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Autore: Pentesilea_    21/11/2011    17 recensioni
Da una costola della fanfiction "Obviously", nasce questa one-shot in quattro parti che racconta l'amore febbrile di Amihan e Desmond quando ancora non sapevano che avrebbero messo al mondo una creaturina perfetta che tuttavia già allora aveva un nome: Blaine.
Dedicato con sincero affetto e gratitudine a tutte le persone che seguono con attenzione e attaccamento insperati la mia prima storia: AMOVI selvaggiamente. ♥ P.
N.B. Ovviamente la one-shot contiene spoiler della storia principale.
*** Estratto dal testo: ***
«Narito ang maaari mong gawin kung ano ang nais mo», "qui puoi fare ciò che vuoi": questo le ricordava sempre suo padre, e la piccola Amihan crebbe con questa salda certezza.
«Namhaid ceird mura gcleachtar», "La pratica rende perfetti": questo gli ripeteva continuamente suo padre, ed "essere perfetto" era lo scopo e la condanna del piccolo Desmond.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Nuovo personaggio
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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How do you say

Da: me
Oggetto: GRAZIE
Questa storia è dedicata con sincero affetto e gratitudine a coloro che seguono "Obviously": non so davvero come ringraziarvi per  avermi regalato il coraggio di pubblicarla capitolo dopo capitolo e per averla arricchita con i vostri commenti/critiche/scleri . Spero di non dimenticare nessuno:
Agni, AKindOfMagic, AlbaSilente91, aleka_80, Alice_In_Warblerland, Andy didididi, Ari_92, aspasia776, Aya_Black, ayla992, ElyCecy, Endgame_Klaine, falketta, Fedekikka, firework_, ghepardoshila, helpless, HeyDreamerGirl, hipster, hisui, kiry95, LazyLuchi, LexiPopUp, LoveUpMe, natalie91, ND_Warblers518, ProudToBeKlainer, Ransie86, rocketforPigfarts_, sakuraelisa, Shams, TheVampiresAssistant, valigleek, xRetteMichx, zexy, _Lety_
Giusu, gleekinside, LexyDC__, Lullaa, Renee Jessica Johnson, TittiValechan91
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Grazie per aver contribuito, ognuno in modo diverso, a rendere questa mia "prima volta" indimenticabile. ♥  P. 


"Mi piaci quando taci perché sei come assente. / Distante e dolorosa come se fossi morta. / Allora una parola, un sorriso bastano. / E son felice, felice che non sia così." (P. Neruda). Ecco, direi che queste pennellate descrivono la realtà attuale di due personaggi che avete conosciuto tra le infinite righe di Obviously  (per chi non conoscesse la storia, mi scuso per gli inevitabili spoiler)  eppure c'è stato un tempo in cui l'assenza era invece deliziosa presenza ed è di questo che racconta questa storia: dell'amore vivo e bruciante di Amihan e Desmond, i genitori di Blaine.
Ho suddiviso il racconto della loro passione in tre quattro parti perché le one-shot non si conciliano con la mia preoccupante incontenibilità verbale e non volevo battere il record di lunghezza pure qui. -.-'''
Chi erano i piccoli Amy e Des? Quali furono i loro sogni e i loro primi dolori? Come si incontrarono? Quando capirono di amarsi come in pochi possono vantarsi di saper fare? Ho pensato di dare una risposta a queste domande e mi scuso se avessi deluso qualcuno con una scelta insolita a scapito di Kurt e Blaine che tuttavia ho lasciato un attimo a coccolarsi nel loro mondo caramellato e non credo abbiano di che lamentarsi.

Vi lascio alla storia, scusandomi se nella trascrizione delle frasi in lingua tagalog ci fossero degli errori, sul gaelico mi sento più sicura (*-*).

Buona lettura!

Nota per R. Murphy, la Fox o chi per loro: VOI  non possedete né Amihan, né Desmond, né Kevin, né Kathleen e la sua corte, né Connor, né mister Steward, né i dolcissimi coniugi Poon, né i tre troll... fatevene una ragione! ù.ù



*** How do you say... ? ***

- Parte I -


«Narito ang maaari mong gawin kung ano ang nais mo», “qui puoi fare ciò che vuoi”: questo le ricordava sempre suo padre, e la piccola Amihan crebbe con questa salda certezza.

«Namhaid ceird mura gcleachtar», “La pratica rende perfetti”: questo gli ripeteva continuamente suo padre, ed “essere perfetto” era lo scopo e la condanna del piccolo Desmond.

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Miami, International Airport, 27 dicembre 1989


I lunghi capelli neri non volevano saperne di darle tregua e imperterriti continuavano a ricaderle sul viso occludendole la visuale e rendendo ancora più complesso il tentativo di espletare le procedure d’imbarco che la vedevano protagonista di un insolito numero di equilibrismo: documenti e bagagli in mano, borsa in bocca, zaino in spalla eppure per qualche strano motivo chiunque la guardasse non avrebbe potuto non trovarla divinamente elegante.

La ragazza tuttavia non si era mai soffermata a preoccuparsi di ciò che pensavano gli altri e forse anche per questo adorava New York che offriva realmente la possibilità di essere liberi, nel senso più pieno del termine: liberi di essere compiutamente folli ed eccentrici nel vestire, di correre per la strada senza una meta, di saltellare sui mattoncini dei marciapiedi, di azzardare un passo di breakdance con dei ragazzini portoricani all’angolo della 73ª strada, di trovarsi a Central Park e cantare vecchie ninnananne in lingua tagalog per esorcizzare la nostalgia nel vedere le famiglie fare pic-nic a pochi passi da lei, insomma liberi di essere pienamente e stupidamente se stessi in ogni momento, senza che a nessuno importasse.
La Grande Mela le era mancata tanto, ma non avrebbe mai rinunciato a trascorrere le vacanze di Natale con la sua famiglia a Pembroke Pines, in Florida.

Finalmente riuscì a raggiungere la zona del check-in per le operazioni di routine e non poté fare a meno di commentare l’ardua impresa ad alta voce davanti ad un impiegato perplesso «Ce l’ho fatta! - e afferrando dalla borsa un elastico con cui legare con astio le lunghe chiome aggiunse - Appena arrivo a casa li taglio!».

Da tre anni infatti New York era la sua casa ed è lì che cercava di realizzare i suoi sogni impegnando ogni sua fibra nello studio per cercare di divorare ogni attimo di quella che si era presentata fin dal primo istante come la sua grande occasione, quella che aveva sempre cercato fin da quando, quasi quattrenne, aveva messo le sue dita piccine e nervose sui grandi tasti d’avorio del pianoforte del signor Steward, presso il quale i suoi genitori avevano prestato servizio per anni come domestici e dove lei era nata.

