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Autore: Nikki Cvetik    21/11/2011    8 recensioni
"Lo sai qual è la cosa più bella, Kate, di vedere un desiderio realizzato?"
Kate scosse la testa.
"Trovarsene uno più grande e uno più bello, immediatamente dopo."
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alexis Castle, Kate Beckett, Richard Castle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Lo sai qual è la cosa più bella, Kate, di vedere un desiderio realizzato?
 
If we live a life in fear, I'll wait a thousand years just to see you smile again. (Muse)

Parte 1: Inferno
 
La pioggia continua a scorrerti addosso, nonostante tutto.
E ad ogni rombo, ad ogni scarica, sei costretta a vedere davanti a te quella scena orribile.
Sono anni che lavori nella polizia.
Ne hai visti di cadaveri, mutilati, saponificati, a brandelli, mummificati, grondanti di sangue, nelle condizioni più orrende che l’infinita
perversione della mente umana abbia potuto concepire.

Torna per alcuni secondi il buio, poi di nuovo la luce, più abbagliante ancora.
I due cadaveri davanti a te sono riversi a terra in un enorme lago di sangue, che la pioggia sta provvedendo a diluire,  facendone largo
scempio per tutto il vicolo.

Solo allora ti accorgi di avere ancora la pistola puntata davanti a te, il caricatore ormai vuoto.
Se qualcun’altro dovesse attaccarti per te sarebbe la fine.
Non per il fatto che tu non abbia più proiettili, bensì perché sai che non saresti, fisicamente e psicologicamente, in grado di difenderti.
Le tue mani tremano, un po’ per il freddo, un po’ per quello che ti è successo.
 
Era finita. Poco, e avrebbe arrestato l’assassino di sua madre.
Erano fuori da un night club nella periferia di New York, aspettando lui, l’uomo che tanti anni prima aveva distrutto la vita di Beckett.
Era stato tutto organizzato all’ultimo momento: i risultati della balistica erano stati riferiti alla detective solo pochi minuti prima da
Esposito, che li aveva chiamati dall’ufficio.
Non avevano armi, se non la pistola di Beckett, ma, pur sapendo che la squadra sarebbe arrivata da lì pochi minuti, la detective aveva
ugualmente deciso di arrestare da sola il malvivente, nonostante corresse un grosso rischio.
Castle non si era messo minimamente contro di lei, anzi, da quando il caso era stato riaperto poche settimane prima a causa di un altro
omicidio del tutto simile a quello della madre, poche volte aveva osato dire la propria o, addirittura, contraddire la donna.
Se n’era stato in disparte tutto il tempo, semplicemente annuendo per settimane intere.
Era angosciato, si capisce, e impaurito, da morire, ma sapeva che ormai non poteva più far nulla per fermarla.
Le dava il suo supporto, questo era innegabile, ma aveva lasciato tutto nelle sue mani.
D’altro canto Beckett ormai non faceva quasi più caso allo scrittore, concentrata com’era sul caso e, se così si può dire, fece lo stesso
quella sera.
Lui era quasi un’ombra.
Niente aveva più importanza dell’uomo che sarebbe uscito da quella porta pochi minuti dopo.
E fu questo a fregarla in pieno.
"Beckett, forse dovremmo aspettare gli altri, non credi?"
"No!"
"Beckett ascoltami, stai facendo un grosso errore. Potrebbe essere armato."
"No, da qui non ci muoviamo."
"Beckett ti prego, ascoltami!"
A quel punto la detective si girò verso lo scrittore al suo fianco con la faccia sfigurata dalla rabbia.
"Castle smettila! Non mi importa nulla di quello che dici! Noi aspettiamo qui finché il Sindaco non esce da quella porta per..."
Castle, mentre lei stava parlando non la stava guardando, bensì i suoi occhi erano rivolti in un punto davanti a lei.
Kate si arrabbiò ancora di più per la sua mancanza di attenzione e alzò ancora di un’ottava il tono della voce.
Ma gli occhi dello scrittore erano fuori dalle orbite e, solo per una frazione di secondo si chiese il perché.
Il secco rumore del cane di una pistola che veniva abbassato la costrinse a guardare davanti a sé, dove il Sindaco, all’inizio del viale,
stava puntando contro di lei una pistola.
La mano corse alla sua arma, ma sapeva che non avrebbe mai avuto il tempo di estrarla.
Era finita.
Chiuse gli occhi.
Lo sparo.
Si ricordò che al cimitero, quando le avevano sparato, il dolore era arrivato solo pochi secondo dopo che il proiettile era entrato in lei.
Ma questa volta il dolore non arrivò affatto.
Riaprì gli occhi e vide davanti a sé, stesa per terra, una macchia nera.
Un corpo.
Con tutto l’orrore di questo mondo riconobbe la giacca e i capelli dell’uomo stesole dinanzi.
"Cas..."
Le parole le morirono tra le labbra mentre una furia incontrollata si faceva strada su per l’esofago.
Questa volta non ci furono esitazioni.
Prese la pistola e scaricò l’intero caricatore contro il Sindaco.
Fu allora che le prime gocce di pioggia avevano iniziato a scendere.
 
