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Autore: Camelia Jay    26/11/2011    4 recensioni
Mariah è una ragazza buona, intelligente ma davvero molto timida e riservata, che da più di due anni ormai è innamorata di Aiden Jenney, il quale, per uno scherzo del destino, dall'inizio dell'anno è il suo compagno di banco.
Vanessa invece è una ragazza allegra e socievole, ma purtroppo è goffa e impacciata e non di rado le capitano dei brutti incidenti (si legga: battere costantemente il sedere per terra). Dopo una grande umiliazione pubblica subita dal ragazzo per cui si era presa una cotta, sta appena cominciando a rialzarsi (in senso metaforico, nonostante tutte le cadute che fa) quando la vicinanza di un ragazzo che cerca di tirarla su di morale le confonde di nuovo le idee.
Questo ragazzo è... Aiden.
Due protagoniste per una sola storia d'amore possibile: scorrerà buon sangue tra Mariah e Vanessa?
Chi delle due avrà il cuore di Aiden, in un amore che si consuma sotto le fredde giornate nevose di metà gennaio?
Nota: di capitolo in capitolo si alterneranno i POV di Mariah e di Vanessa.
Dal futuro capitolo cinque: "Le lacrime scgorgarono a fiotti dai miei occhi, bagnandole il maglioncino di lana color lavanda, mentre lei mi stringeva. Non avevo mai pianto per lui prima. Anche se, sinceramente, pensavo che la prima volta che l'avessi fatto sarebbe stato a causa di una nobile sofferenza, e non per una stupida, insignificante gioia senza valore".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cinque

Mariah will carry on

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Quella sera andai a letto presto.

Non che fossi stanca, no, ma siccome per tutto il giorno non faceva che venirmi in mente Aiden, volevo andarmene a dormire il prima possibile per non pensarlo più. E, costantemente, tutte le volte venivo fregata: andavo a letto per non avercelo in testa, ed ecco che incominciavo a sognarlo per tutta la notte. E, se dalla mia mente da sveglia potevo fuggirlo, i miei sogni erano un luogo da cui non lo potevo cacciare.

Quando mi alzai la mattina successiva, la prima cosa che feci fu dare un pugno al cuscino, arrabbiata. La mia mano affondò scomparendo in mezzo al tessuto bianco, poi decisi che, come quella ragazza che il giorno prima dava calci al muro del bagno, era del tutto inutile.

Una volta in bagno mi sciacquai la faccia, senza alcuna certezza riguardo a ciò che sarebbe accaduto d’ora in avanti ma con una consapevolezza in più: dovevo fare qualcosa. E se dimenticarmi di lui era davvero così impossibile, visto che ormai questa storia andava avanti dal primo anno, ora che nelle lezioni di letteratura eravamo così vicini era l’occasione perfetta per compiere un passo avanti, per procedere.

Ed era anche il giorno perfetto: quest’oggi le lezioni del professor Garden sarebbero durate due ore di seguito. Qualcosa sarei riuscita ad inventarmi. Tuttavia non ero molto sicura delle probabilità che avevo di ottenere un qualunque successo – ma valeva lo stesso la pena tentare, no?

Silenziosamente e con passo felpato, una volta uscita di casa mi diressi a scuola a piedi come tutte le mattine, e il tempo volò nell’arco di tempo in cui mi misi a escogitare un modo per parlare. Ora, il mio problema maggiore non era in sé per sé trovare un argomento di cui parlare con Aiden: era riuscire a farlo. Perché tutte le volte che si trattava di parlare con qualcuno con cui non avevo confidenza, abitualmente mi bloccavo e timidamente lasciavo le redini della conversazione all’altro interlocutore. Ma con Aiden?

Ma insomma, un giorno mi aveva chiesto com’era andato il compito di storia e mi era quasi venuto un mancamento. Avevo avuto un capogiro ed ero stata costretta a ingurgitare sottobanco e di nascosto una barretta di cioccolato intera per recuperare forze.

Come potevo tenere sotto controllo una conversazione con lui? Già avevo avuto difficoltà il giorno prima quando avevamo seguito dallo stesso libro.

Ciononostante, un modo dovevo trovarlo.

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Quel giorno, la mia opportunità tanto attesa arrivò, e non la sprecai.

A inizio lezione Garden entrò in classe con il suo solito fare rigido e per nulla tranquillizzante, lanciando ordini come ormai era d’abitudine. «Andate a questa pagina» o «signorina Jennings, inizia a leggere: atto II, scena I», ma non era quello che mi preoccupava.

Mentre leggevo ad alta voce senza intoppi la tragedia di Shakespeare che stavamo analizzando in classe, i miei occhi facevano avanti e indietro, balzando dal libro di testo che stavo seguendo alla mia sinistra. Il fatto che Aiden fosse vicino a me e mi stesse ascoltando leggere, so che è stupido, ma mi metteva addosso un’agitazione che non riuscivo a scrollarmi.

