Storie originali > Commedia
Ricorda la storia  |      
Autore: Mizar19    05/12/2011    3 recensioni
[Spin-off di Fior di Pesco]
Federica è alle prese con la recita natalizia che tanto detesta: non solo ogni anni le tocca il ruolo di Maria, ma deve sopportare l’ingombrante presenza del co-protagonista, Enrico, che ad ogni rappresentazione escogita uno stratagemma differente per rubarle gli applausi e la scena. Il quarto anno, Federica è decisa a non permetterlo, dunque studierà un piano con le gemelle Volpe per mettere fuori gioco l’astro nascente del palcoscenico scolastico.
[Storia partecipante alla Challenge di Natale indetta da Writers Arena Rewind]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La decima Musa'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
[Storia partecipante alla Challenge di Natale indetta da Writers Arena Rewind.]


Titolo: La vendetta di Maria
Autore: Mizar19
Fandom: Originale
Genere: Commedia
Tipologia: Oneshot
Avvertimenti: Missing moment
Trama: Federica è alle prese con la recita natalizia che tanto detesta: non solo ogni anni le tocca il ruolo di Maria, ma deve sopportare l’ingombrante presenza del co-protagonista, Enrico, che ad ogni rappresentazione escogita uno stratagemma differente per rubarle gli applausi e la scena. Il quarto anno, Federica è decisa a non permetterlo, dunque studierà un piano con le gemelle Volpe per mettere fuori gioco l’astro nascente del palcoscenico scolastico.
Note dell’Autore: Questa storia nasce come spin-off dalla mia storia principale “Fior di pesco”.
Disclaimers e Crediti: Trama, personaggi, luoghi e tutto ciò che questa storia contiene appartiene solo a me. 



Tenendo conto della notevole sofferenza che ho riversato su di lei, la storia è dedicata a Lely1441 <3
 
 

E poi le recite di Natale, dove puntualmente tu eri costretta a fare Maria e il tuo Giuseppe era il bambino che più odiavi della classe.
Come se non bastasse, quel coglione di tuo cugino ogni mattina si metteva a canticchiare “Oh mia bela Madunina” con aria ispirata.

E tu fissavi la punta acuminata e brillante dell’albero di Natale sapendo già che fine avresti voluto farle fare...
(Lely1441)

 

 *
 


LA VENDETTA DI MARIA
 

 

5 novembre 2001

 
«E non ti pare una bella notizia?», gongolò scandalizzata Erica, posando una mano sulla testa della riluttante figliola.
«Mamma...», sospirò laconica la piccola Federica Mantovani, alzando gli occhi al cielo.
«Sei nata per quel ruolo, tesoro, cos’ha che non va?»
«Maria?! Mi hai messa al mondo per recitare la madre di Gesù? Non ne posso più del musical di Natale, è colpa di Mari, io non volevo più farlo!», grugnì Federica incrociando le braccia.
«Bambina mia, sei così carina nella scena dell’Annunciazione, quando canti con l’angelo... Perché vuoi privare la tua mamma di un quadretto così dolce? Sono fiera di te!». Erica posò un bacio sulla guancia di sua figlia, stringendola tra le braccia.
«Mamma, smettila, ho nove anni!», protestò Federica incrociando le braccia. Era arrabbiata perché sua madre non capiva la sua frustrazione. Come poteva restare tanto insensibile di fronte alla sofferenza che le provocava lui? Era dalla prima elementare che doveva interpretare Maria nello spettacolo natalizio allestito dalla scuola. La sua migliore amica, Maria Cristina Volpe, era tanto carina vestita da pecora e dal suo angolino sullo sfondo la incoraggiava a cantare davanti a tutti, e per questo Federica le era grata. Ma detestava quel sorrisetto compiaciuto che lei sfoderava quando entrava in scena lui.
Lui era Enrico Capace, il bambino più arrogante e spocchioso della classe. E, manco a dirlo, Federica lo detestava. Enrico aveva la prepotente capacità di rubarle la scena; era una prima donna fatta e finita, così sicuro della sua futura carriera da star che non si preoccupava molto di chi gli stava attorno: sul palco tentava sempre di sopraffarla, portandosi davanti a lei, rubandole addirittura alcune battute nelle canzoni!, per non parlare di quando, in seconda elementare, si era permesso di pestarle un piede facendola cadere.
«Forza angioletto, vai a fare i compiti, ora basta lamentarsi!», con un buffetto sulla guancia, Erica dichiarò concluso il discorso tra loro due.
Borbottando come una teiera, la bambina si rinchiuse nella sua stanza.
 
