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Autore: lilly81    17/07/2006    33 recensioni
A due anni di distanza dal termine del torneo contro Cell, Iamcha ci riprova con Bulma. Come andrà a finire?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta, Yamcha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Per la prima ed ultima volta”

 

Per la prima ed ultima volta

 

 

 

La risacca si infrangeva con un moto placido e gentile, bisbigliava alle orecchie sonnolenti una nenia senza intermezzi, effondeva l’aroma del mare dentro le narici ed insaporiva la pelle.

La piccola finestra, che affacciava sul retro dell’isola, aveva i battenti spalancati ed incrostati di salsedine.

I materassi gettati a terra erano sorvegliati senza interesse da una mezza faccia di luna alticcia.

In punta di piedi Crilin si chiuse alle spalle la porta di legno ed i cardini cigolarono sotto la spinta inutilmente cauta.

“A quest’ora ci si ritira?” lo colse di sorpresa la voce di Iamcha.

L’uomo aveva le braccia incrociate dietro il capo e gli occhi aperti a scrutare il buio già molto prima del suo arrivo.

Sulla faccia tonda di Crilin, l’espressione ancora ebbra ed incosciente di chi ha trascorso una serata che non dimenticherà tanto facilmente.

Si distese anche lui a terra e si mise su di un fianco con un guizzo febbricitante.

“Sono felice che tu sia sveglio” sussurrò per non svegliare Olong e Pual che ronfavano ignari all’altro lato della stanza, non raggiunto dai flebili raggi della luna.

Iamcha aveva sufficiente esperienza per capire l’origine di quell’entusiasmo e presentire che sarebbe stata una notte insonne per entrambi visto che l’amico non si sarebbe risparmiato nel racconto estasiato di quanto fossero morbidi i suoi capelli biondi, delicata come porcellana la sua pelle, calde e saporite le sua labbra a dispetto dei circuiti metallici che imbottivano il suo cervello.

“ Non ci crederai, ma sono riuscito a baciarla, finalmente, dopo tutto questo tempo!”

“Invece ti credo eccome…” fece l’altro senza scomporsi.

Crilin, invece, aveva perso ogni speranza a riguardo.

Avvicinarsi a 18 e conquistare la sua fiducia era stato più arduo che ammansire una bestia feroce.

Un’attesa fatta di piccoli passi e altrettanti all’indietro prima di riuscire a far sbocciare sulle sue labbra volitive l’increspatura di un timido sorriso.

“Non mi meraviglia più niente” seguitò Iamcha “se Bulma è riuscita ad avere un figlio con Vegeta, non vedo perché tu non possa stare con un cyborg”.

Crilin colse nella voce dell’uomo un risentimento che avrebbe dovuto essere sotterrato da tempo.

Da anni era finita la sua storia con l’esuberante scienziata e quando si erano rivisti in occasione dell’arrivo dei cyborg fino al torneo contro Cell, c’era stata tra loro amicizia e reciproco rispetto, come se gli antichi sentimenti non fossero stati altro che questo.

Né l’uno né l’altra sembravano aver sofferto molto la fine di una storia costellata di litigi e separazioni, con poca passione e lo stesso affiatamento di due eterni adolescenti.

“Dal tuo tono si direbbe che la cosa non l’hai ancora digerita bene”

“Ti sbagli” ed era sincero “Bulma è soltanto un’amica che non vedo da molto tempo, ognuno ha preso la sua strada, mi dispiace abbia scelto una così ardua”

A Crilin non piacque il paragone del suo rapporto con 18 a quello che legava Bulma ed il principe dei saiyan.

Ai suoi occhi innamorati l’algido cyborg appariva soltanto una fanciulla errabonda e bisognosa di affetto, tutt’altro Vegeta che non aveva perso l’intrattabilità con cui si era fatto conoscere.

Neanche il dolore e la rabbia innanzi al figlio trucidato erano riusciti in qualche modo a riscattare la sua fama.

Nessuno avrebbe mai scommesso un soldo sulla sua redenzione, tranne Bulma ed il ragazzo venuto dal futuro.

“Vuoi dire che anche io ho preso una strada troppo dura?” si voltò ad osservare le ombre sul soffitto.

Iamcha non aveva intenzione di deprimerlo e perciò sorrise:

“Non preoccuparti, arriva fino in fondo e non te ne pentirai, 18 è veramente uno schianto, ne vale la pena soffrire un po’”

“Solo adesso mi accorgo di capire Bulma” mormorò assorto e Iamcha si voltò a fissarlo con curiosità.

“Quando si ama, tante cose dell’altro non si vedono più…”.

Iamcha trasse allora un profondo sospiro.

Se Bulma non avesse dato peso ai suoi difetti, a quest’ora sarebbero stati marito e moglie con tanto di prole a carico, e non avrebbe dovuto cercare ospitalità dal vecchio eremita in attesa che l’appartamento comprato in città con tanti sacrifici fosse finalmente agibile.

Il sole era sorto da poco all’orizzonte e dalla sdraio sulla spiaggia spuntava già l’inconfondibile pelata dell’anziano maestro.

Un granchio percorse la battigia e si lasciò ghermire dalla spuma bianca fino a che non scivolò con tranquillità nelle acque fresche e limpide.

Crilin non aveva dormito per tutta la notte e pure Iamcha fu insolitamente mattiniero quel giorno.

“E’ un vero peccato tu abbia smesso di allenarti” si rivolse il vecchio a quest’ultimo che osservava, con le mani in tasca, l’amico scudisciare l’aria con colpi rapidi e decisi.

Crilin non aveva perso l’agilità di un tempo, non potendo permettersi il lusso di sfigurare innanzi all’androide dagli occhi di ghiaccio, nell’ipotesi questa avesse voluto sgranchirsi un po’ le gambe.

“C’è un tempo per ogni cosa, il mio è finito da un pezzo” rispose allegramente il giovane che riempiva i polmoni con boccate di salutare aria salmastra.

Da quando i saiyan si erano eretti a paladini della Terra, chi per uno scopo, chi per la propria vanagloria, non aveva più trovato spazio sul campo di battaglia.

