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Autore: Ronnie02    25/11/2011    4 recensioni
I fratelli Leto hanno paura dell'amore, ormai è chiaro. Ma se fosse per precedenti e struggenti esperienze? Chi sono le ragazze che li hanno incantati? Che cosa è successo?
E se tornassero nella loro vita, riportando quella brama di desiderio puro in loro, invece che solita voglia di una botta e via?
Spero di avervi incuriosito!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'One Day Maybe We'll Meet Again'
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    Ciao Echelon! Bentornati a questa storia. Sono rimasta impressionata con il primo capitolo per i 48 mi piace tramite Facebook... un record per me! Questo vuol dire che, anche se molta gente non ha recinsito perchè non ha un account EFP, ha letto e gli è piaciuta.... GRAZIE!
Quindi, felice e sorridente, vi lascio al nuovo secondo capitolo, dove arrivano.... bè, non ve lo dico, tanto lo sapete già xD



Chapter 2. You Drive Me Crazy
 
 

Lavata, pulita, truccata e profumata. Mancava… vestita! Ero di nuovo in asciugamano – me e le mie fissazioni sul fare costantemente la doccia ogni volta che mi sporcavo anche minimamente – e me ne stavo in camera mia senza fare assolutamente nulla. Ore: una  e dieci. Ad arrivare a casa della mia vicina ci avrei messo meno di sessanta secondi, perciò potevo dire di essere anche in anticipo.
Mi avvicinai all’armadio e l’aprii, cercando qualcosa di casual, ma non troppo, ma nemmeno di elegante, anche se qualcosina ci stava.
Alla fine decisi per una camicia rossa e dei pantaloncini neri, accompagnati dalle mie amate All Stars basse e nere. Raccolsi i capelli in due treccine basse e mi rimisi i miei milioni di braccialetti, i miei usuali tre anelli per mano, i miei orecchini a stella neri e le mie solite quattro collanine al collo. No, non ero fissata con gli accessori, no!
Scesi di sotto e guardai il mio orologio nero, che avevo ormai da due anni da un regalo di mia zia. Ero in anticipo ancora di dieci minuti.
Controllai in giro che tutte fosse al proprio ordine, sistemai freneticamente i quadri della sala aspettando che il tempo passasse, e alla fine uscii di casa, mettendo la chiave nella tasca destra dei pantaloni, mentre nell’altra misi il telefono.
Una e ventisette: dlin dlon!
“Oh, ciao cara! Accomodati prego, sei ancora la prima che arriva”, mi aprì la porta la donna bionda facendomi segno di entrare. Ero la prima?! Ma se mancavano tre minuti a e mezza? “Ti mostro la casa, così non ti annoi mentre li aspettiamo. Dovrebbero arrivare a momenti”.
Si vedeva che Constance era paziente e conosceva i suoi figli. Capivo che anche se diceva così, dentro di sé non li aspettava davvero prima delle due, ma ovviamente non voleva essere scortese.
Pure io di solito ero ritardataria, perciò la cosa non mi diede fastidio. Era solo quando uscivo con qualcuno la prima volta o comunque con un estraneo che cercavo di arrivare in anticipo, visto che non sapevo quale sarebbe stata la sua reazione.
La casa di Constance era bellissima. Aveva un salotto grande ed elegante, con un bel caminetto, ora spento, a governare la scena. In cucina ora erano presenti tutti i cibi che avremmo dovuto mangiare e già mi sentii male. Era davvero troppa roba, avrebbe potuto sfamare dei nomadi egizi che viaggiavano per anni senza vitto!
Poi mi fece vedere lo studio barra camera della musica. A quanto pareva i suoi figli suonavano la chitarra e la batteria e usavano quella per strimpellare un po’. Avevano una piccola band ma non ancora un album di debutto o roba del genere.
“Non ho idea del perché le tengano ancora qui, visto che ora abitano da soli. Forse perché queste sono le prime che hanno usato”, commentò lei, quando le chiesi perché erano lì. “Infatti per la maggior parte delle volte vengono qui a suonare, anche se ora non lo fanno così spesso”.
