EUFONIA
ANIME GEMELLE
“Io… sono felice,
perché posso approfittare dei tuoi insegnamenti e di quelli del maestro;
entrambi… siete così gentili con me…”
Il ragazzino dai
capelli castani pronunciava queste parole osservando la luna, immensa, regina e
signora tra le stelle della notte sconfinata.
Dietro di lui, a pochi
passi di distanza, sulla soglia della capanna, stava la sua amica, il volto
mascherato incorniciato dalla folta chioma bionda. Poche parole sommesse si
persero nel desolato paesaggio di roccia:
“Shun… che ne sarà di
lui?”
Parole pronunciate tra
sé, parole che non giunsero alle orecchie del ragazzo cui erano riferite.
Ma un’altra presenza
le udì, rannicchiata contro il muro della piccola abitazione, non vista da
alcuno:
“Come sempre” pensò la
figura nascosta “Inutile e insignificante, il mio destino è di non essere
notata… neanche da lui…”
Probabilmente, sia
June che Shun e anche il maestro, la disprezzavano, perché ancora non aveva
trovato il coraggio, la motivazione necessari per dare ascolto alle stelle, per
inseguire il suo destino… perché era una vigliacca, incapace di prendere una
decisione, incapace di lottare contro le proprie debolezze e, tutto quello che
riusciva a fare, era sfuggire alla fragilità del proprio cuore.
L’esatto contrario di
ciò che aveva fatto Shun, anche lui animo sensibile, cuore fragile e delicato
eppure così forte; lui non temeva le proprie paure, non temeva la propria
sensibilità e, senza che essa venisse meno, lottava, soffriva, cadeva e si
rialzava per combattere ancora.
“Come può amare una
codarda come me?” pensò Heather, raccogliendo le ginocchia sul petto e
lasciando via libera alle lacrime.
Poi si alzò, con uno
scatto nervoso e la tristezza, sul suo volto, lasciò il posto a un improvviso
impeto di rabbia:
“Ma come può amare
June che non ha fiducia in lui?”
Aveva sentito le
parole che, poco prima, sua sorella aveva rivolto a Shun; gli aveva chiesto di
rinunciare, aveva osato dirgli che non era adatto a diventare un sacro
guerriero, proprio lui, la persona più forte che Heather avesse mai incontrato
nella sua breve vita… oltre a suo zio, il maestro Albion…
Eppure June lo trovava
debole… non aveva capito nulla di Shun, assolutamente nulla: lui sarebbe
diventato un guerriero perché era lo scopo per cui era nato. Avrebbe sofferto,
avrebbe forse preferito un’altra vita, ma non avrebbe fallito: era troppo
grande il suo cuore, troppo intensa la voglia di riuscire, troppo positiva la
forza del suo cosmo; un’energia così benevola, dolce e, al tempo stesso, forte,
doveva essere messa al servizio di un ideale superiore… nessuno più di Shun era
degno di servire la giustizia; e June voleva togliere ad Athena il cuore stesso
dei sacri guerrieri, il santo di Andromeda?
Già… il santo di
Andromeda… ancora non lo era, ma lo sarebbe diventato e nessuno avrebbe potuto
impedirglielo… perché Andromeda viveva in lui, non poteva essere altrimenti, la
costellazione più dolce dell’universo stellato gli apparteneva.
“Solo io… solo io l’ho
capito… come solo io, fin ora, sono venuta a conoscenza del segreto di Shun… il
cosmo terrificante eppure così buono che nessuno ancora ha avuto la fortuna di
percepire… io ho avuto quella fortuna…”
June doveva smetterla
di umiliarlo; non era mai stata così adirata con la sorella. La paura per lui
l’aveva resa cieca, le aveva fatto dimenticare la grande dignità che era
propria solo di Shun… o forse, lei non l’aveva mai compresa questa dignità.
Più pensava al modo in
cui June aveva trattato Shun poco prima e più una furia cieca la assaliva;
seguì un attimo con lo sguardo la sagoma sinuosa e sottile del ragazzo che
passeggiava sulla spiaggia. June era rientrata nell’alloggio.
Heather sentiva il
desiderio irrefrenabile di parlarle e aprirle il proprio cuore e non era sicura
che sarebbe riuscita a controllarsi.