Meglio battersi allora in ritirata prima di rimetterci le penne invano.

“Tutti svegli di buon mattino, ed io che pensavo di essere il primo!” esclamò Olong con disappunto, seguito a ruota dall’altro trasformista.

Erano tutti intenti a consumare un’abbondante colazione all’aperto quando la tartaruga sgusciò dalla porta, scese con flemma i gradini, non riuscendo ad accelerare il passo urlò prima di raggiungerli:

“Maestro, abbiamo vinto!” e dopo alcuni minuti andò a sventolare ai piedi dell’anziano il biglietto vincente di una lotteria.

Nella testa calva di Muten dovette trascorrere qualche istante prima di rammentare l’acquisto fatto in un bar di Satan City, l’ultima volta che era stato in città.

“Che bello, siamo ricchi!” esultò Olong.

“E’ solo il quinto premio…” lo spense la tartaruga.

Spiegò poi che il regolamento imponeva di andarlo a ritirare di persona entro il termine perentorio di venti giorni.

“Potrebbe essere l’occasione per fare tutti insieme una passeggiata in città” commentò il vecchio.

“Così quello che vinci lo sprechi una notte in albergo per farci dormire tutti” fece pungente il maialino come al solito.

Muten allora ebbe l’idea di chiedere ospitalità a Bulma.

Sarebbe stata l’occasione giusta per fare una vecchia rimpatriata, dato che erano trascorsi due anni dall’ultima volta che l’avevano vista, in occasione della partenza di Trunks con la macchina del tempo, ma il suo entusiasmo non contagiò nessuno dei commensali.

“Non è per Bulma, ma ho paura di Vegeta, non voglio stare sotto il suo stesso tetto” rabbrividì Olong “piuttosto rinuncio al premio”.

Pure Iamcha trovò l’idea poco coinvolgente.

Ad un tratto pensò che rivederla dopo tanto tempo avrebbe potuto compromettere qualche suo equilibrio.

“Ma non si erano lasciati… chi ci dice che sia rimasto alla Capsule Corp?” intervenne Pual.

In effetti nessuno sapeva cosa ne era stata dell’assurda e sorprendente relazione tra lei ed il principe dei saiyan.

Al termine del torneo aveva fatto ritorno a casa, ma nulla escludeva che fosse andato via poco dopo la partenza di tutti gli altri.

Crilin provò a concentrarsi ma non riuscì a percepire in nessuna parte del globo l’aura di Vegeta.

“Allora, che aspettiamo a fare i bagagli?” si alzò l’arzillo vecchietto.

Iamcha era sul punto di dire che sarebbe rimasto alla Kame House quando Crilin, col volto imporporato e le punte degli indici che si urtavano pieni d’imbarazzo, disse:

“Se resto qui da solo, può darsi che 18 accetti di venire” da tempo il ragazzo sperava che il cyborg si decidesse a lasciare il rifugio che aveva trovato tra i boschi per godere degli agi di una casa più accogliente.

“D’accordo!” esclamò il maestro “vado a nascondere i miei porno, o forse vuoi gettarci un’occhiata prima di…” e cascarono tutti all’indietro.

 

 

 

* * *

 

 

Rotolò di schiena sotto il suo corpo nudo ed ansante e si lasciò dominare dai lombi esaltati e dai seni che si ergevano su di lui turgidi e carichi di voluttuosa attesa.

La schiena si piegò con una movenza di gatta e la lingua andò ad insinuarsi come una serpe nel solco di uno dei tanti sfregi che adornavano il suo torso.

Poi, come se quella carne sudata e calda fosse stata incorporea, il principe dei saiyan tornò a soggiogarla sotto di lui con un ghigno di approvazione.

Le sponde del letto erano una spiaggia troppo angusta a contenere la marea che avanzava inarrestabile.

I loro corpi si rincorrevano e si ritrovavano da un lato all’altro, sospinti da un flusso che li faceva naufragare felicemente in acque torbide e profonde, come una morte voluta e sospirata a cui andavano incontro tenendosi per mano.

Quando l’ultima ondata di piacere si fu ritirata e non restarono altro che i gemiti per risalire a galla, i due amanti si staccarono e giacquero esausti.

Poi Bulma si mise su di un fianco ed allungò il braccio a cercare un altro contatto.

“Si può sapere dove sei stato?” la sua voce era inebriata, il viso accaldato e soddisfatto.

Vegeta mancava da casa da cinque giorni.

Una di quelle frequenti e brevi fughe che si concedeva da quando aveva preso a vivere stabilmente presso la Capsule Corp.

Un modo come un altro per ribadire le sua natura schiva e misantropa, talvolta alla ricerca di spazi più ampi in cui far deflagrare la propria energia, altre volte per smaltire frustrazioni o litigi di coppia.

Ma questa volta Bulma non c’entrava affatto.

Lo aveva visto spiccare il volo di buon mattino per poi non fare più ritorno.

La ramanzina che teneva pronta da cinque giorni sulla punta della lingua si era sciolta col fuoco che era divampato tra le sue lenzuola nel cuore della notte.

Erano le quattro del mattino quando Vegeta era rincasato.

La finestra della stanza di Bulma era stata lasciata aperta e, senza premeditazione o ragione che sapesse darsi, la moquette aveva accolto i suoi piedi furtivi e quatti.

La mezza luna avvinazzata singhiozzava sulle forme generose del suo corpo, nascoste sotto il velo stropicciato della camiciola lunga.

Le lenzuola bianche erano un mucchio informe ammassato durante il sonno in un angolo del letto.

Vegeta era avanzato fin lì, sospinto da quella seduzione innocente e dalla voglia improvvisa di approfittarne e si era adagiato accanto a lei.

La bocca si era poggiata nella curva indifesa del collo ed aveva tracciato con la lingua un percorso tortuoso che dalla spalla declinava al pendio morbido del petto.

Le ciglia assopite erano state percorse da un fremito quando le narici erano state investite da un odore di terra selvatica e sudore maschio.

