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Autore: mamie    29/11/2011    3 recensioni
Nevica. Quattro persone stanno guardando la neve e per ciascuna di loro ha un significato diverso.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Byakuya Kuchiki, Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Ukitate Jyuushiro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 1. Quiete
 
Quella mattina, al risveglio, prima ancora di aprire gli occhi e notare una luce diversa, morbida, filtrare dagli shoji, la prima cosa che percepì fu il silenzio.
Un silenzio così profondo e alto che sentiva distintamente il frusciare delle coperte ad ogni minimo fiato. Si azzardò a prendere un respiro profondo, stupito di non sentire più dolore, e l'odore che gli arrivava era un profumo di pulito e di fresco.
Restò ancora un po' ad occhi chiusi, beandosi del tepore delle coperte.
Quando Kiyone entrò con il tè, a piccoli passi misurati per non disturbarlo, aprì gli occhi e sorrise come sempre.
- Come vi sentite oggi, capitano?
La solita domanda, a cui diede la solita risposta: - Bene - in tono più convinto del solito.
Kiyone lo scrutò con occhio critico. Effettivamente il capitano Ukitake sembrava stare meglio, dopo l'ultima bruttissima crisi che l'aveva costretto a letto per quasi un mese. Aveva l'aspetto più riposato, gli occhi brillanti della solita luce calda e intensa, il sorriso disteso.
- Nevica? - chiese lui interessato come un bambino.
- Sì - rispose entusiasta la ragazza.
- E' già quasi tutto bianco - aggiunse.
- Fammi vedere.
Gli shosji si spostarono con un fruscio scoprendo il quadro incantevole del giardino imbiancato. Grossi fiocchi leggeri scendevano lentamente come farfalle mentre il resto del mondo li accoglieva silenzioso e immobile.
- Lasciali aperti per un po'- chiese Ukitake.
- Prenderete freddo - rispose Kiyone con tono di rimprovero mettendogli sulle spalle un'altra coperta.
Ukitake rise: - Non mi succederà niente per qualche minuto.
- D'accordo, io vado a prendervi la colazione, ma quando torno li chiudiamo - replicò la ragazza decisa.
Ukitake sospirò. Così giovane. Così premurosa. Le aveva detto almeno mille volte che non aveva bisogno che gli stesse sempre attorno, che aveva familiari e domestici a sufficienza, ma non era mai riuscito a dissuaderla.
Si riappoggiò al futon per stare più comodo e godersi lo spettacolo della neve. Nella Seiretei la neve era sempre magnifica. Era un dono di pace per un mondo incattivito e sconvolto dal tradimento e dalla guerra. Sul bordo innevato dell'engawa spiccavano piccole orme di passeri che forse avevano cercato lì intorno qualche briciola. Nel giardino i frutti del corniolo rilucevano come piccole braci.
Ukitake pensò che non si sarebbe mai stancato di contemplare quella pace, perché era per quello che si erano addestrati e lottavano così ostinatamente giorno per giorno. Sapeva anche, però, che quello che la rendeva così preziosa era anche il fatto che era così rara.
Kiyone entrò sorridendo con un vassoio colmo di tazze fumanti. Si sentiva l'odore buono e delicato del riso cotto al vapore, il sentore pungente delle prugne sottaceto, il lieve aroma piccante del wasabi…
Posò a terra il vassoio e andò a chiudere gli shoji, con cura, perché non passasse nemmeno un filo d'aria fredda.
Ukitake le sorrise anche lui, per non far vedere il suo lieve disappunto.  Ora che si sentiva meglio avrebbe potuto aprirli di nuovo più tardi, e restare ancora un po' a guardare il giardino. Con un cenno di educato ringraziamento, che fece arrossire leggermente Kiyone, afferrò gli hashi e cominciò a mangiare.
 
 
2. Dolce neve
 
Anche Rukia guardava, dalle ampie finestre dell'ufficio, la neve scendere lenta sul cortile della Tredicesima e coprire tutto di un manto soffice e scintillante. Era sicura che di lì a poco qualcuno, magari uscendo dal dojo dopo gli allenamenti, avrebbe cominciato a tirare palle di neve e presto ci sarebbe stata un'allegra battaglia da cui sarebbero rientrati tutti bagnati come pulcini e pronti per una sgridata. La neve era così bella! Come la sua spada quando danzava la sua danza di morte ghiacciata...
Però Rukia non riusciva ad amarla.
Non riusciva a dimenticare cosa fosse la neve nel Rukongai. Lì la neve voleva dire mani e piedi che facevano male per i geloni, fango ghiacciato per le strade, gente che faceva a botte per un ciocco di legno asciutto, orme che si vedevano troppo bene e fame, tanta fame.
Una volta l'avevano anche mangiata, la neve. Be', quello era stato proprio divertente. Avevano rubato un vasetto di marmellata di azuki, piccolo, non bastava certo per tutti, e allora qualcuno aveva avuto l'idea di mettere della neve pulita nelle tazze e versarci sopra una cucchiaiata di quello sciroppo dolce. Era stato un banchetto, quasi che il loro misero riparo si fosse trasformato in un'ala del palazzo imperiale.  Rukia lo ricordava ancora, il sapore di quella neve, fresco e dolce e appena acidulo, e anche il colore bruno che si perdeva in una sfumatura rosata sul fondo, come petali di peonia.
Non lo avevano fatto mai più, dopo. Quando erano rimasti soli, lei e Renji, non avevano più avuto il coraggio di mangiare la neve. Erano troppi i ricordi che si affollavano in quelle misere tazze sbeccate e non c'erano più illusioni a farli divertire.
Però adesso improvvisamente ne aveva voglia di nuovo. Quando Sentaro entrò portando il solito tè gli chiese, arrossendo, di andare a prendere della marmellata di azuki poi, sotto lo sguardo leggermente allibito del terzo seggio, andò a riempire le tazze di neve fresca appena caduta. Quando il dolce fu pronto uscì in fretta per intercettare Renji che a quell'ora doveva essere in pausa pranzo. Si trovarono appena fuori dalla porta della Sesta e quando lui la salutò col suo solito tono di voce strafottente, lei gli allungò una tazza di dolce di neve.
Lui rimase lì per un po' a fissarla, lo stupore negli occhi e poi la consapevolezza. Ma lei sorrideva. E allora anche lui sorrise, quel sorriso grande e caldo che aveva solo nelle occasioni speciali, e andarono insieme a cercarsi un angolo dove potessero stare soli con i loro ricordi.
 