Ti accorgi di aver iniziato a piangere solo dopo che la pioggia sul tuo volto ha cominciato a divenire salata.
Senti che le tue gambe divengono molli.
Sei come una bambola svuotata, stai per collassare sotto il peso della tua stessa carne.
Poi guardi il primo corpo riverso davanti a te.
Abbassi la pistola e la lasci cadere a terra.
Hai provato già una volta cosa vuol dire sentire il cuore che sanguina, e non solo metaforicamente.
Ma il dolore che hai sentito allora, non era nemmeno paragonabile a questo.
Lui è morto per salvarti la vita, mentre tu eri così accecata dalla tua vendetta da non aver nemmeno, per un solo secondo, pensato che
quella situazione per lui sarebbe potuta essere pericolosa.

Hai scelto la vendetta a lui.
Non l’hai protetto, non l’hai ascoltato.
Lo hai lasciato morire.
Come tua madre...dalla stessa mano. E questa volta è tua la colpa.
Il dolore ti annebbia la vista e cadi in ginocchio, in preda a un urlo disumano.
Ti dirigi strisciando verso di lui.
E’ riverso sul fianco sinistro, le mani sul ventre.
Gli cingi le spalle con un braccio, avvicini le labbra all’orecchio e sussurri inutilmente.
"Perdonami...Richard...Ti prego, perdonami..."
Poi i singhiozzi vincono e le parole si bloccano.
Lo stringi forte forte, come se servisse.
Sai che non ci saranno ripercussioni nei tuoi confronti, ma quello sarebbe il male minore.
Lo hai perso.
L’unico uomo che tu abbia mai amato.
L’unico uomo che ti abbia mai amata.
Come farai a tornare a lavoro sapendo che non ci sarà il suo radioso sorriso ad accoglierti?
Come farai a tornare a investigare quando non ci saranno più le sue fantomatiche teorie a farti sorridere?
Come farai a tornare al distretto senza quei bellissimi occhi color del mare ad amarti?
Come farai a tornare alla tua vita, sapendo che la più bella luce del mondo si è ormai spenta?
Tutto per quei pochi minuti che hai deciso di non aspettare.
Non ti sarebbero costati nulla, lo avresti arrestato lo stesso.
Ma la tua vendetta ti ha oscurato la vista, non gli hai prestato ascolto nemmeno per un attimo.
Aveva paura per te, quando ti ha detto di aspettare.
Aveva paura che diventassi vittima del tuo stesso odio.
Aveva paura che quell’uomo non fosse disarmato.
E aveva ragione, una buona volta, l’unica nella quale vorresti che si fosse sbagliato.
Gli ricopri il volto di baci infiniti, anche se sai che non può sentirli.
Che strano il destino!
Riversi il tuo amore su di lui, proprio ora che non può avvertirlo.
Eppure senti ancora quel buon profumo, della sua colonia preferita, mischiata alla pioggia.
Non riesci a carpire gli aromi dei vari ingredienti, ma sai a cosa accumunare quell’odore.
Sa di amore, di casa, di caffèmacchiatofreddoconduebustinedizuccherodicanna, di mare, di inchiostro e carta, della sua fragrante risata,
del suo sguardo carico di dolcezza infinita.