“Vegeta…” era riuscita solo a mormorare prima che le labbra venissero assalite e le mutandine ridotte a brandelli.

 

Alle dieci di quel mattino Bulma ricevette la telefonata dell’eremita.

Col suo solito brio, gli disse che sarebbe stata lieta di rivedere tutti quanti.

Anche sua madre, avvertita della visita che avrebbero ricevuto nel pomeriggio, cinguettò con allegria ed indossò il grembiule da cucina.

Tutt’altra la reazione del principe dei saiyan.

Per dirglielo, Bulma aveva approfittato che uscisse dalla stanza gravitazionale per la pausa del pranzo.

“Resteranno qui anche per la notte, non ti chiedo di restare con noi tutto il tempo, ma fatti vedere almeno un po’ e comportati bene”.

Sembrava le stesse molto a cuore far vedere ai suoi vecchi amici come non fosse più una giovane madre, sedotta ed abbandonata, ma una donna che cresceva un figlio insieme al suo compagno.

Poco importava che Vegeta avesse per Trunks  lo stesso interesse che aveva per il gattino che gironzolava per casa.

Ciò che contava era che il saiyan fosse rimasto insieme a lei e, poco alla volta, prendesse a conformarsi alla vita terrestre senza neanche rendersene conto.

“Non fare alcuna speranza su di me” le disse con disprezzo “non resterò in mezzo a voi, anzi, me ne andrò via e ritornerò quando sarà sparito di loro ogni tanfo!” e con l’asciugamano sulle spalle scomparve oltre la porta della sua stanza.

 

 

* * *

 

 

Il vecchio eremita insieme ad Olong, Iamcha e Pual arrivarono intorno alle due di un pomeriggio molto afoso.

Quando le porte scorrevoli della Capsule Corp. si aprirono automaticamente al loro passaggio, li investì l’aria fresca dell’impianto climatizzato.

Bulma andò loro incontro sfoggiando un abitino di colore azzurro, un taglio di capelli sbarazzino ed un velo di rossetto sulle labbra sorridenti.

Il volgere degli anni sembrava avere su di lei un effetto a rovescio.

Al vecchio Muten si accesero gli ardori di un tempo, mentre Iamcha per un istante si sentì imbambolato come la prima volta che la conobbe e si raspò la folta chioma con un gesto imbarazzato.

“Non cambi mai!” colpì Bulma, con rabbia, la testa pelata del maestro quando sentì un pizzicotto indecente nel mezzo dei posteriori.

Poi li fece accomodare in salotto, mentre la sig.ra Brief si affaccendava a riempire i bicchieri di aranciata.

Iamcha gettò un’occhiata circolare alla stanza e si accorse che non erano cambiate molte cose dall’ultima volta in cui c’era stato.

Il divano era lo stesso sul quale si era accomodato per tanto tempo, così le tende alle finestre, le pareti paglierine ed il tavolo rotondo in un angolo della stanza.

Olong, invece, si guardava intorno con timore, alla ricerca di indizi che svelassero la presenza del principe dei saiyan.

Niente lasciava trasparire che Vegeta abitasse in quella casa, per questo si rilassò e tirò con la cannuccia la fresca bevanda.

Muten sventolò l’assegno che aveva incassato non appena era arrivato in città, raccontando a Bulma con maggiori dettagli le ragioni di quel viaggio.

Una modesta cifra che gli avrebbe consentito di vivere nell’agio un paio d’anni, considerato che prevedeva la compagnia nella sua graziosa casetta di un altro inquilino dallo sguardo di ghiaccio.

Così ella apprese con sgomento della passione di Crilin per 18, trovando finalmente la spiegazione al fatto il ragazzo non avesse voluto utilizzare il dispositivo da lei creato per disintegrare il cyborg all’epoca delle trasformazioni di Cell.

Giacché nella mente non riusciva a figurarsi l’immagine di Crilin alle prese con l’ardua conquista, rise di gusto fino a quando Iamcha non le fece presente, senza offesa, che pure lei era stata protagonista di una relazione alquanto discutibile.

Pual allora, per riempire il silenzio calato nella stanza, le parlò della casa acquistata da Iamcha in periferia e dei lavori che dovevano essere ultimati prima che fosse abitabile.

“Ma Trunks dov’è?” chiese l’eremita dopo essersi dissetato.

“Eccolo qui” pigolò la sig.ra Brief che rientrò tenendo la mano ad un bambino piccolo e paffuto, che a sua volta stringeva tra le dita tozze un dinosauro di gomma.

Tutti si sporsero per osservarlo meglio.

Non aveva ancora niente dell’aitante fisico dell’ alter ego venuto dal futuro, ma il ciuffetto dei capelli e lo sguardo serio ed accigliato tradivano quello che un giorno sarebbe diventato:

“Tesoro mio, vieni dalla mamma!”  gli spalancò le braccia.

Il bambino si staccò dalla nonna e andò a nascondere la testa contro il grembo materno.

Lei lo coccolò con mille moine e gli scarmigliò i capelli:

“Non fare così, non devi aver paura, questi sono i miei amici”.

Il bambino li osservò ad uno ad uno elargirgli un sorriso di incoraggiamento.

Poi tornò a nascondersi contro il suo petto:

“E’ veramente cresciuto” esclamò Iamcha “sa parlare?”

“Certo che parla, ha ormai tre anni, avanti piccolo, fai sentire come conti fino a cinquanta!”

“Così tanto?” fece Olong “allora ha preso tutto dalla mamma!”

“E il padre che fine ha fatto?” la domanda di Muten chiuse tutti in trepidante attesa.

Bulma scalpitava da un pezzo di informare i compagni sulle novità che la riguardavano.

Era sul punto di dare fiato alle corde quando il principe dei saiyan attraversò la stanza in direzione della cucina.

Olong allora si mosse con preoccupazione sul divano, Muten restò impassibile dietro le lenti scure, mentre Iamcha ebbe un lampo di sorpresa nello sguardo.

Il piccolo Trunks, invece, tornò a serrarsi al collo della madre.

