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Autore: Blackmoody    26/03/2004    22 recensioni
One-shot dedicata a Èowyn e Faramir: il loro incontro vissuto attraverso gli occhi di lei.
revisione & correzione 2O11
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eowyn, Faramir
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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BLACK MOODY’S FANFICS CORPORATION PRESENTS

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Triste come me

A proposito di Èowyn e Faramir

 

 

 

 

 

Chissà se c’era qualcun altro triste come me, in quei giorni.

La risposta era ovviamente affermativa, visto tutto ciò che stava accadendo, eppure mi veniva spesso da domandarmelo da quando mi trovavo nelle Case di Guarigione. Anzi, da quando l’uomo di cui mi ero innamorata mi aveva chiaramente detto in faccia che non mi ricambiava.

Avevo perso mio padre e mia madre da tempo, mio zio era morto dinanzi ai miei occhi e mio fratello era andato a combattere al Morannon: avevo i miei buoni motivi per essere triste.

Ma in realtà era il rifiuto di Aragorn che mi faceva soffrire oltre ogni cosa.

“Non posso darti quello che cerchi.“, ecco quali erano state le sue parole per me: un modo cavalleresco per farmi capire che per lui non contavo granchè.

Nonostante questo provavo ancora una sconfinata ammirazione per la sua persona e per il suo grande valore, per tutto ciò che lui era e che io desideravo essere con tutta me stessa.

Non era forse per compiere gesta simili alle sue che ero andata in battaglia? O forse per dimostrare che Èowyn di Rohan non era inferiore a nessuno degli uomini, zio e fratello compresi, che le raccomandavano di restare al sicuro? Quale che fosse il mio reale proposito, lo avevo certamente raggiunto. Ma nemmeno tali pensieri gloriosi riuscivano a farmi uscire da quella fredda tristezza della quale ero preda: non potevo muovermi dalle Case, non potevo fare nulla di utile e mi sentivo come prigioniera, ancorata a un sentimento che si cancellava lentamente.

E più quel sentimento si faceva vuoto e inutile, più aumentava il mio dolore.

Ero ancora viva, questo sì, però non mi era di gran consolazione.

 

 

“Ci sarà qualcun altro triste come me, in questo momento?”, mi domandai per l’ennesima volta anche quel giorno. Da quasi una settimana ero ricoverata nelle Case di Guarigione di Minas Tirith, e finalmente mi era stato accordato il permesso di alzarmi dal letto: avevo ancora un braccio fasciato, ma se non altro potevo camminare un po’.

Inoltre, desideravo parlare con il Custode delle Case.

Lo trovai sotto le grandi arcate del portico che dava sul giardino a oriente, intento a cercare alcuni unguenti per i soldati feriti, e gli rivolsi la parola con quanta più gentilezza mi era possibile:

« Signore, sono molto irrequieta. Non riesco più a stare nell’inerzia. » dissi.

Il Custode, un uomo sulla sessantina dall’aspetto gentile, mi rivolse un’occhiata che a me parve colma quasi di pietà:

« Mia signora, ti capisco, eppure non sei del tutto guarita e mi è stato raccomandato di curarti con particolare attenzione. Ho l’ordine di farti restare qui per almeno altri sette giorni. » rispose.

Inutile chiedere chi gli avesse fatto tale raccomandazione. Mi domandavo invece perché mai Aragorn continuasse ad avere grande premura per le mie condizioni.

« Io sono guarita, » ribattei, caparbia come al solito, « e desidero notizie dalla guerra. Le donne non sanno dirmi niente. »

Il Custode sospirò: « Non ti dicono nulla, mia signora, perché non ci sono cose da dire. Da quando i Capitani sono partiti nessuno ha più ricevuto loro nuove. Ti prego di startene quieta qui, mia signora. », e mi guardò di nuovo con compassione. Era chiaro, e lo sapevo, che desideravo andare in battaglia in cerca di una morte gloriosa. Tutto mi appariva così privo di significato che nemmeno la luce del Sole che brillava sui giardini riusciva a darmi conforto, né la fresca penombra del colonnato in cui mi trovavo. Sentivo sempre e solo un gran freddo.

« Non c’è dunque niente che io possa fare? » ripresi: « Chi comanda adesso in città? »

« Credo che momentaneamente quel ruolo spetti a sire Faramir, figlio di Denethor. »

Faramir.

Fu quella la prima volta in cui udii il suo nome con tanta chiarezza.

« Potresti accompagnarmi da lui? Desidero parlargli. » dissi, anche se non sapevo bene di cosa.

Il Custode s’inchinò: « Certo, mia signora. » rispose, e mi guidò oltre il portico, nei giardini che si aprivano sulle mura.

