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Autore: _Sihaya    18/07/2006    1 recensioni
Ho classificato questa storia come AU... Mah... se si tratta veramente di un Universo Alternativo, lo lascio decidere a voi. "Quei bastardi lo stavano cercando. Cercavano lui e il suo compagno per ucciderli, e l’avrebbero fatto se avesse continuato a trattenersi ancora a lungo in quella zona... I suoi pensieri corsero per un attimo a Rukawa, quel testardo, aveva voluto agire da solo e ora dov’era? Forse lo avevano già preso. "
Genere: Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Ryota Miyagi
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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THE KING

THE KING

By Sihaya

 

Ciao a tutti cari lettori, sono di nuovo qui con un breve… ma intenso racconto.

Sinceramente non so che cosa dire per presentarvi questa fic… solo…

…non odiatemi…

 

* * *

 

Istruzioni di lettura: ho messo fra apici i pensieri dei protagonisti e fra « » i discorsi ad alta voce.

 

* * *

Parte 1

 

Mitsui seduto a terra, con la schiena appoggiata contro la parete metallica ansimava profondamente imbracciando il fucile. Era stanco, troppo stanco per continuare. Aveva bisogno di recuperare le forze, e poi, dov’era finito Rukawa?

 

Perché quel dannato del suo compagno di squadra non gli copriva le spalle?

 

Si guardò intorno attendendo che il respiro si facesse più regolare. Nel buio di quell’hangar non riusciva a scorgere quasi nulla. Un odore orribile impregnava la stanza e gli penetrava nelle narici fino ad annebbiargli la mente. Scosse la testa. Non era da lui arrendersi in quel modo, qualsiasi cosa stesse accadendo al suo compagno, lui non avrebbe ceduto. Avrebbe portato a termine la missione a costo di farlo da solo.

 

Caricò l’arma che portava con sé e si alzò da terra.

 

Si sporse un poco in fuori sbirciando da dietro la rientranza nella quale si era nascosto. Poteva vedere in fondo alla stanza una piccola porta appena illuminata. Doveva raggiungerla.

 

Quella era la sua missione. Doveva farcela a qualsiasi costo.

 

Cominciò a scrutare nel buio attorno a sé. Una flebile luce filtrava tutt’intorno, era debole ma era abbastanza per percepire la forma della stanza nella quale si trovava, e per scorgere le sagome che si muovevano silenziose intorno a lui.

 

Quei bastardi lo stavano cercando. Cercavano lui e il suo compagno per ucciderli, e l’avrebbero fatto se avesse continuato a trattenersi ancora a lungo in quella zona.

 

I suoi pensieri corsero per un attimo a Rukawa, quel testardo, aveva voluto agire da solo e ora dov’era? Forse lo avevano già preso.

 

“Stupida volpe” pensò il ragazzo chiudendo gli occhi.

 

Strinse i denti e si fece forza, corse rapidamente lontano dal luogo in cui si era fermato per nascondersi dietro alcune casse ammassate sul lato opposto dell’hangar.

 

Pochi metri.

 

Aveva guadagnato soltanto pochi metri ed era stanco, terribilmente stanco. Erano ore che correva fra quelle lamiere metalliche, avanzando alla cieca nel buio profondo. Inspirò profondamente.

 

Aveva percorso pochi metri, ma era comunque più vicino. Così soltanto poteva raggiungere la meta: avanzando di nascosto fra le linee nemiche e costruendo la vittoria a piccoli passi, silenziosi e precisi.

 

Si schiacciò con la schiena contro le casse, il fucile ben saldo fra le braccia.

 

Doveva calcolare tutto nei minimi particolari, doveva muoversi silenzioso come un gatto e veloce come una lepre.

 

Un rumore improvviso lo fece sobbalzare.

 

Qualcosa si era mosso accanto a lui. Deglutì cercando di controllarsi. Il sudore gli scendeva lungo la schiena e sul collo, si passò una mano sulla fronte fradicia.

 

Non doveva sparare, non poteva permettersi di sprecare nemmeno uno dei proiettili, ne rimanevano troppo pochi.