Bulma era convinta che il saiyan se ne fosse andato già via, ma aveva imparato col tempo quanto quell’uomo fosse imprevedibile.

La notte trascorsa era l’esempio più eclatante di come anche un saiyan, ed il più terribile, potesse lasciare carichi di meraviglia.

Lo vide scomparire in cucina e riaffiorare dopo qualche istante con in mano una bottiglia d’acqua, poi affettando una sdegnosa indifferenza, ritornò da dove era venuto.

“Non pensavo ci fosse anche lui” disse Iamcha guardando ancora in quella direzione “in giardino non ho visto il trainer gravitazionale”

“Gli ho costruito una stanza apposita qui in casa, proprio in fondo al corridoio” spiegò la scienziata.

“Siete tornati insieme?” chiese Pual.

Bulma sfoderò allora un candido sorriso e raccontò come, terminato il torneo contro Cell, Vegeta avesse deciso di restare alla Capsule Corp.

“Poco alla volta ci siamo riavvicinati, del resto come dargli torto?” si passò una mano tra i capelli e ravvivò la chioma “chi resiste al mio fascino?” e scoppiarono tutti in un’allegra risata.

In realtà aveva penato non poco per riconquistare il principe dei saiyan, che deluso ed umiliato per l’esito della battaglia e per la morte dell’acerrimo rivale era divenuto in quel periodo ancora più intrattabile.

“Vuoi dire che adesso siete una coppia normale, che condividete tutto e regolarmente fate quelle cose lì…?” alluse il maialino trasformista prima di guadagnarsi dalla donna l’immancabile colpo sulla testa.

 

 

* * *

 

 

Aveva trascorso buona parte del pomeriggio ad allenarsi come sempre era abituato a fare.

Aveva deciso che quella combriccola da quattro soldi che sarebbe dovuta arrivare poco dopo l’ora di pranzo avrebbe influenzato la sua giornata allo stesso modo di un vento fastidioso e passeggero.

Bastava evitare di respirare la loro aria e niente di più.

La Capsule Corp. era abbastanza grande per tenerlo a riparo dalla loro presenza, senza la necessità di cercare lidi remoti ed inospitali da cui era tornato solo la notte scorsa, affamato, sudicio e.. con la voglia di recuperare quello che aveva perso.

Questa volta Vegeta aveva scelto di restare a casa.

Era da poco calato il crepuscolo, quando, attraversando di nuovo il soggiorno alla volta della cucina, vide che Bulma ed i suoi ospiti si erano spostati intorno alla tavola nell’angolo e sfogliavano alcuni volumi di libri prima che si accorgessero del suo passaggio.

Mentre interrogava il frigorifero alla ricerca di qualcosa di dissetante, sentì le loro voci riprendere dove erano state interrotte:

“E’ passato veramente molto tempo” diceva il vecchio “quanti ricordi!”

Bulma aveva avuto la felice idea di tirare dal fondo del suo armadio vecchie fotografie.

Alcune erano state raccolte in album dalla copertina di pelle, altre erano disseminate sulla tavola senza ordine di tempo, tra le risa sulla spiaggetta del maestro ed i volti tesi nelle pause dei tornei.

Iamcha si accorse che mancavano all’appello molte sue fotografie, tutte quelle scattate in coppia con lei:

“Mi spiace” spiegò Bulma con una certa soddisfazione, anche se aveva perso il sapore di un tempo “le ho strappate tutte al nostro ultimo litigio”.

Sulla soglia della porta che divideva il soggiorno dalla cucina, Vegeta si era fermato con le braccia conserte e la schiena poggiata allo stipite.

Bulma si accorse di averlo alle spalle quando vide tutti guardare nella sua direzione:

“Scusami caro, hai ragione…” cinguettò la vispa sig.ra Brief alzandosi e sistemandosi il grembiule a scacchi “ritorno subito ai fornelli, la cena sarà servita tra non molto” e scomparve in cucina.

Lui rivolse a Bulma una sola delle sue occhiate:

“Sto solo aspettando, non mangerò insieme a voi, scordatelo!” ed il mento scattò dall’altra parte in direzione della finestra.

Gli altri passarono sulla cosa senza scomporsi.

“Guardate qui cosa ho trovato!” esclamò Pual scartando tra le foto gettate sul tavolo un’immagine  sgualcita.

Gli altri si sporsero a guardare:

“E pensare che temevo di averla persa!” esclamò Bulma “di Goku ho solo questa fotografia quando era ancora un bambino!”.

Quel nome catturò l’attenzione anche di Vegeta che tornò a guardare il gruppetto riunito intorno al tavolo.

“Fu un torneo davvero spettacolare” commentò Muten “Goku era già molto forte ma ne ha fatta di strada avanti!”.

La memoria dell’eroico compagno fece calare un velo di mestizia sui loro volti.

“Se non fosse morto, a quest’ora chissà come sarebbe stato forte…” pensò Olong.

Il sogghigno di Vegeta sferzò il loro udito:

“Se non fosse morto con Cell, lo avrei ucciso io”.

Iamcha si alzò di scatto e le nocche delle mani si illividirono.

Stava per cantargliene quattro, ma Bulma disse con tranquillità, quasi la sua reazione fosse stata fuori luogo o indegna anche solo di essere considerata:

“Aiutatemi a sistemare tutte queste fotografie, tra poco si cena”.

Iamcha non riusciva a capacitarsi di come ella tacesse dinanzi a tanta arroganza.

Con disappunto la osservò sistemare le foto sparpagliate all’interno di una scatola per scarpe.

La conosceva troppo bene per credere fosse quello un atteggiamento di sottomissione e non la semplice forza di chi ci ha fatto l’abitudine.

A distanza di anni non riuscì a meno di ridomandarsi quale piacere trovasse a stare in compagnia di un uomo che non aveva rivolto al bambino, intento a giocare sul tappeto non lontano, un briciolo della sua attenzione.

Neanche per lei Vegeta pareva averne.

Gli sembrava che tra i due non ci fossero dialogo, complicità… intimità.