Era stata da sempre incuriosita dallo strano ed ingombrante strumento, ma non aveva mai osato toccarlo fino a quel giorno, quando decise di arrampicarsi sullo sgabello e sfiorarne i tasti: incantata dal suono che ne scaturì, si illuminò tutta e corse spedita dalla sua mamma, le tirò l’orlo della gonna e le chiese supplichevole «Mamma, me lo compi peffavoe ??».
La madre, non capendo a che si riferisse, la guardò stranita e benché l’entusiasmo non facesse difetto a quella sua figlia tanto dolce quanto esuberante e intrepida, stavolta le parve giustamente più esaltata del solito, quindi le chiese «Cosa vuoi che ti compri Amihan?»
«Queo che suona mamma, è lì» rispose scalpitante la bimba e tese la sua manina in direzione dell’ampia sala dove nell’angolo campeggiava il lucidissimo Steinway & Sons bianco che l’aveva stregata.

«Forse intende il pianoforte» chiarì l’anziano padrone di casa divertito entrando nella stanza, quindi si rivolse alla piccola e le propose «Ti va se lo suoniamo insieme Amy?»
«Oh no, la perdoni signore!» si affrettò a scusarsi sua madre mortificata per le licenze della figlia
«Non si preoccupi Malaya, sua figlia è un raggio di sole in questa casa e quel piano è stato muto troppo a lungo - poi si rivolse alla piccola e continuò - andiamo Amy?»
Amihan puntò i suoi occhietti scurissimi sul volto del signor Steward e batté le mani dalla felicità gridando «Siiii siiii, gazie !» prima di gettare le piccole braccia al collo di colui che divenne in quel momento il suo personale eroe delle fiabe.

L’uomo portò dunque la bimba al pianoforte, l’accomodò sulle sue ginocchia pronto a farla suonare, ma la bimba scese subito e seria, quasi a non voler violare quello strumento magico, gli notificò «No io, tu peffavoe! Io non sono ancoa capace!».
Il signor Steward sorrise, la riprese sulle sue ginocchia e la rassicurò «Va bene, suono io stavolta, ma tu ascolta, guarda ed impara perché la prossima volta toccherà a te!» quindi lasciò correre le sue lunghe dita sui tasti e il piano rivelò le note de “La danza delle ore” di Ponchielli.

La bambina ascoltò rapita e quando l’uomo terminò l’esecuzione batté le sue manine poi si rivolse alla mamma con la vocina spezzata dall’emozione «Mamma è quea dei popotami !».
Malaya rifletté perplessa ma l’uomo intuì subito «Forse ha visto “Fantasia” di Disney?» chiese certo della risposta
«Ah ecco! - convenne la donna associando finalmente gli ippopotami citati dalla figlia al film - sì, è il suo film preferito, lo guarda in continuazione!»
«Sa Malaya - asserì con stupore e ammirazione l’anziano musicista - non è da tutti un orecchio così sensibile da individuare subito una melodia seppure in variazione per piano, specie in una bambina così piccola!»
«Beh, in effetti - ribatté orgogliosa la mamma - Amy è bravissima in questo e ha una grande memoria per le canzoni: se sente un brano nuovo dopo due minuti lo canticchia già! Peccato che - aggiunse con un certo imbarazzo - ciò sia valido solo per la musica, il resto lo dimentica subito, compreso quale sia il suo posto».

L’uomo si fece pensieroso, poi propose «Secondo me potrebbe essere portata per la musica, perché non mi permette di darle qualche lezione?»
«No signore - si affrettò ad obiettare la donna - la ringrazio ma non posso permettere che lei sprechi il suo tempo per star dietro a mia figlia e i suoi capricci»
«Ma non è affatto una perdita di tempo, anzi mi fa piacere - e rivolgendosi alla bimba concluse - sempre se a te va di imparare a suonare, piccola stellina».
«Siiiiii peffavoe !!!» cinguettò Amihan saltellando per la stanza e abbracciando le gambe della madre su cui iniziava a dipingersi un’espressione rassegnata: non era certa che fosse il caso che sua figlia varcasse quel confine di dovuta deferenza al suo datore di lavoro, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di togliere dal volto della sua bambina quel sorrisone e quella luce nuova, quindi rispose che ne avrebbe parlato con suo marito.
Il signor Steward sorrise e sottolineò «Comunque credo che sua figlia sappia esattamente quale sia il suo posto: ovunque voglia essere».

Spesso la memoria di Amihan era tornata a quell’episodio e non poteva evitare di chiedersi cosa sarebbe stato della sua vita se quel giorno non fosse sfuggita alla sorveglianza della madre per gironzolare per quella immensa casa fino ad imbattersi nello Steinway & Sons e tentare di suonarlo. Non riuscì mai a darsi una risposta ma aveva un’unica grande convinzione: sentiva di non aver mai realmente vissuto prima che la musica entrasse nella sua vita da protagonista ed era certa che finché avesse fatto in modo che essa vi restasse, sarebbe stata viva.

Ora, seduta sul volo che la riportava a casa, mentre fissava dal finestrino l’Oceano accompagnarla lungo il tragitto, con le note di Chopin nelle orecchie, lasciò che il suo pensiero corresse laddove la musica lo portava: al signor Steward.

Erano passati tanti anni ma quando ascoltava le note dolci e intense di un piano, nonché tutte le volte che le sue dita sfioravano i tasti bianchi e neri di un pianoforte, il suo primo pensiero correva a quel suo eroe dal cuore puro che era volato in cielo troppo presto perché le avesse potuto insegnare a suonare lo strumento come avrebbe voluto e potuto: Amy infatti aveva circa undici anni quando ricevette la notizia dell’incidente in cui perse la vita e per lei fu un colpo durissimo.

Quell’uomo dolcissimo era capace di infonderle la fiducia e alimentare la sua fervida speranza di riuscire un giorno a vivere di musica realizzando così quel sogno forse troppo grande per la figlia di due emigrati, così tanto lontana dal mondo sofisticato dell’arte: diventare una star.
Con fare paterno il signor Steward aveva nutrito in lei l’ambizione che già non le faceva difetto e le sue parole erano destinate a risuonarle dentro ogni volta che si esibiva «Tu sei nata per la musica Amy, e la musica rinascerà grazie a te se metterai la tua anima a suo servizio».

Non fu semplice per lei trovare la forza di continuare a credere in quel sogno quando capì che non avrebbe più potuto contare sulla forza e la stima del suo maestro.
Passarono tre settimane dalle esequie alle quali Amihan si rifiutò di partecipare, incapace di reggere al pensiero di sapere costretta dentro un angusto involucro ligneo la persona che le aveva regalato una tela candida sulla quale dipingere il contorno via via sempre più nitido dei suoi sogni.
Tre settimane, un tempo infinito per la ragazzina ferita le cui lacrime non parevano voler cessare di manifestare appieno il lento fiume di dolore che le scorreva dentro, e poi...
... il suono del campanello annunciò l’arrivo di un corriere e dopo venti minuti un’enorme cassa venne recapitata nel nuovo appartamento di Kidlat e Malaya Poon1.