“Non suonano più?”.
“No, anzi, ma ci sono problemi di membri e il più delle volte vengono qui solo per sapere un mio commento se devono fare un piccolo concerto nei dintorni. Spero che riescano in questa impresa, la musica è sempre stata nei loro cuori”, sorrise. “Quando erano piccoli non si addormentavano con le storie, ma solo con le canzoni”.
Ridacchiai con lei e poi salimmo al piano superiore. Era una casa simile alla mia come struttura, ma altamente più bella.
Come me, aveva il bagno e le camere, ma tutti erano arredati benissimo. La prima camera era la sua, con un letto matrimoniale e una grande finestra da cui, molto in lontananza, se stringevi gli occhi, potevi vedere il Red River.
Poi dall’altra parte c’era una stanza più grande, divisa in due, rispettivamente dei due suoi figli. Erano completamente anonime, come la camera della donna. Non c’erano aspetti caratteriali. Erano come la mia, appena entrai in casa. Piatte.
Il campanello suonò una seconda volta e Constance fece un sorrisone, scendendo subito di sotto e invitandomi a fare lo stesso. Diedi un’ultima occhiata alla camera e notai le uniche due note caratteristiche: una foto di due bambini con i testa dei sacchetti di carta, appesa al divisorio verticale, e quattro strani simboli scritti in pennarello indelebile sotto di essa. Chissà che volevano dire…
Scossi la testa e scesi da Constance.
“Eccola qui! Ragazzi, vi presento Veronica McLogan, la mia nuova vicina di casa”, mi presentò mentre scendevo ancora le scale, attenta a dove mettessi i piedi. “Sta nella casa qui a fianco, dove c’era il vecchio Billy”.
Alzai lo sguardo immediatamente, sentendomi chiamata in causa, e mi accorsi della presenza di due ragazzi accanto alla mia nuova e unica “amica”. Uno era alto, pallidino, con i capelli scuri e un po’ lunghi, e con due occhi azzurro-grigi come la madre. L’altro era più basso, meno muscoloso, occhi verde-marroni, con i capelli cortissimi e scuri, e con i tratti facciali tutti i Constance.
“Loro sono i miei figli Shannon e Jared”, mi disse sorridendo e indicandoli uno ad uno.
“Piacere”, dissero in coro avvicinandosi per porgermi la mano. Io strinsi loro le mani e poi gli sorrisi, forse per non sentirmi così estranea alla situazione. In fondo era una specie di pranzo di famiglia e io non c’entravo una beata mazza.
“Come hai detto che ti chiami?”, chiese quello dallo sguardo di ghiaccio, Jared.
“Veronica. Ma di solito mi chiamano Vero”, risposi in un sorriso, di nuovo.
“Vero? E che soprannome è Vero?”, si stupì facendo una smorfia. La madre sgranò gli occhi, ma io ridacchiai.
“Nah, hai sì la faccia da Veronica”, disse l’altro, Shannon, sottolineando il mio nome con un tipico accento americano. Mi faceva ridere il mio nome così, ma sapevo che dovevo attendere una decina d’anni e se fossi rimasta lì l’avrei pronunciato nello stesso modo. “Ma non da Vero. Jay, dai, scervellati e troviamo un nickname per Veronica. Veronica… Ve… ro… ni… ca…”.
“Ronnie!”, esultò Jared sorridendo e battendo le mani. Cosa aveva detto Constance quella mattina? Ventinove anni il più piccolo e sono ancora delle pesti!
“Già! E bravo il mio fratellino”, si complimentò Shannon, senza nemmeno prendermi in considerazione. Ehi, era il mio nickname! “Che ne dici… Ronnie?!”.
Ah, ecco. “Non lo so, fate come vi pare”, dissi aggiungendo mentalmente “tanto mi chiamerebbero così ugualmente”.
