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Autore: Hi Fis    24/11/2011    4 recensioni
Sere Paarthurnax, signore dei draghi, un giorno aveva chiesto al Dovahkiin: "Quale sarà il tuo lascito, mortale? Cosa brucerai nello Yor e cosa invece conserverai?"
E il Dovahkiin aveva scelto.
La mia Interpretazione sulla fine della campagna principale di Skyrim.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ho scritto questo pezzo per dare una conclusione più definitiva alla campagna principale di Skyrm, che lascia a parer mio il protagonista con un senso di incompiutezza. Spero vi piaccia, e apprezzerò qualunque commento critico.
Buona Lettura!


"Perché mi guardi così?" chiese Haaran, spostando i suoi occhi dalla città in fiamme sotto di loro.

Brelyna Maryon scosse la testa, un sorriso delicato sulle labbra:
"Ripensavo a quello che mi hai detto una volta, amore: tutti i Dovah sono naturalmente portati alla malinconia."
Haaran spazzò la neve con la sua coda scagliosa, il suo sguardo lontano, fisso sulla città di Windhelm sotto di loro.
"È nel nostro sangue, così come lo è il desiderio di dominare." Haaran annuì pensoso dopo un momento, continuando poi rivolto verso Brelyna: "Così mi disse sere Paarthurnax, quando lo incontrai sulla cima della Gola del Mondo."
"Paarthurnax, mmh? Il suo nome non significa forse..."
"Crudele Re dell'Ambizione? Sì, questo è il suo significato in lingua Dovah."
Da quando si erano sposati, Haaran aveva condiviso con Brelyna quasi tutto il suo sapere, che era, semplicemente, immenso: Haaran, che i Nord di tutta Skyrim meglio conoscevano come Coda- Spezzata, il Dovahkiin, aveva esplorato molte delle profondità della Terra e attinto a piene mani ai poteri nascosti in quegli abissi, cercando di saziare invano la fame infinita che gli bruciava nel sangue.
"...Tuttavia, nel tempo, perfino un Dovah può cambiare la sua natura e cercare di porre un freno ai suoi appetiti."
"Forse è questo il problema." disse Brelyna, prendendo la mano scagliosa di suo marito:
"Tutti i Dovah sanno esattamente cosa sono: anche se sono gli immortali figli di Akatosh, il creatore del mondo, essi non possono scegliere il loro destino. Pensaci Haaran: un'immortalità predeterminata senza scopo primo alcuno. Questo renderebbe malinconico chiunque, non credi?"
Haaran la guardò rapito, come se sul suo volto fosse scritta una parola del potere o il contenuto di un'Antica Pergamena, quelle schegge della creazione sparse per tutta Tamriel: invece, l'unica cosa che lesse sulla fronte del colore dell'argento di sua moglie, e nei suoi occhi dall'iride rossa, che sfumava in una pupilla ancora più rossa; fu la parola "Amore".
"Sì, deve essere così. È così." disse dopo un momento, poggiando le labbra sulla fronte di sua moglie.
Veloce e scherzosa, Brelyna lo afferrò per uno dei suo lunghi corni ricurvi, non avendo suo marito alcun padiglione auricolare, e costringendolo ad abbassarsi fino a quando i loro volti furono alla stessa altezza.
Suo marito era alto e muscoloso, mentre lei era piccola e minuta:
"Non che comunque tu sia più libero di ogni altro Dovah, mio caro: sono tua moglie, e decido io il tuo destino, ricordi?"
Haaran sorrise di gioia, aprendo le sue fauci e mostrando la chiostra delle sue zanne candide, tipiche del suo popolo, gli Argoniani, la razza di rettili umanoidi provenienti dalla Palude Nera.
"Quali sono allora i tuoi ordini, oh mia grigia regina?" le chiese, cingendo la sua vita minuta con entrambe le braccia e facendo tintinnare le armature che avevano addosso.
Brelyna si liberò dal suo abbraccio, fingendo di pensarci su, ma sapeva già bene cosa chiedere al suo Haaran: di tutti i luoghi che lui le aveva descritto, ce n'era uno in particolare, un posto che Brelyna desiderava ardentemente esplorare fin da quando lui gliene aveva parlato:
"Quando tutto questo sarà concluso, tu mi porterai negli oscuri recessi sotto Mzinchaleft e Mzark, dove cresce la radice cremisi di Nirn." disse infine.
"Ma mia regina, in quel luogo oscuro si nascondono Falmer, Draghi, Troll, Animunculi Dwemer ed almeno un gigante! Il vostro umile servitore trema al solo pensiero di cosa potrebbe succedere se vi avventuraste in quei neri abissi."
"Con un così valente cavaliere al mio fianco, e Dovahkiin? Non ho nulla da temere." disse Brelyna soridendo.
"Mia signora, mi avete frainteso: mi preoccupo per i mostri. Quei poveretti non sanno quali tormenti sapete infliggere con la vostra terribile magia: già vedo i poveri Falmer in fuga, trasmutati in micetti inoffensivi dal candido pelame."