Riuscii a scorgere immediatamente la figura del nuovo Sovrintendente, in piedi vicino al parapetto di pietra con lo sguardo rivolto a Est, verso lo stesso punto che spesso anch’io scrutavo; si girò verso di noi non appena ci udì arrivare, e io non potei fare a meno di notare i suoi occhi, di un azzurro scuro velato di tristezza, e la sua espressione cupa che doveva essere tremendamente simile alla mia. Il mio cuore diede un primo, impercettibile tuffo, ma io non vi badai.

« Sire Faramir, questa è Dama Èowyn di Rohan. » esordì il Custode in tono di profondo rispetto, facendo segno nella mia direzione: « Le sue cure sono state affidate a me, ma ella non è contenta e vuole conferire con te. »

“La mia infelicità certo non dipende da questo.” pensai amaramente, e intervenni:

« Non lo fraintendere, sire, non mi sto lamentando delle Case di Guarigione. Il fatto è che non sono capace di vivere a lungo chiusa in una gabbia. Io… » mi fermai un attimo, per cercare le parole giuste: « … io desideravo la morte in battaglia, eppure la battaglia continua e io sono ancora in vita. » conclusi tutto d’un fiato.

Allora Faramir mi guardò in viso per la prima volta: vidi i suoi occhi cambiare espressione, vidi la tristezza che li colmava cedere il passo ad uno sguardo di stupore e tenerezza che non seppi comprendere, e fui scossa da un brivido. Ma fu un brivido tiepido, ben più piacevole di quello che avevo avvertito nell’offrire quel calice ad Aragorn, quando le nostre mani si erano sfiorate nelle sale di Meduseld.

« Cosa vuoi che io faccia, mia signora? » domandò Faramir, e la sua voce era gentile. « Anch’io sono prigioniero, se così si può dire, dei Guaritori. »

« Vorrei che ordinassi al Custode di lasciarmi andare. » risposi in un soffio, e subito me ne pentii. Stavo facendo la figura della fanciulletta capricciosa, non certo della fiera e dignitosa Dama dal Braccio d’Acciaio che aveva sconfitto il Re Stregone di Angmar.

Però, non mi ero forse stancata di quel mio maledetto orgoglio?

Faramir scosse il capo, i capelli chiari che ondeggiavano:

« Ormai è tardi per seguire i Capitani dell’Ovest, mia signora. La fine giungerà comunque per tutti, se le cose dovessero andare male, e allora potrai scegliere quella che preferisci. Nel frattempo, sia tu che io dobbiamo sopportare queste ore d’attesa. » mi disse.

Aveva ragione. Perché non mi decidevo ad abbandonare la mia fissazione per le morti gloriose? Perché non mi decidevo ad ammettere che il mio reale desiderio era quello di non morire? Se soltanto la mia tristezza fosse svanita, anche i miei pensieri si sarebbero fatti più chiari.

Poi Faramir parlò di nuovo:

« Ogni qualvolta vorrai, mia signora, prova a passeggiare in questi giardini. La stessa cosa farò io, poiché entrambi desideriamo volgere lo sguardo a oriente. Se tu passassi del tempo discorrendo assieme a me allevieresti le mie pene e le tue, se non oso troppo. »

Mi sentii arrossire lievemente:

« E come potrei alleviare il tuo dolore, mio sire? » chiesi sconcertata.

« Il semplice vederti sotto la luce del Sole prima che cada l’oscurità potrebbe dare pace al mio cuore, Èowyn di Rohan, perché sei bella, e perché mai in tutta la mia vita ho avuto occasione di mirare una dama meravigliosa e triste quale tu sei. » fu la sua risposta, e nell’udirla un altro brivido mi percorse. In molti avevano lodato la mia bellezza, ma nessuno lo aveva fatto in maniera altrettanto naturale e spontanea.

Cercai di assumere un’aria distaccata e compiaciuta al tempo stesso, e mi risultò invero difficile:

« Ti ringrazio per l’offerta, mio sire, e ti assicuro che la accetterò volentieri. Camminerò quindi all’aria aperta per grazia del Sovrintendente di Gondor. » dissi con una riverenza.

Mi voltai e rientrai nelle Case, e passai il resto del pomeriggio a interrogarmi sulle strane sensazioni provate, mentre il mio sguardo vagava più sovente verso i giardini, dove ancora Faramir passeggiava, che non verso l’Est, dove di sicuro Aragorn combatteva.

Che il mio cuore stesse cambiando?

 

 

Rividi Faramir la mattina seguente, sempre sotto quel Sole ridente.