“Avete finito, voi due? Lasciatela un po’ in pace o si spaventa e mi abbandona di nuovo, lasciandomi da sola”, li zittì Constance, indicandoci il tavolo da pranzo per cominciare a mangiare. Mi sedetti vicino a Constance e di fronte a Shannon.
“Allora, come ci sei finita in quella baracca?”, mi chiese Jared sporgendosi un po’ oltre suo fratello per focalizzarmi.
“Ehm… mi sono trasferita ieri qui da Milano, dopo aver finito gli esami e aver preso il diploma di un liceo scientifico-linguistico”, raccontai in breve. “Volevo una nuova vita, visto che anche mio fratello, che ha ventisei anni, si è trasferito da un bel po’”.
“Quanti anni hai tu?”.
“Diciannove”, sorrisi vedendo gli occhi di Shannon sgranarsi.
“Sembri più grande, sai?”.
“E tu sembravi più intelligente! Ti ha detto che ha appena preso il diploma!”, ribatté Jared facendo la faccia da come fa questo ad essere mio fratello?. “Aspetta, però, qui il liceo di finisce a diciotto anni. Ti hanno bocciata?”.
“No, noi facciamo cinque anni, non quattro”, specificai io. Era vero, gli americani arrivavano fino al quarto anno di high school, e non cinque come noi.
“Wow… che storia”, commentarono insieme. Se non fosse che si vedeva altamente dall’aspetto fisico, avrei giurato che fossero gemelli. Poche volte che li avevo sentiti parlare, dicevano le stesse cose insieme.
“Eccoci qui!”, arrivò Constance a farli stare zitti ancora una volta, con in mano un vassoio che portava fin troppe cose buone. Shannon e Jared sorrisero e cominciarono a mangiarsi il cibo con gli occhi.
“Buoni voi, prima le signore”, sorrise lei facendo loro una specie di linguaccia. Risi a vedere i bronci dei figli sostituire i precedenti sorrisi.
Odiavo lasciare le cose nel piatto, anche se mi succedeva spesso, soprattutto quando mi ospitavano, perciò evitai di farmi dare porzioni megagalattiche di cibo e mi obbligai a mangiarle tutte.
“Sul serio mangi così poco?”, chiese Constance il mio piatto mezzo vuoto e quelli trasbordanti dei suoi figli.
“Si vede, è magra come uno stecchino ed è pallida come un cadavere”, commentò Jared.
“Parla quello abbronzato”, sussurrai anche se mi sentii. Fece per aprire la bocca, ma poi la richiuse, non sapendo controbattere.
“Oddio, hai zittito Jared Joseph Leto!”, si stupì Shannon. “Ti prego, sposami!”.
Sgrani gli occhi, manco avessi salvato la vita di qualcuno, e non seppi più cosa dire. Constance si mise a ridere, chiedendo al figlio di smetterla di fare l’idiota, Shannon mi sorrise come a farmi capire che stava scherzando e Jared sbuffò, continuando a fissare il suo piatto, facendo cadere dei capelli davanti al viso quasi a formare una barriera.
“Oh, povero piccolo Jay”, lo prese in giro il fratello. “Mi dispiace tanto, ti abbiamo offeso?!”.
“Vaffanculo”, rispose  lui non spostandosi di un centimetro. Uh, permaloso il ragazzo.
“Eddai, piccolo Jay, non fare il cattivo”, continuò Shannon ridendo sotto i baffi. Constance sbuffò e tornò in cucina. Mi alzai e la seguii.
“Capisci perché non averli intorno a volte è un bene?”, ridacchiò tirando fuori dal forno in prossimo pasto. Oddio, ma mi voleva uccidere? Sarei morta con tutto quel cibo, e avrei risolto il problema di non fare la cena quella stessa sera.
“Sono sempre così?”, chiesi cercando di aiutarla in qualche modo.
“Sempre. Lo erano, lo sono e, ne sono sicura al cento per cento, continueranno ad esserlo per il resto dei loro giorni. Prima o poi mi faranno diventare pazza”, disse indicandomi di tornare al tavolo, visto che aveva fatto tutto da sola. “Grazie comunque”.
