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Autore: marguerite_murcielago    26/11/2011    2 recensioni
[Arthur/Lizzie]
Gli rivolgeva le spalle nude, bianche e fragili, la schiena sottile, le gambe lisce.
Quando allungò le braccia sopra la testa, vide la pelle tendersi sulle costole; era sfuggita al suo letto, al suo stesso abbraccio, senza alcuna vergogna, pretendendo solo un minuto o due di pace, e aveva i piedi nudi sul pavimento gelido e la pelle d’oca sulla nuca.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Just a puppet on a lonely string

Gli rivolgeva le spalle nude, bianche e fragili, la schiena sottile, le gambe lisce.
Quando allungò le braccia sopra la testa, vide la pelle tendersi sulle costole; era sfuggita al suo letto, al suo stesso abbraccio, senza alcuna vergogna, pretendendo solo un minuto o due di pace, e aveva i piedi nudi sul pavimento gelido e la pelle d’oca sulla nuca.
La vide accarezzarsi il ventre.
« Mia Regina.» esclamò e tacque. Lei drizzò la testa, circonfusa dalla luce azzurrina della luna.
« Voi mentite.» rispose quietamente. Si lasciò sfuggire un verso di scherno ed incredulità, accarezzandole con lo sguardo i capelli radi e corti.
« Bugiardo.» soggiunse lei, chinando la testa di lato; lui si alzò dal letto e la raggiunse, pur rimanendo un passo indietro, gli occhi splendenti colmi di venerazione.
« Vi ho solo richiamato, Maestà.»
« Il vostro tono… il vostro tono era un chiaro elogio alla mia bellezza. Siete un bugiardo.»
« Vostra Grazia, Elizabeth… Lizzie.» sospirò, sfiorandole la spalla con la punta delle dita. La regina si voltò verso di lui, così da rimanere in piena luce, le labbra contratte e gli occhi sgranati.
La tensione nel suo volto fece risaltare le lunghe cicatrici del vaiolo come inserti d’argento.
« Questa è bellezza, Arthur?»
Lui le prese il volto fra le mani, serissimo, la baciò sulla fronte deturpata: « Sì, Lizzie, sì.»
« Mi ricordo che diceste lo stesso a mia sorella, quando vi convocò; sentii io stessa le sue urla, quando vi disse che portava nel grembo un parassita atroce, non l’erede che desideravate. Siete un bugiardo, perché amavate lei.»
Si inchinò, di fronte all’impietosa regina.
« Il mio compito è seguire ogni regnante: è la mia natura. Ma la mia natura è anche essere Arthur e amarvi da uomo, Lizzie. Voi siete bellissima, e io vi amo. Mi sarebbe impossibile il contrario.»
Elizabeth aveva degli occhi particolarissimi: castani, duri, circondati da morbide ciglia rossicce; questi occhi lo fissavano con sottile tormento, indecisi.
Stava davanti a lui nuda, magra, scavata dal peso del suo sacrificio.
« Venite, dovete riposare.»
Lei gli si sedette sulle gambe, con un lieve sorriso; sapeva di poterlo gestire, sapeva di averlo in pugno, ma doveva risultarle incomprensibile il motivo che lo spingeva a lasciarsi soggiogare, il perché del sorriso che gli incurvava le labbra quando la vedeva comandare.
« Mia Regina. Mia Regina. Mia Regina…»
Gli tappò la bocca, respirando pesantemente.
« Quando morirò, Arthur, cosa farai? Darai di nuovo la tua intera obbedienza a chi mi succederà? Sarai così ipocrita, tu che mi baci, adesso, che ardi di chissà quale amore per me?» gridò.
L’uomo scosse la testa, fece un sorriso mesto.
« Mai, non vi tradirò mai. Il mio corpo e il mio ingegno, sì, sono legati al popolo e alla fedeltà verso il nuovo sovrano, ma la mia anima e il mio amore, Elizabeth, Lizzie, sono per voi, lo saranno fino alla fine dei tempi, fino alla mia fine.»
Elizabeth lo baciò ancora, fino all’alba, stringendo in mano ciocche di ispidi capelli biondi, fissando gli occhi verdi come smeraldi, come i prati inglesi, di Arthur, rabbiosa, innamorata di lui.  