 

21 dicembre 2001

 
«Federica, prendi una fetta di torta!», la esortò la maestra Fernanda con un sorriso.
«No, grazie, sono piena», rispose docilmente la bambina. In realtà non voleva mangiare, non aveva fame, era troppo impegnata ad escogitare un piano per far brillare la sua stella più di quella di Enrico. Il maledetto, nel frattempo, stava venendo elogiato dalla madre di fronte ad un pubblico di genitori molto interessati al piccolo fenomeno e si pavoneggiava tutto tronfio, sistemandosi di tanto in tanto il papillon blu scuro.
«Guardalo, Mari, guardalo...», sibilò Federica afferrando la sua migliore amica per una delle lunghe trecce bionde. La bambina gemette contrariata da quello strattone. Il suo stomaco la stava conducendo inesorabilmente verso il tavolo dei dolci, eppure la sua amica aveva sentito la pressante necessità di impedirle di soddisfare i suoi bisogni primari.
«Cosa?», rispose occhieggiando famelica il buffet.
«Enrico, Mari! Quel, quel...»
«Non si dicono le parolacce», la ammonì Maria Cristina. Federica le strattonò la treccia che ancora teneva in pugno.
«Ahia, ahia!», piagnucolò la bambina, tentando di far mollare la presa all’amica.
«Io detesto Enrico».
«Ma io voglio mangiare i dolci!», si lagnò Maria Cristina.
«Dov’è Maggie?», domandò Federica rivolta più a se stessa che all’altra. La individuò qualche secondo dopo davanti alle cibarie. «Andiamo», esordì trascinando l’amichetta insensibile alle sue proteste.
«Margherita, Maria Cristina, bisogna fare qualcosa», sentenziò Federica senza mollare i capelli della bambina.
«Cosa?», domandò Margherita con la stessa espressione della sorella.
«Siete proprio delle teste di legno! Enrico, no? Quest’anno non mi ruberà la scena, non glielo permetterò»
«Cosa non permetterai?», domandò sua madre sbucatale alle spalle.
«Mamma!», esclamarono in coro le gemelline e corsero ad abbracciare l’altra donna.
«Ehm, non permetterò che... che qualcuno mangi l’ultimo dolce al posto di Mari», inventò lì per lì Federica. Maria Cristina le sorrise riconoscente, gli occhi spalancati e luminosi di gratitudine.
«Oh, che amore», sorrise Erica baciando la figlia sulla guancia.
«Dove sono Simone e Mattia?», domandò Margherita aggrappata al cappotto della madre.
«Con Lilith e Walter, bestiolina».
Federica sbuffò udendo il nome del cugino. Erica la rimproverò con un sorriso bonario: la bambina non odiava davvero il cugino, semplicemente non aveva abbastanza senso dell’umorismo per farsi scivolare addosso i suoi commenti sarcastici e i dispetti di cui era spesso la vittima preferita.
«Andiamo un momento a parlare con le maestre, voi non ingozzatevi troppo», le ammonì Paola, la madre delle gemelle, prima di allontanarsi assieme ad Erica.
«Ci hanno quasi scoperte! Dobbiamo fare più attenzione...», mormorò Federica afferrando le mani delle amiche e avvicinandole a sé, di modo da poter sussurrare nelle loro orecchie.
«Ma come pensi di fargli fare brutta figura?», domandò perplessa Maria Cristina, supportata dall’annuire della sorella.
«Questo non lo so ancora, ecco perché siete qui con me», rispose con naturalezza la piccola oratrice. Era carica, rivitalizzata, perché questo Natale doveva essere suo e suo soltanto.
«Oh... ma io non ho nessuna idea», mormorò Margherita dispiaciuta.
«Te la farai venire!», sibilò Federica.
«Non fare così, Fe’, sei antipatica», sussurrò Maria Cristina, che non era abituata a quell’aspetto del carattere di Federica: era una bambina dal temperamento vivace, molto sveglia e riflessiva, ma non aggressiva, di solito non si imponeva sulle altre con atteggiamenti dispotici (anche se una tirata di trecce a Maria Cristina di tanto in tanto era la norma).
«Scusa», disse la bambina, osservandola un po’ stupita.
«Noi ti vogliamo aiutare ma tu non fare la cattiva», aggiunse Margherita.
Federica non rispose, sentendosi un po’ colpevole e un po’ inconsapevole, però stampò un bacio sulla guancia di entrambe le sorelle, sperando bastasse come gesto di scuse.
«Va bene, sei di nuovo Federica. Ora pensiamo a qualcosa», stabilì Maria Cristina, riprendendo in pugno la situazione.
«Però non dobbiamo farci punire dalla mamma», ricordò Margherita.
«O dalle maestre!», aggiunse Federica, riducendo la voce ad un sussurro.
«Ehi, piccole cospiratrici, cosa state combinando?», domandò la maestra Fernanda con un largo sorriso. Appena dietro di lei c’erano le loro madri.
«Niente», si difese con espressione angelica Federica.
«Stavo giusto dicendo alle vostre mamme che siete proprio delle brave bambine, non vorrei dovermi ricredere», rise la donna di mezza età, posando una mano sul capo di Maria Cristina.
«No, no...»
«Allora, come trascorrerete queste vacanze?»
«A Natale faremo un pranzo tutti assieme!», sorrise entusiasta Margherita.
«E anche la cena della Vigilia», precisò Federica, mentre Maria Cristina annuiva, la mano della maestra ancora sopra il suo capo.
«Sapete già cosa vi porterà Babbo Natale quest’anno?»
«È ancora un segreto», spiegò seria Maria Cristina.
«Ah, be’, certamente», convenne la maestra annuendo con espressione mortalmente seria. Aveva imparato da tempo a gestire i bambini, amava averli attorno, soprattutto se erano tre adorabili marmocchie come Federica e le gemelle Volpe. Quelle tre erano inseparabili, sempre a complottare, ridere, scherzare, proprio come i loro fratelli maggiori e il cugino dei Mantovani. Sperava che la loro amicizia durasse: si conoscevano come le proprie tasche e avevano un’intesa notevole, entrambe si sarebbero potute rivelare stampelle per il futuro. Fernanda se lo augurava.
 
