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Autore: Mushroom    22/11/2011    5 recensioni
Yukio inizia a perdere il controllo così facilmente quasi quanto dimentica come centrare un bersaglio.
Rin, semplicemente, lo guarda cadere a pezzi.
"Shiemi è davvero buffa con quell’espressione in volto, rossa come un pomodoro.
Yukio ha scosso la testa e riso, come se il pensiero non lo sfiorasse minimamente, ma è ritornato a pensarci in un secondo momento.
Sa di essere troppo preso da se stesso per pensare lontanamente di poter amare qualcuno.
Proprio per questo Rin lo colpisce come un pugno nello stomaco, rappresentando tutto ciò che è sbagliato e tutto ciò che è contemporaneamente giusto."
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Rin Okumura, Yukio Okumura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Buonsalve malcapitati viandanti! Se siete qui vuol dire che, probabilmente, non sapete con cosa avete a che fare. Ascoltate un consiglio sincero e premete quell'adorabile X rossa in alto a destra.
In caso contrario, potete proseguire la lettura tenendo a mente i seguenti punti:
1) Tutto questo è puro fangirlismo
2) È tutto terribilmente ooc, lo so. Nonsense, anche.
3) Prima o poi riuscirò a scrivere qualcosa nei limiti della decenza su questi due. Nel frattempo, mi infango la reputazione.
4) è una narrazione discontinua. Questo significa che sbalza ed è parecchio snervante. Sì, anche per me che l'ho scritta ç_ç ma volevo provare questo stile, quindi eccomi qua
5) Credo di soffrire di bipolarità, perchè mi sono imposta di non pubblicarla e invece lo sto facendo
6) Il sottotitolo è il testo di questa canzone
7) Ehm... oddio, ci sono troppi punti xD comunque sì, potete insultarmi °-° per aver appena infangato il fandom con questa oneshot. 
8) L'arco temporale dovrebbe essere una giornata. Prendete gli spezzetoni come tante fotografie, diciamo così. 

 


 

 

Pandemonium
You got to fight just to make it through
'Cause I will be the death of you
 

Rin lo guarda dall’alto in basso, e lui pensa che voglia davvero ucciderlo. Con quella specie di forcina nei capelli e un mestolo in mano sa essere ancora più inquietante di quando non riesce a controllare la propria forma demoniaca, e Yukio né è così al corrente da essere pronto a tutto.
«Come sarebbe a dire che non hai fame?»
Non serve un grande genio per capire che il non avere fame corrisponde, esattamente, al non voler mangiare per mancanza di bisogno. Ma il fratello sa essere particolarmente puntiglioso sulla propria cucina, così non manca di aguzzare il tono e osservarlo come esaminerebbe una cavia da laboratorio pronta alla vivisezione.
Yukio scuote la testa e pensa che sia davvero stupido reagire in quel modo; di primo mattino, poi, la cosa suona ancora più irritante. Declina ancora una volta il riso che gli viene offerto, borbottando che avrebbe preso qualcosa al bar se ne avesse avuto bisogno. Afferra la borsa contenente il materiale scolastico e una seconda sacca, dopodiché si dilegua con un gesto della mano.
Ancora, si sente insulso e patetico, arrabbiato e terribilmente turbato. Percorre i corridoi esterni della True Cross con la consapevolezza di essere arrivato a un punto morto, e che quella situazione può durare in eterno o cessare in quell’esatto momento.
Yukio è una persona incapace di credere in una particolare utopia. È molto concreto, pragmatico nei ragionamenti e spesso troppo empirico per capire del tutto ciò che gli accade attorno. Non ha mai avuto abbastanza tempo per comprendere le persone, né per volerlo fare. Conosce chi gli sta accanto e a chi vuole bene, questo sì, ma non ha mai preteso di riuscire a decifrare le intenzioni umane. Questo gli provoca qualche disagio quando le sue compagne di classe gli offrono il pranzo e, declinando, capisce solo in un secondo momento che probabilmente quella ragazza in particolare aveva una cotta per lui. Ricorda di aver dovuto chiedere spiegazioni a Shiemi, che gli ha parlato offrendogli un thè alle erbe. Rossa in viso, in imbarazzo per una situazione che Yukio non capisce, ha detto che alle ragazze piace cucinare da mangiare ai ragazzi di cui sono innamorate; con lo stesso tono spezzato e carico di qualcosa che forse avrebbe paragonato all’affetto, gli ha chiesto se avesse mai desiderato stare con una ragazza, oppure se avesse mai avuto una relazione.
Shiemi è davvero buffa con quell’espressione in volto, rossa come un pomodoro.
Yukio ha scosso la testa e riso, come se il pensiero non lo sfiorasse minimamente, ma è ritornato a pensarci in un secondo momento.
Sa di essere troppo preso da se stesso per pensare lontanamente di poter amare qualcuno.
Proprio per questo Rin lo colpisce come un pugno nello stomaco, rappresentando tutto ciò che è sbagliato e tutto ciò che è contemporaneamente giusto.