Svoltò l’angolo della
costruzione e varcò la soglia, chiudendo con energia la porta alle proprie
spalle.
June, nell’udirla, si
voltò, trovandosi di fronte un viso fremente di rabbia, tanto che si chiese,
per un attimo, se quella che aveva davanti fosse proprio la sua dolce e umile
sorellina.
Senza darle il tempo
di dire nulla, neanche di salutarla, Heather la assalì:
“Perché non la
smetti?!”
“Di cosa parli?”
“Sei davvero così
convinta che non ce la farà? Credi di fargli del bene con le tue maledette
paure?”
Gli occhi metallici la
fissavano e la ragazza più giovane poteva immaginare uno sguardo perplesso
dietro il rivestimento d’acciaio:
“Heather… che hai?”
“Lo consideri un
incapace… perché?”
Era sull’orlo delle
lacrime, un’altra volta; June fece qualche passo verso di lei:
“Stai parlando di
Shun?”
Heather distolse lo
sguardo dal volto metallico e strinse i pugni, irrigidendosi quando le mani
della sorella si posarono sulle sue spalle.
La sua amata sorella
maggiore, colei cui sempre si era appoggiata, colei che le aveva fatto da madre
per tutti quegli anni… sorelle… compagne, amiche nel cammino doloroso della
loro travagliata vita… e d’improvviso la sentiva così distante, rivale… nemica.
Heather si scostò dal
tocco affettuoso, si diresse verso il letto e si lasciò cadere sulle lenzuola
ruvide, prendendosi il volto tra le mani.
“Cucciola, che ti
succede? Perché non mi dici cos’hai?”
“Non mi piace come lo
tratti!” gridò Heather, scattando in piedi.
“Cosa vai
farneticando? Come lo tratterei secondo te?”
“Un bambino incapace…
è questo per te, nient’altro che questo; in lui non vedi altro che un cucciolo
da proteggere, quasi come se fosse la tua bambola indifesa!”
June sussultò:
“Sì, è vero, lo voglio
proteggere. Non mi dirai che tu, invece, vorresti vederlo morire.” Anche la
ragazza più grande si stava alterando, era chiaramente percepibile, ormai, la
tensione della sua voce “Ogni giorno soffre, più di chiunque altro, giunge vivo
per miracolo ad ogni tramonto. Domani avrà la prova; non riuscirà a sconfiggere
Redha e Spica, non riuscirà neanche a desiderarlo e, anche se dovesse
sopravvivere a essi, finirà per affogare durante il sacrificio; è questo che
vuoi? Desideri che i suoi giorni terminino così, domani?”
“Sei una stupida”
ringhiò Heather in un sibilo “E’ tutta qui la stima che hai nei suoi
confronti?”
Un attimo di silenzio,
durante il quale June lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi: “Non hai
paura per lui?”
La ragazzina più
piccola, una bambina di dodici anni cresciuta troppo in fretta, come tutti
bambini che si allenavano su quell’isola sperduta, non riuscì a trattenere un
singhiozzo: “Ho così tanta paura che mi sento morire e, se potessi fare la
prova al suo posto, non ci penserei due volte” si asciugò le lacrime con
l’avambraccio e ripuntò sulla sorella uno sguardo deciso “ma, a differenza tua,
io ho fiducia in lui! Non potrei mai dirgli che non è adatto ad essere un
guerriero di Athena, non mi permetterei mai di umiliarlo, perché nessuno al
mondo possiede la sua forza!”
Continuava a piangere;
lacrime copiose solcavano le guance rosee, su quel viso che, nonostante la
maturità dei pensieri, tradiva l’ancora tenera età.
Non avrebbe voluto
piangere ma non poteva trattenersi: “Nessuno lo capisce e neanche tu, che gli
dici tutte quelle cose da ansiosa mammina… anzi peggio, perché una vera madre
non darebbe dell’incapace al proprio figlio; solo io lo capisco, solo io!”
Era fuori di sé;
mentre pronunciava le ultime parole, si voltò per fuggire precipitosamente,
sopraffatta dalle proprie emozioni, ma la mano di June si serrò sul suo polso,
costringendola a fermarsi.
La ragazzina si
immobilizzò, rinunciando ad ogni lotta; scossa dai singhiozzi, continuò a dare
le spalle alla sorella.