Ed era una eventualità tutt'altro che remota: gli esperimenti iniziali di trasmutazione di Brelyna al collegio dei maghi di Winterhold erano stati famosi per l'imprevedibilità dei loro risultati: lo stesso Haaran era diventato per una giornata intera un cavallo, poi una capra ed infine un'oca, per poi tornare finalmente al suo aspetto originario. Ed era proprio grazie a quegli incantesimi che Haaran e Brelyna avevano cominciato a conoscersi: dopotutto, se trasformi un uomo, anche se Argoniano, in un'oca starnazzante, difficilmente saprà ignorarti.
"Questo ti insegni a non lasciare oggetti interessanti incustoditi." disse Brelyna, agitando la sua asta magica.
"Intendi come quel bastone?" chiese Haaran a sua moglie, incrociando le braccia di fronte a sé: "Quel bastone che era chiuso a chiave nelle catacombe sotto il collegio di Winterhold? Con un dremora da me stesso evocato a sorvegliarlo?"
Per tutta risposta, Brelyna ebbe la sfacciataggine di ribattere:
"Ho visto il tuo demone cornuto con spada e scudo, e ho rilanciato con i miei due atronach del fulmine: sei sempre stato un evocatore di scarsa levatura, se paragonato a me, anche con tutti i tuoi bastoni incantati, oh Arcimago! E poi, sarebbe stato un delitto se il famoso Wabbajack fosse rimasto chiuso in una catacomba ad arrugginirsi."
Come a sottolineare la frase, Brelyna agitò il bastone, che rifulse di una pericolosa luce rossa: un fulmine saettò dai tre volti incisi nel metallo che costituivano la cima della staffa, e la tenda dove avevano passato la notte ritornò, con uno scoppio e una risata, la gallina chiocciante che era stata fino alla sera prima, la quale cominciò comprensibilmente a fuggire sculettando.
"Sono sicuro che Sheogorath non avrebbe potuto essere più d'accordo." disse Haaran, facendo un passo indietro intimorito: di tutti gli artefatti magici e terribili che aveva... collezionato nel tempo, il Wabbajack era di sicuro il più potente e spaventoso.
Per prima cosa, perché non era opera di mortali: gli era stata consegnato dal principe Sheogorath in persona, il Dio dell'ordine e della follia, quando aveva messo per sbaglio piede nel luogo di ristoro preferito del principe daedrico; ovvero una dimensione magica situata all'interno della mente del defunto Pelagius, detto per buone ragioni "il re pazzo". Poiché Pelagius era rimasto folle nella morte, così come lo era stato in vita, Sheogorath aveva eletto la sua mente come rifugio: per uscirne, Haaran aveva così dovuto "curare" la pazzia di Pelagius, un compito che il principe daedrico, essendo pazzo lui stesso, non riusciva a compiere da almeno tre secoli.
La libertà da quel regno di folli e di follia sarebbe stata un dono sufficiente per Haaran, ma il dio Sheogorath gli aveva accordato la sua simpatia, ricompensandolo con il Wabbajack, la sua staffa magica, che poteva trasformava in modi imprevedibili la realtà. Lo stesso Wabbajack che sua moglie, trasmutatrice ed evocatrice pericolosamente imprevedibile, ora brandiva in battaglia: decisamente un accoppiata che perfino il Dovahkiin, l'uccisore del divoratore del Mondo Alduin, temeva di affrontare: nelle sue tasche c'erano diversi Septim d'oro a dimostrarlo, che un tempo erano stati soldati nemici.
"Inoltre,“ disse sua moglie sbattendo le sue lunghe ciglia nere, "...non vorrai farmi davvero credere che il mio Re Drago teme qualche micetto?"
Questo lasciò in silenzio Haaran per un momento, incapace di rispondere in modo adeguato a sua moglie: fu lei infatti, a interrompere il silenzio.
"Senti..." chiese Brelyna improvvisamente, come qualunque altra volta in cui affrontavano l'argomento.
"No!" disse subito Haaran.
"Ma..."
"NO!" ribatté Haaran "Non ti lascerò diventare un... come me."
"Ma non è giusto!" disse Brelyna.
Haaran le strinse le spalle, costringendola a guardarlo negli occhi: "Brelyna tu non sai com'è: il non riuscire a dormire, e la sete di sangue e carne umana. Non voglio e non posso!"
Ne avevano discusso a lungo, ma la decisione di Haaran era irrevocabile.
"Ma è così bello quando ti trasmuti nella notte e vai a caccia, e torreggi più alto degli alberi."
"...Non divento così grosso."
"No, ma quasi." disse Brelyna abbracciando suo marito e sussurrando: "...Il mio bellissimo Re Drago."
Haaran la cinse nell'abbraccio, ringraziando ancora una volta Mara, la dea dell'amore, che aveva messo Brelyna sul suo cammino.
Non era stato facile: quando Brelyna aveva cominciato a far parte della sua vita, scoprendo tutti i segreti terribili del Dovahkiin, aveva passato settimane terribili. Ma poi la comprensione si era fatta strada nel suo animo, e alla paura e al rifiuto, era sopraggiunta la comprensione e l'accettazione. Erano legati, e il loro legame era vero, forte e indissolubile: Brelyna aveva solo avuto bisogno di tempo per rendersene conto.

