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Autore: Serendipity    27/11/2011    2 recensioni
Si erano rinchiusi nella loro gabbia dorata: fama, successo, donne e musica. La loro vita era considerata perfetta gli occhi di tutti, ma in realtà nascondeva un'oscurità profonda.
Loro erano diventati i Re di un mondo in rovina, sarebbero riusciti a risollevar le proprie sorti?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Johnny Christ, Matthew Shadows, Synyster Gates, The Rev, Zacky Vengeance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Disclaimer: Gli Avenged Sevenfold (Matt, Zacky, Brian, Jimmy, Johnny) sono persone realmente esistenti, e i loro volti corrispondono a quelli veri, e in quanto tali non sono di mia proprietà; mentre per Val, Michelle e Gena ho deciso di cambiarli; Hayden, Thalia e Sibilla sono personaggi originali da me creati. La storia si ambienta nel 2008, alla fine del tour promozionale del loro quarto album: ‘Avenged Sevenfold’.
Per tutte le altre informazioni ci saranno delle note a fine capitolo, buona lettura, e che l’avventura abbia inizio.

“Sono bloccati a Los Angeles” il laconico commento di Sibilla li aveva fatti sospirare tutti; la rabbia aveva lasciato posto prima alla noia poi alla desolazione; i tre ragazzi che stavano aspettando da ben due ore i loro familiari cominciavano ad averne abbastanza. Erano stati obbligati – non solo moralmente, ma anche fisicamente – dai propri fratelli ad attendere lì, a fine agosto, in uno dei posti più caldi e umidi della California: il Bus Station di Orange County. Una volta quel compito li rendeva orgogliosi e pieni di gioia, avrebbero potuto aspettare anche tre giorni il ritorno a casa degli Avenged Sevenfold, ma gli anni erano passati e c’erano stati troppi comitati di benvenuto per sentire solo minimamente la voglia di festeggiare.
“Se mi fanno fare tardi, giuro che li lascio in mezzo alla strada...” sbottò Hayden passandosi una mano trai capelli, appoggiandosi al suo fin troppo capiente pick-up. Dannata attrezzatura, dannata batteria, e dannato fratello con un disturbo ossessivo compulsivo non diagnosticato.
“Guarda che Charlie non sfugge, quella non vede l’ora di farsi fare da te, per poterlo dire all’intera scuola” il commento caustico di Thalia non tardò ad arrivare, lasciando gli altri due a bocca aperta, a fissarla come se fosse appena uscita da qualche buco spazio-temporale. “Non guardatemi così, io dico solo la verità” aggiunse borbottando, infilandosi i suoi amatissimi Ray-Ban sul naso e fissando un punto non ben definito dell’orizzonte.
“Thalia Rose Seward!” esclamarono a tono gli altri due, portando la ragazzina vicino a un crollo psicotico; tutti la trattavano come se fosse la bambolina di turno, la mascotte che si poteva coccolare e strapazzare a piacimento; ma Thalia non sentiva più una bambina da qualche anno. L’anagrafe segnata diciotto anni e mezzo, lei se ne sentiva almeno venticinque.
Ci avevano provato a nasconderle il mondo, a farle credere che le favole erano vere e che il lieto fine si poteva sempre desiderare; ma quello che non avevano capito, che gli occhi dei bambini leggevano la verità più remota delle persone, e lei sapeva che dietro i dischi d’oro e sorrisi smaglianti c’erano le macerie di Atlantide, la città perduta.
“Sentite, mia madre mi ha dato il permesso di prendere la macchina e venire qua a ritirare il pacco postale!” disse guardandoli entrambi. “Non sono più la ragazzina che si nascondeva nell’armadio all’ingresso ok? E poi…” pronunciò l’ultima sentenza con tono indagatore “Non è colpa mia se Hayden è un pedofilo del cazzo e ammalia le ragazzine della mia scuola, usando me come spalla” concluse sbuffando.
“In effetti, quanti anni ha questa qui Hayden?” chiese Sibilla accendendosi una sigaretta: Marlboro – tale fratello, tale sorellina -.
“Ha diciannove anni, è stata bocciata, e poi non rompetemi ok? Siete, due…”
“Oh eccoli finalmente!” esultò la più piccola dei tre, mentre sentiva in sottofondo l’amica borbottare e imprecare, guardandola spegnere la sigaretta e gettandola lontano, per poi prendere delle salviette umidificate pulirsi le mani e mangiare almeno tre o quattro gomme in una sola volta.