Cerchi di imprimerlo nella tua mente più che puoi, prima che sparisca.
E, come in un dè-jà vu, ti avvicini al suo orecchio, di nuovo, e sussurri piano tra le lacrime.
<< Richard...I love you. I love you, Richard...>>
Gli accarezzi una guancia e posi un bacio sulla fronte, ancora stringendolo forte, ancora godendoti quegli ultimi momenti prima che
arrivino tutti.

Ma non hai paura perché nulla, nessun rimprovero, nessuna Alexis, potrebbe farti stare più male di adesso.
Hai perso tua madre una volta ma ora n…
 
"Arghhhhh…."
"Cas…???"
Kate guardò in basso e vide il corpo tra le sue braccia muoversi e lamentarsi.
Castle si stava tenendo premuto il fianco ferito e strizzava gli occhi per il dolore.
Ma, cosa più importante di tutte, era vivo.
"Cas…Com…Ah…"
"Diosantocheddolorecheddolorecheddolore!"
"Castle..ma tu sei…"
Aveva quasi paura a dirlo.
"…Vivo."
"Ok, ora non esageriamo, sono stato molto meglio di adesso."
"Ma com’è possibile? Ti hanno sparato dovresti avere un fianco maciullato."
"Se sto ancora qui a parlarti, non credo."
A quel punto Kate notò qualcosa sotto la camicia dello scrittore. Si avventò sui bottoni e li strappò via, rivelando la beffarda scritta ”writer
del suo giubbotto antiproiettile.
"Mio Dio, Kate pensavo volessi rimediare all’opera che il Sindaco strangolandomi. Ma devo dire che, in un altro momento, te che mi
trappi di dosso la camicia, sarebbe potuta essere cosa oltremodo gradita."
Fosse stato il giorno precedente, fosse stata anche solo l’ora precedente, Kate l’avrebbe fatto a pezzi, ma ora l’unica cosa che era in
grado di fare era passare gli occhi dalla faccia di Castle al giubbotto e viceversa, ringraziando la sua buona stella e un numero infinito di
santi e dei.
"Ma…perché…perché hai…"
"Be’, Kate, diciamocelo, negli ultimi tempi il tuo umore non è stato affatto dei migliori. Dovevo cautelarmi in qualche maniera."
Gli bastò solo guardarlo negli occhi, in quegli occhi che per pochi secondi aveva pensato di non poter mai più rivedere, per fargli
intendere il significato dell’angoscia che aveva provato. Non era più tempo per gli scherzi.
"Kate, è tutto finito. L’assassino di tua madre è morto, siamo vivi, entrambi. E’ tutto finito."
Kate tirò un profondo sospiro e guardò il corpo alla sua destra. Poi fece cadere gli occhi in quegli oceani in tempesta.
Sorrise, presa da un’euforia folle e alzò gli occhi al cielo, pensando  che quella pioggia fosse il suo modo per accarezzarla, ancora. Lasciò che le piccole gocce le scendessero calme sul volto, come una carezza.
"Hai ragione. Forse oggi è davvero tutto finito."
 
