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Autore: Gipsy Danger    22/11/2011    4 recensioni
Sappiamo tutti come comincia la storia.
2011. Lei è bella, giovane, intelligente. Ha scoperto l’Ochimizu e ha tutta l’ intenzione di cambiare il mondo.
1864. Loro sono esasperati e fermamente risoluti a non lasciarglielo fare.
Warning: Massacro impietoso di Mary Sue. Se siete privi di senso dell’umorismo o facilmente impressionabili, questa one – shot non fa per voi.
Genere: Comico, Satirico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Kyou Shiranui, Kyuujyu Amagiri
Note: Missing Moments, Nonsense, What if? | Avvertimenti: nessuno
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N\A:
Sì, stavolta le metto all'inizio per precauzione. Prima che prendiate le asce, le spade, le mannaie, le mazze e compagnia bella, lasciatemi specificare. E' una fan fiction per ridere. Avevo bisogno di scrivere qualcosa di divertente e, complici le recensioni di Fastidious Notes, è saltata fuori questa. Se ci vedete qualcosa di offensivo  spiacente, non è proprio l'intenzione con cui questa one - shot senza senso è stata scritta.
Poi pensate pure quel che vi pare. Sarò brutta&kattiva&perversa io, che mi diverto a scrivere di dolci creature macellate e frammenti di interiora. Ma una Mary Sue di meno al mondo toglie il medico di torno.
I rest my case.




.:Mary Sue is coming to town:.
(over our dead bodies)


Tokyo, 2011.

Mary Sue uscì dalla stazione della metropolitana e tirò un sospiro di sollievo.

I lunghi capelli di un castano così ricco da parere cioccolata fluttuavano nella brezza estiva, lucidi e curati nonostante il lungo viaggio affrontato. La luce scadente del lampione giocava sulla pelle lattea delle sue gambe – sottili e ben tornite, attiravano lo sguardo dei passanti come calamite; la camicetta plissettata enfatizzava la sua vita fragile, il collo da cigno, i seni alti e perfetti.

Mary Sue sorrise e, in silenzio, rivolse un saluto alla sua nuova città.
Le mille luci di Tokyo splendevano per lei, accendendo le sue iridi cangianti di una miriade di colori. La sola vista della metropoli le strinse il cuore e le fece salire le lacrime agli occhi.
Dopo una vita tormentata e privo di obiettivi, vissuto in un’anonima cittadina del New Jersey, il destino le aveva finalmente concesso una chance: trasferirsi nella Terra del Sol Levante e compiere ricerche sull’occulto, l’argomento che aveva acceso i riflettori dell’università su di lei. E poco importava se la metro l’aveva scaricata proprio nel quartiere più malfamato di tutta Tokyo: né gli edifici rovinati né le ombre degli yakuza acquattati in quei vicoli zozzi l’avrebbero intimorita.

Ah, la possibilità di scoprire nuove leggende! Dare la caccia a creature nascoste! Inseguire miti!
Per non parlare di quella medicina, commentò tra sé la ragazza, con aria cospiratrice. Incurante delle due losche figure che la osservavano da un angolo della strada, Mary Sue frugò nella borsa e ne prese la cartelletta con tutti i suoi documenti.
Il velo di plastica trasparente proteggeva una vecchia foto dai bordi rosicchiati dal tempo: l’uomo ritratto era poco visibile, nascosto da aloni di umido e materiale non meglio specificato. Mary Sue#1 evitò accuratamente di toccarlo, con una smorfia, ringraziando in silenzio che il soggetto fosse così poco distinguibile. Santo cielo, da quel poco che si vedeva l’uomo risultava così poco figo da essere pressoché antiestetico! Un insulto alla vista!

Il dettagli più importante, in effetti, era la fiala di liquido rosso (Mary Sue, da studentessa brillante e appassionata di restauro, aveva trattato personalmente la foto così da recuperare il colore originale del particolare) che campeggiava tra le mani dello sconosciuto.
Sconosciuto, che parola grossa.
Ma non è altri che San’nan – san, naturalmente, ovvero…ovvero…oh, beh, pazienza, è così cesso che non vale la pena ricordarsi come si chiama. A lei bastava sapere il suo soprannome, il fatto che – per quanto fosse a detta di chiunque una mente tanto brillante da rasentare il diabolico – non era materiale scopabile e che era parte della polizia speciale chiamata Shinsengumi.
A che cosa servisse, non lo ricordava. D’altra parte, un corpo d’armata aveva pur sempre bisogno di una testa, no?
Anche se io mi sarei accontentata dei corpi. Le foto d’epoca – sempre sviluppate da lei e rinnovate, in modo che fossero a colori – rappresentavano certi ragazzi che…no, no, meglio non pensarci.

