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Autore: antoL490    27/11/2011    8 recensioni
La mia personale interpretazione a proposito della nascita di 'L490'
"L490.
L , come l’iniziale del tuo nome.
4, come i mesi e 90 come le ora passati da quando te ne sei andata. "
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti! Eccomi tornata con un' altra OS.
Parla di una delle canzoni più belle che io abbia mai sentito.
L490.
Bè, che dire di più? Spero che vi piaccia e se lascerete una recensione mi farete tanto felice!
Enjoy!
Anto


“Shannon.”. La sento sussurrare.
“Dimmi piccola. “ dico, mentre con la mano le accarezzo un braccio, partendo dal gomito fino ad arrivare alla spalla e tornando giù.
Siamo sdraiati nel mio letto, uno accanto all’altra, aspettando che il sonno ci colga.

"Io… Devo dirti una cosa.”.  La sento prendere un respiro profondo. Non dico niente, aspettando che lei continui. Ma non lo fa.
“Allora?” incalzo.

Si alza e si mette seduta, tenendosi le ginocchia sotto il mento.
“Io… credo che dovremmo smettere di vederci.” Mi dice, senza guardarmi.
Penso di aver capito male. Mi metto a sedere anche io, voltandomi verso di lei.
“Co-Cosa?” balbetto.
“Io… Hai capito.”
“Ma perché?” chiedo. La vedo scuotere la testa come se avessi fatto una domanda stupida.

Ma forse per lei lo è.

“Ma come perché, Shan? “ si blocca. Vedendo la mia espressione confusa, continua:
“Perché tu… Tu sei un batterista di successo, che ha appena concluso un tour. Mentre io… “
“Tu cosa?”
“Io sono solo una cameriera.” Dice, abbassando gli occhi.
“Dimentichi una cosa. La più importante: io ti amo.” Dico. La vedo alzare gli occhi.
“Ti stuferai di me.” Sussurra.
“Che cosa stupida che hai detto.” Faccio per abbracciarla, me lei si scansa e si alza in piedi.
”No, Shan. Magari non domani, non tra una settimana. Ma presto. E io non riuscirei a sopportarlo.”.
Mentre parla inizia a girare per la stanza, raccogliendo le sue cose. Mi alzo anche io. Sta infilando una sua t-shirt in un borsone.
Gliela tolgo dalle mani. Lei alza lo sguardo. Ha gli occhi lucidi.


“Non ti fidi di me? Non ti fidi del mio amore?” le dico, prendendole il volto tra le mani. Lei poggia le sue sulle mie, poi si libera.
“Non rendere tutto più difficile.” Si riprende la t-shirt e la ficca nella borsa.
Poi va a mettersi i jeans che aveva appoggiato sulla sedia accanto al letto.
La guardo mentre si veste, mentre si mette le scarpe.

No, non lo sta facendo davvero. Non se ne sta andando.

“Perché mi fai questo?” le chiedo. Una lacrima mi percorre la guancia.
Lei si avvicina a me, mi mette una mano su quella guancia, asciugandomi la lacrima. A quel tocco chiudo gli occhi.
“E’ per il nostro bene. “ la sento dire. Si volta ed esce dalla stanza. Continuo a tenere gli occhi chiusi. La sento scendere le scale.

Non farlo, non andare.

Sento la porta aprirsi.

No.

La porta si chiude. Poi il silenzio.
Ma accascio a terra, prendendomi la testa tra le mani.

Se n’è andata.
 
 

Mi sveglio di soprassalto.
Di nuovo quel sogno.
Da quando mi ha lasciato, rivedo quella scena tutte le notti.
Guardo la sveglia. Sono le cinque del mattino.
Mi passo una mano sul viso, sospirando. Chiudo gli occhi, tentando di riprendere sonno.
Tentativo inutile.

Decido di alzarmi e di andare a prepararmi qualcosa da mangiare. Scendo le scale e vado in cucina.
Mi preparo un toast e, mentre aspetto che si abbrustolisca per bene, vado in salotto per accendere la tv.
Poi torno in cucina, prendo il toast, lo addento e mi dirigo verso il divano, buttando mici sopra a peso morto.
Guardo la tv senza vederla realmente. Alla mia sinistra Christine, la mia batteria, fa sempre la sua porca figura.

Forse suonare un po’ mi aiuterà.