 

22 dicembre 2001

 
«Oh mia beeela Madunina...», canticchiava Walter appollaiato sul divano nel salotto dei suoi zii.
«È terribile, mamma, ho paura», piagnucolò la bambina, le braccia alzate per facilitare la madre, la quale le stava sistemando il costume di scena che aveva dei problemi con la chiusura sul retro.
«Stai brava, angioletto. Sarai bravissima e bellissima», la incoraggiò baciandole i capelli.
«Che te brilleeet de luntan!»
«Mi farà fare una figuraccia, sembrerò stupida!», si lamentò Federica sbuffando la sua frustrazione. Dopo il tentativo miseramente fallito di mettere K.O. la giovane star per mezzo di una caduta accidentale, le gemelle Volpe non erano riuscite a partorire nessuna brillante idea. Così la bambina si era rassegnata all’annuale figura meschina sul palcoscenico.
«Tuta d’ora e picinina...», continuava Walter imperterrito, osservando con ghigno sadico il faccino piagnucoloso della cuginetta.
«Devi stendere tutti con la tua bellissima voce, ricordatelo!»
«Dov’è Veronica?», sbuffò Federica. Voleva davvero che la sorella maggiore fosse con lei per sostenerla e magari per cantare assieme prima di entrare in scena. Aveva bisogno di coraggio, ma soprattutto di una voce coscienziosa che le ripetesse un paio di volte che gettare Enrico Capace giù dal palco non era la soluzione ai suoi problemi.
«E’ già alla Fondazione Marchetti e tu dovresti sbrigarti», le fece notare la madre osservando le impietose lancette dell’orologio.
«Ti te dominet Milan!»
Federica lanciò un’occhiata ardente al cuginastro, che sorrideva lezioso con il suo volto angelico, i grandi occhi azzurri spalancati.
«La tua Maria sarà celestiale, cugina, soprattutto quando lui ti farà inciampare come al solito...», ghignò non appena Erica si allontanò per recuperare la borsa.
Federica allungò un braccio ad indicare l’albero di Natale, in particolare la sua sommità, poi sibilò: «Giuro che prendo quel lucido puntale dorato e te lo metto...». La bambina avrebbe tanto voluto concludere con l’anatomico anfratto di destinazione, ma il rumore dei passi di sua madre le impedì di esternarlo. Si limitò a congelare Walter con i suoi occhi di cioccolato.
«Forza ragazzi, in marcia», li spronò Erica dopo aver aiutato la figlia con la lunga sciarpa di lana. Uscirono zampettando nella neve fresca e, circa a metà del vialetto, Federica notò che aveva ricominciato a nevicare. Rise di gioia spalancando la bocca e le mani coperte dai guanti al cielo luminoso.
 