E oltre ad essere…beh, un non ben specificato qualcuno, questo San’nan era anche uno scienziato pazzo. Mary Sue si lasciò scappare un risolino. Detto così sembrava quasi un plot – twist da otome game (anche se non era sicura di che cosa fosse un plot twist), ma lei sapeva la verità. San’nan era riuscito lì dove innumerevoli avevano fallito, creando con un anticipo fuori dal comunque una pozione dagli effetti straordinari: rigenerazione istantanea, vita pressoché eterna, immunità alle lesioni…gli occhi di Mary Sue brillarono d’eccitazione, mentre vantaggi su vantaggi le si affastellavano nella mente. Certo, c’era una piccola controindicazione che ancora non era riuscita ad afferrare, ma cos’era un banale dettaglio in confronto a tutto quel potere?

La prima cosa che farò, arrivata alla facoltà, sarà cercare gli appunti di quel medico, Kodou – san. Sono certa che, nonostante siano scritti in giapponese antico, grazie all’incredibile capacità di padronanza della lingua che mi ha permesso di saltare qualunque preparazione in materia riuscirò a decifrarli!, decise Mary Sue, ravviandosi i capelli. Poi preparerò la pozione. E poi…oh, poi magari avrebbe potuto lavorare sulla sua personalissima macchina del tempo. Non le sarebbe dispiaciuto fare un viaggetto nel 1864.
Giusto in tempo per conoscere San’nan – san.
E gli amichetti, naturalmente. Escludendo quella specie di scimmione, il tappo inutile, il ninja sfigato e il comandante rincitrullito.

Con rinnovata felicità e totalmente ignara di aver bloccato il traffico dei pendolari per più di un’ora con il suo monologo interiore, Mary Sue si sistemò i vestiti, sorrise al mondo e si avviò per Kabuki – cho a passo deciso.

All’angolo, l’uomo dai capelli rossi gettò un’occhiata al suo compagno.
“Ci pensate voi o ci penso io?”
L’altro non rispose. Sotto il normale colorito caffelatte era terreo, e i suoi occhi viola erano sbarrati.
“Shiranui – san?”
Nessuna risposta, se non un sibilo che era a metà strada tra lo spavento e la repulsione.
“Shiranui. Mi state ascoltando?”

La domanda era retorica. Ovviamente no. Il giovane oni era troppo sconvolto per poter anche solo spiccicare parola. Per un paio di secondi rimase impietrito, sbattendo le palpebre, con l’espressione di chi ha ingoiato qualcosa di particolarmente disgustoso.
“Quella….” Farfugliò, infine.
Amagiri si lasciò scappare un lieve sospiro esasperato.
Hai.”
“Quella…quella…cosa…è il nostro obiettivo?!”
Altro sospiro.
“Adesso capite perché ho insistito a venire fin qui, nonostante la richiesta sia stata perpetrata da un membro della Shinsengumi?”

Shiranui deglutì e accennò un sì. Fino ad un paio d’ore prima avrebbe volentieri ricoperto l’oni più anziano di insulti per averlo trascinato in quel luogo strabordante di luci, suoni estranei e ragazzine che gli scattavano foto a tradimento. Ora il suo istinto da demone era sveglio e all’erta.
“Siamo gli unici che la possono fermare.”
Amagiri annuì, grave.
“E se fallissimo?”
“Non è un’opzione.”
“Sì, ma se-?”
L’oni più anziano piantò gli occhi sulla massa lucente di capelli in allontanamento.
“Sicuro di volerlo sapere?” mormorò, in tono cospiratorio.

Shiranui mise mano alla pistola senza pensarci due volte.
“Vado io.” Dichiarò, per una volta senza la minima traccia della solita baldanza. Prima metteva la parola fine a quella storia, meglio era.
Non visto, Amagiri si terse il velo di preoccupazione che gli bagnava la fronte e si concesse un sorrisetto sarcastico.
Dopo di voi.”