“Heather.. tu…” June
continuava a trattenerla, mentre parlava “tu… sorella… sei innamorata di lui?”
Heather tremò e
raccolse tutta la forza di volontà che riuscì a trovare in se stessa,
imponendosi di calmarsi o avrebbe rischiato di cadere in ginocchio. Deglutì e,
senza voltarsi, trovò il coraggio di porre la domanda che da tempo la assillava:
“E tu?”
La stretta di June si
allentò, fino a lasciarla completamente libera; alle orecchie di Heather giunse
solo un tormentato sospiro ma nessuna risposta… una conferma alle sue paure,
non poteva essere altrimenti… in fondo l’aveva sempre saputo.
Abbassò il viso e
sospirò a sua volta: “Ok… ho capito…”
HEATHER
Ora lo sapevo con certezza… le due
persone che più amavo al mondo mi stavano portando alla distruzione. June e io
eravamo rivali… anzi, quella parola non aveva senso perché pensavo di non avere
speranze.
Quante volte, ormai,
avevo avuto la conferma che, per Shun, mia sorella contava molto più di me?
Ero convinta di
capirlo meglio di chiunque altro, ero convinta che l’atteggiamento di June nei
suoi confronti fosse sbagliato… come poteva, Shun, innamorarsi di qualcuno che
non aveva fiducia in lui, che non capiva quello che lui aveva dentro? Eppure,
il cuore non risponde a questo genere di cose.
Non sapevo, allora, se
Shun ricambiasse i sentimenti di June; probabilmente, noi ci tormentavamo
quando lui, in realtà, ancora non sapeva cosa fosse l’amore, o meglio, quel
genere di amore: i suoi pensieri erano rivolti a un fratello che sperava di
incontrare di lì a poco, dopo sei anni di separazione.
Tuttavia, ero convinta
che, se si fosse trovato nella necessità di dover scegliere tra me e lei, io
avrei sicuramente perso… ero solo una bambina sciocca… forse, in fondo, neanche
io avevo ancora compreso del tutto quell’anima immensa che rendeva Shun una
persona speciale, ancora non sapevo leggere completamente nel suo cuore.
Nel momento in cui
Heather stava per uscire dall’alloggio, la figurina elegante di Shun apparve
sulla soglia, lo sguardo preoccupato:
“Ho sentito gridare;
che succede? Stavate litigando?”
I cuori delle due
ragazze traboccarono di tenerezza; non poteva sentirle discutere, ogni volta
che lo facevano lui si rabbuiava:
“E’ così triste quando
i cuori di due fratelli sono attanagliati dalla morsa della reciproca rabbia…
perché deve accadere?”
In queste occasioni,
Heather e June si sentivano mortalmente in colpa: loro, sorelle, potevano
restare unite anche nella disperazione più nera, Shun era stato costretto a
separarsi da suo fratello e, lontano da lui, doveva affrontare una vita di
stenti e lotte per la sopravvivenza.
HEATHER
Mi sentivo ancora più
male, più colpevole nei suoi confronti questa volta. Cosa avrebbe pensato se
avesse scoperto di essere lui la causa della nostra animata discussione?
Stava davanti a noi,
con i suoi occhi grandi e belli, il viso ancora infantile segnato dalle
escoriazioni di quella terribile giornata di addestramento, eppure non per
questo apparivano meno attraenti le sue fattezze, anzi, quella bellezza
sofferta, ferita, violata, faceva male al cuore.
Abbassai lo sguardo,
sperando che non notasse tutto il mio tormento; gli passai accanto e mormorai
piano, cercando di dominare la mia voce arrochita dal pianto:
“Scusatemi… vado a
fare una passeggiata.”
Mentre mi allontanavo
nella notte, percepivo i loro sguardi fissi su di me… era colpa mia,
nient’altro che colpa mia, mi stavano forse giudicando? Ebbene, lo meritavo,
perché non ero altro che una persona inutile.
Cominciai a correre,
liberando le mie lacrime nell’aria gelida, corsi tra scogli e polvere, senza
sapere dove andassi, senza sapere chi fossi, ne cosa volessi dalla vita.
Shun fece correre lo
sguardo dalla ragazzina che scompariva tra le tenebre, all’altra, rimasta in
piedi, immobile.
