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Triste come me
A proposito di Èowyn e Faramir
Chissà se c’era qualcun altro triste come me, in quei giorni.
La risposta era ovviamente affermativa, visto tutto ciò che stava
accadendo, eppure mi veniva spesso da domandarmelo da quando mi trovavo nelle
Case di Guarigione. Anzi, da quando l’uomo di cui mi ero innamorata mi aveva
chiaramente detto in faccia che non mi ricambiava.
Avevo perso mio padre e mia madre da tempo, mio zio era morto
dinanzi ai miei occhi e mio fratello era andato a combattere al Morannon: avevo i miei buoni motivi per essere triste.
Ma in realtà era il rifiuto di Aragorn che mi faceva
soffrire oltre ogni cosa.
“Non posso darti quello che cerchi.“, ecco quali erano state le sue parole per me: un modo cavalleresco per
farmi capire che per lui non contavo granchè.
Nonostante questo provavo ancora una sconfinata
ammirazione per la sua persona e per il suo grande valore, per tutto ciò che
lui era e che io desideravo essere con tutta me stessa.
Non era forse per compiere gesta simili alle sue
che ero andata in battaglia? O forse per dimostrare che Èowyn di Rohan non era
inferiore a nessuno degli uomini, zio e fratello compresi, che le
raccomandavano di restare al sicuro? Quale che fosse il mio reale proposito, lo
avevo certamente raggiunto. Ma nemmeno tali pensieri gloriosi riuscivano a
farmi uscire da quella fredda tristezza della quale ero preda: non potevo
muovermi dalle Case, non potevo fare nulla di utile e mi sentivo come
prigioniera, ancorata a un sentimento che si cancellava lentamente.
E più quel sentimento si faceva vuoto e inutile,
più aumentava il mio dolore.
Ero ancora viva, questo sì, però non mi era di
gran consolazione.
“Ci sarà qualcun altro triste come me, in questo
momento?”, mi domandai per l’ennesima volta anche quel giorno. Da quasi una
settimana ero ricoverata nelle Case di Guarigione di Minas Tirith, e finalmente
mi era stato accordato il permesso di alzarmi dal letto: avevo ancora un
braccio fasciato, ma se non altro potevo camminare un po’.
Inoltre, desideravo parlare con il Custode delle
Case.
Lo trovai sotto le grandi arcate del portico che
dava sul giardino a oriente, intento a cercare alcuni unguenti per i soldati
feriti, e gli rivolsi la parola con quanta più gentilezza mi era possibile:
« Signore, sono molto irrequieta. Non riesco più
a stare nell’inerzia. » dissi.
Il Custode, un uomo sulla sessantina dall’aspetto
gentile, mi rivolse un’occhiata che a me parve colma quasi di pietà:
« Mia signora, ti capisco, eppure non sei del
tutto guarita e mi è stato raccomandato di curarti con particolare attenzione.
Ho l’ordine di farti restare qui per almeno altri sette giorni. » rispose.
Inutile chiedere chi gli avesse fatto tale
raccomandazione. Mi domandavo invece perché mai Aragorn continuasse ad avere
grande premura per le mie condizioni.
« Io sono guarita, » ribattei, caparbia come al
solito, « e desidero notizie dalla guerra. Le donne non sanno dirmi niente. »
Il Custode sospirò: « Non ti dicono nulla, mia
signora, perché non ci sono cose da dire. Da quando i Capitani sono partiti
nessuno ha più ricevuto loro nuove. Ti prego di startene quieta qui, mia
signora. », e mi guardò di nuovo con compassione. Era chiaro, e lo sapevo, che
desideravo andare in battaglia in cerca di una morte gloriosa. Tutto mi
appariva così privo di significato che nemmeno la luce del Sole che brillava
sui giardini riusciva a darmi conforto, né la fresca penombra del colonnato in
cui mi trovavo. Sentivo sempre e solo un gran freddo.