***

Mibu, 1864

“Quello cos’è?”
Amagiri si scrutò le mani. Erano impiastrate di pezzetti viscidi e appiccicosi.
“Non ne ho idea,” rispose, in tutta onestà. Diede una rapida fiutata, tanto per essere sicuro. “Materia cerebrale, forse.”
Gli occhi di Heisuke erano tanto sgranati da parere ad un passo dal rotolargli giù per le guance.
“Davvero?” chiese, in un soffio, raccogliendo le gambe al petto.
Amagiri diede una rapida stretta di spalle e tuffò le mani nel secchio. L’acqua era gelida, ma di gran lunga preferibile alla sensazione di sporco.
Heisuke si sporse in avanti per osservare meglio, in preda ad una curiosità morbosa. La sua bocca si spalancò in una piccola O di stupore.
“Luccica!”

“Fosse stato solo quello.” Ringhiò Kyou, dall’altra parte della fonte, finendo di raccogliersi i capelli ondulati nella coda abituale. Ne afferrò una ciocca e l’annusò, per poi fare una smorfia disgustata. “Dei del cielo, che schifo! Mi rimarrà l’odore addosso per l’eternità!”
Heisuke batté le palpebre e si strofinò il naso.
“Io non sento niente.” Commentò, cercando di essere gentile. “Anzi, qualcosa sì. Sembra quasi…”
“Miele.” Sibilò Kyou, fulminandolo con un’occhiata. “Schifosissimo miele andato a male. Avrei preferito sangue, merda, budella e tutto quello che c’è dentro un normale umano, ma quella era tutt’altra cosa.”
“Shiranui, vi prego di moderare il vostro linguaggio.”
“Tipo? Tipo?”
“Tipo che tra un po’ cagava fiori.”
“Shiranui.”

L’oni alzò gli occhi al cielo.
“È la pura e semplice verità,” puntualizzò.
“Hai un pezzo di rene qui,” fece Heisuke, toccandosi il mento. “Proprio qui.”
Shiranui imprecò, raccolse il secchio e si versò addosso l’intero contenuto. Poi imprecò ancora più forte.
“È gelida!”
“Shiranui, sveglierete l’intera casa,” fece notare Amagiri, quieto.
“Come se me ne importasse qualcosa!”
“Harada – san pretenderebbe un combattimento.”
“Ben venga. Ho bisogno di violenza.”
“…d’accordo, se volete sentirvi prendere in giro a vita perché profumate come un fiorellino…”
Heisuke quasi cadde dalla panca dalle risate, davanti all’espressione del pistolero. Shiranui lo incenerì con un’occhiata.
“Tappo, io non mi spancerei se fossi in te. Avete un bel debito, nei nostri confronti.”

“Debito che sarà senz’altro saldato,” s’intromise una voce calma. La fusuma del cortile scivolò di lato e San’nan – san si fece avanti sotto la luce delle lanterne, per rivolgere un inchino ai due oni. “Amagiri – dono, Shiranui – dono.”
Amagiri ricambiò il saluto. Kyou incrociò le braccia e sbuffò.
“Mi sembra il minimo, considerato l’impegno.”
“Shiranui,” ringhiò Amagiri, in avvertimento. L’oni tacque.

San’nan si limitò ad un sorrisetto.
“Non temete, sono un…uomo di parola, se mi concedete la frase.” Replicò, posizionandosi dietro la panca su cui era seduto Heisuke. “Confido che abbiate portato a termine il compito che vi ho affidato, vista l’insistenza con cui reclamate il compenso.”
“Supposizione esatta.” Confermò Amagiri, incrociando le braccia al petto.
“È andato tutto bene?”
Kyou fece una smorfia, come se avesse appena inghiottito qualcosa di schifoso. Amagiri gli indirizzò un’occhiataccia, ammonendolo a tacere.
“A suo modo, sì.”

“Ne sono lieto.” San’nan prese posto di fianco ad Heisuke. “So che non posso pretendere di sembrare sincero quando dico che mi dispiace avervi scomodato, ma eravate gli unici in grado di travalicare il tempo e scongiurare la minaccia. Se fosse arrivata fin qui, non oso pensare a cosa sarebbe stato in grado di fare.”
Amagiri si limitò ad annuire, grave.
“Sarebbe stata un pericolo per tutti.” Confermò. “È stata una fortuna che abbiate saputo prevederla. Ed io che stentavo a credere qualcosa del genere…”
“Oh, non vi biasimo. È stato difficile anche per me arrivare ad ammettere la possibilità. Ma chi mi ha avvertito è stato abbastanza…convincente.”
“Ancora non siete riuscito a capire chi fosse?”
San’nan – san si accigliò. Non era stato un commento dei più felici.
“Purtroppo no.” Ammise, seccamente. “Demoni, quasi sicuramente, ma non appartenevano al vostro clan. O così m’è sembrato di capire, almeno. Erano gaijin.”

