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Autore: _Billieve Yourself_    21/11/2011    5 recensioni
Billie Joe. Una lettera mai data. Dei "Ti voglio bene" mai detti. E la pioggia ad incorniciare tutto.
E' la prima Fanfiction che pubblico, siate clementi, please! :D
Recensite in tanti, ho bisogno di pareri! :D
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! :D
Allora, premetto giusto un paio di cose, per evitare incomprensioni sulla storia:
1. La data di nascita di Andy me la sono inventata, dato che Internet non offre informazioni di questo tipo;
2. Il nome completo di Andy non sono sicura sia giusto, anche di quello, purtroppo, non ne ho avuta una conferma;
3. La vicenda si svolge ai giorni nostri, in un giorno non precisato.

Buona lettura! :D

“                                                                                                              08.09.1982
 
Ciao, Papà!
La mamma non lo sa che ti sto scrivendo, ma io questa lettera te la voglio dare dopodomani, quando verrò lì all’ospedale a trovarti. È tanto tempo che non ci vediamo, vero, papà? Sono quasi due settimane, oggi. E mi manchi, mi manchi tanto. Tutti i giorni, io chiedo alla mamma, a Anne o a Alan di accompagnarmi lì da te, ma mi sento sempre rispondere che non si può, perché tu non stai bene e sei malato. Vedo sempre le loro faccie preoccupate e mi stupisco. Sai perché, papà? Mi stupisco perché si, tu mi manchi, però so che guarirai, perché l’ho chiesto a Dio di farti guarire, lo sai? Gli ho detto anche di continuare a ripeterti che io, il tuo Billie Joe, ti voglio bene, gliel’ho detto. Tu li senti arrivare i “ti voglio bene” che ti dico ogni giorno, papà? Perché io te li dico con tutto il cuore questi “ti voglio bene” e sono sicuro che ti arrivano grazie a Dio. Non vedo l’ora di venire a trovar…”
 
Billie Joe smise di leggere. Una lacrima, anzi, ben più di una lacrima erano sgorgate all’improvviso dai suoi occhi verdi, benchè lui cercasse in ogni modo di trattenersi, ed erano atterrate sulla lettera che teneva nelle mani tremanti, macchiando le parole e impedendogli di leggere oltre.
Aveva ritrovato quel foglio dentro una scatola piena di foto che sua madre Ollie gli aveva dato il giorno prima. Chissà se lei l’aveva letto o se, invece, vi era caduto dentro per sbaglio. Billie si era ripetuto varie volte, tenendo in mano quella lettera mai data, di non leggerla, di non andare a cercare il dolore anche quando non ce n’era bisogno. Ma no, lui aveva ceduto al desiderio di ricordare, perciò si era seduto sul divano del proprio salotto, in un pomeriggio di pioggia, e aveva cominciato a leggere, cercando inutilmente di ignorare il proprio cuore che a volte sussultava e si stringeva e le lacrime che cercavano prepotenti di scendere dai suoi occhi.
Sorrise, tra le lacrime, al ricordo di quel bambino dai riccioli castani e gli occhi verdi, di quanto fosse ingenuo e innocente a quell’epoca e di quanto brutalmente quelle due qualità gli fossero state tolte da un destino bastardo.
Suo padre non l’aveva mai letta quella lettera. Era morto il giorno stesso che Billie Joe era andato a trovarlo per consegnargliela. Quel maledetto 10 Settembre 1982, giorno in cui quel bambino ingenuo era diventato un adolescente ribelle, perennemente arrabbiato con il mondo, la sua fede in Dio era andata a farsi fottere, insieme a tutte quelle altre balle sulla religione che gli erano state inculcate nella testa fino a quel momento. Aveva deciso che mai più avrebbe riposto le sue speranze in un essere astratto, ma le avrebbe date a qualcuno di reale in grado di soddisfarle e di non deluderle.
“Se solo quel cazzo di cancro l’avessero scoperto prima…” Pensò con rabbia, mentre nuove lacrime cadevano dai suoi occhi e si infrangevano, come le loro sorelle avevano fatto precedentemente, sul foglio di carta sotto di loro. Strinse le mani a pugno, accartocciando la lettera che teneva in mano e, così facendo, anche tutti i sogni e le speranze di un bambino troppo povero e sfortunato per averne.  
Poi, gli venne un’idea. Si alzò velocemente dal divano, prese il suo giubbotto di pelle e uscì nella fresca aria di Ottobre. Si mise il giubbotto e si incamminò verso il cimitero dove riposava suo padre con le mani in tasca, sempre tenendo stretta la lettera ormai tutta stropicciata. Camminava a testa bassa, cercando di non farsi riconoscere dalla gente che era in strada e, allo stesso tempo, di proteggersi contro quel venticello insidioso tipico di quella stagione.
Arrivò al cimitero dopo circa un quarto d’ora. Entrò senza esitazioni, iniziando a camminare in mezzo a quel labirinto di lapidi grigie e impolverate dimenticate dal mondo. Ad un tratto, si fermò, leggendo l’iscrizione di una lapide:
 