“Ancora non hai detto a Brian, che è sponsor ufficiale della Marlboro, che hai ripreso a fumare?” chiese divertito il ragazzo.
“No, e sai quanto possa essere petulante lui per cose come questa” sospirò profondamente chiudendo gli occhi.
“Io direi più ipocrita, con la vita che fanno loro, si mettono sempre sul pulpito a sputar prediche” aggiunse Thalia, legandosi i capelli – tornati castani naturale, dopo essere stati fucsia -.
“Sbaglio, o ti sei svegliata con il piede sbagliato?” commentò divertita l’amica.
“No, non sbagli, solo che non lo so, come saranno ridotti? Il fatto che le ragazze siano andati con loro mica mi incoraggia” il Tour Bus stava compiendo le manovre per poter parcheggiare nella corsia di scarico merci, e le parole della piccola Thalia colpirono nel profondo gli altri due.
“Rana dalla bocca larga” celiò il ragazzo scompigliandole i capelli. “Johnny è vivo ok? Non ci sono stati comunicati stampa” aggiunse ridendo. “Nessuno te lo tocca il nano malefico”
“CI provassero solo, guardo troppe serie televisive per non sapere come ucciderli uno a uno senza lasciare tracce” borbottò tutta presa. “E comunque spero che non gli abbiano rotto l’anima, tuo fratello è un cazzone non lo lascia mai in pace!”
“Ma senti chi parla?”
“Se volete iniziare una lotta tra chi ha il fratello meno colpevole, la perdete entrambi in partenza, quei cinque sono la cosa più disfunzionale sulla faccia del pianeta!” l’interruppe la biondina che aveva gli occhi alzati al cielo e scuoteva la testa sconsolata.
“Guardate che siamo qui e vi abbiamo sentito” la voce di Zacky li fece girare tutti di scatto, e i tre ragazzi si ritrovarono l’intera band, le tre consorti e i due cani a fissarli,  dietro all’amabile gruppetto c’erano tutte le valige, mentre i roadies stavano portando anche la strumentazione con un muletto.
“Meglio cosi sapete la cruda verità” rispose Sibilla senza batter ciglio. “Come ci dividiamo? Mi sa che tutti non entriamo nelle auto, qualcuno torna a piedi?” aggiunse con una piccola smorfia divertita, sperando proprio che fosse Baker a proporsi, immolandosi per la causa.

Valary amava tornare a casa propria dopo un lungo tour; nonostante il suo ruolo da ‘tutto fare’ fosse ormai obsoleto, c’era sempre qualcosa che doveva fare, piccole situazioni a cui porre rimedio, o qualcuno a cui fare la badante. Sua sorella era troppo presa da se stessa e dal suo voler essere perfetta per Brian – che agli inizi voleva semplicemente dire avere un bel seno e pochi vestiti -. Non era un ragazzo cattivo, ne sua sorella una svampita, erano semplicemente due persone imperfette che si credevano perfette. Lei invece, i suoi difetti li elaborava giorno per giorno, insieme a una buona dose di pazienza per poter sopportare anche quelli del ragazzo; aveva smesso di pensare a una vita più o meno convenzionale, a una casa con lo steccato bianco, una piscina e magari anche una famiglia. Matt non era cresciuto, nessuno della band aveva maturato un minimo di consapevolezza degli anni che passavano, loro erano ancora inebriati dalla fama, giocavano all’xbox e si ubriacavano come sedicenni in gita scolastica.
“Giuro che dopo sistemo tutto” commentò Matt entrando in camera, vedendola in piedi davanti a un letto pieno di panni da separare.
“Devi solo mettere le valige a posto in garage, e fallo prima di sederti a giocare” aggiunse con lo stesso tono che avrebbe usato una mamma nel suggerire al figlio di fare i compiti e poi giocare.
“Non ti fidi?” chiese abbracciandola da dietro, attirandola a se e baciandole il collo.
“Assolutamente no Sanders, ti conosco, sei riuscito a lasciare la zucca ammuffita in garage fino a che non ha iniziato a decomporsi” gli ricordò ridendo, per poi scuotere lievemente la testa divertita.