Li ritrovava esattamente come li aveva lasciati due anni prima, freddi e distanti, e concluse che quel saiyan non meritava tutto ciò che aveva avuto in sorte da quando aveva messo piede in quella casa.

A lui era toccato quello che un tempo aveva creduto sarebbe stato il suo: agi, lusso, Bulma, una famiglia.

A lui non era rimasto niente.

Con sacrifici era riuscito a costruirsi una casa e a condurre una vita modesta, da un letto all’altro continuava a passare senza trovare stabilità e piantare niente.

“Le vado a sistemare io” disse Iamcha “ricordo bene dove è la tua stanza”.

Solo Vegeta colse in pieno la frecciata che gli era stata rivolta.

Non mosse un muscolo, ma non gli piacque per niente l’insolenza con cui il terrestre si mosse in direzione delle camere da letto, come se quella casa fosse stata la sua.

Con la stessa familiarità e confidenza che aveva avuto anni addietro accendeva luci, apriva porte e mobili altrui, dimenticando di essere un ospite e niente altro di più.

Quando fece ritorno dopo alcuni muniti, vide che il principe dei saiyan era uscito sulla loggia ad aspettare la cena.

Il piccolo Trunks gli tirò i pantaloni:

“Iamcha, vuoi giocare con me?”.

Il bambino aveva preso confidenza con i nuovi arrivati.

Prima che a Bulma venisse l’idea di sfogliare gli album dei ricordi, l’uomo si era già trattenuto a lungo a giocare con il bambino in giardino.

Lei gli aveva raccomandato di fare attenzione e di non perderlo di vista, ed era rimasta molto stupita nel constatare come Iamcha sapesse trattare bene con i fanciulli.

Il bambino gli fece segno di sedersi a terra accanto a lui ed azionò il trenino sulle rotaie:

“Ti ha preso veramente in simpatia” commentò Bulma, meravigliandosi ancora una volta del successo che riscuoteva con suo figlio.

“Ma guarda, gli viene naturale, che aspetti a farne uno anche tu?” intervenne Olong facendolo arrossire.

“Sono certa saresti un buon padre” soggiunse lei.

Anche Vegeta gettò dall’esterno un’occhiata in tralice alla scena, provando ancora quell’indefinibile sensazione di fastidio.

Poi la cena fu pronta.

Il saiyan, come di parola, mangiò fuori seduto sull’amaca, tutti gli altri invece intorno alla tavola nel soggiorno, compreso Trunks che insistette a mangiare seduto sulle ginocchia di Iamcha, il quale più volte dovette ribadire a Bulma di non preoccuparsi  e di lasciarlo stare così ancora un altro po’.

Vegeta, sotto il cielo stellato, ascoltò il loro cicaleccio, il tintinnare delle posate, i brindisi e le risa che si protrassero oltre il dolce e la frutta.

Anche lui, terminata la cena, di cui ogni portata gli fu servita dalla premurosa sig.ra Brief in anticipo rispetto agli altri commensali, non si ritirò nella sua stanza, ma continuò ad indugiare sulla terrazza, tra l’amaca e la balaustra, misurandola a passi lenti e meditabondi, a volte con le mani nelle tasche a guardare l’orizzonte infuocato dalle luci cittadine, altre volte con un’occhiata sbieca verso l’interno e la voglia di rovesciare la tavola e farli andare via tutti con un calcio nel sedere.

Eppure continuava a restare lì, come ad aspettare qualcosa, come a sorvegliare qualcuno.

E non era il vecchiaccio, che, un po’ su di giri per il vino tracannato, allungava le mani verso le tette scollacciate di Bulma, ma la spalla di Iamcha, sulla quale Trunks, insonnolito, aveva reclinato la testa.

“Lo porto a dormire” si alzò Bulma “avrebbe dovuto essere a letto già da una pezzo”

“Vado io, non preoccuparti” si mosse a sua volta l’uomo.

“Dallo a me!” la voce di Vegeta ridusse al silenzio i commensali.

Una punta di gelosia, piccola come una spina nel piede, ma altrettanto fastidiosa, lo aveva indotto all’estrema contromossa.

Non ce la faceva più a sopportare la sfrontatezza e l’invadenza di quel terrestre, che non solo si comportava come fosse a casa sua, ma si arrogava anche ruoli che non gli competevano per niente.

Bulma lo fissò con incredulità.

Vegeta non aveva mai voluto saperne di mettere Trunks a dormire.

Diceva fossero cose da donne, il maschilista.

Lo vide letteralmente strappare il figlio dalle braccia dell’altro.

Il bambino, disturbato nel sonno, incominciò a piangere e a tenderle le braccia.

Iamcha osservava la scena senza dire nulla ma in cuor suo sperava che il saiyan facesse una bella figuraccia davanti a tutti.

“Sei sicuro di volerlo portare tu?” fece la donna con diffidenza, sapendolo incapace a sfilargli anche solo un calzino.

Lo conosceva bene per capire che era stato l’atteggiamento di Iamcha ad infastidirlo e non la premura improvvisa di occuparsi di suo figlio.

Ma il saiyan, incurante degli strepiti del bambino, si era già incamminato verso il corridoio con apparente disinvoltura.

“Fossi in te andrei a controllarlo” spifferò Olong.

Ma Bulma sorrise con orgoglio:

“E’ suo padre, non lo dimenticate”.

 

Vegeta si chiuse la porta alle spalle.

La camera di Trunks era una piccola stanzetta annessa a quella di Bulma:

“La smetti di frignare come una donnicciola?” e lo gettò nella culla.

Il bambino singhiozzava forte:

“Non vedo cosa hai da piangere, ti ho portato a dormire, non a fare la guerra!”.

Vegeta lo fissava e gli parlava come se il figlio fosse stato già grande:

“Dormirai e farai sogni beati, tsk… riverito come il degno figlio di un principe, neanche a me era riservato un simile trattamento, ma tu che ne puoi sapere? Piangi per nulla!”.

Trunks non capì il senso dei suoi discorsi, eppure, ipnotizzato da quello sguardo così serio ed importante, ammutolì all’istante.

