Non è la mia fidanzata. - precisò
subito Desmond - E poi ormai ci siamo e non voglio stare da solo sulle
scale a mezzanotte... posso restare qui?» domandò
con una certa dolce trepidazione
«Sì - rispose d’istinto Amy senza che riuscisse a
impedirselo - vuoi accendere tu questa?» gli propose
porgendogli una candela rossa
«Sì - annuì il ragazzo prendendo posto di fronte a
lei e facendo ciò che le aveva chiesto - cosa
significano?» le chiese poi
«La candela bianca è per chi non
c’è più, quella rossa per chi
arriverà - chiarì Amy, quindi
tirò fuori un bengala e aggiunse - e questo è per
il nuovo anno... ora però scusami, devo sentire i miei
genitori» disse alzandosi e raggiungendo il telefono
lì accanto
«Vuoi che vada via?» si preoccupò
Desmond che non voleva essere indiscreto
«No, se non vuoi» rispose la ragazza mentre
componeva il numero e attendeva di sentire la voce del suo amatissimo
papà «Hoy - sussurrò dolcemente quando
l’uomo rispose - Mabuti po Naman» aggiunse
sorridendo e inevitabilmente Desmond si sentì a disagio nel
violare quel momento di affetto familiare che lui non aveva mai avuto
il piacere di vivere nella sua vita.
Decise di allontanarsi comunque per raggiungere la cucina accanto e
cercare due bicchieri e una
bottiglia di qualcosa di decente con cui brindare, accompagnato in
lontananza da quella voce che parlava in una lingua a lui ignota con
una dolcezza che non aveva mai sentito.
Quando il giovane Anderson rientrò in biblioteca, Amy stava
salutando e chiudendo la telefonata con i suoi genitori: mancava un
minuto alla mezzanotte, il tempo di accendere il bengala, versare la
Murphy’s Irish Stout4
nei calici e chiederle «Come
si dice Buon anno nella tua lingua?»
«Manigong Bagong Taon» rispose la ragazza
«Manigong Bagong Taon, Amihan» le augurò
porgendole il calice e il suo sorriso più luminoso
«Manigong Bagong Taon, Desmond» sussurrò
Amy ricambiandolo e il ragazzo trovò che il retrogusto
naturale di malto e caramello della Murphy’s non gli era mai
parso così dolce.
Amy attribuì alla birra lo sbandamento che la colse nei
pochi attimi in cui il ragazzo puntò i suoi occhi verdissimi
su di lei come se volesse imprimere nella sua memoria ogni angolo del
suo viso, poi si diresse al tavolo per mangiare i frutti e lo
invitò a fare altrettanto.
Desmond
non aveva mai riflettuto su quanto potesse essere pericoloso
guardare qualcuno afferrare con le dita del cibo, portarselo con
eleganza alla bocca e avvolgerlo con delle labbra perfette prima di
gustarlo con lentezza divina: forse era colpa della birra se seriamente
iniziava a sentire sempre più caldo e il suo respiro si
faceva più pesante?
«Cosa significa Amihan?» le chiese tentando di
riprendersi
«È il nome del monsone di Nord-Est, di un forte
vento invernale e anche di una creatura mitologica - gli
spiegò la ragazza mentre gustava il dodicesimo ed ultimo
frutto - i miei genitori hanno puntato un po’ troppo in alto
per la loro bambina» aggiunse ridendo
«Come si dice “è un nome
perfetto”?» si permise di obiettare Desmond con
sincera convinzione
«Ay isang perpektong pangalan» rispose Amy che in
genere detestava quel genere di scontatezze pseudo-romantiche, ma
quella sera in verità aveva dovuto concedere parecchie
deroghe alle sue più certe convinzioni
«Beh
direi di andare - gli disse rompendo il silenzio che
seguì a quel complimento - vuoi soffiare tu la candela
rossa? Puoi esprimere un desiderio...» propose onde
sdebitarsi dell’aiuto che il ragazzo le aveva offerto quella
sera
«No, grazie - rifiutò Desmond - credo di non avere
desideri da esprimere per stasera, lo lascio a te»
«Allora puoi esprimere un desiderio per me»
suggerì Amihan che quanto ad ambizioni e sogni da realizzare
non era seconda a nessuno e non capiva come il ragazzo potesse non aver
nulla da desiderare
«Quale?» si incuriosì Desmond leggendole
negli occhi il fervore delle sue aspirazioni
«Non importa che tu lo conosca, io lo penso e tu soffi con me»
gli propose Amy con un sorriso e così fecero.