La prima volta che accade, non capisce. Inizialmente pensa a una reazione chimica di troppo, un rossore provocato dal caldo e un brivido arrivato da un spiffero lontano. Serra i denti e allenta il colletto, accavallando le gambe e continuando a studiare.
Poi capita di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, fino a renderlo dubbioso della propria sessualità.
Col senno di poi, sa già la risposta.
Si guarda un po’ intorno durante gli intervalli, accorgendosi di essere totalmente immune a ciò che ha vicino. Pensando di essere omosessuale, motivando così la pressione troppo alta vicino a Rin e continuando a ripetersi che era solo causa di una sublimazione interna, ha studiato il corpo studentesco maschile, ottenendo un risultato totalmente nullo.
Ha deciso di avvicinarsi alle ragazze, per essere sicuro, accettando uno di quei pranzi che gli venivano costantemente offerti.
La reazione è misera, pari a quella del Yukio che era stato fino a qualche tempo prima.
Decisamente non è omossessuale, tanto meno si poteva dire etero.
Semplicemente è il fratello che gli fa quell’effetto, e l’erezione che nasconde sotto l’abito da insegnante è un promemoria abbastanza chiaro e lineare.
Lo trova patetico.
No, non è vero.
È semplicemente disgustoso.


Quando suona la pausa pranzo, gli studenti sciamano via verso la mensa, chi più velocemente, con urgenza, chi con quell’aria dignitosa di chi riesce a controllare i propri istinti (sebbene traditi da rumorosi borbotti).
Yukio aspetta che la classe si svuoti, sistemando libri, appunti, quaderni. Li mette in ordine di grandezza, li seleziona per colore e in base alle ore successive, poi gli ripone nella cartella. La vita all’accademia – quella normale, non del corso per esorcisti – è abbastanza monotona da rassicurarlo. Lo stomaco si contorce, richiede cibo, e la mente, stanca, gli dà manforte come sa fare meglio: con un mal di testa. Incurante di questo, medita di pranzare con un caffè e di recarsi direttamente nelle aule di esorcismo. Si alza con compostezza e poggia la borsa sul banco. Dà un ultimo controllo e, mentre fa per chiuderla, una mano sottile vi poggia sopra qualcosa. Alza gli occhi e vede Shizuya Toori – una sua compagna di classe, figlia di qualche bancario di una certa importanza. La guarda interrogativo, sorpreso, perché sa che quel cestino del pranzo non lo può aver cucinato lei. Lo sa e basta; o meglio, si illude di questo: in realtà ha solo riconosciuto il fazzoletto in cui è avvolto e la poca grazia con cui è fermato.
«Un ragazzo mi ha detto di dartelo» dice. Dio, pensa Yukio, mentre una vocina gli suggerisce che un uomo non prepara il pranzo a un altro uomo. È una cosa che fanno le ragazze con i ragazzi che gli piacciono: non gliel’aveva confermato Shiemi?
«All’inizio mi sono sentita leggermente in imbarazzo» spiega, e Yukio intuisce il fraintendimento «Non sapevo che avessi un fratello, Okumura-kun».
Yukio si mostra più sorpreso di quello che è. Sa che non dovrebbe alterarsi per una cosa simile – la ragazza è carina, si è comportata in modo gentile – ma quelle parole lo irritano, soprattutto pronunciate con tanta curiosità. La voce non dovrebbe uscire così rigida e arrabbiata, ma quel “grazie”, che pronuncia poco dopo, sembra più un ringhio che una parola.
Non è mio fratello.
Invece lo è. Eccome se lo è.