"Legato Imperiale!" il richiamo improvviso interruppe il loro momento di intimità, ma non il loro abbraccio: subito dopo l'urlo, un messaggero in armatura completa risalì la collina dove erano accampati. Giunto in cima, il messaggero si piantò le mani sulle ginocchia, sbuffando curvo per recuperare fiato.
"Riposa, Hadvar."
Hadvar, il soldato imperiale, scosse la testa:
"Non c'è tempo" disse col fiato mozzo: "le nostre truppe stanno per sfondare il cancello. Il generale Tullius guiderà personalmente l'assalto: ti ordina di raggiungerlo immediatamente."
Coda- Spezzata sentì la furia avvampare dentro di sé: il generale Tullius era il delegato militare inviato dall'Imperatore in persona per riportare la pace a Skyrim, funestata dalla ribellione dei Manto della Tempesta. Windhelm, la città che stavano assediando, era l'ultimo baluardo che restava ai ribelli e l'obbiettivo finale di una sanguinosa campagna, che aveva portato la guerra in ognuno dei nove feudi.
La guerra aveva letteralmente spaccato a metà il paese e Coda- Spezzata alla fine, era stato costretto a prendere le parti di una delle due fazioni: gli imperiali succhia- latte, che rappresentavano il vecchio ordine sottomesso all'invasore Thalmor, o i barbari Manto della Tempesta, che sotto la pretesa di una guerra per l'indipendenza, non esitavano a sterminare ogni persona che non fosse Nord e d'accordo con loro.
Compiuto il suo destino di Dovahkiin, e sconfitto il malvagio drago Alduin, il divoratore del Mondo, a Coda- Spezzata non era rimasto che porre fine ad una guerra che era già durata fin troppo a lungo. E infine, il Dovahkiin aveva scelto di prestare la sua forza all'impero, perché per quanto la ribellione dei Manto della Tempesta fosse animata da legittimi sentimenti, l'uomo che la guidava, Ulfric jarle di Windhelm, non lo era.
Non che comunque l'Impero fosse molto migliore: per Skyrim era semplicemente il minore fra i due mali e il Generale Tullius ben incarnava la reputazione degli Imperiali, dato che era un piccolo, arrogante e disprezzabile uomo, lontano dalle tradizioni dei Nord quanto la terra è dal cielo.
"Quando questa guerra sarà finita, il generale Tullius non tornerà a casa: troverà dimora presso il Vuoto di Sithis, me ne assicurerò." pensò Haaran nel silenzio della sua mente. Per fortuna, il suo volto Argoniano rimase come sempre impassibile, illeggibile com'era ai pelle- liscia umani: l'elfo scuro che era sua moglie però, lo capiva molto bene:
"Riferisci al generale che il Dovahkiin sta arrivando, uomo."
Haldvar li guardò entrambi, quasi sferzato dalla risposta rabbiosa di Brelyna, ma non disse nulla: si limitò ad annuire con la testa e a dirigersi di nuovo verso la città.