Subito dopo essermi svegliata e abbigliata mi ero recata alle mura, e vi stavo giusto passeggiando quando udii la sua voce alle mie spalle:

« Ti auguro un buon giorno, mia signora. »

Abbozzai un sorriso e scesi dal parapetto, avvicinandomi a lui:

« Buongiorno a te, mio sire. »

« Sono felice che tu abbia accettato il mio consiglio, Èowyn di Rohan. » aggiunse Faramir, e i suoi occhi assunsero la medesima espressione del giorno prima.

Così iniziai a parlare amabilmente del più e del meno, e da lì trascorremmo gran parte della giornata nei giardini baciati dal Sole, alternando lunghi dialoghi a momenti di tranquillo silenzio.

Nei cinque giorni che seguirono non mancammo mai di passare del tempo assieme, conversando e aprendo i nostri cuori l’una all’altro, mentre la mia tristezza sbiadiva piano piano: si stava trasformando in una sorta di malinconia resa più dolce da una gioia ancora nascosta.

E infine giunse il sesto dì dal mio primo incontro con Faramir.

Faceva molto freddo, e un vento pungente di nord aveva portato una pesante coltre di nubi plumbee sulla città; era tutto talmente tetro che anche il mio animo si era fatto di nuovo cupo, e Faramir aveva il volto adombrato. Entrambi tenevamo lo sguardo fisso in direzione di Mordor, ben consci che in quelle ore, molto probabilmente, sarebbe finito tutto, nel bene o nel male. Rabbrividii: « Una settimana è trascorsa dalla partenza dei Capitani. Non dovrebbero essere ormai arrivati al Cancello Nero? » osservai, rivolta più a me stessa che a Faramir.

« Già, una settimana. » ripetè quest’ultimo in tono altrettanto pensoso: « Eppure questi giorni mi hanno recato pena e gioia al contempo, Èowyn. Gioia di poterti vedere e paura che questo mondo finisca tra breve, facendomi perdere ciò che da così poco ho trovato. » e mi rivolse uno sguardo che poteva significare molte cose e non significarne nessuna.

Sentii i battiti del mio cuore accelerare inspiegabilmente:

« Perdere ciò che hai appena trovato, mio signore? » sussurrai.

Chissà perché avevo improvvisamente desiderato che Faramir si stesse riferendo a me. Non riuscivo a capire cosa stessi provando.

Siccome lui non rispondeva niente, e si limitava a osservarmi con dolcezza, decisi di cambiare argomento: « Ma non parliamone adesso, non parliamo del tutto! » dissi. « Non stiamo forse attendendo un colpo del fato? »

« Sì, è così. » annuì Faramir, sempre rivolto verso Est.

Uno strano silenzio scese allora su di noi e su ogni cosa che ci circondava: sembrava che la luce, già debole, si fosse fatta ancora più fievole, e che persino i nostri respiri e i nostri cuori si fossero arrestati, soffocati da una lontana parvenza d’ombra che s’intravedeva oltre i monti a oriente.

Anche il tempo si era come fermato.

Mi sentii invadere da un’ansia opprimente, da un’angoscia che mai sarei stata capace di descrivere a parole: inconsciamente cercai le mani di Faramir, e le sue cercarono le mie, e ci stringemmo l’uno all’altra senza nemmeno rendercene conto. Neppure io volevo perdere ciò che avevo trovato in quei cinque giorni trascorsi con lui. Non m’importava niente di Aragorn, della gloria, di una fine memorabile: volevo soltanto avere ancora Faramir vicino a me, e lo capii solo allora.

E in quel medesimo istante l’immobilità che ci aveva avvolti si spezzò, e da dietro le montagne lontane s’innalzò una grande colonna di tenebre, punteggiata di bagliori rossastri, e la terra sotto i nostri piedi tremò.

“Questa è la fine.” mi dissi chiudendo gli occhi e serrando più forte la mano di Faramir.

Eppure il mio cuore era di nuovo leggero, e nel mio animo si stava facendo strada una grande speranza luminosa. Poi udii la voce tranquilla di Faramir:

« Mi ricorda Nùmenor. »

Mi voltai in su per guardarlo: « Nùmenor? »

« Sì, l’antica terra degli Uomini che s’inabissò a Ovest del Mare molti secoli fa. Ovviamente non ho vissuto quella catastrofe, però la sogno sovente. » rispose lui.

« Allora credi che l’Oscurità Inesorabile stia per giungere anche qui? » chiesi con un filo di voce, sebbene non lo stessi veramente pensando.