«Devo consegnare anche questo plico e questa lettera» disse il corriere visibilmente stanco.
«Mi dia pure tutto. Dove devo firmare?» rispose Kidlat.
«Ecco, signor Poon, la lettera è per lei invece questo devo consegnarlo espressamente a sua moglie credo» replicò l’uomo.
Stupita Malaya si avvicinò chiedendo «A me?»
«Sì signora, lei è Amihan Timtiman Poon?» si assicurò il corriere
«No - rispose ferma la donna - Amihan è nostra figlia»
«Ah, la vada a chiamare allora, per cortesia, così posso andare via» ribatté.

Malaya si diresse in camera della figlia che, al solito, stava accucciata sul letto al buio con le cuffie nelle orecchie ad ascoltare musica cercando in essa consolazione. La ragazza non aveva sentito nulla di quanto era accaduto visto il volume con il quale si torturava le orecchie quasi che non volesse consentire ai suoi pensieri di esplodere nel silenzio e tormentarla ancora.
«Amy» sussurrò la donna dopo aver acceso il lume ed ottenuto l’attenzione della ragazza che si portò una mano sugli occhi feriti dall’improvvisa luce, quindi tolse una cuffietta da un orecchio ma a stento sentiva ciò che la madre era venuta a dirle e del resto a che le serviva sentire per l’ennesima volta le solite preghiere circa il fatto che dovesse mangiare, farsi forza o altre simili richieste, tutte assurde per lei in quel momento
«Vieni di là c’è una cosa per te, l’hanno portata poco fa. Dai muoviti che il fattorino sta aspettando!» le intimò.
La ragazzina restò immobile per qualche istante poi, con fare lentissimo, come se le gambe avessero un peso immane, portò i piedi a terra e si costrinse a trascinarli fino alla stanza adiacente.

Il corriere le porse il plico poi andò via, Amy lo prese e senza dire una parola si avvicinò al tavolo del salotto. Fu allora che vide l’enorme cassa dentro la stanza.
Stupita si voltò verso il padre in cerca di conferme ed egli, pur senza che lei parlasse, le chiarì «È arrivata insieme alla lettera e al tuo pacchetto, non so cosa sia».
La ragazzina abbassò lo sguardo e sempre avvolta dall’apatia aprì il grande plico, quindi con lentezza estenuante liberò la grande busta dalla ceralacca per estrarne il contenuto. Il suo volto rimase impietrito quando tra le sue dita apparve il nitido susseguirsi di pentagrammi e note su carta pergamenata che ben conosceva: erano gli spartiti d’autore collezionati dal signor Steward.

Come scaraventata nuovamente sulla terra dopo esserne stata assente per un tempo tale da non essere più in grado di reggere l’impatto con la gravità, la giovane si sentì schiacciata da un peso fortissimo e prese a tremare mentre con gli occhi sbarrati cercava di capacitarsi di quanto stesse accadendo: fu infatti un attimo il tempo che le occorse per presentire quanto contenesse l’enorme ingombro appena scaricato che stava lì, a qualche metro da lei, ma non poteva né sapeva né osava credere d’aver capito bene. Per cercare conferma porse gli spartiti al padre che vedendoli capì a sua volta e insieme rivolsero lo sguardo alla grande cassa.
Possibile che contenesse proprio quanto i due avevano pensato? Kidlat decise di sincerarsene al più presto perciò, senza che nessuno avesse il coraggio di violare quel silenzio che li avvolgeva, scardinò la trave che bloccava il lato dell’apertura, tolse le sicure e aprì la cassa.
Lì, avvolto con cura affinché non fosse danneggiato durante lo spostamento, riluceva il contorno chiaro dello Steinway & Sons.

Malaya corse ad aiutare il marito e mentre i genitori toglievano l’imballaggio restituendo alla luce il pianoforte, Amihan, incapace di muovere anche solo un muscolo, guardava immobile la scena ancora vittima di quel peso immane che le toglieva il respiro.
Terminata l’operazione nessuno dei tre riuscì ancora a dir nulla, Malaya si avvicinò alla figlia ed indicò al marito la lettera che giaceva sul tavolo. L’uomo capì: spettava a lui aprirla e leggerne il contenuto e così fece. Con voce tremula lesse il contenuto mentre la donna abbracciava stretta le spalle della figlia quasi a volerle infondere quel coraggio che però neppure lei aveva.

“Gentile famiglia Poon, in qualità di legale della famiglia Steward mi preme notificarVi che il giorno 19 giugno è stato letto alla presenza dei familiari il testamento del signor Blaine Owen Steward il quale ha espresso le seguenti volontà tramite testamento olografo:

«Nel caso mi accadesse qualcosa prima che possa provvedere di persona nel giorno del suo sedicesimo compleanno, dispongo che il mio amato pianoforte sia recapitato alla signorina Amihan Timtiman Poon che ne diverrà proprietaria da subito, unitamente ai miei spartiti. Dispongo inoltre che suo padre, Kidlat Sakay Poon, divenga in mia vece titolare del fondo da me versato in favore di sua figlia perché possa provvedere ai suoi studi qualora la ragazza ne abbia piacere. Nel caso in cui Amihan non intendesse avvalersi della cifra per i suoi studi, dispongo che ne entri in possesso alla maggiore età per farne l’uso che ritiene più opportuno quale risarcimento per tutti i regali che non avrò potuto farle negli anni intercorsi»

“Con il testamento il signor Steward ha lasciato anche due righe per voi che vi allego. Ricordo al signor Poon che per espletare le formalità dell’intestazione del lascito in favore sua figlia, può contattarmi al numero…”


L’uomo tralasciò le ultime righe formali e voltò pagina per leggere quelle righe scritte nella grafia ampia ed ampollosa del suo ex datore di lavoro:

«Miei cari Kidlat e Malaya, vi siete presi cura di me con affetto e devozione e di questo vi sono grato, mi siete cari come figli perciò vi chiedo scusa se il mio gesto di generosità nei confronti di Amihan avesse ferito il vostro orgoglio o leso la vostra autorità, ma vi prego di accettare la mia interferenza quale risarcimento sincero per aver allietato le mie giornate consentendomi di sentirmi parte della vostra famiglia.
A te Amy, lascio quel po’ di me che rimarrà sempre incastrato tra i tasti del mio pianoforte e che suonerà con te ogni volta che poserai le tue dita su di esso. Vivi ogni tua passione fino in fondo e non credere mai di non essere all’altezza dei tuoi sogni.
                    Sinceramente grazie,
                                    Blaine Steward».