 

All’improvviso un sibilo echeggiò nella stanza, poi un tonfo sordo. Un rumore metallico di lamiere che si infrangevano l’una  contro l’altra si diffuse nell’hangar. L’eco si sparse tutt’intorno levandosi fino verso il soffitto, altissimo sopra la testa del ragazzo.

 

Qualcuno era stato colpito. Era facile capirlo, non era la prima volta che capitava. Era sempre così, un sibilo e un tonfo, qualcuno che cadeva a terra ferito oppure …

 

Mitsui strinse i pugni non voleva pensarci.

 

Il volpino aveva voluto agire da solo e se gli fosse accaduto qualcosa lui non poteva certo farsene una colpa, ma erano compagni di squadra, non poteva abbandonarlo.

 

Si sporse di nuovo in fuori cercando di capire cosa fosse accaduto. Tutto era di nuovo silenzioso.

 

Un silenzio lugubre e carico di tensione.

 

Inspirò profondamente una nuova boccata di quell’aria densa e nauseante. Doveva uscire di lì, raggiungere la sala di comando e portare a termine la missione.

 

Solo questo e poi sarebbe stato libero.

 

Libero di gettare quel pesante fucile, di levarsi di dosso quegli abiti soffocanti, libero di uscire allo scoperto e dimenticare.

 

Ancora un piccolo sforzo lo separava dalla fine. Poteva contare solo su se stesso, sulle sue sole forze, ma non avrebbe rinunciato.

 

“Dove cazzo sei, Rukawa!?”

  

* * *

 

“Dannazione!”

 

Rukawa cadde a terra con un tonfo sordo. Gli occhi serrati e il corpo scosso da un tremito.

 

«Dannazione!» Sussurrò a denti stretti portandosi una mano al petto.

 

Un altro colpo come quello e per lui sarebbe stata la fine.

 

Aveva commesso un errore, un fottutissimo errore.

 

Si era separato dal compagno di squadra convinto che fosse la cosa migliore, ma solo ora si rendeva conto dello sbaglio.

 

L’aveva considerato un peso, era lento nei movimenti, era stanco e non riusciva a reggere il suo passo, così aveva pensato di lasciarlo indietro, solo al suo destino.

 

Una pessima strategia.

 

Aveva sottovalutato il nemico.

 

Aveva sottovalutato la sua abilità, ma soprattutto la sua esperienza.

 

Aprì gli occhi. Tutto era ancora buio intorno a lui. Buio pesto.

 

E silenzio.

 

Solo il suo respiro forte riempiva quella quiete lugubre.

 

Si costrinse a rallentare il ritmo del suo ansimare: il nemico non era affatto uno stupido e lo avrebbe trovato in un batter d’occhio. Lo poteva immaginare mentre si avvicinava avido in cerca del suo cadavere.

 

Ma non era ancora il suo momento. Non era il tipo da arrendersi così facilmente.

 

Si sollevò a fatica e recuperò il fucile caduto a terra poco distante.

 

Si alzò in piedi, zoppicante e stanco. Si scostò un po’ nascondendosi dietro ad alcuni tubi di ferro.

 

Se solo fosse rimasto con Mitsui, ora avrebbero potuto organizzare un attacco, studiare una strategia.

 

“Ormai è tardi”, pensò stringendo a sé il fucile, unica preziosa arma che possedeva.

 

Rumore di passi.

 

Qualcuno si stava spostando. Si stava avvicinando.

 

Scrutò attraverso una sottile fessura che si apriva fra i tubi di ferro. Le tenebre rendevano impossibile capire cosa stesse accadendo. Solo una luce rossastra posta sopra alla sala di comando brillava in fondo al capannone.

 

Quella era la meta.

 

Non aveva alcuna importanza la fine aveva fatto Mitsui.

 

Lui doveva raggiungerla, ad ogni costo. Impedire che il nemico si avvicinasse.

 

Né lui né Mitsui sapevano cosa nascondesse la stanza, ma il nemico non doveva raggiungerla prima di loro.

 

Era troppo tardi ormai per tornare sui propri passi e per rammaricarsi dei propri errori.

 

Raccolse tutte le sue energie e ripartì.

 

Imbracciò il fucile e si mosse lesto fra le lamiere, avanzando lentamente centimetro dopo centimetro.

 

Continua…

 

   
 
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