« Lizzie…»
La luce del tramonto indorava il viso della Regina, e il suo cuore era in cancrena per il dolore.
« Tacete. Sono vecchia e bruttissima, e voi siete un riguardo.» disse seccamente, mordendosi le labbra; ritrasse le mani sottili da quelle di Arthur, come se ne provasse orrore.
Il ragazzino si schiarì nervosamente la voce.
« Esci, subito.» ordinò l’uomo.
Quando la porta si fu richiusa, la Regina indietreggiò ancora, riversa sullo scranno. Continuava a spostare lo sguardo ogni volta che lui desiderava guardarla negli occhi, perché capisse, alla fine.
« Voi siete ancora bellissima… tu lo sei, Lizzie.» replicò, poggiandosi una mano sulla bocca.
« Bugiardo. Non voglio prestarvi attenzione.»
Com’erano gelide le sue parole e insensibili le sue labbra, da quando l’aveva allontanato!
Non poteva sopportare quella luce fiammeggiante sulla chioma rossa e falsa che scendeva lungo il collo di Elizabeth, non riusciva a guardare la luce e la gloria che ardevano anche dentro di lui, mentre gli occhi di Lizzie sprofondavano, castani, nel buio.
« Lizzie! Non morire, fallo per me… ti scongiuro, ti supplico, o mi darò la morte, a mia volta.» sospirò, affranto, stringendole i polsi, nonostante il suo dimenarsi e le sue proteste stridule.
Poggiò la fronte sulla sua, le labbra a contatto.
« Voi non morirete per me.»
« Inghilterra, Maestà, appartiene al popolo, ma Arthur appartiene a voi, voi soltanto.»
Le labbra della Regina tremarono, le sue mani si mossero in cerca del petto di Arthur, timidamente, quasi, e solo allora tornò la giovane Lizzie, la sua nuova, piccola Regina. Il vento entrò da una finestra aperta, agitò le tende sottili come vele, ed entrambi sentirono il soffio fresco della sera entrare assieme al miraggio della notte argentea, la prima notte senza di lei.
Elizabeth lo baciò dolcemente e le lacrime cominciarono a scorrere sulle guance pallide di Arthur, come se quel tocco l’avesse squartato con dita adunche.
« No, no,» disse in un sussurro soffocato sulla sua bocca, « non voglio, Lizzie, non lasciarmi ancora, resta con me per sempre. Voglio stare con te per sempre. Non abbandonarmi.»
Lei si allontanò da lui, che singhiozzava ancora come un bambino, premendosi la mano di lei sulla guancia, ansante.
« Chiamatemi un prete: ho intenzione di morire.»
La Morte rise alle spalle di Elizabeth, sotto gli occhi attoniti e gonfi di Arthur, che abbandonò la stanza di corsa, e ritornando sentì lo spostamento d’aria provocato dalle sue ali mostruose e il gesto con cui alzò la lama risplendente di arancio sul capo della Regina.
Il parroco la benedisse, prima di ritirarsi con devozione nell’angolo più lontano della stanza; Arthur cadde in ginocchio accanto a lei, le mani affondate nel broccato della gonna, guardandola con la cieca fede di un moribondo davanti ad un medico.
« Lizzie, la Morte…» gemette.
Lei sorrise, gli carezzò il capo: « Sei stato l’unico ad essermi totalmente fedele e ti amo.» poi alzò la testa in direzione di una voce che Arthur udiva indistintamente; « Tutti i miei domini per un istante di tempo.» implorò il Diavolo. Le sue iridi scure si posarono su Arthur come il più lieve dei baci.
Tremante, l’uomo si morse le labbra e gettò indietro la testa, per trattenere le urla di dolore.

Mancava un mese al suo compleanno; aveva fatto di tutto per farlo morire di dolore e lo stesso era riuscita a dargli il suo unico regalo. Eppure le ferite non si rimarginavano, il sangue tornava a macchiargli le dita, era debole, sofferente.
« Oh, Lizzie.»
Guardava una bambina, al centro del prato, senza rendersene quasi conto; non era lei che gli interessava, le lacrime che versava non erano per la sua chioma bronzea e arruffata, per le sue mani di panna, non era lei, non sapeva niente di lui, al contrario di lei.
Sentiva la gola chiudersi da sé per i singhiozzi.
« Vieni, Cecilia?»
La bambina si voltò in un turbinare di riccioli rossi, rivolgendo un sorriso sdentato alla madre. Arthur sussultò, quando incrociò gli occhi castani della piccola, il suo cuore si fece piccolissimo, quasi non si sentì più vivere. Cecilia? Si chiamava Cecilia?
Che brutto scherzo, rise a fatica.
Lontano da lui, Berenice gli rivolse un’occhiata stanca; poche ciocche di capelli sfuggivano al fermaglio regalatole da lui, mettendo in evidenza il collo di cigno. L’aveva ricreata a sua immagine.
Lei viveva ancora.
« Mentite ancora, Arthur.»
« Sei bellissima, sei bellissima, sei bellissima…» disse al cielo greve di pioggia, le gocce che gli cadevano sul viso come tocchi minuscoli.

   
 
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