 
3. Petali di ciliegio
 
Il capitano Kuchiki era sempre puntuale, qualsiasi fossero le condizioni del tempo quando usciva di casa per recarsi nei suoi uffici della Sesta Compagnia. Non si lasciò per nulla scoraggiare, quindi, dalla nevicata abbondante che aveva ricoperto in un attimo le strade linde e ordinate della Seiretei. Si limitò a stringersi meglio attorno alla gola la morbida sciarpa di seta e continuò a camminare col suo solito passo calmo e cadenzato verso la sua meta.
Non c'era vento e la neve volteggiava e si posava leggera tutto attorno;  l'unico rumore era il lieve fruscio che i suoi passi facevano lasciando le sue orme solitarie.
Quel mattino, passando, aveva gettato un'occhiata distratta al vecchio ciliegio che sembrava morto sotto la coltre bianca che ne ricopriva i rami, eppure non aveva potuto fare a meno di pensare che presto sarebbe rifiorito, e che poi i petali avrebbero cominciato a cadere, silenziosamente, proprio come quei fiocchi. Breve la vita dei petali di ciliegio, breve la vita della neve che si sarebbe disfatta al primo raggio di sole, così come breve era stata la sua felicità di un tempo. Ma il ciliegio rifiorisce, la neve anno dopo anno torna a cadere. Solo per lui il tempo si era fermato e non aveva fatto altro che avvizzire.
Guardò in alto finché la cascata di cristalli candidi non lo stordì leggermente facendolo vacillare e fermare, da solo, in mezzo alla strada. Sentiva le carezze fredde dei fiocchi sul viso e sulle labbra. Restò così a lungo prima di rendersi conto che sarebbe stato meglio sbrigarsi.
Quando tuttavia arrivò in ufficio, visibilmente bagnato e per di più in leggero ritardo, nessuno osò emettere il più piccolo fiato in proposito. Soltanto Renji si alzò per andare a prendere un haori asciutto e una tazza di tè caldo.
- Problemi, capitano? - chiese in un tono lievemente preoccupato.
Byakuya lo gratificò di un'occhiata meno gelida di quanto si sarebbe aspettato.
- Nessuno - rispose.
 
 
4. Famiglia
 
Cosa facevano di solito, quando c'era la neve e loro erano piccoli? Ichigo ricordava vagamente grandi pupazzi di neve con nasi di carota e occhi di bottoni, corse pazze con gli slittini da cui regolarmente cadevano bagnandosi completamente, grandi battaglie a palle di neve da cui lui usciva puntualmente sconfitto, nonostante fosse il più grande; e poi il bagno bollente tutti insieme, il caldo della cucina da cui provenivano buoni odori di spezie e dolci, il tepore dei piumini sotto cui si rannicchiavano ridacchiando prima di addormentarsi di colpo. La neve era una piccola festa che il cielo regalava alle loro esistenze monotone, un dono di allegria nel mezzo della stagione più triste dell'anno.
Da quando Masaki era morta suo padre aveva cercato ogni anno, alle prime nevicate, di mantenere intatta quella tradizione di giochi spensierati, senza riuscirci mai. Il suo entusiasmo, anzi, irritava Ichigo che finiva inevitabilmente per rientrare in casa e guardare fuori dalla finestra quella coperta di malinconia e solitudine.
Quel giorno però, mentre la guardava cadere con lentezza e posarsi al suolo, gli venne un pensiero che non aveva mai avuto. Sì, la neve ti bagna, ma lo fa con dolcezza. Copre tutto, anche le cose tristi diventano bianche e belle con la neve. La neve ti obbliga a rallentare, a fare attenzione, a fermarti. Accompagna la tua anima come se dal cielo venissero giù le benedizioni di quelli che hai amato, di quelli che ti hanno amato.
Meglio, molto meglio della pioggia. 
  
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