“Adesso dormi…” concluse duramente.

Gli aveva girato le spalle quando lo sentì tirare su col naso e dire:

“Devo mettere il pigiamino”.

Vegeta tornò a guardarlo.

Il bambino aveva preso da sotto il cuscino il suo pigiama di colore azzurro con ricamate sul davanti tante piccole tartarughe bianche.

“Su, che aspetti? Spogliati e mettilo”.

Ma innanzi alla sua esitazione, il padre capì che non era abituato a farlo da solo:

“Quanti vizi hai da tua madre, lo dico che a volte ti tratta come un essere incapace, avanti, fallo da solo e fammi vedere che sei già grande!”.

Incoraggiato da quelle parole, più dure che paterne, dopo un piccolo sforzo, il ciuffo ribelle riuscì a sbucare dalla maglietta, come un pulcino arruffato quando l’uovo si schiude.

“Vedi che le cose riesci a farle anche da solo?”.

Si era tolto i calzini e si era infilato all’incontrario i pantaloncini di cotone.

Poi si lanciò sul cuscino con un sorriso soddisfatto e felice.

“Non sperare adesso che ti racconti una storia o canticchi la ninna nanna, io me ne vado, dormi…”.

Lasciò accesa la lampada a forma di coccinella sul comodino accanto.

“Buona notte, papà” lo salutò il bambino.

Vegeta esitò un istante sulla porta:

“Buona notte…” farfugliò ed andò via.

 

 

* * *

 

 

Due civette se ne stavano appollaiate sui rami dell’albero e fissavano la stanza con la finestra ancora spalancata e le tendine svolazzanti.

Bulma si muoveva all’interno in un andirivieni tranquillo tra il bagno ed il settimino accanto al letto, rischiarato dall’abatjour nell’angolo.

“Ti ripeto che non voglio fare niente di male” sussurrava Olong a Pual “non voglio spiarla mentre si spoglia, voglio solo vedere come si comportano lei e Vegeta quando stanno da soli”

“Certe cose non dovrebbero farsi comunque…”

“Uffa, solo una sbirciata e poi andiamo a dormire!”.

Iamcha, che aveva intravisto dal giardino due pennuti dalle facce sospette, indagate le ragioni di quel piantonamento, dopo i rimproveri sul fatto fosse una cosa assai squallida da fare ed i tentennamenti innanzi alla prospettiva si sarebbero ritirati nel caso in cui l’atmosfera si fosse fatta calda, se ne stava ora nascosto tra le fronde ad aspettare la conferma che Bulma e Vegeta fossero una coppia fredda e misurata anche in camera da letto.

La convinzione nasceva dal fatto che non riusciva ad immaginarseli diversamente da come li aveva visti e dalla speranza, un po’ per egoismo un po’ per invidia, che Bulma non fosse affatto soddisfatta di certi aspetti della sua vita.

“Io penso che non dormano insieme” disse Iamcha, il quale aveva già avuto modo di appurare, quando era andato a sistemare le fotografie proprio in quella stanza, l’assenza di oggetti personali che appartenessero al saiyan.

Bulma, intanto, andò a gettare un’occhiata al figlio che dormiva nella stanzetta annessa.

Vide che i vestiti e le scarpette erano state lasciate all’interno della culla.

Con un sorriso scorse la piega rovesciata del pigiama.

Poi, in punta di piedi, riemerse nella sua stanza, diede una spazzolata ai capelli, si mise nel letto e spense la luce.

“Che vi ho detto?” un fruscio tra le foglie dell’albero.

“Che delusione, io volevo vedere se si scambiavano il bacio della buona notte” mormorò Olong.

“Forse non stanno veramente insieme come Bulma ci ha raccontato…” disse Pual incontrando l’espressione altrettanto perplessa dell’amico.

Così, tra un svolazzare di ali se ne andarono via.

 

Quando Bulma rivide la sveglia mancavano venti minuti alle due.

Allungò il braccio alla ricerca del bicchiere d’acqua che tutte le sere metteva sul comodino accanto e  si accorse che non c’era.

Allora, ancora assonnata, scese in cucina e con un ansito scoprì la presenza di qualcuno:

“Non temere, sono io” le disse Iamcha.

L’uomo se ne stava seduto vicino al tavolo a sorseggiare una lattina di limonata:

“Anche a me è venuta una sete terribile”.

La vide versarsi da bere e trangugiare con tanta avidità che le gocce seguirono la linea del mento e bagnarono il pizzo della camicia, leggera e trasparente, entro la quale era disegnato il suo corpo.

Iamcha si accorse di nuovo quanto fosse diventata più bella e più donna.

Avrebbe dato molto per tornare a stringerla come una volta.

In quegli anni non aveva più pensato a lei, la vita era andata avanti ed aveva avuto altrettante belle ragazze, ma ora che l’aveva rivista si era risvegliata la nostalgia degli anni che furono ed un’attrazione più torbida e matura di quella che un tempo aveva avuto per lei.

“Non riuscivo a dormire” disse lui “guardavo le pareti della stanza e ricordavo quando un tempo abitavo qui e stavamo insieme”.

Bulma si accorse che Iamcha aveva tutta l’aria di voler fare quattro chiacchiere con lei e restò ad ascoltarlo perché il sonno le era passato.

Forse, pensò, aveva intenzione di riprendere il discorso sulle fotografie che aveva strappato.

Ci era rimasto veramente molto male quando glielo aveva detto.

“A volte ho dei rimpianti, sai?” seguitò a dire, alzandosi ed avvicinandosi a lei.

Ella si accorse all’improvviso che la stava fissando con desiderio.

“Quali?” automaticamente si strinse e nascose tra le braccia le trasparenze della camicia.

“Ho tanta voglia di fare l’amore con te…”.

Bulma sgranò gli occhi e dischiuse le labbra senza rossetto.

Iamcha non aveva avuto un simile ardore nemmeno quando stavano insieme:

“Facciamolo per la prima ed ultima volta”.

Allora lei scoppiò in una risata che le fece vibrare tutto il corpo.