“June-san, che è
successo?”
L’amica scosse
mestamente il capo:
“Non lo so… credimi,
non lo so… sono confusa…”
E si lasciò cadere pesantemente
sul letto, con un sospiro.
SHUN
Rimasi qualche istante
senza sapere come comportarmi; se lei era confusa, io non lo ero di meno…
percepire quella tensione intorno a me, tra le persone che mi erano care, era
straziante.
Pensavo, cercando di
mettere ordine nei miei pensieri, che si accavallavano senza apparente ordine
logico. Che cosa dovevo fare? Heather se n’era andata con una tristezza che
mai, lo sentivo, era stata così intensa, se non quelle volte in cui pensava ai
suoi genitori e alla sua breve vita passata.
June non stava meglio…
cosa potevo fare?
Lei non parlava, non
mi aiutava a capire. Dovevo restare al suo fianco, parlarle, provare a
confortarla o andare a cercare Heather? La immaginai, sola, piccola, fragile,
nella notte, il volto abbronzato a cercare risposte nelle stelle, risposte che,
forse, quelle stelle non potevano darle. In qualche modo sapevo che era più
indifesa di June, che la mia piccola e sensibile Heather aveva più bisogno di
me in quel momento.
Come speravo, fu
proprio June-san a venire in mio aiuto, fissandomi attraverso quella maschera
che detestavo: io desideravo poter vedere in volto le persone con le quali
parlavo, quel rivestimento metallico metteva tra noi una distanza che mi
turbava.
“Vai da lei, ti prego…
cercala, sta male. E’ notte e fa freddo…”
“June-san…”
“Trova mia sorella,
Shun, per favore, riportala da me.”
Stava piangendo;
quelle parole mi entrarono nell’anima… mi fece pensare ad Ikki-Niisan… lei era
per Heather quello che mio fratello era per me.
E Heather… cos’era per
me?
Sapevo solo che dovevo
trovarla, che volevo stringerla, essere con lei, proteggerla, qualunque cosa
fosse accaduta quella sera.
La trovò accovacciata
al riparo di uno scoglio; come aveva immaginato, la testa ricciuta era levata
verso l’alto, verso quel cielo blu intenso, punteggiato d’oro, che inglobava
tutto il paesaggio rendendolo piccolo e insignificante al suo confronto.
Shun si avvicinò, con
passi così leggeri che la ragazzina non si avvide della sua presenza fino a
quando non si accucciò al suo fianco.
Lo accolse con un
sorriso ma il sensibile adolescente non si lasciò ingannare: le labbra
tremavano, gli occhi luccicavano nella notte e tracce luminescenti solcavano le
guance abbronzate. Se non stava piangendo, aveva smesso da poco.
“Perché non vai a
riposarti, Shun?” mormorò la ragazza, con voce un po’ malferma “Hai bisogno di
dormire, oggi hai rischiato molto e domani sarà una giornata durissima.”
Shun sorrise e la
guardò teneramente:
“E tu perché fai finta
di niente? Non mi hai sempre detto tutto? Vuoi che non me ne accorga quando c’è
qualcosa che non va?”
“Se vuoi confortare
qualcuno, va da June; ne ha bisogno…”
C’era una certa
durezza nella voce di Heather e Shun ne rimase colpito.
“E tu no? Non ne hai
bisogno?”
Nessuna risposta, solo
un’alzata di spalle che voleva trasmettere indifferenza, senza tuttavia
riuscirci:
“Forse lei sta peggio
di me.”
“Non credo
Heather-chan: è stata proprio lei a chiedermi di cercarti. E’ molto preoccupata
per te.”
HEATHER
Gli aveva chiesto di
cercarmi… Allora non era venuto di sua spontanea volontà.
L’unico briciolo di
speranza che avevo ritrovato, svanì come neve al sole e ogni mia difesa crollò,
un muro infranto da un colpo troppo duro.
Cominciai a tremare,
la voce sfuggiva al mio controllo mentre, in preda alla confusione più nera,
balbettavo:
“Te l’ha… chiesto
lei?”
Lui annuì; non vedevo
bene il suo sguardo, benché la luna fosse immensa. I miei occhi erano troppo
offuscati dalle lacrime che volevano di nuovo uscire e che io faticavo a
trattenere.