Fu quando terminai la lettura che me ne accorsi: non appena avevo smesso di leggere, Aiden aveva sfilato da sotto il banco un insieme di fogli. No, mi accorsi poco dopo, non era un insieme di fogli, era una specie di piccolo giornalino.

Se solo fossi riuscita a inquadrare meglio…

Attenta a non destare sospetti, lentamente spostai il peso del corpo alla mia sinistra, il capo che si girava impercettibilmente nella sua direzione. Dovevo vedere. Finalmente capii: Aiden stava tenendo un fumetto davanti il libro di testo, fingendosi interessato alla lezione.

Provai uno stranissimo moto d’emozione, che per me era del tutto insolito: normalmente sarei rimasta infastidita da un simile comportamento, da parte di uno studente. Il fatto è che era così carino vederlo impegnato in tutt’altro, così dannatamente carino. E io ero completamente soggetta a lui, indipendentemente da quel che facesse. E nonostante ciò, Aiden riusciva sempre a mantenere dei buoni voti. Ciò per me era ragguardevole. Okay, forse stavo esagerando. Però non potei fare a meno di sorridere dopo questa scoperta, una scoperta da nulla, ma che il mio cuore giudicò così grande.

“Nota mentale: ho scoperto che ad Aiden piacciono i fumetti. Tenere conto di questo fatto per il futuro.”

Solamente allora vidi, dietro alla cattedra, il professor Garden, con la sua cravatta dall’improbabile tonalità arancione acceso con strani motivi floreali impressi, alzare un sopracciglio con evidente perplessità. E stava guardando verso di noi, verso me e Aiden.

Lo vidi alzarsi dalla sedia e avanzare pericolosamente nella nostra direzione. E Aiden sfogliava il suo fumetto distrattamente.

Dio, l’aveva visto. Si stava insospettendo e stava venendo a controllare. “Oh mamma, e adesso che faccio?! Devo avvertirlo! Oddio, come faccio, come faccio…?!”

I miei occhi sbarrati e il mio viso che stava diventando repentinamente pallido malcelavano la forte emozione che provavo in quel momento. Sapevo di dover avvertire Aiden che Garden stava venendo a controllare, ma ciò avrebbe significato… quel che avrebbe significato. «A… Ai… A-a-aid…» Ero troppo impaurita persino per pronunciare il suo nome. Ero la ragazza più maledettamente timida che esistesse sulla faccia della terra. Quanto ci voleva a dire un dannato nome?!

Quando capii che il fiato dalla gola non sarebbe uscito, optai per l’ultima possibilità rimasta: gli diedi un buffetto sulla gamba con la mano.

Lui si voltò, e quando mi guardò negli occhi pensai che sarei collassata sul banco.

Ritrassi la mano con uno scatto e con la testa gli feci un cenno verso Garden, che si stava ancora incamminando.

Aiden, grazie solo ed esclusivamente a me, alla sottoscritta ovvero Mariah Evangeline Jennings, si accorse del pericolo appena in tempo e fece scivolare il fumetto nuovamente sotto il banco. Quando Garden giunse lì a controllare, non trovò niente di niente.

L’adrenalina nel mio corpo aveva appena toccato picchi esorbitanti.

Udii il ragazzo di fianco a me tirare un sospiro di sollievo mentre io abbandonavo tutto il mio peso allo schienale della sedia. «Ehi, grazie Mariah» mi sussurrò con un fil di voce. Io lo guardai e lo vidi ammiccare. A me. «La mia creazione è salva» aggiunse poi.

Una scintilla scoccò nel mio cervello e mi sentii come l’uomo delle caverne che aveva appena scoperto come si accendeva il fuoco. “Vai, Mariah”, dissi a me stessa, “è ora, di’ quello che pensi, dillo adesso, dillo ora!”. E così lo dissi: «La tua creazione?»

Mi meravigliai del fatto che il mio tono di voce sfiorasse quasi la normalità. Forse non ero del tutto senza speranze.

Aiden annuì e sfilò da sotto il banco il fumetto, tanto quanto bastava perché io potessi scorgere le figure, sebbene coperte dall’ombra, e le forme che assumevano le figure. Il suo capo si avvicinò più di quanto fosse opportuno al mio. «Guarda: i disegni li ho elaborati io al computer. La storia invece l’ho scritta io solo in parte, mi sono fatto dare una mano.»

Socchiusi le labbra per la sorpresa. Non ne avevo la minima idea. «Oh» spiccicai. “Su, di’ qualcos’altro, stupida!” Tentai di recuperare ossigeno prima di parlare di nuovo. «Trovo… che sia davvero molto carino» dissi poi abbozzando un sorriso. «Ed è… disegnato veramente molto bene.»

«Sul serio lo pensi?» domandò poi lui, con una voce che non nascondeva affatto la fierezza che portava nei confronti del proprio lavoro. «Anche tu sei appassionata di fumetti?» Me lo chiese come se da me non ci si potesse mai aspettare una cosa del genere.

«Uhm…» esitai prima di rispondere. «Sì» mentii in parte: i fumetti mi piacevano, mi piacevano fin da piccola, ma non avevo mai il tempo di leggerli, perciò non li prendevo mai in considerazione.