"E così è cominciata, mia regina. Balliamo?"
"Balliamo, mio signore."
Entrambi aprirono i mantelli che li coprivano, rivelandosi per quello che erano davvero quel giorno: uccisori di uomini.
Brelyna aveva le sue forme minute cinte da una corazza daedrica, aguzza e nera e rossa, che parlava di strani poteri e terribili forze sottomesse: il suo elmo era un'antica maschera con cappuccio del culto del sangue dei draghi, azzurra come il mare e antica quanto l'origine del mondo. Il nome di quell'artefatto era Morokei, che in lingua draconica significa "Glorioso".
Il Dovahkiin vestiva di una corazza ricavata dalle ossa e dalle scaglie dei draghi che aveva ucciso, e il suo elmo era la maschera zannuta Konahrik, del colore dell'oro, il cui nome significa "Signore Supremo".
Entrambe le corazze erano il frutto della Forgia Celeste e nascondevano più poteri di quanti il loro già terribile aspetto potesse far supporre.
"Ti ho mai detto quanto adori vederti con la corazza?" chiese Brelyna, con la voce distorta dalla maschera che portava: "Non so mai dove finisca la corazza e dove inizi tu."
Ed era evidente: la corazza del Dovahkiin era tutta scaglie, corni aguzzi e squame, esattamente come colui che l'indossava.
Haaran dubitava che qualcun'altro l'avrebbe apprezzato: sua moglie però, non gli diede il tempo di dirlo, perché aveva già montato Shadowmere, la giumenta fulva dagli occhi rossi e luminosi come carboni:
"Ti precedo, Dovahkiin!" urlò, prima di lanciare la cavalla al galoppo.
Coda- Spezzata imbracciò il suo scudo, donatogli da Peryite, il principe daedrico della pestilenza; e la sua spada del colore del sangue. Ancora una volta, era il momento di uccidere- uccidere- uccidere.
"ODAHVIING!" gridò il guerriero al cielo con il suo Thu'um, la voce dei Draghi.
Alla sua chiamata, un ruggito rispose da oriente e un'ombra rossa oscurò il sole: Ala- Cacciatore- di Neve, il drago che aveva deciso di servire il Dovahkiin, già pregustava i mortali che avrebbe inviato a Sovengard, il paradiso dei Nord. Non che a lui, un drago, importasse la misera religione dei mortali, ma la battaglia? Qualunque drago adora combattere: poiché tutti i draghi sono fatti anche dal fuoco primigenio della guerra per la creazione.

***

"Mio jarle, il cancello è perduto!"
Ulfric Manto della Tempesta sedeva sul suo trono, nel palazzo dei re a Windhelm, ascoltando i rumori della città che bruciava al di là del portone d'ingresso mentre i messaggeri portavano notizie sempre più disperate al loro signore.
"E dunque?" Sbraitò Ulfric dal suo trono: "Questo lo vedo anche da me, pezzente. Ma la mia testa è ancora attaccata al collo e questa guerra non è ancora persa! Invia altri soldati a respingere le truppe! Che io sia dannato, se lascerò Windhelm in mano a questi Imperiali invasori!"
"Mio jarle, un drago! Un drago!" disse giungendo un secondo messaggero, i fregi di pelliccia della sua corazza strinati dal fuoco.
"Un drago? Bene, questo darà qualcosa a cui pensare a quegli sporchi Imperiali."
"No mio signore, il drago sta attaccando Windhelm! Gli Imperiali avanzano indisturbati: non riusciamo a fermarli!"
"Per i Nove! Come hanno fatto gli imperiali ad aggiudicarsi il favore di un drago? Quale spregevole trucco è mai questo?" gridò Galmar Pugno di Ferro, comandante militare dei Manto della Tempesta:
"Credevo che questa fosse una guerra onorevole tra uomini, ma questi Imperiali non hanno il minimo ritegno. Assoldare un drago per combatterci? Sono dunque davvero senza onore e Dei!"
"Calmati Galmar! Anche se hanno un drago, non fa nessuna differenza: questa non è Dragonsreach. Qui un drago non può arrivare, a meno di scardinare il tetto: fino a quando non giungeranno dentro le mura del mio palazzo dei re, siamo perfettamente al sicuro."
Ulfric cercava di non darlo a vedere, ma la sua proverbiale caparbietà Nord stava iniziando a vacillare: temeva che ormai l'unica cosa che gli fosse rimasta da fare fosse quella di morire con onore; ma se davvero era quello il suo destino, Ulfric lo avrebbe affrontato aspettandolo, non fuggendo come una donna.
"Signore! Signore sono già qui.... ACK!" cercò di dire l'ennesimo messaggero, prima che una freccia gli spuntasse dal collo, facendolo stramazzare sul tavolo della grande sala in un mare di sangue.