“Per un istante mi sei sembrato molto serio” si asciugò le lacrime agli occhi.

“Guarda che lo sono, non sto scherzando, le nostre vite si sono separate da un bel pezzo, ma che male ci sarebbe a tuffarci nel passato solo per questa notte, non ti chiedo niente di impegnativo, due amici che si ritrovano e decidono di fare l’amore, se vorrai… domani ritornerà tutto come prima”.

“Sei il solito impenitente dongiovanni” gli sorrise “dimentichi un particolare molto importante, io sono una donna impegnata”

“Con Vegeta?” sogghignò sprezzante “non dormite neanche insieme, penso che non gli farebbe né caldo né freddo sapere che sei andata a letto con un altro uomo, se lui fosse un tipo diverso non credi che farebbe lo stesso alla prima buona occasione?”.

Bulma incominciò ad indispettirsi:

“Il fatto non dormiamo insieme non vuol dir niente, lui ha bisogno dei suoi spazi ed anch’io dei miei, io e Vegeta stiamo insieme, e stiamo anche bene, la tua proposta poi mi offende, per chi mi hai presa?”.

Iamcha capì di esserci andato molto pesante, quantunque fosse ancora fermamente convinto di quello che le aveva detto riguardo a Vegeta:

“Perdonami, forse è perché sono un po’ geloso che tu ti sia accasata mentre a me non me ne va mai bene una, non riesco ad avere una relazione che duri più di qualche mese!” e si mise a ridere per sdrammatizzare l’impietosa figura.

Bulma lo fissò prima scettica, poi alla fine fu contagiata dal suo sorriso.

La sua proposta era stata così superficiale e goliardica che non era neanche il caso di preoccuparsene.

Non per questa sciocchezza Iamcha avrebbe smesso di essere un caro amico e neanche per le opinioni misere che aveva su Vegeta e sulla loro relazione.

Che poteva saperne?

Non era con loro quando Trunks lo aveva chiamato la prima volta papà ed egli era rimasto ammutolito e sedotto da quel suono, che non gli era nuovo ma neppure così detestato come un tempo, né poteva essere nel letto insieme a loro, quando facevano l’amore e si tratteneva accanto a lei per tutta la notte senza andarsene più via, senza più umiliarla come fosse stata una donnaccia qualunque, ma con la coscienza, sconcertante nel bene e nel male, che ella era diventata importante al punto tale da non riuscirne più a fare a meno.

Nessuno avrebbe mai saputo niente di questi piccoli cambiamenti che sconvolgevano le loro esistenze e così Vegeta sarebbe rimasto sempre lo stesso, glaciale e senza alcuna possibilità di recupero.

“Come non detto” si raspò la nuca prima di andare via “ci ho provato, ma non fa nulla, anche se non sono abituato ad avere dei rifiuti!”.

La lasciò da sola in cucina e restò ancora un altro po’ nel soggiorno, immerso nel buio, a scrutare il giardino da dietro i vetri della porta-finestra.

Del sorriso che le aveva rivolto era rimasta ancora un’increspatura imbarazzata e divertita.

Era sicuro che ella lo avrebbe rifiutato, anche solo per non contaminare l’amicizia tra loro rimasta, ma non era riuscito a trattenersi lo stesso dal farsi avanti con intenzioni ardite.

Fortuna che Bulma l’aveva messa sul ridere o non avrebbe più avuto il coraggio di guardarla in faccia.

Stava per tornarsene a letto quando dalla cucina riconobbe all’improvviso, insieme alla voce di Bulma, quella del principe dei saiyan.

Allora si nascose in un disimpegno occupato da una pianta artificiale, in un angolo non rischiarato dalla luci provenienti dal giardino.

Lo mossero l’istinto di scoprire cosa si sarebbero detti in quell’incontro notturno e la preoccupazione che Bulma potesse in qualche modo accennare alla sua proposta.

Lei si stava versando un altro bicchiere d’acqua allorché alle spalle le sovvenne una presenza e vide che non si trattava più di Iamcha.

Vegeta aveva i piedi nudi ed era coperto solo da un leggero pantalone di cotone.

“Non mi dire che sei venuto per mangiare” gli sorrise.

“E tu perché sei qui a quest’ora?” indugiò lo sguardo per qualche istante sulla camicia sgualcita della notte e scorse tra le pieghe l’accenno delicato e morbido di una delle sue mammelle.

“Ho dimenticato di portare un bicchiere in camera”.

Egli afferrò la bottiglia e si spostò nel salotto, seguito da lei.

“Anche ieri hai dimenticato di lasciarlo” Iamcha tra le foglie sintetiche osservò i loro profili sbozzati dalle luci provenienti dall’esterno.

Vegeta aveva sollevato la bottiglia e la bevve d'un fiato fino alla fine.

Bulma si avvicinò a lui da dietro e chinò il capo sulla sua spalla.

Ora erano congiunti in un’unica sagoma informe.

Iamcha restò di stucco.

“La scorsa notte sei stato a dir poco fantastico” la sentì mormorare piano “non finirò di ripetertelo, ho continuato a pensarci per tutto il giorno, anche quando ero in compagnia degli altri”

“Allora la prossima volta ti farò perdere i sensi e mi approfitterò di te mentre sei incosciente”.

Ma ella sorrise lo stesso ed il suo fiato caldo gli vellicò la pelle:

“Mmm… anche questa prospettiva mi piace”.

Iamcha non riusciva a credere alle proprie orecchie.

Era come se due sculture, sciolte da un sortilegio, si fossero animate e avessero preso ad articolare parola davanti a lui come comuni mortali, snudando l’antica passione suggellata nella immobilità marmorea della loro sostanza.

Per la prima volta Vegeta gli apparve come un uomo qualunque sulla cui spalla una donna poteva piegare la testa e sussurrare compiaciuta che la notte trascorsa insieme era stata indimenticabile.