«Eccoti, Maria! Scendi la scala, poi a destra: troverai tutti lì», le diede indicazioni una delle maestre. Federica annuì e corse via dopo aver abbracciato la sua mamma e ignorato bellamente il cugino. Arrivò trafelata nel camerino indicatole: la maestra Fernanda stava sistemando il trucco di una pecorella.
«Sono la cometa!», trillò emozionata una voce conosciuta. Prima che Federica potesse individuarla, la bambina la stava soffocando in un abbraccio.
«Oh, Maggie sono contenta!», esclamò saltellando con l’amica per la felicità.
Una pecora incarognita si avvicinò a loro trascinandosi svogliatamente.
«Perché io devo fare la pecora?», piagnucolò Maria Cristina sfregando le mani coperte dai guanti neri.
«Perché sei stonata», la rimbeccò la gemella con un sorrisetto compiaciuto; per spingere ancora più a fondo il dito nella piaga, volteggiò su se stessa facendo bella mostra del costume dorato dotato di una lunga coda scintillante.
«Sono una pecora lanosa», piagnucolò tirando su con il naso. Mossa da affetto per l’amica triste relegata al solito ruolo animalesco (eccezion fatta per il primo anno, quando interpretò quello che lei si intestardiva a definire albero, mentre Federica lo trovava più simile ad un broccolo), Federica le spiccicò un umido bacio sulla guancia.
«Almeno tu non verrai umiliata da Enrico», le ricordò Federica sospirando profondamente.
«Federica! Capelli, trucco e vestito, subito!», la chiamò Fernanda, che l’aveva individuata solo in quel momento. La bambina salutò silenziosamente le gemelle e trotterellò verso la donna.
«Ricordi le canzoni? Le battute? Vuoi ripassare?», le domandò dolcemente mentre le sistemava un cerchio dorato sul capo, che avrebbe tenuto fermo un velo azzurro.
«Giuseppe, l’angelo ha parlato», trillò gioiosamente e Fernanda rise.
 