Tutti i guerrieri rimasti dei Manto della Tempesta, pochi per la verità, impugnarono le loro spade e le loro asce, incoccando le frecce e attendendo l'avversario al di là del grande portone d'ingresso.
"FUS..."
"Presto tiratevi indietro, forza!" cercò di ordinare ai suoi uomini Ulfric Manto della Tempesta, che aveva capito cosa stava per succedere: ma era già troppo tardi. Decisamente troppo tardi.
"...RO DAH!"
Quando il grido riverberò attraverso la sala con la forza di un terremoto, le pietre stesse del palazzo del re si incrinarono, spaccandosi lungo larghe fessure: il portone di legno di quercia, alto dieci metri e capace di resistere perfino ai proiettili delle catapulte, venne divelto dai suoi cardini, spinto da una forza inesorabile, cadendo verso l'interno della sala e sugli uomini di Ulfric.
I guerrieri Manto della Tempesta furono schiacciati in un clangore infernale di gemiti di legno e urla di uomini: solo pochissimi erano riusciti a balzare indietro al sicuro, mentre il portone rovinava all'interno.
Dalla polvere e dal caos, un cavallo nero emerse, un cavallo nei cui occhi rossi brillava l'intelligenza maligna di un essere sovrannaturale e maldisposto verso i mortali. Il cavallo balzò nella sala, schiacciando sotto i suoi zoccoli di ferro gli ultimi soldati rimasti, mordendo e scalciando, mentre Ulfric e Galmar osservavano la scena, troppo stupiti per accorrere in soccorso dei loro stessi uomini.
Quando anche l'ultimo soldato fu poltiglia sul pavimento, il cavallo nero tornò indietro al trotto, affiancando le due figure che si stagliavano laddove una volta c'erano stati due possenti portoni.
Ulfric e Galmar le riconobbero subito: l'aspetto dei due nuovi e misteriosi condottieri dell'esercito imperiale era noto a tutti i Manto della Tempesta, che però non ne conoscevano l'identità e l'aspetto, poiché combattevano sempre col capo coperto da strane maschere.
Ulfric guardò il guerriero, fra i due era quello che capiva meglio e che poteva affrontare, piuttosto che la strega al suo fianco: la figura terribile brandiva il suo scudo e la sua spada, celebri quasi quanti lui: da vero Nord, lo jarle di Windhelm si soffermò in particolare sulla lama, ammirando il potere che l'artefatto sembrava emanare.
La spada daedrica era enorme, la lama seghettata fatta per infrangere scudi, corazza e carne con un solo fendente; brillando di una malsana luce rossastra come il sangue.
"CHI SEI TU?" ruggì Galmar Pugno di Ferro, mulinando il suo martello da guerra e avanzando verso l'oscuro condottiero con la sua maschera dorata.
"CHI SEI, MALEDETTO?" chiese ancora avanzando: Galmar Pugno di Ferro era un piccolo gigante fra gli uomini, poichè superava di tutta la testa anche un Nord alto. E poiché la sua forza era proporzionata alla sua altezza, Galmar era un guerriero formidabile e simile ad un orco: il suo aspetto ferale era accentuato dalle pelli d'orso che Galmar portava sopra la corazza.
Alla domanda il guerriero non rispose, limitandosi al silenzio, mentre Pugno di Ferro torreggiava su di lui sempre più vicino, il martello levato e prono a colpire: ma quando fu abbastanza vicino, il Cavaliere inarcò la schiena, tendendo ogni muscolo del suo corpo.
Il movimento fu rapido più di quello di un serpente: un attimo prima la spada rossa e nera era nella sua mano, ed un attimo dopo Galmar, con la testa troncata, giaceva a terra in un mare di sangue, mentre il suo martello suonava cupi rintocchi sul pavimento della sala.
E fu in quel rumore che Ulfric avvertì il rintocco della morte: nelle note del martello di Galmar.
"Questo è ciò che io sono." disse infine il guerriero mascherato.
"Quella voce..." balbettò debolmente Ulfric.
"Salute, Ulfric Manto della Tempesta, jarle di Windhelm. Era destino che le nostre strade si incrociassero nuovamente." disse il guerriero, togliendo allo jarle ogni dubbio.
"TU!" E in quel "tu!" vi era un accusa infinita di tradimenti e odio e paura.
"Io." Ribatté il cavaliere, togliendosi l'elmo e rivelando il volto scaglioso di Haaran, con tre cicatrici parallele che gli sfregiavano il lato sinistro del volto. Per il resto, Coda-Spezzata era rimasto uguale all'ultima volta che si erano incontrati: la stessa oscurità che trasudava da ogni nera scaglia. Gli stessi occhi azzurri come il ghiaccio, e acuti come quelli di un rettile.
"Che gli dei ti maledico mille volte, Coda- Spezzata!"
Un fulmine strinò i capelli di Ulfric, mancando la sua testa per meno dello spessore di una freccia:
"Attento a ciò che dici, uomo, o ti mozzerò la lingua." al contrario di Coda- Spezzata, l'elmo della strega rimase al suo posto, dandole un aspetto alieno e insondabile.
La situazione avrebbe avuto un breve epilogo, se un uomo brizzolato con addosso la corazza imperiale non fosse sopraggiunto sulla scena:
"Ben fatto, Dovahkiin. L'impero ti è debitore per i tuoi servigi e mi assicurerò che i tuoi sforzi siano ricordati."
Coda- Spezzata si calò nuovamente in testa l'elmo, prima di rispondere:
"Ho solamente servito l'impero, generale Tullius."
"Ah, valoroso e umile: ciò ti fa onore."
Ulfric si chiese come facesse il generale Tullius a non sentire l'odio terribile nascosto nella voce di Coda- Spezzata: sembrava fosse pronto a mangiarlo vivo.
"Veniamo a noi, Ulfric." disse il delegato imperiale avanzando per la sala: "Sei accusato di ribellione, assassinio di cittadini imperiali e dell'uccisione del re Torygg, oltre ad alto tradimento nei confronti dell'impero. È finita."
"Non mi arrenderò mai, Imperiale."
"Non puoi sfuggirmi questa volta, Ulfric. Ma se ti arrendi, ti prometto una giustizia equanime e una morte onorevole. Se resisti, ti scannerò lì dove sei, senza onore né gloria."
La risposta di Ulfric fu un urlo, lo stesso che aveva scardinato le porte del suo palazzo e lo stesso con cui aveva ucciso il re dei re Torygg.
"FUS RO DAH!" disse con voce di tuono.
Il Generale Tullius fu sbattuto dall'altra parte della stanza  come una bambola, e, proprio come una bambola, privo di coscienza.
"Sporco Imperiale! Credevi fossi uno dei tuoi deboli re? Io sono... AH!" disse Ulfric mentre una freccia si piantava nella sua spalla.
"Legato Rikke!" disse il Nord accogliendo la donna che era appena entrata, il comandante delle truppe imperiali, seconda solo a Tullius.
"Mi divertirò immensamente a ucciderti, traditrice!" disse, brandendo la sua ascia e avanzando verso la donna.
"ULFRIC! Sono io il tuo avversario. Confrontanti con me!" disse Coda-Spezzata, sbattendo la spada sullo scudo con un clangore di ferro, in un gesto di sfida.
"DOVAHKIIN!" Urlò Ulfric mulinando l'ascia.
Coda- Spezzata lo ricevette sul suo scudo, lasciando che la forza del colpo gli riverberasse nel braccio. Poi spinse, costringendo Ulfric a indietreggiare, sbilanciato dal suo stesso impeto.
La guardia rimase aperta per un momento, forse meno, ma Coda- Spezzata colpì, e colpì bene: Ulfric venne trafitto come un maiale, cadendo a terra sanguinante, la vita che fluiva via da lui assieme al suo sangue.
E mentre il ribelle moriva a terra, Coda- Spezzata gli rivolse parole di morte:
""La mia spada è chiamata la Suppliziante, Ulfric: tu sei il primo uomo a resistere a più di un fendente: quando giungerai a Sovengard, parla di questo agli eroi laggiù. Sei morto con onore."
"Dammi... dammi una nobile morte, Dovahkiin." rantolò Ulfric, mentre la sua vista già si offuscava: "Dammi una morte che possa essere cantata dai bardi. Dammi una morte che possa essere ricordata. Dammi una morte da uomo di Skyrim."
All'inizio, il cavaliere che torreggiava su di lui non disse nulla; poi rinfoderò la spada e affermò solenne:
"Come tu desideri. Ulfric Manto della Tempesta: sei stato lo strumento di morte di molti uomini. Hai usato il Thu'um, la voce dei draghi, per uccidere re Torygg. È dunque giusto che sia il Thu'um a darti la morte."
Ulfric non ebbe tempo di prepararsi, perché subito dopo, Coda- Spezzata pronunciò tre parole terribili, l'essenza della rabbia e dell'odio che bruciano con l'intensità di mille soli:
"YOR TOOR SHUL!" Fuoco, Inferno e Sole, in lingua Draconica.
Ed un Ade bruciante consumò il suo corpo, fino a quando di Ulfric Manto della Tempesta non rimasero altro che ossa annerite dal fuoco e cenere.
"Rallegrati Ulfric." disse la Strega Maryon, affiancando Coda- Spezzata.
"Rallegrati, perché la tua volontà non andrà perduta."
Queste enigmatiche parole, solo il legato Rikke le sentì, mentre ancora cercava di far rinvenire il generale Tullius.