Il suono delle parole lette cadde come balsamo sull’anima ferita di Amihan che si sentì pervasa nuovamente da quella forza che le era connaturata: quel giorno ricevette in eredità una ancor più ferma determinazione, se mai questo fosse possibile, e la linfa concreta con cui nutrirla, l’ultimo regalo del suo eroe delle fiabe.


Il respiro di Amy si fece affannoso, come sempre quando riviveva quel ricordo ancora così nitido nella sua memoria, così come la dolcezza di suo padre nel mettere da parte l’orgoglio e chiederle «Qual è la cosa che desideri di più al mondo?»
«Diventare una stella di Broadway, papà» rispose senza tentennamenti sua figlia
Suo padre si avvicinò e le lasciò un bacio sulla fronte deciso a darle tutto il sostegno necessario perché si preparasse adeguatamente: lui sarebbe stato sempre al suo fianco credendo il lei e sostenendola con le sue mani forti e il suo incantevole sorriso che avrebbe lasciato in eredità a suo nipote per la delizia di Kurt.
Quando poi Amy ebbe l’età giusta fu lui a prenderla per mano e accompagnarla a New York, per esaudire il sogno di entrambi: “gawin kung ano ang kanilang nais”, fare ciò che lei desiderava, e così avrebbe sempre fatto.

Forte di questa consapevolezza, mentre Chopin seguitava ad accarezzarle le orecchie, si addormentò.
Fu risvegliata delicatamente dall’assistente di volo che le ricordò di allacciare le cinture di sicurezza durante l’atterraggio: finalmente stava per tornare a casa, alla High School of Performing Arts, al suo appartamento scalcinato che adorava dove il suo Kevin l’aspettava smanioso, alla sua vita di sempre insomma e la cosa la rassicurava.

Di certo non poteva immaginare che il destino aveva tutt’altri piani in serbo per lei.

***** ***** ***** ***** *****
 

Lima, Ohio, 27 dicembre, 1989

«A che ora arriva Sean?» chiese Connor Anderson a suo figlio che riponeva gli ultimi abiti nella sua valigia con cura maniacale
«Sarà qui tra un’ora» rispose stancamente il ragazzo
«Bene» commentò l’uomo prendendo posto sulla sedia della scrivania nella camera del ragazzo
«Sai Desmond, i prossimi mesi saranno fondamentali per il tuo futuro e avrai bisogno di concentrarti nello studio in vista della laurea, ormai ci siamo, perciò faresti bene a lasciare la squadra di nuoto» suggerì l’anziano padre con quel tono autoritario che da sempre aveva la capacità di urtare la spiccata sensibilità di quel figlio che per tanti anni si era sempre rimesso alle sue decisioni perché così gli era stato insegnato: i figli devono rispettare i padri più che loro stessi.

«Posso fare entrambe le cose papà - osservò - e poi il nuoto mi aiuta a concentrarmi meglio»
«Mah, ho i miei dubbi - sentenziò l’anziano - e poi ricorda che ti aspetta il Master in Economia e Finanza... a proposito, hai deciso dove frequentare? Direi che sarebbe opportuno che restassi ad Oxford o se preferisci puoi tornare qui in Ohio»
«Pensavo a New York, in fondo è la capitale finanziaria mondiale» replicò il ragazzo
«Sean che farà?» domandò Connor ben sapendo che suo figlio non amava i continui paragoni con l’amico che  agli occhi del padre era il figlio perfetto.
Desmond non gli diede la soddisfazione di mostrarsi stizzito e con forzata calma rispose alla domanda «Lui e Katherine credo si sposeranno dopo la laurea e poi andranno a vivere a New York»
«Mi pare una scelta matura, come sempre - commentò pungente l’uomo - A proposito, Kathleen come sta?» aggiunse poi sconfinando nell’unico ambito dove da sempre Desmond l’aveva escluso da ogni potere decisionale: la sua vita sentimentale.
«Penso bene» sviò il ragazzo attendendo l’inevitabile seguito di un discorso che ormai conosceva bene
«È una ragazza incantevole, educata e intelligente - evidenziò infatti il signor Anderson - e dovresti affrettarti a chiederglielo... prima che sposi un altro» gli intimò senza fronzoli
«Kathleen è solo un’amica, siamo cresciuti insieme e ci vogliamo molto bene, nient’altro» ribadì per l’ennesima volta Desmond mentre richiudeva la valigia e la riponeva accanto alla porta
«Non ti capisco - sibilò contrariato suo padre - è per via di quella Ruth con la quale ti vedevi l’anno scorso?» chiese quasi con speranza
«Si chiama Rachel - puntualizzò il giovane - e no, non è per questo, è che non sono innamorato di lei né lei di me... e non sono certo di dover rendere conto a te di questo» osservò esasperato uscendo dalla stanza per trasportare la valigia di sotto
«Devi renderne conto eccome! - gli tuonò dietro l’uomo - sono tuo padre, non dimenticarlo!»
Desmond si fermò sulle scale tentando di reprimere il desiderio di dire la sua in merito, inutilmente «No, non lo sei mai stato» gli rivelò voltandosi per un attimo con lo sguardo duro e ferito che tuttavia suo padre pareva non saper vedere
«Quando ti deciderai a comportarti da uomo fammi sapere» si limitò a notificargli e quella fu l’ultima cosa che gli disse prima che partisse con Sean alla volta di Oxford, e alla sua solita vita, o almeno così credeva in quel momento.

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New York, Greenwich Village, 27 dicembre 1989

Amy entrò nell’appartamento e Kevin le corse incontro travolgendola in un abbraccio impetuoso
«Promettimi che non mi lascerai mai più solo così a lungo» piagnucolò il ragazzo stringendola fino quasi a toglierle il fiato
«Kevin - annaspò la giovane - son stata via solo una settimana» gli fece notare
«Lo so, ma mi manca l’aria quando non ci sei» sussurrò il ragazzo allentando la presa e investendola con la dolcezza dei suoi occhi nocciola
«Tu dovresti uscire e trovarti un fidanzato invece di investire tutto il tuo stucchevole romanticismo su di me» gli suggerì la ragazza liberandosi dalla morsa e lasciando un bacio sulla guancia di quel suo coinquilino eccentrico con cui formava una coppia indissolubile fin dal loro primo incontro alle audizioni per la School of Performing Arts che frequentavano entrambi per il quarto e ultimo anno.
«Ci sto lavorando - rimarcò allusivo - ma fino ad allora rassegnati ad essere l’unico amore dolce e spietato della mia vita» le ribadì baciandola a sua volta sulla fronte
«Se non ti adorassi ti ucciderei: come si fa ad essere così smielati?» sbuffò disgustata Amihan trascinando i bagagli sul pavimento fino alla sua stanza aiutata dal re del fluff in persona
«Tu dici così solo perché non hai mai trovato uno che ti faccia perdere la testa sul serio, sono certo che diventeresti miss glucosio in un batter di ciglia» replicò il ragazzo provocandola
«Dovrebbero lobotomizzarmi - rise Amy certa come di poche altre cose di non essere fatta per certe sdolcinatezze che le davano la nausea da sempre - e poi non temere io non perderò mai la testa, non ho tempo per l’amore» aggiunse con fiera convinzione
«Dovresti trovarlo invece e...
“sfogarti” un po’ - ammiccò Kevin - magari la finiresti di investire tutto il tuo stucchevole cinismo su di me» concluse beffardo parafrasandola.