“E solo perché hai minacciato di mandarmi in bianco, ricordiamola questa cosa” rise lui facendola girare, per poi chinarsi in avanti e baciandola a lungo. “Ti amo lo sai?” un sorriso sincero e l’ennesimo bacio.
Valary amava tornare a casa propria, dopo un lungo tour; perché M Shadow rimaneva fuori della porta, lasciando entrare solo Matt, il ragazzo di cui dodici anni prima si era follemente innamorata.
Il ragazzo alto e impacciato che quando l’aveva invitata al ballo, e lei aveva detto di si, c’era rimasto quasi secco, ed era corso via per dirlo agli amici.
Il ragazzo che aveva speso ogni singolo centesimo che aveva per affittare la limousine e uno smoking di seconda mano, e che le aveva regalato la serata più bella della sua vita.
Il ragazzo a cui aveva donato la propria verginità, e che le aveva promesso di custodire il proprio cuore, a qualunque costo.
Il ragazzo che l’aveva tradita con una fan troppo avvenente e decisamente ubriaca.
A quel pensiero si irrigidì e lo spinse via. “No, Matt non me la sento” aggiunse subito dandogli le spalle, per poter nascondere gli occhi lucidi e delle lacrime che impertinenti erano scivolate lungo le gote.
“Ancora?” protestò lui perdendo totalmente il buon umore.
“Si ancora Matt” rispose irritata, per poi girarsi con uno sguardo carico di risentimento.
“Son passati ormai due mesi Val… E pensavo che avessimo chiarito…” provò a dire, sentendo una stilettata al cuore notando gli occhi di lei, quegli stessi occhi che erano il suo rifugio quando il mondo lo voleva schiacciare come se fosse una piccola formica.
“Scusa se non riesco a cancellare l’immagine di te con quella tizia” sbottò piena di ira.  “Ma non ci posso fare niente, ok? Devo ancora riuscire… A…”
“Ma non mi hai punito abbastanza?” chiese allucinato, negli ultimi due mesi avevano litigato più che parlato, avevano sviscerato l’argomento senza pietà, a costo di ferirsi reciprocamente senza mai smettere. Lei si era chiusa a riccio evitando quasi ogni contatto fisico; e lui d’altro canto non sapeva più cosa altro fare; aveva anche supplicato il perdono.
“Solo perché non facciamo sesso da due mesi?” sospirò scuotendo la testa. “Non provare a rispondere Matt, ma vorrei tanto che tu fossi nei miei panni, ammesso che provi ancora quello che provo io, non ne sono più certa” aggiunse combattuta.
“Non so cosa altro fare, ti ho chiesto scusa, ci siamo detti tutto… Io… Voglio poter rimediare”
“Ho bisogno del tempo ok?”
Quanto ne vuoi piccola, ma non lasciarmi.
“Va benissimo” esclamò lui uscendo dalla stanza con un pessimo umore, stava male per averla fatta soffrire, soprattutto perché non era la prima volta, purtroppo, ma… Era decisamente meglio non dirglielo, aveva giurato il falso, aveva affermato che fosse la prima, l’aveva guardata negli occhi e le aveva mentito candidamente, con una semplicità alla quale non credeva nemmeno lui.

“Posso portare gli Avenged Sevenfold come tesi di laurea? Devo fare una ricerca, e le vostre dinamiche disfunzionali, dipendenti uno dall’altro, ma anche da alcool droga e decisamente sesso, sono quasi catastrofiche, siete un micro universo in espansione che raggiungerà presto il punto di collasso e imploderà su se stesso creando una sorta di buco nero che trascinerà tutti coloro che vi stanno intorno nell’oblio con voi…” una frase di quasi ottanta parole in meno di venti secondi, non aveva preso fiato rischiando che un embolo le partisse dai polmoni per viaggiare fino al cervello facendola secca.
“Scusa cosa hai detto?” chiese Brian facendo finta di non aver ascoltato minimamente lo sproloquio della sorella. Troppi insulti mascherati con paroloni scientifici per i suoi gusti; aveva capito solo le nozioni chiave come: catastrofiche, implodere e oblio, per comprendere che non erano di certo complimenti.
“Scemo” borbottò sospirando. “Comunque era una finta richiesta, ho già compilato il modulo, voi siete le mie cavie, sia mai che possa pubblicare l’articolo in qualche rivista specializzata” aggiunse con un sorriso tornando a tagliare la carne per fare un panino al fratello.