« Non c’è dunque niente che io possa fare? »
ripresi: « Chi comanda adesso in città? »
« Credo che momentaneamente quel ruolo spetti a
sire Faramir, figlio di Denethor. »
Faramir.
Fu quella la prima volta in cui udii il suo nome
con tanta chiarezza.
« Potresti accompagnarmi da lui? Desidero
parlargli. » dissi, anche se non sapevo bene di cosa.
Il Custode s’inchinò: « Certo, mia signora. »
rispose, e mi guidò oltre il portico, nei giardini che si aprivano sulle mura.
Riuscii a scorgere immediatamente la figura del
nuovo Sovrintendente, in piedi vicino al parapetto di pietra con lo sguardo
rivolto a Est, verso lo stesso punto che spesso anch’io scrutavo; si girò
verso di noi non appena ci udì arrivare, e io non potei fare a meno di
notare i suoi occhi, di un azzurro scuro velato di tristezza, e la sua
espressione cupa che doveva essere tremendamente simile alla mia. Il mio cuore diede un primo, impercettibile tuffo, ma io non vi badai.
« Sire Faramir, questa è Dama Èowyn di Rohan. »
esordì il Custode in tono di profondo rispetto, facendo segno nella mia
direzione: « Le sue cure sono state affidate a me, ma ella non è contenta e
vuole conferire con te. »
“La mia infelicità certo non dipende da questo.”
pensai amaramente, e intervenni:
« Non lo fraintendere, sire, non mi sto
lamentando delle Case di Guarigione. Il fatto è che non sono capace di vivere a
lungo chiusa in una gabbia. Io… » mi fermai un attimo, per cercare le parole
giuste: « … io desideravo la morte in battaglia, eppure la battaglia continua
e io sono ancora in vita. » conclusi tutto d’un fiato.
Allora Faramir mi guardò in viso per la prima
volta: vidi i suoi occhi cambiare espressione, vidi la tristezza che li colmava
cedere il passo ad uno sguardo di stupore e tenerezza che non seppi
comprendere, e fui scossa da un brivido. Ma fu un brivido tiepido, ben più
piacevole di quello che avevo avvertito nell’offrire quel calice ad Aragorn,
quando le nostre mani si erano sfiorate nelle sale di Meduseld.
« Cosa vuoi che io faccia, mia signora? » domandò
Faramir, e la sua voce era gentile. « Anch’io sono prigioniero, se così si può
dire, dei Guaritori. »
« Vorrei che ordinassi al Custode di lasciarmi
andare. » risposi in un soffio, e subito me ne pentii. Stavo facendo la figura
della fanciulletta capricciosa, non certo della fiera e dignitosa Dama dal
Braccio d’Acciaio che aveva sconfitto il Re Stregone di Angmar.
Però, non mi ero forse stancata di quel mio
maledetto orgoglio?
Faramir scosse il capo, i capelli chiari che
ondeggiavano:
« Ormai è tardi per seguire i Capitani
dell’Ovest, mia signora. La fine giungerà comunque per tutti, se le cose
dovessero andare male, e allora potrai scegliere quella che preferisci. Nel
frattempo, sia tu che io dobbiamo sopportare queste ore d’attesa. » mi disse.
Aveva ragione. Perché non mi decidevo ad abbandonare
la mia fissazione per le morti gloriose? Perché non mi decidevo ad ammettere
che il mio reale desiderio era quello di non morire? Se soltanto la mia
tristezza fosse svanita, anche i miei pensieri si sarebbero fatti più chiari.
Poi Faramir parlò di nuovo:
« Ogni qualvolta vorrai, mia signora, prova a
passeggiare in questi giardini. La stessa cosa farò io, poiché entrambi desideriamo
volgere lo sguardo a oriente. Se tu passassi del tempo discorrendo assieme a me
allevieresti le mie pene e le tue, se non oso troppo. »
Mi sentii arrossire lievemente:
« E come potrei alleviare il tuo dolore, mio
sire? » chiesi sconcertata.