La ragazza esplose in una risata ancora più fragorosa, poi si voltò verso l’amico e gli sussurrò con aria da donna vissuta «Ti do una notizia piccolo cucciolo innocente: per “sfogarsi” non c’è bisogno di innamorarsi, credimi»
«Ma non è la stessa cosa» commentò il giovane con risolutezza.
Amihan si limitò a sollevare gli occhi al cielo rassegnata: non c’era via di ravvedimento per quel giovane Lord Byron imbevuto di romanticismo fino al midollo.
«Comunque - si affrettò ad annunciarle il ragazzo mentre la aiutava a disfare la valigia - visto che sei ancora l’unico amore della mia vita, devi farmi da cavaliere alla festa di Capodanno al Club»
«No! - sbottò lady cinismo - Dopo l’anno scorso non voglio più saperne!» tagliò corto
«Ti prego, non farmi andare da solo... e poi chi bacio a mezzanotte?» la implorò Kevin gettandosi ai suoi piedi
«Trovati uno lì, magari stavolta del sesso giusto - precisò Amihan mentre lo trascinava fuori dalla sua stanza - io non voglio passare un altro capodanno in mezzo a un mucchio di boriosi irlandesi, con tutto il rispetto» e prima che il ragazzo potesse dire altro lo liquidò con un secco «Fine del discorso» e richiuse la porta della stanza.

Kevin continuò a supplicarla da dietro l’imposta, ma Amy non gli prestò ascolto: lì, nell’angolo della sua camera c’era il suo pianoforte che la aspettava, lo accarezzò gentilmente poi si lasciò cadere esausta sul letto.
Era a casa ed era felice.
Ammesso che all’epoca sapesse cosa fosse la felicità.

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New York Irish Center, Long Island City, 31 dicembre 1989


Mentre scendeva dal taxy Amihan ancora si chiedeva come avesse fatto quel dannato ragazzo a convincerla, eppure era lì fasciata in un abito da sera preso in forzato e clandestino “prestito” dalla sala dei costumi di scena della scuola, che si apprestava a passare un altro capodanno in compagnia di una sala zeppa di fieri irlandesi agiati e donne altolocate che l’avrebbero guardata come se fosse una marziana.
Entrata nel palazzo cercò con lo sguardo qualche indicazione per trovare la Ballroom2 da sola visto che Kevin le aveva promesso di attenderla all’ingresso alle ventidue ma non c’era, tuttavia non trovò alcuna segnalazione e inoltre c’erano diverse sale occupate da altrettante feste per cui non era possibile stabilire in quale avrebbe dovuto rassegnarsi a trascorrere le successive interminabili due ore della sua vita.
Spazientita decise di chiedere aiuto a qualcuno e così fece.

«Scusate, sapete dirmi dov’è la sala da ballo?» domandò ai primi che le capitarono a tiro.
I due si voltarono all’unisono: erano una giovane coppia di altissimi, bellissimi ed elegantissimi giovani irlandesi, si disse osservando i suoi interlocutori
«È qui al piano terra, possiamo farle strada: stiamo andando lì anche noi» si offrì gentilmente il ragazzo con una voce lievemente graffiata e occhi verdissimi
«Però per la cucina si entra dall’altra parte» specificò la stupenda ragazza bionda stretta saldamente al braccio del suo fidanzato, presumendo fosse una cameriera o comunque una che si occupava del catering: il solito effetto “marziana” a cui Amy non faceva più caso, anzi la divertiva prendersi gioco di quei poveri sprovveduti che finivano sotto la lama sottile della sua lingua
«Se lei deve entrare in cucina è sufficiente che mi indichi per dove proseguire» rispose infatti subito con un sorrisetto di teatrale cortesia.
Mentre l’avvenente biondina la guardava perplessa il ragazzo accanto a lei dovette mordersi il labbro per soffocare una risata
«Ma è invitata?» si stupì la biondina
«Perché?» esclamò la ragazza con enfasi, quindi si portò la mano alla bocca assumendo un’aria stupita ed esclamò forzatamente preoccupata «Oh santo Cielo! Si è accorta persino lei - scandì per bene - che non sono irlandese?» domandò concludendo la pantomima.

Non era certo la battuta del secolo, ma l’espressione sfacciatamente impertinente che si dipinse sul volto di Amy fiera di aver zittito la spilungona disorientandola, fece scoppiare nel ragazzo la risata a lungo trattenuta e quel suono aveva una nota calda e genuina che stupì la ragazza.

«Amore mio! - esclamò Kevin trafelato raggiungendo di corsa i tre ragazzi nell’atrio - pensavo ci avessi ripensato» sospirò sollevato baciando la fronte di Amy che lo accolse con un’occhiata torva
«Anderson, non pensavo venissi anche tu!» disse poi rivolgendosi al ragazzo della coppia e porgendogli la mano
«Ciao Kevin come stai?» lo salutò il ragazzo
«Benissimo, ora che ho accanto il mio sole d’oriente» rispose l’altro rivolgendo uno sguardo ammiccante ad Amihan che già sentiva l’orticaria impossessarsi della sua pelle
«Kathleen sei sempre bellissima» aggiunse poi salutando la ragazza bionda.
«Grazie - cinguettò la ragazza - ma vi conoscete?» chiese poi stupita e Amy fu costretta a mordersi la lingua pur di non sottolineare un’altra volta la formidabile perspicacia della Barbie lì davanti a lei
«Oh, scusate, che sbadato!» esclamò Kevin, quindi prese la mano di Amy e la baciò con riverenza presentandola con un certo orgoglio «lei è l’amore dolce della mia vita»
«Ok, io me ne vado!» sbuffò la ragazza nauseata
«No aspetta! - la fermò Kevin divertito che adorava stuzzicarla specie in pubblico sperando che prima o poi si imbarazzasse anche lei - giuro che censurerò il mio lato romantico» le promise
«Cosa c’è di male ad essere romantici?» si lasciò sfuggire il giovane Anderson
«Niente suppongo - rispose prontamente la ragazza voltandosi verso di lui - ma io sono allergica» specificò con sicurezza.