Parte 2: Purgatorio
 
Aveva smesso di piovere esattamente all’arrivo dei paramedici. Lanie l’aveva costretta a restare sull’ambulanza e a fasi controllare la
pressione, mentre Castle era visitato da un infermiere.
Ovviamente non c’erano state complicazioni, solo un livido grande più o meno come una mela sul fianco sinistro e un piccolo taglietto
su una tempia.
Appena Lanie ritenne che fosse abbastanza, la detective si alzò e lo raggiunse sull’ambulanza su cui l’avevano caricato.
"Ciao."
Le disse lui sorridendo, come se fosse niente.
"Ciao."
Kate si mise seduta vicino a lui, con la testa appoggiata su un suo fianco e guardò fuori. A chiunque sarebbe parso che lei fosse
sovrappensiero. Al contrario, si sentiva svuotata di tutto.
Aveva vissuto quegli anni sempre con un solo ed unico obiettivo. Ora che l’aveva raggiunto si sentiva spaesata e senza punti di
riferimento, come se stesse in volo verso terra, ma non si fosse ancora schiantata al suolo: quello sarebbe successo quando tutta
quell’adrenalina che aveva in corpo sarebbe finita e sarebbe dovuta tornare al suo appartamento vuoto e lugubre, ma stavolta con una
parte di sé che era voltata via.
Si sentiva così vuota adesso che anche la vendetta era terminata. Così veloce, così ineffabile, non aveva avuto il tempo di goderne che
già era tutto svanito.
Poi sentì qualcosa di soffice e leggero sfiorarle la faccia e sciogliersi contro di essa. Sia lei sia Castle guardarono in alto, alla spessa e
morbida coltre candida che stava iniziando a scendere da cielo. Era il 23 di dicembre e stava nevicando, come nel più bel finale di una
storia, raccontata da un vecchio nonno ai suoi nipotini sotto l’albero di Natale.
Sorrisero entrambi contro il cielo e Kate, chiudendo gli occhi, si mise a sentire i morbidi fiocchi posarsi sulle sue labbra.
Castle non era rimasto indifferente a quella visione. Sapeva come si sentiva Kate e come le facesse bene quella piccola parentesi
gioiosa. Senza nemmeno pensarci tese la mano contro di lei e la intrecciò alle sue dita sottili. La donna si ridestò per un attimo e
guardò in direzione dello scrittore che sorrideva.
Sorrise anche lei, poggiando la testa sulla spalla di Castle, che convenne che al mondo non ci fossero davvero spettacoli più belli
dell’osservare i fiocchi di neve intrappolati tra le ciglia della sua Musa, davanti a quegli occhi più verdi di un prato in primavera.
 
Kate era alla scrivania e stava ricontrollando carte su carte scarabocchiando, sottolineando, stracciando e scancellando qua e là.
Castle che la stava guardando dalla sedia al suo fianco non riusciva a spiegarsi l’agitazione della detective, sempre così calma e
pacata.
Era solita compilare i rapporti in silenzio e lentamente, ritmicamente interrompendosi per poter bere un sorso di caffè.
L’occhio di Castle finì su un fascicoletto un po’ spostato rispetto agli altri, dentro il quale non s’intravedeva l’immagine di un cadavere
umano bensì...
"A meno che non valga milioni di dollari, non credo che la Gates ti abbia messo a lavorare sul cadavere di un pollo...Ma...Ma questa è
una ricetta, altro che caso!"
Beckett gli strappò la ricetta dalle mani e la ripose al suo posto.
"Nonono, aspetta, la detective Beckett che cucina?"
"Sì...domani verranno Kevin, Javier, Lanie e mio padre per festeggiare il Natale. Facciamo a giro: l’anno scorso è toccato a Lanie, quello
prima a Kevin e questo...be’...quest’anno tocca a me. Tu passerai anche quest’anno il Natale con la tua famiglia, vero?"
Castle si scurì leggermente, Kate non sapeva di aver toccato un tasto dolente.
"A dir la verità quest’anno Alexis è andata da un'amica a festeggiare. Non è più la mia piccola, ormai.E mia madre va da quel manager della banca…sì...quello della
banca che hanno rapinato qualche tempo fa con me e mia madre dentro, non ricordi?"
"Certamente ma...Castle, perché non l’hai detto prima? Puoi venire a passare il Natale da me se vuoi!"
"Non vorrei essere di tr..."
"Ma non scherziamo Castle, lavoriamo insieme da quattro anni e secondo te non possiamo passare un Natale insieme? Sei più che
benvenuto."
Riprese le carte su cui stava lavorando e ci si ributtò a capofitto. Doveva organizzare un cenone di Natale ma non sapeva proprio da dove cominciare.
Qualche minuto dopo avvertì l’insistente presenza di Castle sopra la sua spalla.
"Vuoi continuare a sbirciare o vuoi venire ad aiutarmi?"
"Be’...diciamo che per ripagarti della tua gentile ospitalità magari potrei io aiutarti col cenone, no?"
"Mmmm...mi pare un’ottima idea..."
 