“Provaci e giuro che ti faccio secca, non mi va per un cazzo che ficcanasi e scrivi su di noi” rispose lui senza nemmeno guardarla, con quel tono che aveva imparato a conoscere e a temere perché tremendamente serio; cosa molto rara per un Haner esserlo.
“Non vado mica a scrivere gossip!” esclamò lei risentita. “Di certo non uno nomi vero, anzi generalmente si elencano i soggetti con le lettere dell’alfabeto!” aggiunse.
“Certo, perché la gente è talmente stupida che se parli di un gruppo che suona, che esce sempre insieme, e che è composto da cinque elementi maschili, non ricollega il tuo cognome a noi?” le chiese fissandola dritta negli occhi, posando il pane che stava separando con attenzione.
“Io… Non ci avevo pensato” ammise mordendosi un labbro con aria colpevole. Odiava dimostrarsi impreparata agli occhi del fratello, che l’aveva sempre vista come la sorellina piccola da proteggere e da tenere lontana dai propri errori. Brian, a differenza di quanto volesse far credere era un ragazzo sagace e intelligente, i suoi anni al conservatorio li aveva vissuti al meglio immergendosi in un mondo di musica e arte classica, che gli avevano dato la chance di avere una cultura non indifferente; che però paragonata al mondo in cui viveva stonava.
“Vedi di studiare la cosa meglio, non ti sto dicendo di no, ma sarebbe come avere un microscopio puntato addosso, non una lente di ingrandimento” addolcì il tono rendendosi conto di essere stato fin troppo duro.
“Sai che non farei niente di niente che potesse danneggiarvi”
“Ci pensiamo già noi” aggiunse sincero. “Prova a trovare un altro tipo di ricerca”
Lasciaci in pace, almeno tu, per favore.
“Allora dimmi, com’è andata?” chiese cambiando bruscamente discorso, per poi fare il giro dell’isola della cucina e andare ad abbracciarlo affettuosamente; non lo aveva fatto prima, perché loro due in pubblico avevano una sorta di codice tacito: niente baci ne abbracci, ma solo risposte sarcastiche e insulti.
“Benissimo, abbiamo fatti i numeri, è stato grandioso, questo è uno degli album che hanno riscosso più successo in assoluto!” rispose lui entusiasta. “Devi vedere i regali da parte dei fan, alcuni sono stratosferici”
“Vi ho seguito nei vari forum, alcune ragazza sono veramente malate” commentò ridendo.
“Abbiamo indetto una gara: chi vinceva più reggiseni o biancheria intima” statuì lui tutto fiero e divertito; ancora, nonostante il successo si era affermato qualche anno prima, stentavano a credere quante ragazzine li acclamavano come se fossero degli Dei scesi in terra.
“Chi ha vinto? Io punto su Johnny, lui quatto quatto le conquista tutte…” rise divertita.
“Jimmy, sorprendentemente ha vinto lui” scosse la testa. “Io sono arrivato secondo, Zacky e Johnny a pari merito, e Matt per ultimo”
“Questa si che non me l’aspettavo! Comunque sia, appoggio le fan: Jimmy è mille anni avanti a voi!” gongolò divertita.
“Lo dici solo perché è l’unico che ti da spago” celiò lui.
“Ovvio” convenne annuendo tutta seria.

“Hayden si è comportato bene?” chiese Jimmy entrando in casa del bassista. “Perché poteva tranquillamente andarsene  in un albergo invece che stare qui!” aggiunse divertito.
“Benissimo! Mamma era sollevata che stavo qui con qualcuno di più grande!” rispose Thalia accendendo le luci dell’ingresso, appendendo le giacche di tutti con cura. Le era piaciuto stare l’estate da sola a casa del fratello, l’aveva fatta sentire grande, cosa che non accadeva tutti i giorni, dato che il mondo intero la vedeva ancora come una mocciosa con i denti da latte.
“I muratori finiscono tra un paio di settimane, prima è stato troppo caldo e le termiti sarebbero proliferate subito” lo informò il fratello. “E devi provare la pasta di Thalia, è divina!”
“Si mia sorella ha ripreso la dote di mia madre per cucinare!” annui Johnny stampando un bacio in testa alla moretta che sorrise tutta orgogliosa.
“L’ho anche aiutata con gli esercizi di fisica” aggiunse Hayden facendole l’occhiolino.