                                            Andrew  Marciano Armstrong
                                               15.03.1920 – 10.09.1982
 
Billie deglutì, cercando di fermare le lacrime che cercavano ancora di liberarsi dai suoi occhi. Si inginocchiò accanto alla tomba di suo padre, accarezzandone piano la superficie ruvida e irregolare. Poi, iniziò a scavare una piccola buca a mani nude di fianco alla lapide. Quando il buco gli sembrò della grandezza giusta, si sfregò le mani, pulendole dalla terra, e prese la lettera che teneva in tasca. La ripiegò bene, lisciandola con cura. Poi, tremando, la poggiò nella buca. Due, solitarie lacrime fecero in tempo a cadervi sopra, prima che Billie prendesse una manciata di terra e la gettasse sul foglio piegato. Finito il lavoro, sospirò, cercando di asciugarsi gli occhi con la manica del giubbotto, e si alzò lentamente. Rimase a fissare l’iscrizione sulla tomba di suo padre per altri cinque minuti, sentendo, piano piano, il suo cuore diventare più leggero, come se un grosso peso stesse venendo spostato da sopra di esso.
Credette di essersi rimesso a piangere quando sentì delle goccie scendere lungo le sue guancie. Poi, però, guardò in alto e vide la pioggia scendere. Sorrise a quella vista e chiuse gli occhi, beandosi delle goccie fredde che si infrangevano sui suoi capelli, sul suo viso e sui suoi vestiti. Quando la pioggia cominciò a scendere più forte, riaprì gli occhi e si incamminò fuori dal cimitero, sorridendo mesto alla vista della gente che correva per strada cercando un riparo o camminando veloce sotto l’ombrello a testa bassa. “Che idioti” Pensò. Si, idioti, perché, così facendo, essendo sempre così di fretta, si perdevano ciò che di più bello il mondo aveva da offrire. Si, anche un acquazzone aveva il suo fascino e la sua bellezza, soprattutto se aiutava a farti scivolare via di dosso tutte le brutte sensazioni e i cattivi ricordi. Gli acquazzoni erano un simbolo di rinascita per Billie. E, soprattutto, erano l’unico “sfizio divino” che si concedeva. L’unica cosa “divina” a cui era disposto a credere, cioè che la pioggia fosse una segno mandato da lassù, dal cielo. Ma non da Dio, no, Dio non esiste. No, la pioggia Billie credeva fosse il modo che aveva suo padre per dirgli “Ciao, piccolo, sono qui e ti voglio bene”. E Billie li sentiva quei “Ti voglio bene”, li sentiva, forte e chiaro. E, finalmente, dopo tanti anni, anche lui si era fatto sentire da suo padre, quel giorno. Seppellendo quella lettera, per quanto macabra la cosa potesse sembrare, lui aveva messo da parte quel ragazzino ingenuo e innocente, dandogli la possibilità di dire, finalmente, il suo “Ti voglio bene” al suo papà.
Si mise a ridere, all’improvviso, sentendosi leggero come non mai. Benchè l’aria fosse fredda, si levò il giubbotto e anche la maglietta che aveva sotto, restando a torso nudo sotto la pioggia battente. Allargò le braccia e rimase lì, fermo, immobile, con gli occhi chiusi, incurante della gente che passava per strada fissandolo sbalordita.
“Chissene frega di quella gente” Pensava. In fondo, lui era lì, con la pioggia. Lui era lì e stava abbracciando suo padre. 
  
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