Vidi Aiden rimettere a posto il fumetto onde evitare un altro attacco da parte dell’insegnante. «E quali sono quelli che preferisci?» mi chiese poi, improvvisamente incuriosito, e rivolgendomi un sorriso che mi sforzai di non guardare per non avere delle crisi di panico.

Per un attimo quella domanda mi preoccupò, ma fui salvata da una cosa: mio fratello minore di tre anni, Samuel, parlava abbastanza di fumetti a cena e in generale tutte le volte che conversavamo da avermi inculcato abbastanza informazioni sul mondo dei fumetti – quelle che ancora mi mancavano.

A quel punto fu più facile di quel che avrei mai potuto pensare in qualsiasi mia fantasia. Siccome Aiden era una persona affabile e, almeno come si dimostrava con me, socievole, malgrado le intense emozioni che stavo provando interagire con lui non si rivelò né una catastrofe né tantomeno complicato. Dieci minuti di conversazione a bassa voce più tardi, potevo dire di sentirmi a mio agio. Quasi a mio agio – ecco, non esageriamo.

Fummo interrotti dallo squillo frenetico della campanella.

Una volta che tutti gli studenti furono usciti a forza di spintoni fuori dalla porta, mentre io ero rimasta seduta lì impalata, mi resi conto di tutto ciò che era successo.

E mi feci prendere dall’entusiasmo.

“Oh-mio-Dio. Io… ho parlato con Aiden Jenney. Ci ho parlato. Esattamente per undici minuti. Forse anche qualche altro secondo. Oh, mio Dio. Non è possibile. L’ho fatto veramente.”

Mi sentivo in preda al panico, come se avessi appena incontrato un minaccioso criminale ma questi mi avesse lasciato in pace passando oltre… ecco, la sensazione che provavo era la medesima.

«Mariah, che ci fai ancora qui?» La voce inconfondibile della mia amica Sydney mi riportò al mondo reale. Mi squadrò con i suoi occhi verdognoli e mi raggiunse saltellando con la coda di cavallo rosso fuoco che dondolava lungo la sua schiena, e mi tirò per un braccio, costringendomi a tirarmi su, ma non ero sicura che le mie gambe potessero reggere il mio peso. «Alza quel sedere, pigrona! Faremo tardi! Si può sapere che cosa ti è successo?» fece poi scherzosamente, e solo allora notò la mia faccia pallida come quella di un fantasma.

L’emozione ebbe il sopravvento.

La abbracciai. La abbracciai così forte da toglierle il respiro, così forte da farla preoccupare. Avvertivo gli occhi gonfi e doloranti, come un palloncino pieno d’acqua e sotto pressione. Era la mia amica Sydney, non mi avrebbe scambiato per pazza. Perciò battei le palpebre, e in quello stesso momento le piccole gocce d’acqua sgorgarono dai miei occhi, inumidendomi le ciglia. Le bagnai il maglione color lavanda con le mie lacrime, lacrime che fluirono a fiotti e senza freni, lacrime, le prime in assoluto che versavo per lui.

«Mariah…» udii la mia amica sussurrare. «Come sei delicata.» Non riuscii ad afferrare se quella frase fosse ironica o se fosse seria. Ma non importava, perché sentire le mani di Sydney che mi cingevano, avvicinando ancor di più il mio corpo al suo, era tutto ciò di cui avevo bisogno, e fui pienamente soddisfatta. La ringraziai per essere lì.

Piangevo per Aiden Jenney, perché avevamo conversato per più di dieci minuti. Piangevo perché tutte le volte che facevo un piccolo, minuscolo, insignificante progresso la mia speranza aumentava e continuava a vivere.

Anche se, sinceramente, pensavo che la prima volta che avessi pianto per lui sarebbe stato a causa di una nobile sofferenza, e non per un’immeritata, stupida gioia di scarso valore.

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Jade’s place:


Salve a tutti... perdonatemi se ho aggiornato così in ritardo, ma sono stra impegnata, ma voglio farvi sapere che non ho abbandonato NESSUNA delle mie storie in corso. Nessuna. Anche se lo so, può sembrare. Cercherò di aggiornare il prima possibile anche le altre storie, perdonatemi perdonatemi perdonatemiiiii >__<
Comuuuuunque... so che vi parrà esagerata la reazione di Mariah al fatto che Aiden le abbia parlato, tuttavia cercate di comprenderla: lei è una ragazza molto timida, e perciò solo il fatto che il ragazzo di cui è innamorata le abbia parlato ha fatto sì che lei si emozionasse a tal punto... eeeeh sì, succede anche a me certe volte (solo a volte, poi però mi abituo xD) sì lo so sono un caso patologico... dovrebbero  diagnosticare una malattia solamente per me!! xD Detto ciò, vi saluto, lasciandovi alle vostre osservazioni. VOI!!! Vi obbligo a recensire (no, non è vero, ho così tanto potere che non riesco a sottomettere neance il mio gatto -____-) Va be' ciao, vostra JadeCam
   
 
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