In due bocconi finisco il toast e vado a sedermi sullo sgabello.
Poi una figura accanto alla mia batteria attira il mio sguardo,
Una chitarra acustica.

La riconosco, è di Jared. L’ha lasciata qui un paio di giorni fa, dopo aver suonato un po’ insieme.
Decido che per una volta ma mia Christine può aspettare, Prendo la chitarra tra le mani, tornando al divano.

Inizio a pizzicare le corde.
Non sono molto bravo, ma dopo qualche minuto le dita si muovono con maggiore sicurezza.
Mi sembra di entrare in una specie di trance, nella mia mente le parole si accavallano, cercando di formare un testo.
Poso la chitarra e mi metto a cercare un foglio e una penna. Li trovo e mi appunto subito le note e gli accordi.
Poi, su un altro foglio, inizio a scrivere il testo.

E’ come se bevessi ricordi e vomitassi emozioni.
C’è di tutto, su quel foglio.

Amore, quello che provo per te.

Odio, quello che provo per la tua scelta.

Malinconia e tristezza, le miei compagne di vita da quando te ne sei andata.

Scrivo frasi e le cancello. Le riscrivo, cercando ti trovare le parole giuste.
Verso le Otto la canzone è finita.
Voglio farla sentire a Jared, magari c’è posto per lei nel nuovo album.

Vado a farmi una doccia veloce. Mi vesto in fretta e in quindici minuti sono pronto.
Metto la chitarra nella sua custodia e i fogli con il testo nella tasca posteriore dei jeans.
Vado in garage, supero la mia moto a malincuore, ma portarci sopra la chitarra sarebbe troppo scomodo. Salgo in macchina e parto.
Ripenso al testo, a quelle parole che ho scritto pensando a lei, mettendomi completamente a nudo.

C’è tutto me stesso, in quelle parole.

Voglio davvero espormi così tanto?

Mentre rifletto arrivo davanti a casa di mio fratello. Scendo dall’auto e busso.
Nessuna risposta.
Suono.
Sento delle imprecazioni. Stava dormendo. La porta si apre.

“Shan, cosa cazzo ci fai qui a quest’ora???” mi chiede arrabbiato.
“Ti ho portato questa.” Dico, sollevando un poco la chitarra.
“Fammi capire: tu mi hai svegliato per riportarmi la chitarra?”
“Ti ho portato anche qualcos’altro. Allora, mi fai entrare o no?” dico.
Si sposta un poco. Entro in casa e tiro fuori il foglio con le note.

“Senti qua.” Dico, sedendomi sul divano.
Inizio a suonare. Lui è ancora appoggiato allo stipite della porta del salotto, che  mi guarda sbalordito.
Quando finisco si avvicina, sedendosi accanto a me.

“L’hai scritta tu?”  mi chiede.
“No, Babbo Natale. Si che l’ho scritta io, coglione!” dico, ridendo.
“E’… E’ fottutamente fantastica, Bro!!! “ mi dice, entusiasta.
“Davvero?” chiedo.
“Cazzo, sì!” mi urla addosso.
Prima che io possa rispondere volta il foglio, chiedendomi: “Dov’è il testo?”
Esito un attimo. Ma lui non se ne accorge.

“Il testo… Il testo non c’è.” Dico, semplicemente.
“Oh, fa niente. E’ bella anche così.” Si alza e inizia a misurare la stanza a grandi passi, senza guardarmi.
Poi si ferma e dice: “Sai, dovremmo inserirla nel nuovo album. “
“Sei sicuro?” chiedo.
“Si. Hai già pensato ad un titolo?”
“Si. L490.” Dico.
“L490? E che significa?” mi chiede mio fratello confuso.

Ho già la risposta pronta.
“Niente. Ma mi piace come suona. Senti: L490.” Mentre lo dico, muovo tutta la bocca, facendo delle smorfie strane.
Lui mi guarda ancora confuso, poi borbotta qualcosa come “Ma sì, chi se ne frega!” poi va in cucina per prepararsi la colazione, lasciandomi solo.
Ripenso al titolo della canzone.

L490.

L , come l’iniziale del tuo nome.
4, come i mesi e90 come le ora passati da quando te ne sei andata.
 
Non ho mai smesso di contarli.
Non ho mai smesso di aspettarti.

  
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