Poi fu il tempo dei festeggiamenti e del dolore: la guerra che tante vite aveva mietuto era finalmente finita. Le vedove poterono rassegnarsi e coloro che avevano perso un parente, da ambo le parti, seppero che era finita: le sale dei morti non avrebbero accolto nessun altro per quella guerra.
Fra i falò Imperiali, nessuno vide il Dovahkiin sparire fra le ombre, inghiottito dalla foresta come se ne facesse parte. Nessuno, a parte il legato Rikke.


***

"Tutto è pronto, Uditore."

"Hai fatto esattamente tutto quello che ti avevo chiesto Babette, ben fatto."
"Confratelli, questa notte più che mai, dovrà risuonare delle nostre grida e dei nostri colori. Mostriamo a Skyrim che noi non siamo ancora estinti!"
"Per Sithis!"
"Per Sithis!"
Dall'ombra del folto degli alberi, Rikke osservò uno strano consesso di persone riunite attorno al Dovahkiin: tutte indossavano vestiti rosso sangue, con pesanti sciarpe e cappucci a nasconderne il volto. Rikke notò anche una bambina, quella che Coda- Spezzata aveva chiamato Babette, aggirarsi tra gli adulti come se fosse una di loro.
Il freddo metallo di una lama appoggiato sul collo, le fece capire che avventurarsi fra gli alberi da sola era stata una pessima idea.
"Delegato Rikke, è considerato maleducazione origliare, perché non si unisce a noi?" le chiese la voce di Brelina Maryon. Incapace di disobbedire, Rikke eseguì l'ordine che la mano sulla sua schiena e la lama sul suo colle le imponevano.
La loro uscita dal fogliame non provocò particolare sorpresa fra i personaggi lì riuniti e Coda- Spezzata le rivolse anche un amichevole saluto:
"Delegato Rikke, mi chiedevo quando si sarebbe unita a noi: spiare dalle tenebre non è molto onorevole né per una Nord né per un delegato imperiale."
"Chi sono queste persone?" chiese Rikke, quando il coltello puntato alla sua gola fu tolto: aveva già una mezza idea di chi fossero gli incappucciati, ma era talmente folle da essere incredibile.
"Andiamo Delegato Rikke, mi vuole dire che non riconosce i Discepoli di Sithis? I figli della Madre Notte? La Fratellanza Oscura degli assassini di Skyrim?"
Un brivido gelido corse per la schiena di Rikke: la gilda degli assassini era la famigerata confraternita degli omicidi. Tutti i suoi membri erano psicopatici e violenti, gli estremi folli e sanguinari della società: si dicevano molte cose su di loro, ma Rikke credeva che la realtà fosse anche molto peggio.
Ma perché Il Dovahkiin, l'eroe di Skyrim, si mescolava a queste spregevoli persone?
"Oh povera Rikke, non riesce ad accettare la realtà. Posso darti un bacino se lo vuoi: ti farà sentire molto meglio, te lo prometto."
Rikke abbassò lo sguardo sulla bambina che aveva parlato, Babette, incontrando due iridi rosse come il sangue, che sembravano rifulgere al buio: la bambina le rivolse un sorriso terribile, mettendo in mostra due piccole zanne candide.
Rikke tentò di allontanarsi, perché capì di essere alla presenza di una delle più disgustose creature di Tamriel: un vampiro.
"Legato Rikke, mi permetta di presentarle Babette, l'alchimista della nostra piccola famiglia." disse Coda- Spezzata.
"Un va... Un va..."
"Già sono un vampiro, e da più di trecento anni ormai. Complimenti, Rikke: la sua capacità di osservare l'ovvio è sorprendente per una Nord come lei."
disse la bambina- che- era- vecchia.
Coda- Spezzata alzò la mano, in un gesto pacificatore:
"Fermi Confratelli, non c'è ancora bisogno di agire."
Solo allora Rikke guardò anche le altre persone nella radura, che avevano già estratto le loro lame e la guardavano con gli occhi lucidi di un folle.
"Come tu desideri, Uditore." disse Babette, quel piccolo mostro, con una vocina tutta zucchero e miele.
"Immagino lei abbia molte domande." disse educato Coda- Spezzata, mentre cominciava a togliersi l'armatura.
Rikke si limitò ad annuire, ma non riuscì a dire una sola parola: scoprire che il Dovahkiin, il loro eroe, era in combutta con la Fratellanza Oscura era un colpo dal quale la sua mente doveva ancora riprendersi.
"Ulfric aveva ragione, non è vero?"
Questa domanda la colse completamente impreparata e Rikke non seppe cosa dire:
"Ulfric aveva ragione." ripeté Coda- Spezzata. "Al di là della sua arroganza e della sua sete di potere aveva ragione: c'è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese. L'impero è debole da troppo tempo e sono i Thalmor a dettare legge nelle terre dell'Uomo. Questo non è giusto. Questo non deve essere e questo non sarà."
Posando a terra il pettorale e cominciando a togliersi gli schinieri, Coda- Spezzata continuò:
"Voglio narrarle una profezia, Rikke, una profezia delle cose che saranno e che spero le farà meglio comprendere il passato e il futuro. Starà a lei decidere se essa è vera o falsa.
Ci sarà dunque una volta, un giorno di mezza estate, nell'anno 202 della quarta era, una pace duratura nella terra di Skyrim. I barbari ribelli dei Manto della Tempesta sono in fuga, dispersi nei venti da cui prendono il nome. Lo stesso Imperatore ha ragione di essere felice e per tributare un giusto premio ai suoi legati a Skyrim, viaggerà a bordo di una nave e attraccherà a Solitude, la roccaforte imperiale retta da Elisif la bella. Ma ecco che, all'apice della vittoria suprema, quando le guardie saranno inebriate dal vino e dalla gloria, nel massimo momento di compiacimento, una terribile tragedia funesterà tutta Tamriel: l'imperatore morirà, per un pugnale venuto dalle ombre che spaccherà il cuore del nostro amato sovrano. Ma non tema, Legato Rikke, perché l'assassino non riuscirà a fuggire: essa sarà catturata e sarà portata di fronte alla giustizia degli uomini.
Riesce ad immaginare, legato Rikke, riesce ad immaginare, lo stupore e lo sdegno, e poi la rabbia, quando si scoprirà che l'assassino altri non è che l'ambasciatrice Elenwen, capo dei Thalmor a Skyrim?"

Era un idea troppo enorme, perché Rikke la potesse accettare subito: Coda- Spezzata lasciò che il silenzio accogliesse la sua domanda, continuando meticolosamente a spogliarsi, fino a quando non rimase solo con una misera striscia di tessuto attorno alla vita.
Il legato Rikke notò con stupore che per quanto umanoidi, gli Argoniani erano pur sempre rettili: Coda- Spezzata non aveva alcuna caratteristica umana, per quanto fosse di forma simile a quella dell'uomo: scaglie nere come la notte gli coprivano anche il petto e le gambe. In effetti l'unica nota di colore su tutto il suo corpo era costituita dagli occhi, azzurri come il ghiaccio e intensi come il fuoco, coronati da punte e corni aguzzi, che davano al Dovahkiin l'aspetto di un drago nero di dimensioni umane.