Al nostro ritorno Jared e Shannon erano ritornati due bravi fratelli e parlavano di varie possibili canzoni che avrebbero voluto incidere se un giorno ne avrebbero avuto la possibilità.
“Ma voi che fate oltre a suonare?”, chiesi intromettendomi nei loro discorsi.
“Qualche lavoretto in giro, niente di troppo complicato, oltre ai soliti concerti che qualcuno ci offre”, disse Shannon.
“Io invece ho fatto un film! Si chiama Requiem For A Dream, uscirà il 27 ottobre”, si montò la testa il fratello. Ma era simpatico, ed era giusto che si pavoneggiasse per una sua meta, anche se non troppo. In quel caso avrei provveduto io stessa a spaccargli la faccia.
“Wow, com’è girare un film?”, chiesi interessata. Da piccole io ed Andy ci divertivamo a creare nostri film e a fare finta di essere persone che mai saremmo diventate: una maestra, uno spazzino, un avvocato, persino una bambolina ed un carillon.
“Fantastico! Ma estremamente difficile… a proposito mamma, portami un po’ di zucchero!”, chiese sorridendo Jared.
Feci una faccia confusa e Shannon non tardò con la spiegazione. “Il regista gli ha chiesto di astenersi a diverse cose, tra cui lo zucchero per qualche mese”.
“Forte”, commentai, anche se non avevo la benché minima idea per il quale avrebbe dovuto farlo.
“Magari se questi due non ti hanno fatto ancora scappare, potreste andarlo a vedere insieme”, disse Constance, dopo aver fatto una smorfia al figlio come per dirgli non cominciare a fare l’idiota.
“Sarebbe divertente”, commentò subito Jared, che già aveva finito di mangiare il secondo e aveva mezza bocca piena. Si sentii un colpo e, ci avrei potuto giurare l’anima, qualcuno pestò i piedi al ragazzo. Strinse le labbra e chiuse gli occhi per qualche secondo, evitando di parlare ancora.
“Sì, ma ora è presto, manca ancora un sacco di tempo”, riprese Shannon evitando di ridere. “Tu invece che fai?”.
“Lavoro qua vicino. Alla pizzeria e ristorante L’italiano”, ridacchiai. Oh, il fato cosa mi portava a fare. “Penso che mi abbiamo presa solo per il fatto che vengo dall’Italia”.
“Eri di Milano, no?”, chiese la donna.
“Nei dintorni”, corressi.
I seguenti minuti furono stranamente tranquilli e silenziosi. Vedevo Jared ticchettare con le dita sull’altro braccio, mentre io ero calma. A molte persone il silenzio mette imbarazzo se si è in due o più, invece a me piaceva. Molte volte, a degli appuntamenti, rimanevo ferma  fissare il cielo restando zitta e molti ragazzi si lamentavano per questo, come fosse un difetto.
“Come mai qui?”, chiese Shannon all’improvviso.
“Cosa?”.
“Come mai ti sei trasferita qui a Bossier City?”, continuò. “Voglio dire, di solito si scelgono città come New York, Los Angeles o Seattle… non una piccola cittadina come Bossier City”.
“Non mi sono mai piaciute le grandi città”, riposi semplicemente. “O almeno non per viverci tutti i giorni per il resto della mia vita”.
“Ottima scelta, brava”, sorrise Constance. “Noi invece siamo qui da quando è nato Shannon, più o meno”.
“Già, abbiamo fatto un po’ di avanti e indietro per gli Staties, ma alla fine mamma è tornata qui”, riprese Jared. “Io e Shan per ora abbiamo trovato una casa qui, ma presto andremo a Los Angeles… è meglio per la band”.
“E magari per altri film, no?”.
“Certo!”.
“Progetti futuri oltre al ristorante?”, mi chiese Constance, come una mamma preoccupata.