Il ragazzo la fissò per qualche impercettibile istante e Amy non lo avrebbe mai ammesso ma qualcosa in quello sguardo mise radici dentro di lei.
«Desmond» si presentò porgendole la mano e un sorriso
«Amihan» lo imitò la ragazza fondendo la sua mano piccola e fredda con quella calda di lui per un tempo che a entrambi sembrò troppo breve.

Kathleen quella sera non strinse alcuna mano e tempo dopo Kevin avrebbe scritto su quella stretta una delle sue canzoni d’amore più riuscite.


Entrati nella sala Amihan raggiunse l’angolo meno esposto della stanza e Kevin la aiutò a togliere il cappotto «Accidenti Amy, ma cosa ti sei messa addosso?» esclamò estasiato il ragazzo
«L’unica cosa bianca che ho trovato: una riproduzione dell’abito di My Fair Lady del ballo all’ambasciata, direi molto adatto»3 spiegò l’amica ironizzando
«Non so se è adatto ma stasera sei più bella di sempre» commentò illuminato dall’avvenenza della sua amica che aveva il dono di rendere divinamente elegante qualunque cosa indossasse, ma che quella sera riluceva come un piccolo diamante.
«Grazie, ma ciò non toglie che ti odio per avermi trascinata qui a farmi dare della imbucata da una biondina» sottolineò aspra
«Io invece ti amo per questo - le dichiarò Kevin stringendola a sé - e ora vado a prenderti da mangiare» propose più per tenerla occupata a mangiare anziché a lamentarsi che per reale cortesia.

In quella sala dominata dai toni rossi e verdi degli abiti dei presenti, c’era un’unica macchiolina di luce bianca, difficile da scorgere, ma per tutta la sera lo sguardo di Desmond si sorprese più volte inspiegabilmente a cercarla.

La lancetta dell’orologio ormai aveva superato la mezzora delle ventitré e Amy si congratulò con se stessa per aver resistito un’ora senza fare fuori nessuno degli esseri mezzi ubriachi che le facevano delle avances più o meno esplicite, e soprattutto per non aver ucciso Kevin per averla messa in quella situazione e poi dileguarsi lasciandola sola.

Mentre avvolgeva qualcosa in un tovagliolo per poi riporla in borsa, un altro tizio si avvicinò a lei, era alticcio e tentò anch’egli un approccio che Amy respinse con garbo per poi fingere di interessarsi ad un quadro appeso alla parete finché l’uomo non se ne andò.
Ma dopo meno di un minuto, quell’ombra la sovrastò nuovamente da dietro e la ragazza senza voltarsi sbottò esasperata «Mi scusi forse non ha capito: ma non mi va di ballare, uscire con lei e tantomeno farmi dare una ripassata sul sedile posteriore della sua macchina!»
«Beh, grazie dell’informazione!» commentò divertita l’ombra dietro di lei e il suono di quella risata le sembrò familiare

Amy si voltò di scatto e lui era lì: la metà di quella coppia perfetta.
«Scusami pensavo fossi un tizio che - tentò di scusarsi la ragazza, rinunciandoci un attimo dopo - vabbe’ lasciamo stare»
«Kevin?» si chiese il ragazzo
«Quel simpatico ragazzo mi ha lasciata qui da sola!» si lamentò Amy con uno sguardo omicida che però al suo interlocutore destava tutt’altro che paura
«Da quando tu e Kevin...» si interrogò Desmond
«Ci amiamo? - lo anticipò Amihan - Circa due anni» rispose poi
Desmond la guardò perplesso chiedendosi se lei fosse a conoscenza di ciò che era noto a tutti circa l’orientamento sessuale di Kevin, e vinto dalla convinzione che avesse diritto di sapere, si sforzò di introdurre con tatto l’argomento
«Scusami forse non spetta a me dirtelo ma... Kevin non è interessato alle ragazze» le spiegò

«Forse alle altre no - obiettò la ragazza - ma io non sono come le altre» affermò con risoluta ovvietà puntando i suoi occhi nel verde intenso di quelli di lui

«Non lo metto in dubbio - ammise il giovane irlandese ancorato a quello sguardo - ma intendo che non è attratto dalle donne»
«Desmond, giusto? - gli chiese e quando lui annuì proseguì - Beh Desmond, l’amore non è mai scontato, e non ha niente a che vedere col sesso» professò solenne la giovane
«Strana opinione per una che dice di essere allergica al romanticismo» osservò l’altro con un sorriso compiaciuto che infastidì la ragazza

«Scusami Des - proruppe Kevin riapparendo all’improvviso - ma ho bisogno della mia donna!» poi prese la mano della ragazza e la pregò di seguirlo «Andiamo Amy dobbiamo cantare»
«Cosa? No, non vorrei mai rubare la scena ai tre magnifici troll» si tirò indietro indicando il gruppo sconclusionato di tre emuli degli U2 che da un’ora massacravano senza pietà il repertorio del gruppo
«Per favore, duetta con me, non credo che Ian, Brad e Ryan se la prendano se li sostituiamo per due minuti sul palco» la implorò Kevin inginocchiandosi davanti a lei.
«Posso accompagnarti al piano, ma non sono in vena di cantare» gli concesse estenuata
«No, tu devi cantare: è un sacrilegio non farlo - ribatté il giovane - pensa a Desmond che non ti ha mai sentita» aggiunse poi rivolgendosi all’ignaro spettatore di quella scenetta
«Sarebbe un piacere sentirti - si affrettò a dire Desmond - ma se ti mette in imbarazzo...» specificò per evitarle un eventuale disagio.
Kevin e Amy si guardarono in faccia e poi scoppiarono a ridere
«La mia Amy non sa cosa sia l’imbarazzo» spiegò il ragazzo, poi prese per mano la sua amica e si incamminarono verso il palco.

«Aspettami un attimo» gli chiese Amy che aveva lasciato la sua borsa sulla panca dove sedeva e tornò indietro a riprenderla, ma Desmond l’anticipò e gliela porse
«Grazie - disse la giovane - e allora... goditi questo piacere» gli suggerì con un’espressione maliziosa per poi voltarsi e raggiungere Kevin.

I due ragazzi si esibirono sulle note di “Happy new year” degli Abba.
Amy prese posto al piano e la luce che irradiava diventò ancor più intensa quando le sue dita presero a scorrere sui tasti con leggerezza e decisione, come se danzassero, e quel tocco raggiunse inesorabile la schiena del giovane Anderson che rabbrividì.

La voce di Kevin calda e sensuale lambì la stanza, ma quando Amy iniziò a cantare la sala si fermò ad ascoltarla: la cristallina perfezione del suo canto accese una fiamma gentile dentro gli astanti. Desmond la ascoltò colpito dalla dolcezza di quel suono così in contrasto con la vivace impertinenza della giovane, quando poi Amy sollevò lo sguardo e forse per caso lo fissò dritto negli occhi, il fiato gli venne meno.
“Happy new year. May we all have our hopes, our will to try. If we don’t we might as well lay down and die, You and I”

No, convenne Desmond vedendola stringersi tra le braccia dell’amico al termine dell’esibizione e scoprendosi ad invidiarlo, lei non era come le altre.