 

«Non ne hai mangiato nemmeno un po’, vero?» c’è un che di offeso negli occhi di Rin, quando gli fa notare il pranzo ancora intatto, posato sulla panca parallela alla fila degli armadietti. Lo spogliatoio è semi-abbandonato; probabilmente è solo lui ad usarlo, per passare dalle vesti di studente a quelle di professore. Tra il cambio di un ora e l’altra, Rin fa comunque capolino lì dentro.
Yukio appunta la spilla rossa e blu sulla divisa, facendo un grosso sforzo per mantenere il controllo sulle sue parole, per cercare di allontanare il pensiero che tra di loro c’è qualcosa che non va.
Che in lui c’è qualcosa che non va.
Lo stomaco si contorce in qualcosa di diverso dalla fame, procurandogli un senso di fastidio che gli secca la gola. Aggiusta la montatura degli occhiali e chiude lo sportello del proprio scompartimento, provocando un fastidioso rumore metallico.
Il fratello lo guarda a metà tra il canzonatorio e il preoccupato, e allora si chiede se sia così evidente quell’improvvisa dissociazione che ha gradualmente posto tra di loro.
Rin scrolla le spalle e dice «Sembri un Toast venuto male» con la stessa tranquillità con la quale affermerebbe che il cielo è blu.
Yukio lo guarda stranito, cercando di decifrare il senso di quelle parole. Apparentemente, è un paragone davvero immotivato, ma non se la sente di far crollare la brillante logica con cui il fratello maggiore è convinto di questo, dato che sembra bearsi delle proprie intuizioni.
«Ho molto da lavorare» si giustifica, tirando un sospiro.
«E io dovrei fare educazione fisica» risponde l’altro, facendo una smorfia «Quasi quasi marino e vengo con te. In due si lavora meglio. Si finisce prima»
Uno dei motivi per il quale a Yukio piace indossare la divisa da esorcista è perché essa è capace di calmarlo; lo situa in una posizione sociale accettabile e gli dà la sensazione di essere semplicemente se stesso. Quel giorno, però, la cosa non funziona, e un’ondata di rabbia gli si riversa addosso senza nessun ritegno. «Rin!» pronuncia il suo nome come un’imprecazione, masticandola tra i denti. La sensazione allo stomaco si fa più forte, sale ancora e le parole continuano a venir fuori particolarmente violente «Dannazione, smettila! Avrai il tuo carico di lavoro quando e Se diventerai mai esorcista. Saltare le lezioni non è il modo giusto per farlo».
Ha pronunciato tanti discorsi simili, eppure Rin lo guarda come se non lo conoscesse.

 

Sa che essere arrabbiato con gli altri è più semplice che essere arrabbiato con se stesso, così come allontanarsi da qualcuno è il modo migliore per non ammettere ciò che accade con quella determinata persona. In monastero era tutto più semplice: con la morte del padre, invece, Yukio ha solamente dovuto adattarsi a troppe realtà.
E dover iniziare a pensare concretamente a Rin come al figlio di Satana è una di quelle: non assomiglia a un demone, sebbene si debba opporre a lui in troppe occasioni.
Trova la cosa un po’ ironica. Satana in ebraico significa “Colui che si oppone”, ma in realtà è Yukio a doversi contrapporre a Rin e a svolgere il ruolo di decelerante dei suoi poteri.
Satana è ciò che induce in tentazione, la quale deriva a sua volta dalla vessazione.
Mentre ci pensa si accorge dell’assurdità della cosa e, spontaneamente, gli viene da ridere.
Il semplice fatto di non aver ereditato potere demoniaco non cambia il sangue che gli scorre nelle vene, sempre per metà proveniente dall’inferno. Vorrebbe spiegare tutto così, ma è solo una patetica giustificazione a una cosa che non sa affrontare.
Dopotutto Satana non odia Dio perché non sa in che altro modo amare?
Scuote la testa come per allontanare quei pensieri, che iniziano a mancare di senso logico.
Non ha voglia di tornare in dormitorio, per molteplici motivi. È ancora troppo in balia della rabbia per poterlo fare. Ha perso troppo autocontrollo e la cosa lo fa vacillare verso una barriera che non vuole attraversare. È una linea astratta, mentale, ma ogni volta che la scorge all’orizzonte si tira indietro.
Un po’ come quando era piccolo, non può superare il confine che c’è tra lui e suo fratello.
Continuerà a essere sempre quel bambino che si aggrappa a lui per ogni cosa, nonostante abbia studiato come esorcista per far sì che avvenga il contrario.
Chiama Shura e le chiede di assicurarsi che il fratello non commetta scemenze in sua assenza. Tornerà in camera più tardi– solo poche ore – ma è un tempo più che necessario perché Rin faccia saltare in aria qualcosa oppure attenti alla vita di Mephisto.
«Ma avete litigato, voi due? Dio santo, siete peggio di una coppia sposata»
Questo è ciò che per Shura equivale a un “Va bene, ciao”.
Ha vissuto abbastanza in sua compagnia per poter decifrare lo strano linguaggio con cui filtra le sue intenzioni.
Chiude la conversazione e la linea diventa improvvisamente muta.
Sbuffa: sembra che quello sia diventato il suo hobby preferito.
Prende una pila di compiti in classe e inizia a correggerli, svogliato, controllando più e più volte le proprie valutazioni.
Alla fine lascia perdere e riordina i documenti.
Per la prima volta in vita sua, fugge al proprio dovere.