“Ci penserò nel futuro”, sorrisi. Per ora andava bene così, magari l’anno dopo mi sarei iscritta a qualche college, visto che ora non avevo abbastanza soldi, e avrei ripreso a studiare. Sapevo che avrei dovuto saltare un anno, se mi fosse trasferita, ma avevo deciso così lo stesso. Andy invece sarebbe andata subito all’università di Arte e Cultura di Francoforte.
“Non sono abituata a farmi grandi progetti di vita, non li ho mai fatti”, specificai dopo qualche secondo. “Già decidere il giusto liceo fu traumatico, non avevo idea di che avrei voluto fare da grande e le scelte possono sempre cambiare, così scelsi un miscuglio: scienze e lingue. Non mi piace abbattere delle possibilità, perché non sai quale sarà la migliore”.
“Ma bisogna sempre fare delle scelte”, commentò Jared.
“Certo, per esempio ho dovuto scegliere tra Milano e Bossier City. Forse lì avrei trovato la mia anima gemella e ora invece resterò sola. O forse la troverò qui. Magari qui troverò la carriera e se fossi rimasta a Milano chissà che avrei fatto”, risposi. “Ma perché prendere scelte per il futuro, se tutto può cambiare da un momento all’altro?”.
“Che vicina saggia!”, rise Constance per evitar un’atmosfera troppo pressante. Me lo diceva sempre la mia prof di italiano che mi facevo troppi problemi! Avrei dovuto fare la filosofa…
“Già… però è una bella filosofia”, commentò Jared. Appunto.
“Come se lui conoscesse qualcosa sulla filosofia”, ribatté il fratello facendomi ridere. “Non mi sapresti dire nemmeno il nome di un filosofo”.
“Cosa?”, s’offese Jared. “Tu… brutto figlio di… scusa mamma!”.
Lei scosse la testa, disperata e volse lo sguardo verso di me, come a dire perdonami per averti fatto conoscere questi due.
“Dai, prova”, lo sfidò Shannon.
“Ma che ne so io!”, sbuffò lui. Appunto. “Questo non vuol dire che non possa essere un filosofo!”
“Ah ah… divertente questa, come se tu avresti la capacità di ragionare un pensiero intelligente”, scherzò il fratello maggiore.
“In verità in greci pensavano che ogni persona che è capace di pensare – in pratica tutti – potesse essere in grado di comporre una teoria filosofica”, feci la saputella, visto che me lo ricordavo ancora, grazie al recente esame.
“Ah! Visto? Maledetto te, fratello”, disse Jared battendo il suo palmo contro il mio e ridendo.
“Ma dovevi proprio dirlo?”, mi supplicò Shannon sbuffando.
“Scusa”, scherzai , guardando Jared battere le mani e parlottare da solo su quanto fosse bravo o inveire contro il fratello.
“Ragazzi finitela… anzi, ora porto il dolce così state zitti”, se ne andò di nuovo Constance. Ma voleva stare ferma qualche minuto quella santa donna?
“Oh, buono! Dolce…”, finse di sbavare, Jared, facendomi ridere. Mentre Shannon si mise subito dritto sulle sedia, per provare a sbirciare dentro la cucina.
Nel mentre un ricciolo rosso mi cadde sugli occhi e lo rimisi al suo posto, dietro l’orecchio.
“Hai dei capelli fantastici!”, commentò Jared, che si era distratto dal dolce. “Non sono rossi, ma nemmeno marroni… sembrano fatti di rame”.
Risi. Avevo sempre odiato il colore dei miei capelli. Nel medioevo, le rosse erano considerate le streghe per eccellenza perché quella sfumatura così inusuale riportava alla mente il fuoco dell’inferno.
"A te non piacciono?”, chiese il fratello notando che avevo fatto una smorfia.
“Le persone con capelli del genere vengono abbastanza prese in giro”, commentai evitando la spiegazione storica e da nerd. Meno male, arrivò Constance a salvarmi da altri commenti.
“La torta preferita dei ragazzi: la torta al cioccolato e le pere”, annunciò Constance mettendo in tavola la meraviglia. I ragazzi ne mangiarono una tonnellata – praticamente la finirono solo loro – mentre io e la loro mamma ne mangiammo al massimo due fette.