Kathleen rientrò nella sala dopo una lunga seduta di rifacimento del trucco alla toilette in vista della mezzanotte, quando sperava di festeggiare l’arrivo del nuovo anno sulle labbra del suo Desmond che raggiunse raggiante «Rieccomi, scusami se sono sparita» si giustificò
«Scusa?» domandò il giovane che non le aveva prestato ascolto né si era accorto della sua assenza
«È quasi mezzanotte, ci pensi? - commentò la ragazza cingendogli il braccio - L’anno che verrà sarà speciale per noi!»
«In che senso?» si stupì il ragazzo
«Beh la laurea e... non so magari...» aggiunse sognante la giovane che da quando aveva sette anni faceva le prove per diventare la signora Anderson così come tutti si aspettavano.
Mentre Kathleen tesseva mentalmente un abito nuziale per suggellare il suo amore per
l’amico d’infanzia, una piccola ragazza vestita di luce bianca lasciava velocemente la sala e un giovane uomo non riuscì a impedirsi di correrle dietro.
«Scusami» si congedò dall’amica sguarnendole il braccio per raggiungere Amy che era già arrivata nell’atrio e si guardava intorno spaesata con lieve apprensione.

«È quasi capodanno e vai via?» le chiese il ragazzo
«No, ma devo rispettare le mie tradizioni e non ho molto tempo accidenti a Kevin!» rispose sempre più agitata la giovane
«Posso aiutarti?» si propose Desmond
«Devo trovare altri cinque frutti rotondi e un telefono» gli chiarì Amy senza troppa fiducia nell’aiuto del giovane

«Andiamo!» la rassicurò invece il ragazzo che conosceva bene quel posto ed era intenzionato a darle ciò che desiderava: la prese dunque per mano con naturalezza e la trascinò delicatamente ma con decisione con sé attraverso le scale, per poi correre ancora mano nella mano lungo il corridoio fino alla biblioteca del seminterrato.
«Vedi se riesci a trovare un telefono, io mi occupo della frutta» si offrì con un sorriso di cui la ragazza percepì tutta la dolcezza scorrergli dentro e stranamente la sua allergia al miele stavolta non si palesò.

Amihan entrò nella biblioteca e si sincerò che il telefono presente funzionasse, sospirando sollevata nel sentire il suono della linea libera. Si sistemò dunque su un tavolino dove predispose il necessario per il suo rituale tradizionale di fine anno.
Desmond tornò dopo qualche minuto con in mano un piattino su cui aveva disposto qualche acino di uva di diverse qualità, amarene, mirtilli e ribes e una fetta d’ananas: il respiro del ragazzo già provato per via della corsa, divenne ancora più affannato avvicinandosi a lei e accorgendosi di quanto fosse ancora più bella illuminata dalla tenue fiamma della candela che aveva acceso.
«Ecco» soggiunse porgendole il tutto
«Grazie» mormorò la ragazza prendendo il piattino su cui dispose gli altri frutti che aveva trovato «Ma questo?» chiese divertita guardando l’ananas che non corrispondeva ai requisiti richiesti
«La fetta è rotonda» si giustificò Desmond
«Si, ma non è così che funziona!» rise la ragazza mentre il giovane la guardava mortificato e quell’espressione la colpì più di quanto riuscisse a prevedere «Non importa - lo rassicurò con dolcezza - però se non hai ragione avrò un mese d’inferno»
«Cioè?» si incuriosì il giovane
«Ogni frutto è un mese dell’anno - gli spiegò Amy - nel Paese dei miei, mangiare dodici frutti tondi a capodanno dovrebbe garantire un anno propizio»
«Quale Paese?» chiese il ragazzo con un interesse non di circostanza
«Le Filippine» rispose con fierezza
«Beh se dovessi avere un mese d’inferno per colpa mia sono pronto a pagarne le conseguenze» affermò assumendosi per la prima volta la responsabilità del suo futuro, cosa che avrebbe fatto per il resto del sua vita
«Ok - sorrise Amy - Beh grazie, ora puoi tornare dai tuoi amici e... dalla tua fidanzata» aggiunse liberandolo da ogni impegno
«Non è la mia fidanzata. - precisò subito Desmond - E poi ormai ci siamo e non voglio stare da solo sulle scale a mezzanotte... posso restare qui?» domandò con una certa dolce trepidazione
«Sì - rispose d’istinto Amy senza che riuscisse a impedirselo - vuoi accendere tu questa?» gli propose porgendogli una candela rossa
«Sì - annuì il ragazzo prendendo posto di fronte a lei e facendo ciò che le aveva chiesto - cosa significano?» le chiese poi
«La candela bianca è per chi non c’è più, quella rossa per chi arriverà - chiarì Amy, quindi tirò fuori un bengala e aggiunse - e questo è per il nuovo anno... ora però scusami, devo sentire i miei genitori» disse alzandosi e raggiungendo il telefono lì accanto
«Vuoi che vada via?» si preoccupò Desmond che non voleva essere indiscreto
«No, se non vuoi» rispose la ragazza mentre componeva il numero e attendeva di sentire la voce del suo amatissimo papà «Hoy - sussurrò dolcemente quando l’uomo rispose - Mabuti po Naman» aggiunse sorridendo e inevitabilmente Desmond si sentì a disagio nel violare quel momento di affetto familiare che lui non aveva mai avuto il piacere di vivere nella sua vita.
Decise di allontanarsi comunque per raggiungere la cucina accanto e cercare due bicchieri e una bottiglia di qualcosa di decente con cui brindare, accompagnato in lontananza da quella voce che parlava in una lingua a lui ignota con una dolcezza che non aveva mai sentito.

Quando il giovane Anderson rientrò in biblioteca, Amy stava salutando e chiudendo la telefonata con i suoi genitori: mancava un minuto alla mezzanotte, il tempo di accendere il bengala, versare la Murphy’s Irish Stout4 nei calici e chiederle «Come si dice Buon anno nella tua lingua?»
«Manigong Bagong Taon» rispose la ragazza
«Manigong Bagong Taon, Amihan» le augurò porgendole il calice e il suo sorriso più luminoso
«Manigong Bagong Taon, Desmond» sussurrò Amy ricambiandolo e il ragazzo trovò che il retrogusto naturale di malto e caramello della Murphy’s non gli era mai parso così dolce.

Amy attribuì alla birra lo sbandamento che la colse nei pochi attimi in cui il ragazzo puntò i suoi occhi verdissimi su di lei come se volesse imprimere nella sua memoria ogni angolo del suo viso, poi si diresse al tavolo per mangiare i frutti e lo invitò a fare altrettanto.