Faramir, infatti, scosse la testa: « Assolutamente no. Se ragiono a mente lucida mi verrebbe da dire che è così, ma il mio cuore mi suggerisce l’esatto contrario, mia signora, perché sono invaso da una felicità che non riesco a comprendere. »

Avvertii un tuffo in mezzo al petto: « È esattamente ciò che sento anch’io. » mormorai, e la luce dentro di me si fece ancora più intensa.

« Oh Èowyn, Èowyn, bianca Dama di Rohan! In questa ora non credo che alcuna oscurità possa durare! » esclamò Faramir sorridendo, e mi depose un bacio sulla fronte.

A quel contatto mi sentii avvampare, ma rimasi stretta a lui, in piedi sulle mura delle Case, mentre il vento spazzava via le nubi e faceva danzare i nostri manti nell’aria.

Ero felice. Per la prima volta dopo tantissimo tempo ero piena di gioia, e con me lo erano anche molti altri, e adesso le strade di Minas Tirith risuonavano di canti festosi.

E quando giunsero le Aquile a recare notizie della vittoria dei Capitani dell’Ovest la felicità traboccò dai cuori di ognuno come acqua da una sorgente, e anche il Sole tornò a splendere.

Ma a me non importava più che Aragorn avesse vinto: mi bastava essere lì, abbracciata a Faramir in mezzo a quella pace, e lontana da qualsiasi battaglia, gloriosa o meno che fosse.

 

 

I giorni passarono, e tutta la Bianca Città fu in fermento da mattina a sera per prepararsi ad accogliere il Re. Dal Campo di Cormallen arrivavano messaggi e inviti, tra cui uno di mio fratello indirizzato a me: desiderava che lo raggiungessi là per partecipare ai festeggiamenti indetti in onore del Re e dei Portatori dell’Anello; Meriadoc vi si era già recato.

Io, però, declinai l’invito, e rimasi nelle Case. Mi consolava sapere che anche Faramir era ancora in città, ma ormai era stato dimesso ed era troppo impegnato con i suoi ultimi doveri di Sovrintendente per venire a trovarmi. Eppure, nonostante mi rendessi conto di questo, mi sentivo di nuovo sola e abbandonata, e la tristezza stava prendendo il sopravvento ancora una volta su tutti i bei sentimenti che erano sbocciati nelle ore trascorse con Faramir.

Mi ero illusa, avevo creduto scioccamente che lui provasse dei sentimenti per me, e ora ero convinta che si fosse così comportato per pietà: pietà per una cupa fanciulla di Rohan ossessionata dalla guerra. Non potevo essere altro, per Faramir, e tale pensiero mi addolorava, poiché ai miei occhi egli era divenuto davvero importante.

Ma un pomeriggio, proprio mentre riflettevo ancora su queste cose, Faramir venne a cercarmi nei giardini delle Case di Guarigione. Nel vederlo arrivare fui attraversata da un altro di quei brividi tiepidi che avevo imparato a conoscere e gli andai incontro cercando di sorridere: in realtà il cuore mi batteva talmente forte da farmi quasi mancare il respiro.

« Èowyn. » disse, un po’ affannato. Doveva aver corso: « Perché non sei andata al Campo di Cormallen per unirti ai festeggiamenti? Sire Èomer non ti attende forse là? »

Non risposi subito. Non sapevo cosa dire, se rivelargli la verità o ripiegare sulla scusa di Aragorn.

Ma quale verità avrei potuto raccontargli se nemmeno io la conoscevo del tutto?

« Non lo sai? » risposi infine, sospirando, e chiusi gli occhi per timore della reazione di Faramir.

Lui mi sfiorò leggermente una spalla:

« Forse sì, ma tra i due motivi che mi sono venuti in mente quale sia il vero non saprei dire. Il primo mi suggerisce che la causa della tua decisione di restare qui sia sire Aragorn, il cui trionfo non ti procurerebbe adesso alcuna gioia, dato che è stato tuo fratello a chiamarti e non lui. » disse, e io chinai il capo vergognandomi della mia palese debolezza.

Poi Faramir riprese: « E il secondo… »

Riaprii gli occhi e mi accorsi che sembrava imbarazzato:

« Qual è il secondo, mio signore? » incalzai.

« Il secondo mi suggerisce che il tuo rimanere sia dovuto a me e al fatto che io non mi sono recato a Cormallen. Oppure è dovuto a entrambi i motivi, e nemmeno tu stessa sapresti scegliere. »

Ancora una volta Faramir aveva compreso perfettamente i miei sentimenti confusi.

