Just a puppet on a lonely
string
Gli rivolgeva le spalle
nude, bianche e fragili, la schiena sottile, le gambe lisce.
Quando allungò le braccia
sopra la testa, vide la pelle tendersi sulle costole; era sfuggita al
suo
letto, al suo stesso abbraccio, senza alcuna vergogna, pretendendo solo
un
minuto o due di pace, e aveva i piedi nudi sul pavimento gelido e la
pelle
d’oca sulla nuca.
La vide accarezzarsi il
ventre.
« Mia Regina.» esclamò e
tacque. Lei drizzò la testa, circonfusa dalla luce azzurrina
della luna.
« Voi mentite.» rispose quietamente.
Si lasciò sfuggire un verso di scherno ed
incredulità, accarezzandole con lo
sguardo i capelli radi e corti.
« Bugiardo.» soggiunse
lei, chinando la testa di lato; lui si alzò dal letto e la
raggiunse, pur
rimanendo un passo indietro, gli occhi splendenti colmi di venerazione.
« Vi ho solo richiamato,
Maestà.»
« Il vostro tono… il
vostro tono era un chiaro elogio alla mia bellezza. Siete un
bugiardo.»
« Vostra Grazia,
Elizabeth… Lizzie.» sospirò,
sfiorandole la spalla con la punta delle dita. La
regina si voltò verso di lui, così da rimanere in
piena luce, le labbra
contratte e gli occhi sgranati.
La tensione nel suo volto
fece risaltare le lunghe cicatrici del vaiolo come inserti
d’argento.
« Questa è bellezza,
Arthur?»
Lui le prese il volto fra
le mani, serissimo, la baciò sulla fronte deturpata:
« Sì, Lizzie, sì.»
« Mi ricordo che diceste
lo stesso a mia sorella, quando vi convocò; sentii io stessa
le sue urla,
quando vi disse che portava nel grembo un parassita atroce, non
l’erede che desideravate.
Siete un bugiardo, perché amavate lei.»
Si inchinò, di fronte
all’impietosa regina.
« Il mio compito è seguire
ogni regnante: è la mia natura. Ma la mia natura
è anche essere Arthur e amarvi
da uomo, Lizzie. Voi siete bellissima, e io vi amo. Mi sarebbe
impossibile il
contrario.»
Elizabeth aveva degli
occhi particolarissimi: castani, duri, circondati da morbide ciglia
rossicce;
questi occhi lo fissavano con sottile tormento, indecisi.
Stava davanti a lui nuda,
magra, scavata dal peso del suo sacrificio.
« Venite, dovete
riposare.»
Lei gli si sedette sulle
gambe, con un lieve sorriso; sapeva di poterlo gestire, sapeva di
averlo in
pugno, ma doveva risultarle incomprensibile il motivo che lo spingeva a
lasciarsi soggiogare, il perché del sorriso che gli
incurvava le labbra quando
la vedeva comandare.
« Mia Regina. Mia Regina.
Mia Regina…»
Gli tappò la bocca,
respirando pesantemente.
« Quando morirò, Arthur,
cosa farai? Darai di nuovo la tua intera obbedienza a chi mi
succederà? Sarai
così ipocrita, tu che mi baci, adesso, che ardi di
chissà quale amore per me?»
gridò.
L’uomo scosse la testa,
fece un sorriso mesto.
« Mai, non vi tradirò mai.
Il mio corpo e il mio ingegno, sì, sono legati al popolo e
alla fedeltà verso
il nuovo sovrano, ma la mia anima e il mio amore, Elizabeth, Lizzie,
sono per
voi, lo saranno fino alla fine dei tempi, fino alla mia
fine.»
Elizabeth lo baciò ancora,
fino all’alba, stringendo in mano ciocche di ispidi capelli
biondi, fissando
gli occhi verdi come smeraldi, come i prati inglesi, di Arthur,
rabbiosa,
innamorata di lui.
«
Lizzie…»
La luce del tramonto indorava
il viso della Regina, e il suo cuore era in cancrena per il dolore.
« Tacete. Sono vecchia e
bruttissima, e voi siete un riguardo.» disse seccamente,
mordendosi le labbra;
ritrasse le mani sottili da quelle di Arthur, come se ne provasse
orrore.
Il ragazzino si schiarì
nervosamente la voce.
« Esci, subito.» ordinò
l’uomo.
Quando la porta si fu
richiusa, la Regina indietreggiò ancora, riversa sullo
scranno. Continuava a
spostare lo sguardo ogni volta che lui desiderava guardarla negli
occhi, perché
capisse, alla fine.