Desmond non aveva mai riflettuto su quanto potesse essere pericoloso guardare qualcuno afferrare con le dita del cibo, portarselo con eleganza alla bocca e avvolgerlo con delle labbra perfette prima di gustarlo con lentezza divina: forse era colpa della birra se seriamente iniziava a sentire sempre più caldo e il suo respiro si faceva più pesante?

«Cosa significa Amihan?» le chiese tentando di riprendersi
«È il nome del monsone di Nord-Est, di un forte vento invernale e anche di una creatura mitologica - gli spiegò la ragazza mentre gustava il dodicesimo ed ultimo frutto - i miei genitori hanno puntato un po’ troppo in alto per la loro bambina» aggiunse ridendo
«Come si dice “è un nome perfetto”?» si permise di obiettare Desmond con sincera convinzione
«Ay isang perpektong pangalan» rispose Amy che in genere detestava quel genere di scontatezze pseudo-romantiche, ma quella sera in verità aveva dovuto concedere parecchie deroghe alle sue più certe convinzioni

«Beh direi di andare - gli disse rompendo il silenzio che seguì a quel complimento - vuoi soffiare tu la candela rossa? Puoi esprimere un desiderio...» propose onde sdebitarsi dell’aiuto che il ragazzo le aveva offerto quella sera
«No, grazie - rifiutò Desmond - credo di non avere desideri da esprimere per stasera, lo lascio a te»
«Allora puoi esprimere un desiderio per me» suggerì Amihan che quanto ad ambizioni e sogni da realizzare non era seconda a nessuno e non capiva come il ragazzo potesse non aver nulla da desiderare
«Quale?» si incuriosì Desmond leggendole negli occhi il fervore delle sue aspirazioni
«Non importa che tu lo conosca, io lo penso e tu soffi con me» gli propose Amy con un sorriso e così fecero.

Era la prima volta che i loro respiri si fondevano insieme: accadde fuori dalle loro bocche ma non fu per questo meno capace di insinuare in profondità il seme di un desiderio che colse entrambi. Amy non conosceva l’imbarazzo prima di allora e lo sentì salirle da dentro e colorarle il viso. Desmond non aveva imparato cosa fosse l’affetto di una carezza, eppure la sua mano reclamava il privilegio di sfiorare quel viso come se fosse nata per questo, e il ragazzo faticò come non mai a negarglielo per il timore che quell’intimità le fosse sgradita.

Si incamminarono in silenzio verso la sala e solo quando stavano per raggiungerla Desmond si decise a rivendicare un diritto che sperava lei gli concedesse
«Mi devi il resto della cena» le disse con convinzione
«Cioè?» trasalì la ragazza
«Abbiamo mangiato insieme solo la frutta, dobbiamo provvedere alle altre portate» chiarì il giovane Anderson con un sorrisetto
«Beh non direi, considera la cena conclusa» rifiutò elegantemente Amy, ma Desmond non si sarebbe rassegnato così facilmente
«Nella mia lingua non esiste la parola “No”» le rese noto e di fronte all’espressione sospettosa della ragazza aggiunse con una risata leggera «È vero! Per dirla tutta in gaelico non esiste neppure una parola per dire “Sì» precisò poi
«Immagino che significhi che voi irlandesi siete un popolo di indecisi» osservò la giovane artista con un’espressione di pungente soddisfazione
«Forse gli altri - obiettò sicuro Desmond sulla porta della sala - ma io non sono come gli altri» le sussurrò parafrasandola e Amihan iniziò a dubitare che fosse insperabilmente vero.


Note

1. I genitori di Amihan... tra tutti i nomi ho scelto quelli che mi parevano più adatti a generare una "Amihan", il monsone del Nord-Est, ovvero: Kidlat (= "fulmine") e Malaya (= "libera, indipendente").
2. I luoghi citati son tutti reali e la descrizione degli ambienti interni idem: ho scelto il  New York Irish Center perché pur non essendo esclusivo o particolarmente elegante, è indubbiamente "irish" *-*
3. Mi riferisco ovviamente a questo: http://youtu.be/5cmaCOf4LMM?t=1m38s  senza guanti e accessori vistosi
4La Murphy's Irish Stout è una birra scura irlandese dal gusto più dolce rispetto alle altre.


* Note a margine di chi scrive *

Il fatto che abbia levato "idiota" dalla dicitura è un omaggio a chi se ne lamenta (*-*) ma ciò non toglie che io lo sia!
Mi ero ripromessa di non scrivere note se non al termine della storia, ma poi vedere questo spazio sguarnito mi ha intristito... così scriverò due cosette  (che stando al tasso di cambio nella mia valuta, significa almeno una cinquantina di righe -.-'''')

1. Spero di non aver deluso né annoiato qualcuno, se così fosse mi dispiace. In particolare mi scuso per l'eventuale pesantezza della prima parte, ma dovevo rendere conto del lato "artistico" di Amy oltre che di quello umano... Mi faceva piacere pensare inoltre che contrariamente a tutte le aspettative anche lei ha preso parte alla scelta del nome di suo figlio: un omaggio al suo primo amatissimo maestro (♥) ...
Sulla nostra Amihan
*agita i pon pon e la lovva profondamente*  ancora non mi pronuncio ma va da sé che è una soddisfazione meravigliosa scrivere della ragazza piena di vita che era! ♥__♥ Ora è chiaro che per tanti aspetti Blaine non ha preso da lei  ma s'è trovato un fidanzato che in qualche modo le è molto affine.  *-*

2. Desmond <-- Anche su di lui tiro le somme alla fine, ma confesso senza residui pudori che se io fossi stata in Amihan sarei fuggita con lui quella sera stessa e forse Blaine avrebbe iniziato a vivere qualche ora dopo ù.ù rendiamoci conto di come sto messa -.-'''''''''''''

3.  Amy Desmond <-- ecco, io vi avviso: nessuno dei due ha la sindrome del baby penguin per cui... addio! *saluta con la manina e si prepara ai momenti torridi che la attendono*. Quando in Obviously ho scritto che per entrambi rinunciare alla passione tra loro è stato un po' come rinunciare alla vita stessa, non scherzavo... infatti si conoscono da tre nanosecondi e son già in preda a turbamenti... *li lovva*

4. Kevin <--  soprattutto su questo personaggio mi riservo di tornare al termine di questa storia, per ora gli lancio solo fiori profumatissimi e dolci bacini perché è indiscutibilmente adorabile

Per ora è tutto, spero di pubblicare la seconda parte mercoledì notte. Grazie a chiunque abbia letto fin qui.
A prestissimo e nel caso non fosse chiaro: AMOVI davvero ♥♥

   
 
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