Shiranui, dal canto suo, rabbrividì.
“Diventare obsoleti, rischiare pestaggi assurdi, essere tirannizzati, assistere alla pazzia generale, sfornare un miliardo di marmocchi a botta…” un altro brivido, più accentuato. “No, no, è stato un bene per tutti.”
Per un lungo momento nel giardino regnò il silenzio. Oni e umani si scrutarono, quasi incamerando per la prima volta la stramba tregua che si era venuta a creare.
“Insomma,” sbottò Heisuke, ad un tratto, “qualcuno mi spiega che diavolo siete andati ad ammazzare? Ne parlate come se fosse peggio di Kazama.”
Un sorrisetto generale si dipinse sui volti dei tre adulti. Kyou si allungò addirittura a tirargli una pacca in mezzo alla schiena. Heisuke volò giù dalla panca.
“Fidati, tappo, lo era.”

Heisuke tossì e si tirò su brontolando, chiedendosi quando mai avrebbero smesso di trattarlo come un moccioso.
Forse avrebbe dovuto prendere l’Ochimizu, per farsi prendere sul serio.
Forse, eh.

***

Tokyo, 2011

“Neh, Chanda. Al volo.”
La lattina di Asahi sibilò nell’aria. Chandresh l’intercettò prima che toccasse terra, la strinse e la scrutò.
“Tante grazie, genio.” Borbottò, rivolto all’altro. Il giovane sudamericano fece spallucce e si sedette sulla stessa panca, aprendo la sua birra.
“Tanto ti piace sgasata,” fece notare, pragmatico. Nel suo sorriso baluginavano canini troppo lunghi per la media umana, ma non erano quelli ad attirare l’attenzione dei passanti. Semmai i capelli fulvi, la pelle color caramello e l’allegria totalmente fuori luogo per la fredda piazza della stazione.

Chandresh inarcò un sopracciglio. Ok, un punto per Rafa, decise. Si rigirò la lattina tra le mani.
Rafael si pulì la schiuma dal labbro superiore con la manica.
“Che ti prende?”
“Non so, sto pensando ancora a quel compito.”
Rafael alzò gli occhi verde scuro al cielo.
“Ancora?!”
“Dici che è stata una buona idea affidare tutto a quell’uomo?"
"Fingersi oracoli e suggerirgli di chiedere agli amichetti oni di prestarsi al compito? Una genialata. Perché?"
 "Non era quel che si dice rassicurante.”

Rassicurante. Dios, Chanda, sei il demone meno...demone dell’universo. Joder, che ti frega? È morta? Sì. Bene. Un lavoro in meno per noi.” Rafael si passò una mano tra i capelli, esasperato. Ecco la fregatura di avere un fratello troppo dedito alle seghe mentali.

L’indiano scosse il capo.
“Non so, non mi convince.”
“A te non convince mai un cazzo. Dai, bevi la birra.”
“Hm.”
Rafael sogghignò.
“E poi non pensi che quei due si meritavano un po’ di soddisfazione? Sono lo scendiletto di quel moccioso viziato di Chikage. Hanno bisogno di sfogare un po’ di frustrazione.” Finì la birra e centrò il cestino dei rifiuti, sotto l’occhiataccia di una vecchietta di passaggio.
“Una Mierda - Sue di meno al mondo toglie il medico di torno!” recitò, sarcastico.

Chandresh lo spinse via.
“Ma vattene, tu e la tua poetica idiota.” Borbottò. Con un mezzo sorriso.

Una Mary Sue in meno.
Quello schifo di birra sembrava quasi più buona.



N\A:
Siete ancora vivi?
Spero di sì, così come spero che abbiate saputo dare un senso a questa shot: è quel che succede quando hai due mercenari cazzoni che si rifiutano di fare il loro lavoro come OC.  Di solito sono piuttosto ubbidienti, fanno quello che gli si dice...mah, i lampi di matto di Rafa. -.-" è lui la pecora nera, Chanda sarebbe un santo se non ci fosse quell'idiota di suo fratello. Più o meno.
Ecco, insomma. Diciamo che non era il modo in cui avevo programmato di introdurli al fandom, ma non so se mi dispiace poi troppo. V.v
Ancora una volta sottolineo che è tutto frutto di Fastidious, un pomeriggio di fancazzismo e ispirazione volatile. Nessun' offesa a nessuno.

E adesso vado a nascondermi, prima di essere sommersa dai pomodori.
Byez.

Kei
   
 
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