“E tu non saresti
venuto se non fosse stata lei a chiedertelo?”
Era una domanda
sciocca ed egoista, lo sapevo, mi stavo comportando come una bambina
capricciosa ma non potevo farci nulla.
“Cucciola… ma che
dici? Io… non potevo immaginarti qui, al freddo, sola e triste… io… ero
preoccupato per entrambe ma sarei venuto a cercarti…”
SHUN
Sì… sarei corso a
cercarla in ogni modo, ora lo sapevo.
La sua tristezza era
per me dilaniante, insopportabile, come una morsa che si stringeva opprimente
sul mio cuore, senza dargli scampo.
Alla mia risposta si
portò le mani al volto, sussurrando, concitata:
“Mi dispiace… mi
dispiace tanto… sono solo una stupida, inutile e stupida!”
Shun era sempre più ansioso di capire cosa fosse
realmente successo, quale fosse il reale problema che rendeva la sua piccola
amica così angosciata.Istintivamente, allungò un braccio e le circondò le
spalle, attirandola verso di sé.
Il calore di quella
stretta, quel contatto che sempre le provocava un mare di sensazioni inebrianti
e intrise della più delicata dolcezza, fu un punto di non ritorno per Heather.
Affondando il viso
nella tunica del ragazzo, lasciò libero sfogo al pianto ed esplose in
singhiozzi incontrollati.
Lui la cullò, come una
madre fa con il proprio figlio addolorato, la strinse ancora di più, quasi
volesse fondersi con quella tristezza e farla sua, per comprenderla, per
strapparla dal cuore della sua amica.
“Perché dici queste
cose di te stessa?” la rimproverò dolcemente.
La ragazzina fu
travolta da un impeto di rabbia e, ferocemente, si scostò da quell’abbraccio
consolatorio:
“Non è forse vero? Io
non servo a niente qui, non riesco neanche ad allenarmi per diventare un saint,
non riesco neanche a provarci e tu non hai bisogno di me!”
SHUN
Perché quelle parole?
Perché si odiava così tanto?
Non sopportavo di
sentirla parlare in quel modo… come… come poteva dire che non avevo bisogno di
lei?
“Come puoi, Heather-chan? Come
puoi dire una cosa simile ad una persona che, in te, ha avuto la principale
confidente, la spalla cui affidare i propri fardelli esistenziali e le proprie
paure…come puoi dire questo a chi si sarebbe sentito perduto se non ci fossi
stata tu?”
Si raccolse su se
stessa, le ginocchia sul petto, come un bimbo nel ventre della madre; il pianto
dirotto era cessato, lasciando il posto a lacrime silenziose e tranquille.
Guardava in basso e
una sua mano scese a stuzzicare distrattamente i granelli di terra depositati
sul terreno roccioso.
“Eppure sei grato ad
Albion… a June… ma non a me… quando parli di coloro che sono al tuo fianco
sull’isola, non mi nomini mai… come se non esistessi. E in effetti, un po’ è
così: una ragazza come me, che sta qui senza fare nulla, senza allenarsi,
trascinando le proprie giornate tra dubbi e incertezze sulla propria ragione
d’essere ma senza decidersi a reagire… non è un po’ come se non esistesse?”
Cominciai a capire
qualcosa di più: aveva ascoltato le parole che, poco prima, rivolsi a June; era
lì, nascosta da qualche parte, il mio
angelo custode, inosservato e sempre presente dovunque io mi trovassi ma
celando discretamente a tutti la sua umile e timida presenza.
HEATHER
Perché gli avevo
parlato con quel tono rabbioso? Com’ero riuscita ad alzare la voce con lui,
come avevo potuto?
Stupida, stupida,
stupida! Per quanto impegno ci mettessi, non ne facevo una giusta, ogni mio modo d’agire, ogni mia
parola, mi si rivoltava contro.
“Heather tu… possibile
che non capisci?”
Aveva lo sguardo
puntato sul mare, superficie liquida e splendente, tagliata in due dalla lama
d’acciaio dell’immenso globo lunare; nella sua voce si celava un pianto che
faticava a trattenere, una profonda tristezza… e per colpa mia…
Lo guardai; avrei
voluto implorarlo di non essere triste, che non ne valeva la pena per una
stupida come me.
