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Autore: Mantheniel    27/11/2011    4 recensioni
Un insieme di descrizioni di esperienze tutte filtrate dal punto di vista di Kate e dalle sue emozioni. Tutte le storie si riferiscono ad episodi di Castle già andati in onda.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kate Beckett
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Aria. Kate aveva bisogno d’aria. Era come se le fosse impossibile respirare, anche se si trovava all’entrata del “Grace Tower”, e di spazi piccoli e chiusi non ve ne erano. La ragazza davanti a lei sulla barella le diceva qualcosa, sul cecchino, sul perché proprio lei, sul perché di tutto quanto; era sconvolta, si vedeva. E Kate si vide negli occhi di quella ragazza, si rivide stesa sull’erba, colpita anche lei dal cecchino, con la stessa domanda: perché? Con la stessa convinzione: non voglio morire. Ansia. Panico. Un nodo le stringeva il petto, impedendole di respirare, di capire bene quello che le veniva detto. Kate, respira. Uno sparo, urli, la sensazione, quella sensazione, del proiettile che la colpiva. Aria, aria, ho bisogno di aria, pensò, devo respirare; tuttavia doveva finire di parlare con la ragazza. Ma non sapeva per quanto avrebbe tenuto a freno il panico che cresceva. Non sapeva neanche lei esattamente quello che voleva, sapeva solo che voleva allontanarsi da tutti, e respirare, stare da sola che nessuno vedesse quando le sue difese si sarebbero crollate. Il prurito sulla pelle era sempre più fastidioso. Kate deglutì. La ragazza continuava a parlare, e quando in uno slancio le prese il polso, la detective sentì che non sarebbe riuscita a contenersi per molto. Via, voglio  andare via. Aria…ma lei, lei non la lasciava andare, e la sensazione di togliersi tutto e tutti di dosso si faceva sempre più pressante. Il suo respiro si fece affannoso, e il peso nel petto più pesante. Ormai la concentrazione per rimanere ferma e non fuggire era talmente alta che non capiva neanche quello che la ragazza continuava a dirle. Tutto era un sordo borbottio di fondo, il mondo intorno a lei era solo un unico suono persistente e rimbombante. Doveva chiudere la conversazione, e trovare una stanza vuota al più presto.

Brividi, paura, terrore, il cervello di Kate non riusciva più a pensare, era totalmente in panne che non..non c’era più. “Vai allora portala all’ospedale!” urlò al barelliere. Non sapeva con che tono avesse parlato, probabilmente più alto e scorbutico del normale, ma aveva bisogno di darsi una scossa per tenersi a freno, per darsi quel minuto in più che le avrebbe permesso di trovare il primo corridoio vuoto e lasciarsi andare. Già ora sentiva le crepe della sua armatura procedere dal suo cuore verso l’esterno. Lasciandola inerme.  Una luce in fondo al prato, lo sparo e il bruciore. Quel bruciore perforante, quella sensazione di essere stati colpiti proprio al centro del proprio essere, e di stare scivolando via, lentamente ed inesorabilmente verso il nulla. Oddio…non…Kate corse via, e a malapena sentì Castle che la chiamava, forse, non ne era sicura. Un posto, un semplice posto senza nessuno. Vide una porta con scritto “Solo per il personale”, e vi si diresse velocemente. Corse senza neanche guardare dove effettivamente stesse andando, fino a che non sentì che le voci intorno a lei erano attutite, lontane, e, dietro alla porta, ecco un corridoio vuoto. Basta. Non voleva niente addosso, non voleva sentire nulla che la costringesse, niente che la appesantisse, voleva solo sentirsi più leggera, voleva respirare, e schiarirsi le idee. Voleva togliersi quei brividi che aveva per tutto il corpo. Aiuto, aiuto. Non ce la poteva fare, non era capace, da sola…con il respiro affannoso, ma quanto era difficile respirare?

Kate si tolse tutto, il badge, la giacca di pelle, i guanti…si sarebbe tolta anche la maglia se non fosse stato che si trovava comunque sempre in un luogo pubblico. Ma la situazione non migliorò, anzi. Non seppe neanche come passò dall’uno all’altro, ma un attimo era appoggiata con la testa sul braccio, contro il muro, e l’altro era contro il muro opposto. Non ne era sicura, ma il mondo era così sfocato… Aiuto, aiuto. Io..non respiro..io..non ce la faccio. “Non posso…”, lacrime di cui non sapeva l’esistenza le scesero lungo il viso, e un urlo muto le bloccò la voce. La paura l’immobilizzava, e per fare qualcosa, qualsiasi cosa, si portò una mano al viso. Sono io, sono qui. Calma. No. Non è possibile…Aiuto!Lo sparo, le urla, il bruciore, lo svanire…aiuto, aiuto, aiuto, io non ce la faccio, pensò ancora e ancora. Come posso? Come riuscirò? Qualcuno mi aiuti per favore, qualcuno mi dia una mano, perché io, io non ce la faccio. Aria, ho bisogno di aria, respira Kate, respira. No, c è qualcuno qui?qualcuno che mi aiuti, perché non passa nessuno e mi dice qualcosa?Ma no..cosa dici Kate, stupida, nessuno deve vederti così. Calma, piangi Kate, piangi, e senti che l’aria è tornata? Senti che già riesci a respirare? Ma come faccio? Come faccio da sola? Aiuto..papà, mamma…Mamma dove sei..aiutami per favore, ho bisogno di te, per favore abbracciami e fammi sentire al sicuro come quando ero piccola, stai con me, mamma, non te ne andare. Respira Kate. Uno sparo, sua madre che cade per terra, un altro sparo e lei cade per terra. Brividi lungo la schiena, le braccia. Come faccio a proteggere la gente se non riesco neanche a proteggere te, mamma? Aiutami…Kate si lasciò andare, e si accasciò contro il muro, aveva la necessità di sentire qualcosa, qualsiasi cosa, contro di lei che le proteggesse le spalle. Io..perchè te ne sei andata ed io non ho potuto fare niente? Perché? Uno sparo, due, tre..basta..mamma io ho bisogno di te, ma devo lasciarti andare, e non voglio lasciarti andare, non voglio lasciarmi andare. Cosa devo fare?Io…io non lo so…

  
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