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Autore: Klaineinlove    04/12/2011    12 recensioni
Era stato uno stupido, un incosciente.
Ecco cosa si ripeteva Blaine nella sua mente mentre camminava di notte da solo in giro per Lima.
Non era pentito della sua scelta che aveva fatto, ma avrebbe dovuto pensarci almeno un momento: organizzarsi, prendere qualcosa da portare con se; ma gli insulti erano troppi, le urla, le botte…non ne poteva più.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Don’t…touch me!
Rating: arancione/rosso per il  tema trattato. Ho messo come "avvertimento" OOC per sicurezza ma cercherò di rendere i personaggi più reali che posso
Note: Salve! Prima di lasciarvi alla storia chiedo di fare attenzione a questa piccola nota.
Questa storia è ispirato ad un fatto accaduto ad una persona che personalmente conosco. Cioè il problema( non credo sia una malattia e se è una malattia non conosco il nome) di Blaine è vero mentre le cause sono del tutto diverse.
La persona ha risolto questo problema da sola mentre qui Blaine avrà il forte aiuto di Kurt.
In questa storia sono presenti racconti di violenza(no sessuali) ma sono trattati con delicatezza così da non sconvolgere nessuno.
Le recensioni come sempre sono ben accettate perché siete voi che mi fate continuare a scrivere e a condividere questa mia passione con i vostri commenti.

Capitolo 1
Era stato uno stupido, un incosciente.
Ecco cosa si ripeteva Blaine nella sua mente mentre camminava di notte da solo in giro per Lima.
Non era pentito della sua scelta che aveva fatto, ma avrebbe dovuto pensarci almeno un momento: organizzarsi, prendere qualcosa da portare con se; ma gli insulti erano troppi, le urla, le botte…non ne poteva più.
Cavolo quell’uomo non era nemmeno il suo vero padre! Eppure era riuscito a farlo sentire piccolo, misero, inutile.
La decisione di sua madre di risposarsi e poi volare via per chissà quanti mesi perché il suo lavoro era fondamentale, a Blaine non era mai andata a genio, in più si era ritrovato con quest’uomo che si fingeva il più bravo dei papà in presenza della donna e quando quest’ultima non c’era, l’orco, come lo aveva definito Blaine, si divertiva a prendersi gioco di lui.
Era successo tutto due giorni prima o forse tre, Blaine non ricordava nemmeno quale giorno della settimana fosse. Rientrando a casa aveva trovato il patrigno mentre preparava da mangiare: per una sola persona. Perché in assenza di sua madre, Blaine provvedeva da solo a se stesso perché l’orco non era intenzionato a preparargli nulla. Quando Blaine sbottò chiamandolo “stupido omofobo” durante l’ennesima discussione, fu la goccia che fece traboccare il vaso. L’uomo si avventò su di lui aggredendolo molto più di come aveva fatto le altre volte e le altre volte faceva veramente male. Così Blaine senza pensarci due volte era uscito fuori casa promettendo a se stesso che non ci avrebbe più rimesso piede. Per il patrigno non sarebbe stato difficile trovare una scusa perché tanto Blaine aveva un’insegnante privato e studiava a casa quindi probabilmente si sarebbe inventato, come menzogna al suo insegnante, che Blaine era partito per raggiungere sua madre. Gli amici non erano nemmeno un problema visto che dopo aver lasciato la Dalton gli era stato impedito di vederli.
Ed ora Blaine si trovava solo girando per strada. In tasca aveva ancora qualche dollaro, forse per comprarsi una brioche o un caffè per riscaldarsi visto che faceva veramente freddo quella sera e le nuvole non prevedevano nulla di buono.
 