25.12.2012
h 23:00
La cena era stata un successo!
Grazie all’aiuto di Castle era riuscita a preparare tutto in tempo per l’arrivo degli invitati. A dire la verità aveva cucinato quasi unicamente
lui (proverbiale era sempre stato il suo conflittuale rapporto con i fornelli), mentre lei si era occupata di decorare l’intera casa con festoni
e neve finta.
Ora se n’erano tutti andati e Castle si era offerto di aiutarla a rassettare la casa. Era in soggiorno a sparecchiare mentre Kate era in
cucina a lavare i piatti, ancora vestita del suo luccicante tubino di strass rosso.
Lo scrittore prese il centrotavola di mele e cannella e fili di perline per riporlo vicino al mobile, quando sentì un gridolino dalla cucina,
subito seguito da un profondo singhiozzo. In pochi secondi si precipitò nella stanza attigua in preda al panico.
Kate era ancora in piedi vicino al lavabo, e sembrava che non fosse successo alcun che. Ma Castle le guardò il viso e il suo sguardo
sconvolto e vacuo. Stava piangendo e tremava come una foglia, e un leggero plicplic fece spostare l’attenzione dello scrittore alle mani
della detective.
Stava stringendo convulsamente la mano destra attorno all’affilato coltello da carne, con così tanta forza da aver tagliato a metà la
spugna e lasciato la lama incidere la pelle, facendone uscire tante piccole goccioline scarlatte.
Castle si precipitò verso di lei e il suo tocco la ridestò, facendole cadere di mano il coltello ormai grondante di sangue.
Cadde a terra in preda ai singhiozzi, mentre Castle la teneva stretta cercando di calmarla.
"Kate, non è nulla è solo un taglietto."
Ma la detective scuoteva la testa decisa. Era impossibile che si fosse tagliata accidentalmente e poi quegli occhi...Cosa poteva aver
pensato di così orribile da farle perdere il controllo?
Castle continuava ad accarezzarla, mentre lei si era tutta raggomitolata stretta stretta tra le sue braccia. Poche volte l’aveva vista così
sconvolta, così fragile, così piccola tra le sue braccia. Era successo quando aveva ucciso Coonan per salvarlo, quando pensava di non
aver più un singolo appiglio per risolvere il caso di sua madre.
Ricordava la disperazione nei suoi occhi, condensata in ogni piccolo gesto successivo. Ci fosse stato un modo per liberarla da quel
dolore, avrebbe accettato qualsiasi condizione pur di farla star meglio.
Ma sapeva anche che non era quello il momento delle risposte. Ora doveva solo prendersi cura di lei, con tutte le sue forze.
"Ora andiamo o disinfettare questo taglio, ok? Riesci ad alzarti?"
Kate annuì e, dopo aver puntellato le gambe, si rimise in piedi. La portò in bagno e la fece sedere sull’angolo della vasca, mentre
cercava nei vari armadietti acqua ossigenata, cerotti e disinfettante.
Prima ripulì con un batuffolo imbevuto d’acqua la mano dal sangue, che aveva creato lunghe linee scure tra le pieghe delle dita di Kate.
Alzò gli occhi, per assicurarsi di non farle male e incontrò i suoi, rivolti a terra, che ancora lacrimavano.
Poi prese l’acqua ossigenata e la fece scendere goccia dopo goccia sulla pelle lacerata. Questa volta sentì la mano avere un piccolo
scatto al contatto col medicinale, probabilmente il coltello era sporco.
Diede un piccolo bacio alla ferita prima di continuare con le bende e i cerotti, sempre muovendosi con estrema delicatezza.
Pochi minuti dopo l’operazione era finita e Kate aveva smesso di piangere. Ripose la sua mano sopra le sue ginocchia e avvicinò il volto
al suo.
"Sei stanca, non è vero? Vuoi andare a dormire?"
Kate annuì senza alzare lo sguardo dalle mattonelle, tirando su col naso.
"Vuoi che rimanga con te stanotte?"
Anche stavolta Kate annuì. Lo scrittore la cinse di nuovo con le braccia e la cullò un po’. Le passò due dita sugli occhi per farglieli
chiudere e le fece appoggiare la testa nell’incavo del suo collo.
"Shhhh...chiudi gli occhi. Penso a tutto io."
Kate sentì che Castle la sollevava e la portava in camera da letto. Sentì le sue mani muoversi veloci su di lei e la stoffa a contatto col suo
corpo cambiare. Ma era in stato tale che non gliene importava nulla se lo scrittore l’avesse vista solo in biancheria intima.
Riaprì gli occhi quando sentì spegnere la luce e il materasso sotto di lei incurvarsi leggermente. Castle era al suo fianco, a braccia
aperte, e lei vi si buttò senza neanche pensarci, conscia che se avesse perso quel contatto col suo corpo avrebbe perso tutto.
Si strinse forte a lui, disperata, e si lasciò cullare da quel morbido e confortevole calore che l’avvolgeva. Senti piano piano il peso della
carne farsi più lieve e lei volare via verso l’infinto.
 