“Non è che mi ha aiutato, mi ha proprio obbligato a farli” borbottò scuotendo la testa. “Ragazzi voi state nelle due stanze degli ospiti io dormo con Johnny” aggiunse poi avviandosi verso la cucina. “Ci sono asciugamani puliti su ogni letto, e i panni metteteli nel bagnetto di servizio che se fate come Johnny vi uccido” aggiunse.
“Perché tuo fratello come fa?” domandò Jimmy curioso; era quasi impressionante vedere come si fosse trasformata in una piccola donna – una donnina – di casa; tra loro due c’erano dieci anni di differenza, un abisso quasi, e poteva dire di averla vista crescere. Quando l’aveva conosciuta  aveva l’apparecchio ai denti e le trecce perennemente perfette. Lei, più di tutte aveva assorbito delle sfumature fin troppo simili alla loro vita, era ribelle e rivoluzionaria, amava tingersi i capelli di improponibili e cacciarsi in ogni tipo di guaio. Johnny si sentiva responsabile, perché lui si era preso cura di lei, dato che i genitori lavoravano dodici ore al giorno per far quadrare tutti i conti; solo dopo Citi Of Evil si era potuto permettere di estinguere il mutuo dei suoi e prendersi quella casa in affitto.
“Butta tutto insieme!” rispose allucinata; come se fosse una cosa da pena capitale.
“Johnny!” fu il coro canzonatorio che si elevò da entrambi i fratelli Sullivan.
“Non ho mai avuto problemi, funziona tutto alla perfezione” si giustificò il ragazzo alzando le mani in segno di resa.
“Solo perché evita di comprare qualsiasi tipo di indumento rosso” lo rimbeccò la sorella sbuffando.
“Johnny è un piacere riaverti a casa, mi sei mancato tanto…” disse imitando la voce acuta della sorella salendo poi le scale con tutta la sua roba.
“Scemo!” gli urlò dietro Thalia facendogli una linguaccia.
Johnny si chiuse in camera a chiave accese lo stereo e iniziò a far scorrere l’acqua calda della doccia, anche se era piena estate lui amava sentire il calore dell’acqua avvolgerlo tutto, ed era una delle poche cose che riusciva a calmarlo. Era stato un lunghissimo tour, uno di quelli che spezza un po’ l’incredibile convinzione che per la musica si farebbe di tutto; nonostante la qualità fosse nettamente migliorata – erano ormai tre anni che nessuno di loro si prendeva i pidocchi dai cuscini degli infami motel in cui alloggiavano – la continua presenza di tutti ovunque e comunque era snervante. Era certo che anche Jimmy la pensasse così, ma non avrebbe potuto mai rifiutare l’ospitalità ai due fratelli che avevano avuto problemi a casa loro; ben sapendo che tra le due generazioni Sullivan non correva buon sangue, quindi non sarebbero mai andati a stare a casa dei loro genitori.
La cosa lo rattristava, perché il bassista non avrebbe mai potuto immaginare la propria vita senza i genitori, o sua sorella, per lui la famiglia era sacra, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerla. Invece Jimmy e Hayden si erano separati dai genitori e dalle dalla sorella maggiore, senza spiegare mai apertamente il motivo di tale scelta. Sarebbe stato uno di quei segreti che forse, nessuno avrebbe mai scoperto. Forse.

Note dell'autrice:
Il primo capitolo è sempre una scommessa, deve essere un'introduzione ma non deve risultare ne troppo ne poco. Spero di non aver deluso le vostre aspettative, ho deciso di giocare con gli Eccessi di questa band, uno scorcio di quella vita che ogni Fan almeno una volta nella sua esistenza si è ritrovata a pensare. Questa band non ha mai nascosto i loro vizi, i loro giochi; ma di certo sono sicura che sappia mantenere molto bene i loro segreti; e che ci regalino solo una parte del loro mondo, il resto lo costudiscono gelosamente. Io ho provato a rubarlo a loro e regalarlo a voi. ;)
Sinner Never Sleep. è un titolo di un album di una band che ascolto, gli You Me at Six, e il titolo del capitolo è una loro canzone.
Grazie per essere giunti fin qui, se vi è piaciuto il capitolo, o se non lo avete trovato particolarmente bello, una recensione è sempre gradita.
Volti: Gena, Hayden, Sibilla, Thalia, Val&Michelle.

  
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