L’aria del poligono è fredda e la cosa lo fa sentire stranamente bene. Lascia cadere la giacca su una sedia e arrotola la camicia sugli avambracci, mentre porta una mano alla fondina. Accarezza senza pensarci il bordo dell’arma. L’estrae con velocità, più volte, prendendola e rimettendola al suo posto, valutando le proprie capacità di reazione che, constata non senza delusione, sembrano essere in qualche modo più frenetiche ma imprecise. Una mano tremante può voler dir molto se questa stringe un’arma; inclinare leggermente il posto può essere fatale e, soprattutto, non essere preparati a un contraccolpo di una calibro quarantacinque può danneggiare seriamente gli arti.
Alla fine opta per la semiautomatica e lascia i tappi per le orecchie affianco alla giacca.
Preferisce essere assordato dai colpi, non ascoltare i suoi stessi pensieri, così non fa troppo caso alle norme di sicurezza.
Immagina che Shura abbia già avvertito Rin, magari buttando giù la porta della stanza e trovandolo semiaddormentato, oppure leggendo manga. Forse è  in cucina, perché in fondo è ora di cena. Poi pensa che potrebbe semplicemente aver chiamato, e immagina la voce strafottente che, dopo un attimo di silenzio, chiede se suo fratello fosse impazzito del tutto.
La verità è che si sente confuso: quei pensieri montano in lui un terribile senso di nausea per il semplice fatto che sono troppo giusti. Non ha mai pensato che sapere come avrebbe agito suo fratello potesse renderlo così nervoso, né che pronunciare il consueto “Fratellone” potesse diventare, a un tratto, una definizione troppo crudele.
Pensa che tutto quello sia un enorme scherzo cosmico, il quale peggiora di giorno in giorno, portandogli via il sonno e la sanità mentale. Stinge i denti, ostinandosi a negare, trovando scappatoie, perseguendo i propri obbiettivi come ha sempre fatto.
È infuriato, frustrato, demolito.
Il pranzo che non ha mangiato giace sopra la giacca. Se l’è portato comunque appresso, con l’idea di Rin che, con quella sua aria scorbutica, cerca di chiedere a una ragazza di “consegnare il Bento a Okumura. Sì, il secchione con gli occhiali”.
Emette un verso rauco.
Yukio è un professionista, non può perdersi in pensieri simili. Chiude un occhi e prende la mira, focalizza il bersaglio e spara, avvertendo un po’ troppo il rinculo della pistola. Il proiettile schizza via dalla canna ancor prima che possa accorgersene, alla consueta velocità dell’arma da fuoco. Ha sempre pensato che le Smith&Wesson fossero le migliori in mercato, e le tratta quasi con la stessa cura che riserverebbe a una bestia. La pallottola arriva e la mira è totalmente sbagliata. Colpisce fuori dalla sagoma, e il metallo si conficca nella parete. Digrigna i tenti e sente le rabbia montare. Ha bisogno di un altro caricatore, subito. Fa scorrere rapidamente i polpastrelli sulla fondina, cercando il secondo caricatore. Ne ha sempre una quantità variabile pronta, in base all’uso che ne deve fare; se si esercita, spesso utilizza l’occasione per aumentare la velocità di cambio, sebbene i caricatori pronti siano sempre meno rispetto a quelli che porta con sé sul campo.
Solo in un secondo momento ricorda di non aver programmato la gita al poligono, e si ritrova a far slittare via il caricatore vuoto per riempirlo.
Scarica un colpo dietro l’altro, alla giusta distanza, con la giusta inclinazione, cercando di concentrarsi il più possibile, ma ogni colpo devia dalla traiettoria che avrebbe dovuto avere.
Appaiono secchi e amari quelli scoppi che impregnano l’aria di polvere da sparo.
A questi si mescolano sudore, tempo e cigolii.
Quando finisce per la quinta volta le munizioni, ancora non ha centrato nient’altro che la parete.
Rimangono i colpi di riserva e il dividersi tra l’utilizzarli ho ricaricare l’arma.