E le parole che mi rivolse subito dopo mi s’impressero nella mente e nell’anima come poche sino ad allora:

« Dimmi, Èowyn, tu non mi ami o non vuoi amarmi? »

Il silenzio scese su di noi mentre io, avvampando, cercavo disperatamente la vera risposta dentro di me prima che fosse troppo tardi; e soprattutto, cercavo di capire se Faramir avesse voluto dirmi che anche lui era innamorato di me. Anche lui, perché in fondo la verità era questa: io amavo Faramir. E non lo amavo per il suo valore di guerriero, bensì per il senso di pace e serenità che mi aveva comunicato, per tutti i ricordi luminosi a lui legati, per la sua gentilezza, per quel suo sguardo tanto limpido e triste simile al mio.

Lo amavo ma non riuscii a dirglielo, non sapendo cosa pensasse di me:

« Desideravo l’amore di un altro, e non voglio la pietà di nessuno. » risposi quindi, sebbene avessi un bisogno impellente di esclamare che di Aragorn non m’importava più nulla.

Faramir annuì, comprensivo:

« Lo so, cercavi l’amore di sire Aragorn, volevi essere partecipe della sua fama e gloria, e lo ammiravi come un giovane soldato ammira il suo capitano. Eppure ti seppe donare solo compassione, e tu non desiderasti altro che la morte. Guardami, Èowyn, ti prego! » proruppe infine, e mi sollevò il viso.

Lo guardai negli occhi senza abbassare i miei, ma mi sentivo tremendamente scossa.

Perché sapeva capirmi così bene? Era come se fosse riuscito a schiudere quel mio freddo cuore rimasto a lungo serrato.

« La pietà è il dono di un animo gentile, Èowyn, ma io non ti sto offrendo la mia, poiché hai conquistato da sola la tua gloria, perché sei bella oltre ogni dire e perché, nonostante tutto questo, hai conosciuto tristezza e dolore. » mi disse, e la sua voce tremava dall’emozione:

« Ed io per questo ti amo. »

Ti amo.

« Non mi ami tu, Èowyn? »

Mi ami.

Sarebbe impossibile descrivere con esattezza ciò che provai in quel momento.

Ha un nome la felicità che traboccò dal mio cuore come un’onda? Ha un nome la calda emozione che mi pervase? Ha un nome quella bizzarra sensazione di luce, sollievo e voglia di piangere, ridere e gridare al mondo la gioia che provavo?

L’inverno che era in me se n’era finalmente andato.

« Non desidero più rincorrere la fama ad ogni costo, o apprezzare solo la guerra e le armi. » risposi sorridendo: « Non desidero più essere una regina. »

Faramir scoppiò a ridere: « Meno male, poiché io non sono un re! » esclamò felice.

Aveva di nuovo capito alla perfezione.

« Ma rimarrò assieme alla Dama di Rohan, se ella lo vorrà, e dimorerò assieme a lei nel dolce Ithilien. Ma solo, ripeto, se anch’ella lo desidera. » aggiunse, scostandomi una ciocca di capelli dalla fronte.

« Dovrei quindi lasciare il mio popolo, uomo di Gondor? » gli chiesi con aria un po’ maliziosa. « E vorresti che il tuo popolo dicesse di te: “Sire Faramir ha saputo domare una selvaggia fanciulla del Nord! Non c’era dunque una donna della nostra terra ch’egli potesse scegliere?” »

Faramir sorrise e mi si avvicinò, prendendomi tra le braccia:

« Lo vorrei. » mormorò.

E mi baciò, sulle mura delle Case di Guarigione, con le sue labbra tiepide che si schiudevano lentamente sulle mie, trasformando quel bacio in qualcosa di profondo, caldo e rassicurante.

Non avevo mai provato un’emozione tanto forte e meravigliosa.

Non avevo mai provato nulla di simile.

Quando la bocca di Faramir si allontanò dalla mia rimanemmo lì abbracciati, incuranti della folla di curiosi che si era certamente radunata nella strada sottostante:

« A proposito della tua domanda… » cominciai, il viso affondato nell’incavo del suo collo.

« Quale? » mi domandò lui senza muoversi.

Mi alzai sulle punte e gli sussurrai di rimando in un orecchio:

« Ti amo, Faramir di Gondor. »

 

 

In quei giorni c’era qualcuno di altrettanto triste, nella Bianca Città. E i nostri animi, con i loro dolori simili, erano già vicini senza che noi lo sapessimo. Ma questo fu un bene.

Perché le nostre due tristezze, incontrandosi, hanno dato vita a un’unica gioia.

Poiché tu sei stato triste come me.

 

 

 

 

 

 

 

FINE

Triste come me – A proposito di Èowyn e Faramir

 

 

Un ringraziamento speciale al Maestro J.R.R.Tolkien e a tutti coloro che leggeranno questa breve storia.

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