Kurt era annoiato. Passare la serata al bel Grissino non era nei suoi piani. Si era già organizzato una serata perfetta: un po’ di musica, Vogue e trovare l’abbinamento adatto ai suoi ultimi vestiti che aveva acquistato. Invece no, perché Mercedes lo aveva trascinato insieme a tutti i membri del Glee Club al locale perché dovevano festeggiare il compleanno di Noah e ovviamente con lui l’alcol non sarebbe mancato.
Kurt, Finn e Mercedes arrivarono quando già tutti erano riuniti con i menù sotto al naso, e la ragazza si giustificò dando la colpa a Kurt e alla scelta del papillon perfetto. Kurt ricambiò con una smorfia sedendosi accanto a Rachel e addentando un grissino dal tavolo.
I ragazzi ridevano tra di loro quando gli occhi di Kurt si puntarono su una figura vicino alla cassa.
Un ragazzo con addosso una felpa celeste con il cappuccio tirato su, stava prendendo un caffè caldo.
Kurt non riuscì a riconoscere quel ragazzo, anche perché non lo aveva mai visto al bel Grissino o nel McKinley. Ma nella sua scuola c’erano così tanti ragazzi, come pretendeva di conoscerli tutti?
Quando il ragazzo si voltò tremante e Kurt lesse sulla felpa il nome “Dalton”  subito riconobbe l’istituto privato di Westerville. Aveva sentito parlare sempre positivamente di quella scuola. Ma la cosa che lo colpì maggiormente furono gli occhi del giovane: color nocciola, quasi ambra tinta nel verde, un colore che avrebbe dovuto dar luce alla sala, eppure quegli occhi erano terribilmente spenti. Perché un ragazzo così bello stava così male? Pensò Kurt tra se.
Lo vide acquattarsi su una sedia mentre lentamente sorseggiava il caffè guardandosi attentamente intorno. Sembrava che avesse paura che sbucasse qualcuno da un momento all’altro e lo divorasse.
Rachel portò Kurt alla realtà facendogli distogliere gli occhi da quel ragazzo.
“Perché secondo te, Kurt io non sono la ragazza perfetta per tuo fratello?” Kurt avrebbe voluto chiedere come fosse nata quella discussione ma poi lasciò perdere; Rachel già parlava troppo, figuriamoci farle raccontate tutta la storia dall’inizio. Riuscì a tuffarsi di nuovo nella discussione appena sentì pronunciare Patty LuPone e quando rialzò lo sguardo per scrutare di nuovo quel ragazzo, lui non c’era più.
Kurt riaccompagnò a casa Mercedes e mentre stava percorrendo la strada di casa sua, un’idea gli balenò nella mente. Fece retromarcia e svoltò per un vicolo che portava direttamente al bel Grissino. L’idea era stupida lo sapeva perfettamente, ma le ultime due ore passate con gli amici erano state occupate da un solo pensiero, ovvero un solo volto.
La pioggia era incessante, come pretendeva Kurt di trovare quel ragazzo? Probabilmente era tornato a casa sua a riscaldarsi con quel caffè. Oddio si sentiva uno stalker, ma che stava combinando?
Ma poi ecco li, raggomitolato su una panchina della fermata degli autobus, coperto solo dal cappuccio della sua felpa. Kurt non ci pensò due volte e frenò di fronte a lui, prese l’ombrello dai sedili posteriori e scese dalla macchina avvicinandosi.
“Hey vuoi un aiuto?” urlò forte contro al ragazzo che alzò la testa dalle sue gambe per guardarlo.
Non rispose.
“Guarda che ti beccherai un malanno sotto questa pioggia, a quest’ora gli autobus non passano più. La corsa riparte alle 6.00. Se abiti qui vicino, posso darti un passaggio” Kurt parlò nel modo più gentile, nonostante dovette urlare un po’ per farsi sentire a causa dello scrosciare della pioggia, e quando provò ad avvicinarsi di più allo sconosciuto per coprilo con l’ombrello, quest’ultimo si fece ancora più indietro diventando tutt’uno con lo schienale della panchina.
“Non toccarmi!” urlò coprendosi il volto. A quella frase Kurt rimase per un attimo sconcertato.
“Voglio solo coprirti con il mio ombrello” provò a giustificarsi.
“Io non ho nulla, lasciami in pace” il ragazzo stava quasi per piangere e Kurt si sentì male per lui.
“Non voglio rapinarti, ma hai bisogno di….”
“Non ho bisogno di nulla. Vai via”
Kurt balzò dal tono brusco e lo sguardo che tentava di essere minaccioso del ragazzo.
Dovette lasciarlo lì ma gli poggiò l’ombrello accanto a lui.
“Copriti” gli disse prima di ritornare in macchina e tornare a casa.
 