Kate si svegliò con un timido raggio di sole che s’intrufolava da dietro le persiane delle finestre della sua camera. Aprì gli occhi sul volto
di Richard, perfettamente sveglia e lucida.
Cos’era successo la sera prima?
Perchè quella ricaduta?
Lo sapeva bene il motivo di quell’incidente.
 
Richard sta tranquillamente rimettendo a posto il salotto mentre tu sei in cucina a lavare i piatti. Non sai perché, ma la tua mente corre a
un prossimo futuro. Tu, nella vostra casa, aiutata da lui a rimettere in ordine la cucina dopo la cena. Non ti sei mai soffermata in certi
pensieri con lui, ma in quel momento ti senti traboccare di dolcezza.

Ma sei troppo distratta e avverti la disgustosa sensazione dell’acciaio che ti ferisce la pelle. E’ un taglietto piccolissimo, tra l’indice e il
pollice, e dopo pochi secondi una minuscola goccia di sangue ti scivola tra le dita.

 
Le tue dita macchiate di sangue nel vicolo.
Il sangue di tua madre nel vicolo.
Le tue dita macchiate del sangue di Coonan.
Le Sue dita macchiate del tuo sangue.
Le tue dita macchiate del Suo.
Il fiato della morte.
Oblio.
 
Quando torni ad avere un pensiero coerente, sei aggrappata tremante alle braccia di Richard che ti stringe forte.
Ora le tue dita sono tutte di un solo colore, un cremisi rivoltante e uniforme.
Sei a un passo dalla pazzia ma...ti reggi a lui.
Ti tiene stretta a sé, non ti lascia cadere, fa di tutto perché tu non ti perda, fa di tutto perché tu possa restare con lui.
E a lui ti aggrappi perché sai di essere a un soffio dal collassare. Senti tutta la sua premura in quei pochi gesti con cui ti cura la mano, in
quel bacio soffice che ti sfiora senza malizia, senza doppi sensi, solo con tanta tenerezza.

Ti accorgi che puoi scioglierti, puoi abbassare tutte le difese, tutti i pregiudizi e tutti i muri. Questi gesti delicati, pieni d’amore, sono quelli
che vorresti continuassero a sfiorarti per tutta la vita. Sai che di lui ti puoi fidare, ora.

Per questo quando ti toglie i vestiti di dosso, non hai paura né timore che possa andare oltre. Mille altri uomini avrebbero approfittato di
quel momento di debolezza.

Ma lui no.
Lui è Richard.
E tu sei follemente innamorata di lui.
 