«A qualsiasi osservatore esterno, non sembreresti un esorcista di rango Dragoon, Yukio»
C’è un attimo in cui pensa di essersi immaginato la voce di Rin: riflette sulla sicurezza di essere solo, la quale vacilla perché sa di aver abbassato la guardia; si volta sapendo di non aver dato informazioni a Shura riguardo dove sarebbe andato, ma Rin è comunque seduto per terra, a gambe incrociate, col bento aperto e del riso – freddo – in bocca.
Il tono stranamente presuntuoso sembra stonare con quell’immagine di pura tranquillità.
Deglutisce. Sente i vari tipi di disagio che prova affianco al fratello mescolarsi: l’esaltazione e la disperazione, una vocina che gli dice “attento” e un’altra che soffoca un’imprecazione. Prima ancora che possa dire qualsiasi cosa, Rin parla.
«Osservandoti sbagliare in quel modo, ripetutamente… per la prima volta da tanto tempo mi sei sembrato umano»
«Vorrei ricordarti che non sono io quello con la coda»
«Quanto siamo permalosi~»
L’esorcista fa una smorfia «È lecito domandarti quale ragionamento tu abbia seguito per raggiungermi qui?»
Questa volta è il turno del demone, quello di fare una smorfia, che, stranamente, somiglia più all’espressione di uno che ha appena scoperto che il sole non gira intorno alla terra «Telepatia gemellare?» propone, con un tono superficiale «Guarda che capisco quando sei arrabbiato, Yukio, e anche quando mi eviti. Sono il tuo fratellone, no?»
Serra la mascella e gli punta l’arma contro. Il braccio teso in avanti, dritto, senza il minimo tentennamento, sembra provocare nel fratello una reazione simile a chi non vuole credere a quello che vede. Rin sgrana leggermente gli occhi, quel tanto che basta a farlo sembrare timoroso ma non troppo sorpreso. Osserva una goccia di sudore  grondargli dalla nuca e avverte un tremito nella sua voce, quando questo si decide a parlare «Andiamo, Yukio» dice repentinamente «Credevo che avessimo passato la fase del puntarci armi l’uno contro l’altro e l’avessimo sostituita con quella della convivenza quasi pacifica, nella quale ci vogliamo tanto bene ma non lo ammettiamo» l’ultima parte esce quasi canzonatoria, come quando due vecchi amici con rancori alle spalle si ritrovano dopo tanto tempo e l’unica cosa che sanno fare è parlare del tempo.
Yukio continua a fissarlo, inespressivo, mentre l’arto inizia a dolere e a reclamare un attimo di sosta. Sente il metallo sotto le dita, nei polpastrelli caldi e macchiati; la mano è leggermente sudata, il grilletto troppo semplice da premere. Carica il carrello e questo scatta, velocemente. Basterebbe un solo gesto per fargli male, davvero male, anche a un demone come lui.  Nonostante questo rimane immobile, sfidandolo mutamente a sparare. Farlo fuori, lì, in quell’istante. C’è una scintilla in quegli occhi azzurri – così blu da fargli male  – a suggerirgli che Rin non crede davvero che possa farlo; è immobile, vigile, ma ripone totale fiducia in lui.
La cosa lo irrita maggiormente, procurandogli una fitta di malessere.
Le dita prudono convulse contro l’impugnatura, consapevoli più della mente della sicura disinserita e del surriscaldamento della canna, pronta a far fuoco al minimo stimolo.
Ha fatto ruotare la sua vita intorno a quel ragazzo e, ora, è pronto a ucciderlo. Lo trova paradossale, sebbene sappia che – alla fine – quella sarà una delle poche possibilità. È una persona concreta, non mira a un futuro troppo roseo; fin da quando era bambino, fin dal primo giorno, Yukio ha capito, e il reverendo Fujimoto non ha avuto bisogno di parole per dirlo: se fosse successo qualcosa, qualsiasi cosa, sarebbe stato suo compito assassinare Rin.
E adesso vorrebbe finalmente capire cosa possa significare compiere quel gesto. La fine dei suoi tormenti, la morte di qualcuno che non sarebbe dovuto nascere.
Qualcosa dentro di lui chiama quel sangue.