« Voi siete ancora
bellissima… tu lo sei, Lizzie.»
replicò, poggiandosi una mano sulla bocca.
« Bugiardo. Non voglio
prestarvi attenzione.»
Com’erano gelide le sue
parole e insensibili le sue labbra, da quando l’aveva
allontanato!
Non poteva sopportare quella
luce fiammeggiante sulla chioma rossa e falsa che scendeva lungo il
collo di
Elizabeth, non riusciva a guardare la luce e la gloria che ardevano
anche
dentro di lui, mentre gli occhi di Lizzie sprofondavano, castani, nel
buio.
« Lizzie! Non morire,
fallo per me… ti scongiuro, ti supplico, o mi
darò la morte, a mia volta.»
sospirò, affranto, stringendole i polsi, nonostante il suo
dimenarsi e le sue
proteste stridule.
Poggiò la fronte sulla
sua, le labbra a contatto.
« Voi non morirete per me.»
« Inghilterra, Maestà,
appartiene al popolo, ma Arthur appartiene a voi, voi
soltanto.»
Le labbra della Regina
tremarono, le sue mani si mossero in cerca del petto di Arthur,
timidamente,
quasi, e solo allora tornò la giovane Lizzie, la sua nuova,
piccola Regina. Il vento
entrò da una finestra aperta, agitò le tende
sottili come vele, ed entrambi
sentirono il soffio fresco della sera entrare assieme al miraggio della
notte
argentea, la prima notte senza di lei.
Elizabeth lo baciò
dolcemente e le lacrime cominciarono a scorrere sulle guance pallide di
Arthur,
come se quel tocco l’avesse squartato con dita adunche.
« No, no,» disse in un
sussurro soffocato sulla sua bocca, « non voglio, Lizzie, non
lasciarmi ancora,
resta con me per sempre. Voglio stare con te per sempre. Non
abbandonarmi.»
Lei si allontanò da lui,
che singhiozzava ancora come un bambino, premendosi la mano di lei
sulla
guancia, ansante.
« Chiamatemi un prete: ho
intenzione di morire.»
La Morte rise alle spalle
di Elizabeth, sotto gli occhi attoniti e gonfi di Arthur, che
abbandonò la
stanza di corsa, e ritornando sentì lo spostamento
d’aria provocato dalle sue
ali mostruose e il gesto con cui alzò la lama risplendente
di arancio sul capo
della Regina.
Il parroco la benedisse,
prima di ritirarsi con devozione nell’angolo più
lontano della stanza; Arthur
cadde in ginocchio accanto a lei, le mani affondate nel broccato della
gonna,
guardandola con la cieca fede di un moribondo davanti ad un medico.
« Lizzie, la Morte…»
gemette.
Lei sorrise, gli carezzò
il capo: « Sei stato l’unico ad essermi totalmente
fedele e ti amo.» poi alzò
la testa in direzione di una voce che Arthur udiva indistintamente;
« Tutti i
miei domini per un istante di tempo.» implorò il
Diavolo. Le sue iridi scure si
posarono su Arthur come il più lieve dei baci.
Tremante, l’uomo si morse
le labbra e gettò indietro la testa, per trattenere le urla
di dolore.
« Oh, Lizzie.»
Guardava una bambina, al
centro del prato, senza rendersene quasi conto; non era lei che gli
interessava, le lacrime che versava non erano per la sua chioma bronzea
e
arruffata, per le sue mani di panna, non era lei, non sapeva niente di
lui, al
contrario di lei.
Sentiva la gola chiudersi
da sé per i singhiozzi.
« Vieni, Cecilia?»
La bambina si voltò in un
turbinare di riccioli rossi, rivolgendo un sorriso sdentato alla madre.
Arthur sussultò,
quando incrociò gli occhi castani della piccola, il suo
cuore si fece
piccolissimo, quasi non si sentì più vivere.
Cecilia? Si chiamava Cecilia?
Che brutto scherzo, rise a
fatica.
Lontano da lui, Berenice
gli rivolse un’occhiata stanca; poche ciocche di capelli
sfuggivano al fermaglio
regalatole da lui, mettendo in evidenza il collo di cigno.
L’aveva ricreata a
sua immagine.
Lei viveva ancora.
« Mentite ancora, Arthur.»
« Sei bellissima, sei
bellissima, sei bellissima…» disse al cielo greve
di pioggia, le gocce che gli
cadevano sul viso come tocchi minuscoli.