Parte 3: Paradiso

Kate era persa nel guardare la luce dell’alba giocare con quei capelli castani. Era ancora abbracciata a Richard, ma si era leggermente
spostata di fianco per poterlo osservare meglio.
Pensò che quando dormiva sembrava un bambino, e sperò, con tutto il cuore, che i suoi sogni fossero ancora così innocenti.
Gli avvicinò una mano al volto e lo accarezzò dolcemente sulla fronte. Al suo tocco lo sentì destarsi e aprire gli occhi, prima preoccupati,
poi pieni di sollievo.
La stretta attorno ai suoi fianchi che durante il sonno si era allentata, tornò vigorosa a stringerla contro di lui. Com’era possibile a parole
umane descrivere quel calore e il dolce battere del suo cuore?
"Mi hai fatto prendere un bello spavento ieri sera, lo sai?"
"Scusami, non voleva farti preoccupare. Quello che è successo è...è stato un evento unico, non mi era mai successo di crollare così, non
davanti a qualcuno, almeno."
Sentì Richard stringerla più forte.
"Quindi è successo altre volte?"
"Poche, a dirla tutta, ma penso che una cosa del genere succeda a tutti, no?"
"Kate potevi chiamarmi, potevi dirmi che stavi male."
"Avevo paura...prima...sai...che non potessi capire...ma ora...ora non ho più paura."
"Perché? Cos’è cambiato?"
"Because I remember all…!
Richard sentì il cuore esplodere mentre sentiva quelle poche parole. Kate sorrideva al suo fianco, era sicura, come sempre. La fragilità
della sera prima aveva lasciato spazio a quello sguardo forte e deciso che amava da sempre.
"Richard...I love you. I love you, Richard..."
Quelle parole furono sigillate dal bacio che Kate impresse immediatamente dopo sulle sue labbra. Era un bacio puro, leggero, il loro
primo bacio. Carico di tutto l’amore, di tutte le parole non dette di quei lunghi anni, di tutti quegli sguardi languidi e i caffè caldi la mattina.
"Ora so che posso amarti come desidero Richard, come voglio e come entrambi meritiamo. Ora che quel muro se n’è andato non ho più paura e sono libera di sentirti mio. Senza ostacoli, senza né dubbi né domande e, s’è per questo, neanche confini."
Stavolta fu Richard a baciarla con passione, sorridendo. Le lingue si muovevano frenetiche e veloci, come a recuperare il tempo perso,
in fretta, per lasciare spazio a quello che doveva ancora venire.
"Ieri sera sono crollata perché ho ripensato a quello che ti è successo pochi giorni fa, a quei momenti quando ho provato cosa
significasse averti perso. Non so cosa avrei fatto se tu non avessi avuto il buon senso di mettere quel giubbotto antiproiettile, quel buon
senso che avrei dovuto avere pure io a valutare il rischio che correvi. Stavi morendo, Richard, per colpa mia. E probabilmente questa è
una delle cose che non mi perdonerò mai perché la mia colpa resta lo stesso, anche se la pena non mi è stata inflitta."
"Non pensare nemmeno a parole simili, Kate. Quello che è successo non è stata colpa tua, ma solo di quel farabutto. Non sei stata tu a
premere il grilletto, tu stavi solo facendo la cosa giusta in quel momento."
"Non avrei comunque dovuto permetterti di stare lì."
"E tu credi che me ne sarei andato? Che ti avrei lasciato lì da sola? Ti ho promesso che l’avremmo preso insieme, non avrei ceduto
facilmente. Mi avresti dovuto spostare di peso."
"Mmmm...con la pancetta che hai messo sarebbe stato ancora più difficile! Scommetto che faceva tutto parte del piano, vero?"
Entrambi risero a quella battuta. Ma Kate alla fine si rabbuiò un secondo, pur continuando a sorridere.
"Cosa c’è?"
"Ora che mia madre ha avuto giustizia non so più che fare. Non ho un punto di riferimento, non ho un obiettivo. Il mio desiderio era farla
pagare a chi aveva ucciso mia madre. Ora mi ritrovo senza più nulla."
"La sai qual è la cosa più bella, Kate, di vedere un desiderio realizzato?"
Kate scosse la testa.
"Trovarsene uno più grande e uno più bello, immediatamente dopo."
"Tu già fai parte da un bel po’ del mio desiderio per il futuro, Richard."
"Mmmm…non so perché ma ne avevo già l’impressione da un po’."
La detective gli morse le labbra e lo fece mettere sopra di lei, mentre la mano scorreva sui bottoni della camicia nera che Richard aveva
indossato la sera precedente.
A un tratto si bloccò e guardò spaventata lo scrittore che assunse la sua stessa impressione.
"Se ti svesto, non troverò mica il giubbotto antiproiettile qua sotto, vero?"
"-.-*"
 