“Quando stamattina mi hai detto che te ne saresti andato, ho sperato per un istante che davvero tu lo facessi, mi sarebbe piaciuto essere risvegliata allo stesso modo di ieri…”

“Ho pensato che dei tuoi amici me ne sarei potuto infischiare lo stesso anche restando qui, gli ospiti sono loro, non io, perciò faccio quello che voglio!”

“Però ti sei ingelosito quando Iamcha voleva portare Trunks a dormire…” insinuò birichina.

L’uomo occultato nell’ombra si mosse con inquietudine.

“Ma che dici?” fece il saiyan staccandosi da lei e cambiando discorso “penso semplicemente che Trunks dovrebbe essere già in grado di fare certe cose da solo, invece lo tratti come un incapace!”.

Bulma allora l’oltrepassò e questa volta lo guardò negli occhi, col piglio ancora divertito:

“Io credo che tu sia più bravo a combattere che a fare il padre…” le dita seguirono le linee muscolose delle sue braccia.

Le sagome tornarono ad essere una massa indefinita.

Iamcha capì che si stavano baciando soltanto perché percepì i loro ansiti e l’intreccio impastato delle loro lingue.

Prese a sudare freddo e sperò che se ne andassero via al più presto per essere libero di sgattaiolare e andare a dimenticare quello che aveva visto.

Vegeta le abbassò la bretella e succhiò nell’incavo della spalla:

“Vengo io da te o tu da me?” sibilò Bulma tremante.

“Né l’uno e né l’altro” la sollevò con decisione ed andò a sistemarla sul tavolo rotondo, quello intorno al quale lei aveva finito di cenare con i suoi ospiti solo alcune ore prima.

“Ma che fai?” protestò la donna senza troppo vigore “potrebbe venire qualcuno”.

Non erano mai stati così sconsiderati al di fuori delle rispettive camere da letto e qualche volta della stanza gravitazionale.

“Sta zitta” le assalì le labbra con un altro bacio.

Iamcha si sentì mancare il respiro.

Scorgeva soltanto la schiena del saiyan, tinta d’argento dalle luci bianche del giardino, intorno ai fianchi del quale Bulma aveva già stretto le sue gambe.

Ella non era altro che l’oscurità verso cui Vegeta si fletteva, il gemito strozzato che vibrava nell’aria, la mano che si aggrappava alla sua spalla e guizzava poi a graffiargli la schiena.

“Ti amo da impazzire” la sentì pronunciare in un singulto.

Iamcha scivolò a terra con le mani nei capelli.

Non era più il rimorso per essersi messo a spiare come un bambino qualche confidenza nel cuore della notte, la consapevolezza di essersi sbagliato sul loro conto, lo sbigottimento innanzi ad un bacio imprevedibile o l’amaro in bocca per aver desiderato per un istante di voler essere al suo posto, ma la vergogna di assistere ad un epilogo così intimo e privato in assoluta impotenza, dove non bastava chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, perché quell’amplesso effondeva radiazioni che inquinavano l’aria circostante e gli scorticavano la pelle stordendolo e mescolandogli il sangue.

Se avesse saputo a cosa andava incontro, sarebbe rimasto nella casa del vecchio eremita.

Meglio due impacciati come Crilin e 18, piuttosto che Bulma e Vegeta già così ben collaudati.

Sentì un gemito più forte, quello di Vegeta, e poi il silenzio.

Quando rialzò la testa e sbirciò con cautela, lo vide scrutare di nuovo il giardino dalla porta-finestra.

Ora era il profilo di Bulma, ancora seduta sul tavolo, ad essere divenuto d’argento.

Si stava alzando soltanto la spallina perché la camicia non le era stata tolta.

Il petto si sollevava ancora ansimante ed attese in silenzio qualche minuto prima di rimettere i piedi a terra.

Così quel corpo indolenzito e sudato fu immerso di nuovo nella penombra.

“Ritorno in camera, ti aspetto” ed infine la vide dissolversi come un fantasma nelle tenebre.

Ma Vegeta restò lì ancora immobile.

Iamcha si chiese cosa altro stesse aspettando.

Poi, come una schiocca di frusta o un vento gelido che irrompe d’improvviso, gli sentì dire:

“Vieni fuori…”.

Allora le viscere si liquefecero e la vista si coprì di nebbia.

Non era possibile che lui se ne fosse accorto e…

“Ehi, dico a te, vieni fuori” ripeté mellifluo “lo so che sei nascosto lì dietro!”.

Le gambe erano rimaste paralizzate.

Iamcha non riusciva a credere che fosse tutto vero.

Non fu più la vergogna per ciò che aveva visto, al contrario questo giogo si era fatto più lieve, ma la rabbia che Vegeta sapesse e avesse fatto finta di niente che lo scosse e lo fece uscire dall’ombra:

“Sei un bastardo, come hai potuto, sapevi che ero qui e non potevo andarmene senza farmi vedere, se avevi tanta voglia perché non te ne sei andato da un’altra parte?! Non ti vergogni?! Sei stato indecente!”.

Vegeta sogghignò.

Nel buio i tratti del viso non erano distinguibili, ma Iamcha lo conosceva bene per indovinarne l’espressione:

“Fino a prova contraria sei stato tu quello che si è nascosto e si è messo a spiarci, certe cose gli adulti non dovrebbero farle, esattamente cosa volevi scoprire? Non sono riuscito ancora a capirlo… non hai messo in conto che avresti potuto vedere anche questo?”

Iamcha digrignò torvo:

“Ho sbagliato, lo riconosco, sono stato uno stupido, ma tu non hai rispetto per niente e per nessuno, neanche per Bulma!”.

Vegeta allora si mosse.

La luce soffusa all’interno dell’acquario vicino gettò un fascio azzurrognolo sul suo viso.

Era questa l’espressione che Iamcha si aspettava di vedere: scomparso il ghigno, era rimasta una maschera dura e imperscrutabile:

“Non venirmi a parlare di rispetto, che questo ti serva da lezione, alle donne degli altri proponi pure quello che ti pare e piace, ma a lei… ti ammazzo se ti azzardi un’altra volta!”.

Iamcha allora sgranò gli occhi e lo vide infine scomparire nel buio.

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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