« Il semplice vederti sotto la luce del Sole
prima che cada l’oscurità potrebbe dare pace al mio cuore, Èowyn di Rohan,
perché sei bella, e perché mai in tutta la mia vita ho avuto occasione di
mirare una dama meravigliosa e triste quale tu sei. » fu la sua risposta, e
nell’udirla un altro brivido mi percorse. In molti avevano lodato la mia
bellezza, ma nessuno lo aveva fatto in maniera altrettanto naturale e spontanea.
Cercai di assumere un’aria distaccata e compiaciuta
al tempo stesso, e mi risultò invero difficile:
« Ti ringrazio per l’offerta, mio sire, e ti
assicuro che la accetterò volentieri. Camminerò quindi all’aria aperta per
grazia del Sovrintendente di Gondor. » dissi con una riverenza.
Mi voltai e rientrai nelle Case, e passai il
resto del pomeriggio a interrogarmi sulle strane sensazioni provate, mentre il
mio sguardo vagava più sovente verso i giardini, dove ancora Faramir passeggiava,
che non verso l’Est, dove di sicuro Aragorn combatteva.
Che il mio cuore stesse cambiando?
Rividi Faramir la mattina seguente, sempre sotto
quel Sole ridente.
Subito dopo essermi svegliata e abbigliata mi ero
recata alle mura, e vi stavo giusto passeggiando quando udii la sua voce alle
mie spalle:
« Ti auguro un buon giorno, mia signora. »
Abbozzai un sorriso e scesi dal parapetto,
avvicinandomi a lui:
« Buongiorno a te, mio sire. »
« Sono felice che tu abbia accettato il mio consiglio,
Èowyn di Rohan. » aggiunse Faramir, e i suoi occhi assunsero la medesima
espressione del giorno prima.
Così iniziai a parlare amabilmente del più e del
meno, e da lì trascorremmo gran parte della giornata nei giardini baciati dal Sole,
alternando lunghi dialoghi a momenti di tranquillo silenzio.
Nei cinque giorni che seguirono non mancammo mai
di passare del tempo assieme, conversando e aprendo i nostri cuori l’una
all’altro, mentre la mia tristezza sbiadiva piano piano: si stava trasformando
in una sorta di malinconia resa più dolce da una gioia ancora nascosta.
E infine giunse il sesto dì dal mio primo
incontro con Faramir.
Faceva molto freddo, e un vento pungente di nord
aveva portato una pesante coltre di nubi plumbee sulla città; era tutto
talmente tetro che anche il mio animo si era fatto di nuovo cupo, e Faramir
aveva il volto adombrato. Entrambi tenevamo lo sguardo fisso in direzione di
Mordor, ben consci che in quelle ore, molto probabilmente, sarebbe finito
tutto, nel bene o nel male. Rabbrividii: « Una settimana è trascorsa dalla
partenza dei Capitani. Non dovrebbero essere ormai arrivati al Cancello Nero? »
osservai, rivolta più a me stessa che a Faramir.
« Già, una settimana. » ripetè quest’ultimo in
tono altrettanto pensoso: « Eppure questi giorni mi hanno recato pena e gioia
al contempo, Èowyn. Gioia di poterti vedere e paura che questo mondo finisca
tra breve, facendomi perdere ciò che da così poco ho trovato. » e mi rivolse
uno sguardo che poteva significare molte cose e non significarne nessuna.
Sentii i battiti del mio cuore accelerare
inspiegabilmente:
« Perdere ciò che hai appena trovato, mio
signore? » sussurrai.
Chissà perché avevo improvvisamente desiderato
che Faramir si stesse riferendo a me. Non riuscivo a capire cosa stessi
provando.