Assassinare l'imperatore? Che enormità.
Ma... ma Ulfric, su questo almeno, non si era sbagliato: serviva un uomo più forte per guidare l'impero, un uomo che Tidus Mede II purtroppo non era.
Ma uccidere l'imperatore? Ogni goccia del suo sangue Nord fremeva di fronte all'orrore di questa idea.
"Ammettiamo pure che questa profezia possa avversi, anche se non vedo come..."
"Di questo non si deve preoccupare: la madre oscura mi ha parlato e dunque Tidus Mene II morirà. Elenwen sarà... convinta ad incolparsi del pugnale fatale e per questo la storia la ricorderà come l'assassina di un Imperatore." dicendo questo, Coda- Spezzata posò affettuosamente una mano scagliosa sulla testa della piccola Babette, che sorrise come l'angelo del male, mostrando le sue aguzze zanne.
"La nostra Babette qui, ha... un dono quando si tratta di ammaliare la gente: quando ha fame, le persone sono... più che desiderose di aiutarla."
Babette si passò la piccola lingua sulle labbra, mentre i suoi occhi rossi si spalancavano: a Rikke, sembrò di immergersi in due pozze di sangue, e in esse, scorse il Vuoto.
Rikke distolse lo sguardo da quegli occhi orripilanti; da quel mostro in forma di bambina.
"Perché?"
"Una domanda pertinente, legato. Dopo il come, il perché è senz'altro la domanda più adatta da fare in questo momento. OH! OH!" disse un giovane uomo della confraternita, gli occhi spiritati che la fissavano.
"Silenzio, Pitagora."
"Ma certo, Uditore, le mie scuse."
"La prego di perdonare Pitagora: lo abbiamo preso con noi perché fosse il nuovo giullare della nostra piccola confraternita. Abbaia un poco, ma non morde: si limita a pugnalare e a sfregiare.
Per rispondere alla sua domanda, Legato, la motivazione, il perché non è niente altro che la gratitudine: Skyrim mi ha nutrito. In essa ho trovato poteri e tesori, ho trovato una moglie e molti compagni. Skyrim, questa terra benedetta dagli dei e dai demoni, mi ha dato molto. Desidero ripagarla: perché per quanto io abbia peccato, alla fine Skyrim mi ha dato ogni cosa che potessi volere e poi ancora un po'.
Io non sono un ingrato, Rikke: io pago sempre i miei debiti. Servirò dunque Skyrim, e le darò ciò che più desidera: la libertà dal giogo straniero. Ma al contrario di Ulfric, non lo farò per gloria personale, né per il potere: dunque non sono forse il candidato migliore per dare ai Nord ciò che hanno sempre desiderato?"
Rikke rimase silenziosa ad assorbire quelle parole e un'idea la colpì improvvisa:
"Hrothgar Alto..."
Coda- Spezzata sorrise, di un sorriso sottile come la lama del boia:
"Ah, sì: quello fu il mio piccolo capolavoro. Mentre litigavate rabbiosi sul trattato di tregua, senza accorgervene avete tutti danzato nel palmo della mia mano: ai tempi, a Winterhold mi chiamavano già Arcimago, mentre a Riften sono.. come un'ombra, che comunica con altre ombre. E poiché quelle due città erano già in mano mia ai tempi del trattato di Hrothgar Alto, non di Ulfric, non volevo che il generale Tullius andasse a ficcare il naso dove non doveva."
Rikke era come stregata: lo shock era troppo forte perché potesse rispondere. Non poteva fare altro che chiedere ancora, sporgendosi su di un abisso che non sapeva nemmeno esistesse:
"Anche Markarth?"
"Anche Markarth," annuì Coda- Spezzata "Caduta in mano ai rinnegati pressappoco nello stesso momento in cui i Manto della Tempesta tentavano di insediarsi nella città: si è mai chiesta come hanno fatto i barbari del reach a giungere in città? Chi crede che li abbia uniti e dato loro le armi e le preziose informazioni per cacciare definitivamente i ribelli Manto della Tempesta?"
Non c'era bisogno di rispondere a quella domanda e comunque Rikke non poté chiedere, perché Coda- Spezzata non aveva ancora finito:
"Ma il mio capolavoro, la mia vittoria suprema, è stato fare in modo che Tullius accettasse di prendere in cambio Downstar. Fino all'ultimo ho creduto che quel vecchio arrogante abbandonasse il tavolo delle trattative, piuttosto che accettare, ma quando alla fine si è deciso, oh! Pensavo che avrei urlato dalla gioia. Pensi, legato Rikke, l'avamposto più orientale dell'impero, a due passi dal santuario della Confraternita Oscura: riesce solo a immaginare cosa questo ha significato per me?"
Rikke non aveva bisogno di immaginarlo. Non voleva nemmeno immaginarlo: spie e assassini vestiti con i colori imperiali, che giravano liberamente alla luce del giorno e nell'oscurità si scambiavano giuramenti di sangue in onore di Sithis.
"Io controllo le quattro grandi forze di Skyrim, Rikke, e lo faccio dal dorso del mio cavallo. Non ho bisogno di un palazzo o di una sciocca corte di lacchè: a me basta il cielo stellato e la compagnia di lame fidate. Io, Rikke, sono la spada del nord, figlio di Skyrim quanto ognuno di voi. E con tutto questo potere, io non voglio il dominio, ma di essere usato. Usatemi, attingete a piene mani il mio potere, chiedetemi alleanza, e io vi darò una Skyrim libera, nella quale costruirò Sovengard sulla terra."
"L'impero non può vincere contro i Thalmor." disse Rikke.
Era una protesta che suonava debole, perfino alle orecchie del legato imperiale: il motto di Skyrim non era forse Vittoria o Sovengard? Se anche il loro intento era irraggiungibile, il sangue dei Nord avrebbe preteso che ci provassero comunque. E senza Mede II al trono, l'impero aveva una possibilità, per quanto piccola.
"Ah, ma qui ti sbagli, Rikke: io ho qualcosa da offrire alle truppe imperiali, qualcosa di più terribile della guardia Orsimer. Io ho creature leggendarie, immortali e indistruttibili, ritornate dagli abissi del tempo, che nemmeno i Thalmor, con tutta la loro magia, possono sperare di sconfiggere.
Io ho i draghi."
Mentre lo diceva, la figura di coda Spezzata si fece distorta: con un rumore di carne strappata e ossa scheggiate, Rikke assistette impotente all'orrore, mentre le braccia di Coda- Spezzata si allungavano in modo mostruoso, e la sua figura cresceva a dismisura diventando più alta e spaventosa di quella di un orso delle montagne.
Dove c'erano scaglie, ora c'era pelliccia; dove prima c'erano i suoi occhi da rettile, ora erano tondi. Torreggiando sopra di lei, Coda- Spezzata, ora un lupo di Hircine, ruggì al cielo, gettando il cuore di Rikke nel panico.
"Unisciti a me, Rikke." La voce della belva conservava solo pochissimi tratti di quella di una persona: era un rantolo ed un ringhio basso e sanguinario.
"Unisciti a me, ed avrai ciò che Skyrim vuole. Fai la mia volontà e farai la volontà di Skyrim."
E Rikke, di fronte al terrore e all'orrore, di fronte alla terribile scelta che lei, legato imperiale e Nord veniva chiamata a compiere, lei dovette decidere: i suoi doveri o la sua natura?
"Sarò giusto e terribile come i venti del Nord, Rikke, questo sarò: sarò drago e tempesta, Re, Guerriero, Stregone, Ladro, Assassino, Prete e Nord."
E Rikke infine decise:
"Io servo il Re Drago!" gridò alla foresta, al ruscello e alle stelle.
Come se non aspettasse che quello, la forma mostruosa che era Coda- Spezzata sparì nel folto della boscaglia, come se fosse fatto di nebbia, più veloce di qualsiasi freccia o fulmine, seguito a ruota da tutte le figure radunate nella radura, lanciate all'inseguimento del loro profeta e Re.
"Il tuo primo compito, legato." comandò Maryon dietro di lei.
Rikke si voltò come se avesse praticato molte volte quel gesto particolare negli anni:
"Comandi, mia signora." Una strana luce pervadeva ora anche Rikke: la luce di chi ha trovato il proprio Messiah.
"Prendi quest'ascia: essa apparteneva a Ulfric Manto della Tempesta. Il tuo compita sarà di portarla a Solitude, al Palazzo Blu e darla a Elisif la bella in persona, vedova del re dei re, Torygg. Partirai immediatamente e porterai questo messaggio con te: "Jarle di Solitude, il barbaro crudele ora viaggia verso Sovengard. Egli è morto: Coda- Spezzata, il Dovahkiin, ha posto fine alla sua ribellione, riportando infine l'ordine fra le terre di Skyrim. Egli ti invia quest'arma, come prova e come pegno. Che Elisif la bella torni a splendere come regina di Solitude, perché il suo torto è stato finalmente riparato.""
"Ai tuoi ordini, mia signora." disse Rikke, prendendo l'ascia di Ulfric dalle mani della regina grigia.