Era la prima volta che i loro respiri si fondevano insieme: accadde
fuori
dalle loro bocche ma non fu per questo meno capace di insinuare in
profondità il seme di un desiderio che colse entrambi. Amy
non conosceva l’imbarazzo prima di allora e lo
sentì salirle da dentro e colorarle il viso. Desmond non
aveva imparato cosa fosse l’affetto di una carezza, eppure la
sua mano reclamava il privilegio di sfiorare quel viso come se fosse
nata per questo, e il ragazzo faticò come non mai a
negarglielo per il timore che quell’intimità le
fosse sgradita.
Si incamminarono in silenzio verso la sala e solo quando stavano per
raggiungerla Desmond si decise a rivendicare un diritto che sperava lei
gli concedesse
«Mi devi il resto della cena» le disse con
convinzione
«Cioè?» trasalì la ragazza
«Abbiamo mangiato insieme solo la frutta, dobbiamo provvedere
alle altre portate» chiarì il giovane Anderson con
un sorrisetto
«Beh non direi, considera la cena conclusa»
rifiutò elegantemente Amy, ma Desmond non si sarebbe
rassegnato così facilmente
«Nella mia lingua non esiste la parola
“No”» le rese noto e di fronte
all’espressione sospettosa della ragazza aggiunse con una
risata leggera «È vero! Per dirla tutta in
gaelico non esiste neppure una parola per dire
“Sì» precisò poi
«Immagino che significhi che voi irlandesi siete un popolo di
indecisi» osservò la giovane artista con
un’espressione di pungente soddisfazione
«Forse gli altri - obiettò sicuro Desmond
sulla porta della sala - ma io non sono come gli altri»
le sussurrò parafrasandola e Amihan iniziò a
dubitare che fosse insperabilmente vero.
Note
1.
I genitori di Amihan... tra tutti i nomi ho scelto quelli che mi
parevano più adatti a generare una "Amihan", il monsone del
Nord-Est, ovvero: Kidlat (= "fulmine") e Malaya (= "libera,
indipendente").
2.
I luoghi citati son tutti reali e la descrizione degli ambienti interni
idem: ho scelto il New York Irish Center perché
pur non essendo esclusivo o particolarmente elegante, è
indubbiamente "irish" *-*
3.
Mi riferisco ovviamente a questo: http://youtu.be/5cmaCOf4LMM?t=1m38s
senza guanti e accessori vistosi
4.
La
Murphy's Irish Stout è una birra scura irlandese dal gusto
più dolce rispetto alle altre.
*
Note a margine
di chi scrive
*
Il fatto che abbia levato "idiota" dalla dicitura è un
omaggio a chi se ne lamenta (*-*) ma ciò non toglie che
io lo sia! 1.
Spero
di non aver deluso né annoiato qualcuno, se così
fosse mi dispiace. In particolare mi scuso per l'eventuale pesantezza
della prima parte, ma dovevo rendere conto del lato "artistico" di Amy
oltre che di quello umano... Mi faceva piacere pensare inoltre che
contrariamente a tutte le aspettative anche lei ha preso parte alla
scelta del nome di suo figlio: un omaggio al suo primo amatissimo
maestro (♥) ... 2. Desmond
<-- Anche su di lui tiro le somme alla fine, ma confesso
senza residui pudori che se io fossi stata in Amihan sarei fuggita con
lui quella sera stessa e forse Blaine avrebbe iniziato a vivere qualche
ora dopo ù.ù rendiamoci conto di
come sto messa -.-''''''''''''' 3.
Amy
♥ Desmond
<-- ecco, io vi avviso: nessuno dei due ha la sindrome del baby
penguin per cui... addio! *saluta con la manina e si prepara ai
momenti torridi che la attendono*. Quando in Obviously ho scritto che
per entrambi rinunciare alla passione tra loro è stato un
po' come rinunciare alla vita stessa, non scherzavo... infatti si
conoscono da tre nanosecondi e son già in preda a
turbamenti... *li lovva* 4. Kevin
<-- soprattutto su questo personaggio mi riservo di
tornare al termine di questa storia, per ora gli lancio solo fiori
profumatissimi e dolci bacini perché è
indiscutibilmente adorabile ♥ Per ora è
tutto, spero di pubblicare la seconda parte mercoledì notte.
Grazie
a chiunque abbia letto fin qui.
Mi ero ripromessa di non scrivere note se non al termine della storia,
ma poi vedere questo spazio sguarnito mi ha intristito...
così scriverò due cosette (che stando
al tasso di cambio nella mia valuta, significa almeno una cinquantina
di righe -.-'''')
Sulla nostra Amihan
*agita i pon pon e la
lovva profondamente* ancora non mi pronuncio
ma va da sé che è una soddisfazione meravigliosa
scrivere della ragazza piena di vita che era! ♥__♥ Ora
è chiaro che per tanti aspetti Blaine non ha preso da
lei ma s'è trovato un fidanzato che in qualche
modo le è molto affine. *-*
A prestissimo e nel caso non fosse chiaro: AMOVI davvero
♥♥♥