«Dove andremo? Sono stanca, Giuseppe», esclamò Federica portandosi una mano alla fronte e l’altra al ventre, gonfiatole con un cuscino.
«Maria, c’è un’altra locanda lungo la strada, forse là troveremo un posto dove passare la notte!», rispose Enrico con tono vibrante e profondo per un bambino di nove anni. Le afferrò una mano e lei dovette lottare per non stringere le labbra in una smorfia di disgusto.
«Bussa, bussa alla loro porta!», lo pregò ansimando.
«Buon’uomo, faccia la cortesia di una stanza: mia moglie aspetta un bambino, è prossima al parto e ha bisogno di riposare...»
«Stanza? Ho dovuto mettere gli ultimi clienti nella stalla! Non ho nemmeno uno sgabuzzino, andate altrove!», brontolò ad alta voce un bambino agghindato di tela, prima di sbattere una porta di legno appositamente sistemata.
Non stava procedendo poi così terribilmente, nonostante Enrico fosse artificioso e viscido come sempre. L’unica cosa che le importava realmente era di essere ancora in piedi, con la sua dignità integra e il suo orgoglio alle stelle: dopo il duetto con l’angelo - Manuela, una ragazza con corti e ricci capelli ramati dalla bellissima e limpida voce - avevano ricevuto così tanti applausi che Federica traboccava di gioia e soddisfazione. Sapeva che là, nell’oscurità della platea che non vedevano (accecate com’erano dalle luci), suo padre stava riprendendo lo spettacolo con la sua fidata telecamera digitale. Poteva immaginare sua madre accanto a lui, le mani intrecciate e lo sguardo orgoglioso. E poi la sorella maggiore, che lei adorava, che imitava sempre in tutto e per tutto, che cercava sempre di colpire, di stupire per avere la sua attenzione e le sue lodi. Dopo ancora il fratello Mattia, assieme al fratello delle gemelle e al cuginastro, tutti e tre intenti a ghignare e farsi beffe di loro che ballavano e cantavano vestiti da pecore, asini, alberi, angeli e personaggi vari. Infine, il fratello minore Claudio, un po’ scontroso e tendenzialmente timido, probabilmente stava rileggendo per l’ennesima volta la brochure dello spettacolo. E accanto a loro c’erano senz’altro i genitori delle gemelle con il figlio maggiore, Edoardo. Si sentiva tranquilla sapendo che là, tra le sagome buie che riusciva ad intravedere, si nascondevano persone che amava.
Si sedette nella paglia allestita all’interno di una grotta realizzata interamente di cartone e cartapesta, dietro di lei erano acciambellati i due bambini vestiti da bue e asinello, il primo con un bel paio di corna di plastica, il secondo con lunghe e affusolate orecchie di peluche.
Il sipario si chiuse su quel dolce quadretto e Federica si ricordò improvvisamente che ora sarebbe iniziata la scena finale, con i pastori, le pecore, per non parlare dei Re Magi: una ventina di bambini che cantavano sul palco e si muovevano a tempo. Sarebbe stato allora che Enrico le avrebbe teso un agguato, se lo sentiva. Strinse gli occhi sfilandosi il cuscino da sotto la veste blu, mentre una bambina le portava il bambolotto roseo e calvo che avrebbe impersonato Gesù Bambino. Si voltò verso Enrico giusto in tempo per incrociare il suo sguardo ostile: lo ricambiò con la stessa decisione, poi il sipario si aprì.
«Giungiamo da lontano!», intonò il primo bambino, agghindato come un piccolo re.
«Guidati dalla mia coda!», cinguettò Margherita, fiera e sorridente nel suo ruolo.
«Marciammo senza riposo per recare doni», continuò il secondo bambino.
«Recano doni graditi!», cinguettò ancora la stella cometa.
«Oro, incenso e mirra!», il terzo bambino, che pareva anche il più spiritoso, balzò davanti agli altri due con un sorriso furbetto suscitando l’apprezzamento del pubblico.
Federica teneva d’occhio Enrico, che però pareva totalmente disinteressato a lei, piuttosto seguiva con maniacale concentrazione la sequenza dei personaggi che sfilavano davanti a loro. La bambina non riuscì a non lanciare un sorriso d’incoraggiamento a quella pecorella dal musetto dipinto di bianco che riconobbe immediatamente come Maria Cristina.
Tutti i piccoli figuranti del presepe iniziarono a cantare una dolce nenia rivolti al pubblico di genitori entusiasti delle loro creature.
Federica controllò nuovamente Enrico con un’occhiata: si sarebbero dovuti spostare al centro del palco, davanti agli altri, per terminare la canzone. La bambina mosse un passo e lui le fu immediatamente accanto. Successe così rapidamente che, per capire come fosse accaduto, Federica ebbe bisogno di un’intera nottata di rielaborazione. Vide chiaramente il piede del bambino posarsi sulla sua tunica, intrappolando un pezzo di stoffa tra la suola e le assi del palcoscenico. Afferrando con eleganza la veste, Federica aveva dato uno strattone sicuro e disinvolto: Enrico non sarebbe caduto se in quel momento una pecorella dalle lunghe trecce bionde non avesse spalancato le braccia davanti a lui. Già sbilanciato all’indietro, il bambino perse l’equilibrio e atterrò sul sedere con un tonfo sordo e scricchiolio di assi.
Nessuno si prese la briga di rimetterlo in piedi, si limitarono a creare un sipario davanti al caduto per nascondere la sua pietosa visione alla platea.
Così Federica si godette l’assolo finale, meritandosi la cascata di applausi che la investì.
 
 

23 dicembre 2001

 
«Non posso ancora credere che tu l’abbia fatto davvero», gongolava Federica strofinandosi le mani indolenzite davanti al camino acceso.
«Enrico se lo meritava, è cattivo», spiegò semplicemente Maria Cristina, sfregandosi il naso arrossato. Non c’era stata nessuna polemica in seguito all’accaduto, perché capitava sempre che qualcuno inciampasse nella confusione e, nonostante le sonore proteste del diretto interessato, nessuno gli concesse l’attenzione che richiedeva. Il fatto venne archiviato come ordinario incidente di percorso, e già il giorno seguente era stato dimenticato.
«Grazie di nuovo», insistette Federica allungando le mani verso le calde lingue di fuoco, intrappolate dietro un vetro trasparente.
L’altra bambina le strinse prima tra le proprie, poi abbracciò l’amica.
«Ora ci penserà due volte prima di darti fastidio», mormorò felice. Federica ricambiò il suo abbraccio, soddisfatta e compiaciuta.
«Amiche per sempre, Mari», sentenziò la bambina stringendo l’amica. Con un rapido movimento diede uno strattone delicato ad una delle sua trecce bionde.
«Bambine, le caldarroste sono pronte!», chiamò la voce di Paola dalla sala da pranzo.
Le due si scambiarono un’occhiata complice, poi Maria Cristina scattò in piedi.
«Chi arriva ultima è un Giuseppe a gambe all’aria!», esclamò per poi partire di corsa in direzione della stanza da cui provenivano la voci.
Federica strepitò indignata, tentando - invano - di raggiungere l’amica.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Mizar19