Sere Paarthurnax, signore dei draghi, un giorno aveva chiesto al Dovahkiin: "Quale sarà il tuo lascito, mortale? Cosa brucerai nello Yor e cosa invece conserverai?"
E il Dovahkiin aveva scelto.

***

Nell'anno 202 4E, grandi eventi incisero profondamente la storia di Tamriel: la ribellione dei barbari Manto della Tempesta fu stroncata per mano del Dovahkiin, colui che è giunto a Sovengard da vivo per uccidere Alduin, il- Divoratore- del- Mondo, ed è tornato indietro per raccontarlo.
L'assassinio dell'Imperatore Tidus Mede II fu la scintilla che fece divampare i vecchi rancori della guerra contro la dominazione Altmeri: si scatenò un conflitto sanguinoso che durò quasi dieci anni.
Infine, i Thalmor capitolarono, restituendo l'antica gloria e la libertà all'Impero dell'Uomo.
Il concordato oro Bianco fu considerato carta straccia e abbandonato: a Skyrim, l'adorazione di Talos poté nuovamente uscire dalla clandestinità.
Ai nove feudi originali di Skyrim, ne fu aggiunto un decimo, Skuldafn, costruito sulle rovine dell'antico tempio in onore dei draghi. Negli anni a venire, Skuldafn brillò luminosa, unico luogo a Skyrim a non essere governato dai Nord.
Il regno del Re Drago e della Regina Grigia fu lungo e magnifico: la città di Skuldafn divenne la capitale di Skyrim e culla delle arti, della magia e della religione.
In questa città, tutti erano i benvenuti, perfino i draghi.
E un giorno, quasi un secolo dopo la sua fondazione, la città improvvisamente scomparve, come se non fosse mai esistita: alcuni affermano che la città non sia effettivamente sparita, ma che stia viaggiando attraverso le correnti del tempo, e sia destinata a comparire nuovamente alla fine del mondo, come sola superstite della- tenebra- che- sarà.
Le ballate del Re Drago e della Regina Grigia furono cantate in tutta Tamriel nelle era a venire, e per quanto arricchite di particolari, la loro veridicità non fu mai messa in dubbio.

Si tramanda che Skyrim non abbia mai avuto un sovrano più umano del Re Drago.
  
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