Siccome lui non rispondeva niente, e si limitava
a osservarmi con dolcezza, decisi di cambiare argomento: « Ma non parliamone
adesso, non parliamo del tutto! » dissi. « Non stiamo forse attendendo un colpo
del fato? »
« Sì, è così. » annuì Faramir, sempre rivolto
verso Est.
Uno strano silenzio scese allora su di noi e su
ogni cosa che ci circondava: sembrava che la luce, già debole, si fosse fatta
ancora più fievole, e che persino i nostri respiri e i nostri cuori si fossero
arrestati, soffocati da una lontana parvenza d’ombra che s’intravedeva oltre i
monti a oriente.
Anche il tempo si era come fermato.
Mi sentii invadere da un’ansia opprimente, da
un’angoscia che mai sarei stata capace di descrivere a parole: inconsciamente
cercai le mani di Faramir, e le sue cercarono le mie, e ci stringemmo l’uno
all’altra senza nemmeno rendercene conto. Neppure io volevo perdere ciò che
avevo trovato in quei cinque giorni trascorsi con lui. Non m’importava niente
di Aragorn, della gloria, di una fine memorabile: volevo soltanto avere ancora
Faramir vicino a me, e lo capii solo allora.
E in quel medesimo istante l’immobilità che ci
aveva avvolti si spezzò, e da dietro le montagne lontane s’innalzò una grande
colonna di tenebre, punteggiata di bagliori rossastri, e la terra sotto i
nostri piedi tremò.
“Questa è la fine.” mi dissi chiudendo gli occhi
e serrando più forte la mano di Faramir.
Eppure il mio cuore era di nuovo leggero, e nel
mio animo si stava facendo strada una grande speranza luminosa. Poi udii la
voce tranquilla di Faramir:
« Mi ricorda Nùmenor. »
Mi voltai in su per guardarlo: « Nùmenor? »
« Sì, l’antica terra degli Uomini che s’inabissò
a Ovest del Mare molti secoli fa. Ovviamente non ho vissuto quella catastrofe,
però la sogno sovente. » rispose lui.
« Allora credi che l’Oscurità Inesorabile stia
per giungere anche qui? » chiesi con un filo di voce, sebbene non lo stessi
veramente pensando.
Faramir, infatti, scosse la testa: «
Assolutamente no. Se ragiono a mente lucida mi verrebbe da dire che è così, ma
il mio cuore mi suggerisce l’esatto contrario, mia signora, perché sono invaso
da una felicità che non riesco a comprendere. »
Avvertii un tuffo in mezzo al petto: « È
esattamente ciò che sento anch’io. » mormorai, e la luce dentro di me si fece ancora più
intensa.
« Oh Èowyn, Èowyn, bianca Dama di Rohan! In
questa ora non credo che alcuna oscurità possa durare! » esclamò Faramir
sorridendo, e mi depose un bacio sulla fronte.
A quel contatto mi sentii avvampare, ma rimasi
stretta a lui, in piedi sulle mura delle Case, mentre il vento spazzava via le
nubi e faceva danzare i nostri manti nell’aria.
Ero felice. Per la prima volta dopo tantissimo
tempo ero piena di gioia, e con me lo erano anche molti altri, e adesso le
strade di Minas Tirith risuonavano di canti festosi.
E quando giunsero le Aquile a recare notizie
della vittoria dei Capitani dell’Ovest la felicità traboccò dai cuori di ognuno
come acqua da una sorgente, e anche il Sole tornò a splendere.
Ma a me non importava più che Aragorn
avesse vinto: mi bastava essere lì, abbracciata a Faramir in mezzo a quella
pace, e lontana da qualsiasi battaglia, gloriosa o meno che fosse.
I giorni passarono, e tutta la Bianca Città fu in
fermento da mattina a sera per prepararsi ad accogliere il Re. Dal Campo di
Cormallen arrivavano messaggi e inviti, tra cui uno di mio fratello indirizzato
a me: desiderava che lo raggiungessi là per partecipare ai festeggiamenti
indetti in onore del Re e dei Portatori dell’Anello; Meriadoc vi si era già
recato.