Kurt passò la notte sveglio perché nell’istante in cui chiudeva gli occhi, il viso impaurito di quel ragazzo gli compariva davanti. Quel ragazzo aveva bisogno di aiuto e lui invece lo aveva lasciato solo. Non aveva insistito troppo.
“Maledizione” Imprecò ad alta voce e poi si tappò le mani con la bocca. Sgusciò giù dal letto quando vide che erano appena le 6.00 del mattino. Uscì in cucina dove ovviamente non c’era ancora nessuno, a momenti si sarebbe alzata Carole per preparare la colazione, ma Kurt aveva tutt’altro per la testa.
Tornò in camera e si vestì con abiti pesanti poi entrò nella stanza di Finn e svegliò anche lui.
“Cosa è successo, la casa va a fuoco?” chiese il fratellastro scattando dal letto.
“Perché pensi che la casa debba andare a fuoco Finn?” chiese stizzito Kurt.
“Oh non lo so, forse perché mi hai svegliato un’ora prima del dovuto, che c’è Kurt?”
Il ragazzo rimase un attimo in silenzio, sapeva che stava commettendo un’idiozia ma era troppo preoccupato.
“Vorrei che venissi con me”
“Non ci penso proprio Kurt, vai a dormire e sogna gli unicorni” Finn si ributtò sotto le coperte, ma sapeva che non doveva mai mettersi contro il suo fratellino.
 
Mezz’ora dopo erano in macchina, Finn guidava tra uno sbadiglio e l’altro.
“Ripetimi cosa stiamo facendo da queste parti”
Kurt roteò gli occhi “Stiamo cercando una persona, ieri sera era qui sotto la pioggia, aveva bisogno di aiuto”
“Kurt non possiamo andarcene in giro a raccattare barboni come se fossero micetti abbandonati” eruppe Finn.
“Non è un barbone Finn è un ragazzo normale che ha bisogno d’aiuto. Avresti dovuto vederlo ieri”
“Ieri?”
“Oh lascia perdere. Anzi fermati, eccolo li” Kurt indicò la panchina. Il ragazzo era disteso sopra con l’ombrello di Kurt a terra, chiuso.
I due fratelli scesero dall’auto e si avvicinarono con cautela.
“Hey, svegliati mi senti?” Kurt provò a toccarlo e vide che il ragazzo rabbrividiva.
“Kurt, dobbiamo portarlo all’ospedale”
“No. Portiamolo a casa, ci penserà Carole”
Nonostante Finn non fosse d’accordo, aiutò suo fratello nella folle impresa. Prese il ragazzo e lo mise disteso nei sedili posteriori dell’auto e mise in moto avviandosi in fretta a casa.
Quando Carole li vide rientrare per poco non gli venne un colpo, ma una volta ripresa fece adagiare il ragazzo sul divano mentre Kurt prese delle coperte per coprirlo.
“Ha le mani insanguinate” costatò Carole mentre lo sistemava. “Dovremmo disinfettargliele”
Kurt intanto lo fissava mordicchiandosi un unghia dall’ansia.
“Morirà?” chiese impaurito. Carole abbozzò un sorriso “Tranquillo, probabilmente si è beccato una brutta febbre. Appena si sveglia lo facciamo cambiare e poi chiamiamo la sua famiglia….se ne ha una.”
 
Kurt cominciò a raccontare a Carole come fosse arrivato a quel ragazzo e anche Finn sembrava abbastanza preso dal racconto; non aveva fatto domande stupide e si limitava a dare un’occhiata dalla cucina verso il salotto dove riposava lo sconosciuto.
“Kurt…si è svegliato”
A Kurt salì il cuore in gola mentre lentamente si avvicinava a quel ragazzo che ovviamente non sapeva dove fosse e sembrava ancora più spaventato. Poi incrociò i suoi occhi con quelli di Kurt.
“Dove sono?” chiese spaventato continuando a guardarsi intorno.
“Tranquillo, sei a casa mia. Mi chiamo Kurt Hummel” Kurt si sedette sul divano accanto a lui ma il ragazzo fece un balzò all’indietro come aveva fatto la sera precedente sulla panchina.
“Non toccarmi”
Kurt scosse la testa. Il ragazzo continuava a dire di non toccarlo e questo lo fece impaurire di più.
“Non ti toccherò, ma hai le mani insanguinate e vorrei disinfettartele.”
L’altro scosse la testa “No, no. Tu non mi toccherai”
Kurt si alzò allontanandosi un pochino sotto gli occhi di Finn e Carole scombussolati.
“Okay mi allontano ma fatti aiutare. Ti darò una benda così puoi curarti da solo, ci stai?”
Il ragazzo ci pensò qualche istante e poi annuì. Kurt tirò un sospiro di sollievo.
“Posso sapere come ti chiami?”
“Blaine. Blaine Anderson”


                                                                                        
   
 
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