Alexis era appena scesa dall’autobus che dall’aeroporto la stava riportando a casa. Pagò l’autista e scese davanti all’appartamento del
padre ma, prima di rientrare, decise di fare un giro nel parco dall’altro lato della strada.
Durante tutta la notte precedente aveva nevicato come non mai e tutta New York pareva una grossa palla di cristallo.
Trovò una panchina comoda, di fronte al laghetto ghiacciato e spostò un po’ di neve per potersi sedere. Ripensava ad Ashley, a quando
avevano rotto e che le mancava, Dio, come le mancava.
Prese il BlackBerry dalla borsetta e iniziò a scrivere un messaggio nel quale invitava Ashley a uscire assieme, quella sera.
Aveva già impostato il destinatario del messaggio, ma titubava nell’inviarlo. Ne approfittò per guardarsi intorno e osservare tutta la gente
che passava davanti a lei.
Sembrava che la grande mela per un giorno avesse rallentato e che tutto attorno a lei fosse ovattato. I bambini facevano i pupazzi di
neve, le coppiettine pattinavano sul ghiaccio, i vecchi signori si mettevano in un angolo come lei ad osservare tutt’attorno.
A un tratto guardò l’entrata del parco e i due che si stavano avvicinando. Si tenevano mano nella mano e camminavano senza fretta per
godersi il freddo sole di dicembre.
I due si fermarono a un chioschetto, dove comprarono un cartoccio di castagne e la donna rise quando l’uomo, messa in bocca una
caldarrosta, cominciò a fare una strana danza e a indirizzarsi aria verso la bocca.
A quel punto la donna diede un leggero bacio sul naso all’uomo e prese anche lei una castagna del cartoccio, sbucciandola con
circospezione. Se la passò tra le mani per qualche secondo e le diede un morso, tendendo l’altra metà verso il suo accompagnatore,
che la divorò ridendo.
Continuarono a camminare tra le stradine del parco, in compagnia solo di quel piccolo cartoccetto, ma contornati da un’aura di amore e
tenerezza che avrebbe facilmente potuto sciogliere la neve dell’intera New York.
Alexis li riconobbe all’istante e non si soprese minimamente. Anzi, prese sicura il telefono e inviò quel messaggio.
Quei due sembravano non più sulla terra, ma su un piccolo, unico Paradiso tutto loro.
E Alexis, con tutto il suo cuore, sperò di potersi sentire anche lei, un giorno, proprio come loro due.

***************************************************************************FINE**********************************************************************

*Concedetemi questa piccola licenza poetica :)

Ok, lo ammetto è una mezza storia di Natale (un po' prematura), un mezzo poema, una mezza tragedia e un mezzo casino se vogliamo
dirla tutta!
Ma era una storia che mi supplicava di essere raccontata e, se non le ho reso giustizia, non prendetevela con lei ;)
E' un po' il finale che vorrei: i buoni vincono, i cattivi muoiono e mille sbaciucchi della nostra coppietta preferita perchè, ammettiamolo,
Castle non ha senso senza Always.
Scampato il pericolo di dover andare a raccattare pezzi del mio fegato sull'Everest per l'ira di Caskett (giuro, la Dìpuntato, letta la prima
parte, voleva picchiarmi a sangue!
) infuriate perchè ho "ucciso" (anche se per poco) il buon Richard, vi faccio la solita preghiera di recensire, correggere e, perchè no?, anche criticare.
NikkiCvetik

  
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