Io, però, declinai l’invito, e rimasi nelle Case.
Mi consolava sapere che anche Faramir era ancora in città, ma ormai era stato
dimesso ed era troppo impegnato con i suoi ultimi doveri di Sovrintendente per
venire a trovarmi. Eppure, nonostante mi rendessi conto di questo, mi sentivo
di nuovo sola e abbandonata, e la tristezza stava prendendo il sopravvento
ancora una volta su tutti i bei sentimenti che erano sbocciati nelle ore
trascorse con Faramir.
Mi ero illusa, avevo creduto scioccamente che lui
provasse dei sentimenti per me, e ora ero convinta che si fosse così
comportato per pietà: pietà per una cupa fanciulla di Rohan ossessionata
dalla guerra. Non potevo essere altro, per Faramir, e tale pensiero mi addolorava, poiché ai miei occhi egli era divenuto davvero importante.
Ma un pomeriggio, proprio mentre riflettevo
ancora su queste cose, Faramir venne a cercarmi nei giardini delle Case di
Guarigione. Nel vederlo arrivare fui attraversata da un altro di quei brividi
tiepidi che avevo imparato a conoscere e gli andai incontro cercando di
sorridere: in realtà il cuore mi batteva talmente forte da farmi quasi mancare
il respiro.
« Èowyn. » disse, un po’ affannato. Doveva aver
corso: « Perché non sei andata al Campo di Cormallen per unirti ai festeggiamenti?
Sire Èomer non ti attende forse là? »
Non risposi subito. Non sapevo cosa dire, se
rivelargli la verità o ripiegare sulla scusa di Aragorn.
Ma quale verità avrei potuto raccontargli se
nemmeno io la conoscevo del tutto?
« Non lo sai? » risposi infine, sospirando, e
chiusi gli occhi per timore della reazione di Faramir.
Lui mi sfiorò leggermente una spalla:
« Forse sì, ma tra i due motivi che mi sono
venuti in mente quale sia il vero non saprei dire. Il primo mi suggerisce che
la causa della tua decisione di restare qui sia sire Aragorn, il cui trionfo
non ti procurerebbe adesso alcuna gioia, dato che è stato tuo fratello a
chiamarti e non lui. » disse, e io chinai il capo vergognandomi della mia
palese debolezza.
Poi Faramir riprese: « E il secondo… »
Riaprii gli occhi e mi accorsi che sembrava
imbarazzato:
« Qual è il secondo, mio signore? » incalzai.
« Il secondo mi suggerisce che il tuo rimanere
sia dovuto a me e al fatto che io non mi sono recato a Cormallen. Oppure è
dovuto a entrambi i motivi, e nemmeno tu stessa sapresti scegliere. »
Ancora una volta Faramir aveva compreso
perfettamente i miei sentimenti confusi.
E le parole che mi rivolse subito dopo mi
s’impressero nella mente e nell’anima come poche sino ad allora:
« Dimmi, Èowyn, tu non mi ami o non vuoi amarmi?
»
Il silenzio scese su di noi mentre io,
avvampando, cercavo disperatamente la vera risposta dentro di me prima che
fosse troppo tardi; e soprattutto, cercavo di capire se Faramir avesse voluto
dirmi che anche lui era innamorato di me. Anche lui, perché in fondo la verità era questa: io amavo Faramir. E
non lo amavo per il suo valore di guerriero, bensì per il senso di pace e
serenità che mi aveva comunicato, per tutti i ricordi luminosi a lui legati,
per la sua gentilezza, per quel suo sguardo tanto limpido e triste simile al
mio.
Lo amavo ma non riuscii a dirglielo, non sapendo
cosa pensasse di me:
« Desideravo l’amore di un altro, e non voglio la
pietà di nessuno. » risposi quindi, sebbene avessi un bisogno impellente di
esclamare che di Aragorn non m’importava più nulla.