“Fanno schifo”, sussurrò Constance in un sorriso. “E io che credevo si sarebbe comportati decentemente in presenza di una ragazza”.
La guardai curiosa. “Cosa? Adesso sono offesa”.
Lei mi guardò, e vedendo il mio sorriso, ridacchiò. “Mi dispiace di averti usata per trasformare questi due in persone decenti, ma a quanto pare è stato tutto inutile. Ma almeno tu hai conosciuto qualcuno”.
“Già, due pazzi”, continuai, vedendo che Shannon prendeva l’ultima fetta e Jared che gli saltò quasi addosso dicendo che era la sua.
Constance prese il piatto, ora vuoto, e tornò in cucina, dicendomi di stare pure seduta che faceva da sola.
“A che ora dobbiamo andare, Shan?”, chiese Jared perdente, visto che il fratello si era aggiudicato la torta.
“Tra dieci minuti partiamo, calmati. E se arriviamo in ritardo fatti suoi, tanto senza di noi non può fare niente”, disse con fare malefico, riferendosi a non so chi.
“Tu che fai oggi, occhi-belli?”, mi chiese Jared voltandosi verso di me.  Cosa?
“Hai già trovato un nuovo soprannome?”, chiesi fingendomi scocciata… e in effetti lo ero. Come mi aveva chiamata?
“Hai dei begli occhi… Ronnie. Allora che fai?”.
“Oggi starò a casa, mentre domani comincio alle sei il turno di lavoro. Mi tocca il turno serale agli inizi e visto che è estate c’è anche più gente”, dissi cercando di capire cosa aveva in mente.
“Buono a sapersi”, tagliò corto Shannon diventando un po’ irrequieto e tagliando i tempi. “Ora ci conviene andare, va”.
“Ma avevi detto dieci minuti!”, s’intestardì Jared facendo il broncio come un bimbi di cinque anni.
“E ora dico che andiamo. Se no ti prendi le tue gambine e torni da solo”, sbuffò Shannon alzandosi e andando a salutare sua madre. Quando  fece leva con il braccio destro sul tavolo per alzarsi, mi stupii: non avevo notato la muscolatura che aveva sulle braccia, all’inizio. Doveva essere lui il batterista di famiglia.
“Che gli è preso?”, chiesi a Jared che guardava il fratello salutare Constance. Come mai all’improvviso voleva subito andarsene?
“Non chiederlo a me, a volte è tutto fuori”, disse facendo una smorfia e alzandosi anche lui. “Mi sa che mi tocca andare”.
Mi alzai e gli porsi la mano per salutarlo. “Mi sono divertita oggi, siete davvero simpatici”.
“Sì, anche tu. Magari ci vediamo in giro”, disse stringendo la mia mano e non mollandola. “Sappiamo dove abiti”.
“E’ una minaccia?”, ridacchiai facendo scivolare le mie dita dalle sue senza essere troppo rude.
“No, scherzo. Ora vado a salutare mamma”, disse per poi dileguarsi con il fratello.
“Ciao Ronnie”, mi salutarono tutti e due, quando uscirono.
“Ciao”.
Chissà che gli era preso…


...
Note dell'autrice:
Ma Shanimal, cosa mi combini! Cosa mi combini! Che avrà da essere tanto arrabbiato.... mah, lo scopriremo nella prossima puntata xD

Riguardo il discorso 'conoscenze' di cui ho parlato l'altra volta, vorrei chiedervi una cosetta: se poteste avere un giorno con i Mars, da sole/i, che fareste? Che chiedereste loro? Cosa gli direste?
Io... io... io li abbraccerei senza mollarli più, perchè hanno illuminato la mia vita, mi hanno fatta sorridere e mi hanno sostenuta, anche nel poco tempo da cui li ho conosciuti. Sono il mio portafortuna mattiniero xD 

Bacioni, Ronnie02

   
 
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