Invece, non riuscii a
dire nulla, rimasi muta, lasciandomi andare ad un unico, doloroso sospiro.
Nell’udirlo, ricambiò
il mio sguardo, allungò una mano, mi accarezzò una guancia per cacciare via una
lacrima.
In quell’istante, in
quel semplice gesto, era racchiuso un mondo intero; in esso percepii il suo
affetto, il bene immenso che mi voleva, il suo desiderio di vedermi sorridere,
il suo bruciante dolore nel vivere la mia tristezza come se fosse sua… percepii
la comunione, il contatto, l’affinità profonda che ci legava, solo noi due,
armonia di anime dalla quale chiunque altro era escluso, perfetta sintonia del
cosmo che, da due, diventava uno.
Già…i nostri cosmi… il
segreto che condividevamo… il mio cosmo che solo lui conosceva, il suo che
conoscevo solo io… si accesero insieme, dolci e caldi, avvolgendoci e
cullandoci nella loro unione perfetta, spontanei, senza che nessuno chiedesse
all’altro di risvegliare quell’energia sopita in noi: ci eravamo semplicemente
guardati negli occhi e le nostre anime si erano parlate.
Presi la sua mano,
ancora posata sulla mia guancia, delicatamente, poi abbandonai la stretta ma i
nostri palmi restarono uniti.
Anche lui sorrise,
angelo incantato nella notte illuminata dei nostri aliti vitali, che
raggiunsero uno splendore più intenso di quello della luna: due bagliori,
azzurro e rosa, che si fusero in qualcosa di indefinito e gentile ma forte,
come forte era la nostra intesa.
“Capisci adesso?”
Due semplici parole, sussurrate nella notte, ma
che arrivarono dritte al cuore della ragazza; sì che capiva, profondamente,
immensamente.
“Non c’è bisogno di parole tra noi; io credevo
che tu lo sapessi” proseguì il ragazzo “Credevo che… avessi compreso cosa ci
lega… forse ho dato troppo per scontato il nostro legame, ho sbagliato… mi
dispiace…”
Mentre la pulsazione
del loro bagliore stellare si spegneva poco a poco, Heather gli gettò le
braccia al collo:
“Oh no, no, non hai
sbagliato niente; è tutta colpa mia. La gelosia mi ha accecato e mi ha reso
incapace di andare oltre le parole, mi ha impedito di leggere nelle nostre anime.
Mi sono fermata alla superficie delle cose e non sono stata in grado di
comprendere nulla!”
“Gelosia?” Esclamò
Shun, con un vago stupore. Poi comprese, sorrise; distolse lo sguardo e la luna
mise allo scoperto il lieve rossore che gli imporporò le guance.
“E’ vero” continuò, a
voce ancora più bassa “A parole ho ringraziato Albion sensei e June-san per
l’aiuto che mi danno ogni giorno, per il loro sostegno durante gli allenamenti…
ma loro non possono aiutarmi sotto tutti i punti di vista, non possono comprendermi
fino in fondo… c’è solo una persona che riesce a farlo…”
Gli occhi verdi
trovarono il coraggio di posarsi negli abissi scuri e lucidi della ragazza,
prima di concludere: “Riesci a indovinare chi è quella persona? Sono talmente
sicuro della sua presenza, della sua comunione perfetta con me, con la mia
anima, che non sento mai il bisogno di ringraziarla a voce, credendo che il mio
spirito basti… in questo senso, forse, ho dato troppe cose per scontate.”
Heather scosse
convulsamente il capo:
“No, smettila, ti ho
detto che non è vero! Io… sono ancora così infantile a volte, ma d’ora in poi
più nessun dubbio mi turberà, non accadrà più e voglio con tutta me stessa che
ciò che ci lega resti sempre così; non voglio nulla di diverso… ciò che ci
unisce è solo nostro… deve essere solo nostro, voglio che sia solo nostro!”
Un abbraccio, coronato
da lacrime che, se dapprima erano state messaggere dell’angoscia più cupa, ora
nascevano dalla più grande felicità che il cuore di Heather avesse mai provato.
Nel cielo, due
costellazioni esplosero in tutta la loro lucentezza, esternando la loro gioia;
ma i due ragazzi, ignari ancora del destino che a quelle stelle li legava, non
poterono avvedersene.