Faramir annuì, comprensivo:
« Lo so, cercavi l’amore di sire Aragorn, volevi
essere partecipe della sua fama e gloria, e lo ammiravi come un giovane soldato
ammira il suo capitano. Eppure ti seppe donare solo compassione, e tu non
desiderasti altro che la morte. Guardami, Èowyn, ti prego! » proruppe infine, e
mi sollevò il viso.
Lo guardai negli occhi senza abbassare i miei, ma
mi sentivo tremendamente scossa.
Perché sapeva capirmi così bene? Era come se fosse
riuscito a schiudere quel mio freddo cuore rimasto a lungo serrato.
« La pietà è il dono di un animo gentile, Èowyn,
ma io non ti sto offrendo la mia, poiché hai conquistato da sola la tua gloria,
perché sei bella oltre ogni dire e perché, nonostante tutto questo, hai
conosciuto tristezza e dolore. » mi disse, e la sua voce tremava dall’emozione:
« Ed io per questo ti amo. »
Ti amo.
« Non mi ami tu, Èowyn? »
Mi ami.
Sarebbe impossibile descrivere con esattezza ciò
che provai in quel momento.
Ha un nome la felicità che traboccò dal mio cuore
come un’onda? Ha un nome la calda emozione che mi pervase? Ha un nome quella
bizzarra sensazione di luce, sollievo e voglia di piangere, ridere e gridare al
mondo la gioia che provavo?
L’inverno che era in me se n’era finalmente
andato.
« Non desidero più rincorrere la fama ad ogni
costo, o apprezzare solo la guerra e le armi. » risposi sorridendo: « Non desidero più essere una regina. »
Faramir scoppiò a ridere: « Meno male, poiché io
non sono un re! » esclamò felice.
Aveva di nuovo capito alla perfezione.
« Ma rimarrò assieme alla Dama di Rohan, se ella
lo vorrà, e dimorerò assieme a lei nel dolce Ithilien. Ma solo, ripeto, se
anch’ella lo desidera. » aggiunse, scostandomi una ciocca di capelli dalla
fronte.
« Dovrei quindi lasciare il mio popolo, uomo di
Gondor? » gli chiesi con aria un po’ maliziosa. « E vorresti che il tuo popolo
dicesse di te: “Sire Faramir ha saputo domare una selvaggia fanciulla del Nord!
Non c’era dunque una donna della nostra terra ch’egli potesse scegliere?” »
Faramir sorrise e mi si avvicinò, prendendomi tra
le braccia:
« Lo vorrei. » mormorò.
E mi baciò, sulle mura delle Case di Guarigione,
con le sue labbra tiepide che si schiudevano lentamente sulle mie, trasformando
quel bacio in qualcosa di profondo, caldo e rassicurante.
Non avevo mai provato un’emozione tanto forte e
meravigliosa.
Non avevo mai provato nulla di simile.
Quando la bocca di Faramir si allontanò dalla mia
rimanemmo lì abbracciati, incuranti della folla di curiosi che si era
certamente radunata nella strada sottostante:
« A proposito della tua domanda… » cominciai, il
viso affondato nell’incavo del suo collo.
« Quale? » mi domandò lui senza muoversi.
Mi alzai sulle punte e gli sussurrai di rimando
in un orecchio:
« Ti amo, Faramir di Gondor. »
In quei giorni c’era qualcuno di altrettanto
triste, nella Bianca Città. E i nostri animi, con i loro dolori simili, erano
già vicini senza che noi lo sapessimo. Ma questo fu un bene.
Perché le nostre due tristezze, incontrandosi,
hanno dato vita a un’unica gioia.
Poiché tu sei stato triste come me.
FINE
Triste come me – A proposito di Èowyn e Faramir
Un ringraziamento speciale al Maestro J.R.R.Tolkien e a tutti coloro che
leggeranno questa breve storia.
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