Spara.
Un rimbombo sordo invade il poligono, di cui rimane solo l’odore di bruciato e una pallottola conficcata nel pavimento. Questa volta non ha sbagliato mira. Impreca a denti stretti.
I demoni vivono alla costante ricerca del piacere personale, ciò non di meno trascorrono la propria esistenza tra negazione e distruzione.
L’arma è forgiata in metallo consacrato: se un solo lembo della pelle del fratello ne venisse a contatto, inizierebbe a bruciare come legna sul fuoco.
In passato hanno ucciso in questo modo così tanti di quelli del suo rango: li buttavano in mezzo al metallo, che ustionava la pelle, fino ad arrivare ai muscoli, poi alle ossa. Lentamente, li divorava dall’esterno.
È  inumano, ma Yukio non pensa che ci sia qualcosa di umano nei demoni.
Rin sorride e lui si dà dell’ipocrita. Considera il fratello molto più umano di quello che in realtà non sia. È un’ovvietà così grade che, si rende conto, l’ha sempre negata per niente.
Abbassa la canna e inserisce la sicura.
«Cadi in rovina» Rin parla tranquillo, senza tradire nessuna emozione diversa dall’ilarità «Hai sbagliato mira» e indicando prima il foro a terra e poi quegli sulle pareti, ridacchia.
Senza pensarci, si volta di scatto e, estraendo la pistola automatica, spara tre colpi di fila. La sagoma trema e i questi riescono perfetti: uno al cuore e due alla testa, esattamente come voleva.
Per qualche strana ragione, il fatto di aver improvvisamente riacquistato la mira lo mette di malumore – non sbaglia mai un colpo, se il gemello è nei paraggi. Freud avrebbe troppo da dire a tal proposito, ma una vocina lo rassicura suggerendogli che – tanto – è stato screditato.
«Manchi anche di carattere» aggiunge, arcuando gli angoli della bocca nel classico sorriso di chi sa di aver vinto. «Si vede che non sai perdere il controllo in modo dignitoso. Sembri consumato – anche se non ci vedo niente di strano, visto che non dormi e ti nutri di caffè. Non pensi ai tuoi poveri occhiali*? Alle preoccupazioni che dai loro?»
«Non fare discorsi privi di logica»
Rin scuote la testa e si alza con un balzo, tenendo il cibo in equilibro sulla mano destra «Hanno una logica, solo che tu non la vedi»
Yukio scuote la testa, senza dire che il raziocinio lo ha abbandonato da molto tempo. Inserisce la sicura alla pistola e la depone affianco ai suoi averi, ormai sparsi alla rinfusa sul quell’unico tavolo presente nella struttura. Abbassa le difese senza accorgersene, rilassando le spalle e pensando che, quel giorno, ha veramente toccato il fondo.
Rin gli si avvicina, forse troppo, e allora smette di capire qualcosa.
I suoi movimenti sono più veloci dei suoi pensieri.
Quando lo sbatte contro il muro, le mani affondate nella sua divisa e il volto tirato, tra la frustrazione e la rabbia, Rin lo guada stupito, poi improvvisamente trionfante. Ghigna, e un guizzo vittorioso si fa largo nel suo sguardo «Finalmente» dice «Ce ne hai messo di tempo, eh, Yukio?».
Yukio sgrana gli occhi e si ritrova a boccheggiare. Si sente esattamente come se Rin gli avesse dato quell’ipotetico calcio nello stomaco – di nuovo.
Non ha bisogno di parole né di spiegare, perché Rin ha capito ogni cosa già da tempo.
«Pezzo di cretin…» Yukio sa che quella è la fine, anche senza il bisogno che la sua determinazione si sgretoli come sabbia al vento. Rin lo attira a sé senza troppi complimenti, facendo aderire i loro corpi; allora capisce che non è solo la sua erezione, quella che c’è tra i loro.
Sente qualcosa implodere nell’esatto momento in cui lo bacia. Cade a pezzi, Rin gli schiude le labbra, ed è già un cumulo di macerie.
 

 

 


 

 

*Riferimento (necessario) al primo capitolo del terzo volume.
“Ti ho seguito perché sono preoccupato per i tuoi occhiali”

   
 
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