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Autore: Miss V Blackmore    05/12/2011    1 recensioni
Un piccolo scorcio di vita, un intreccio di esperienze e di emozioni, l’inizio di un percorso che nessuno sa dove condurrà. E l’unico modo per scoprirlo è scalare le nuvole e avere il coraggio di affrontare ciò che il viaggio proporrà giorno per giorno.
Scritta a quattro mani con KeikoHiragi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Synyster Gates, Zacky Vengeance
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scritto da: Keiko

Ti svegli una mattina e scopri che il tuo mondo potrebbe subire un cambio di rotta di quelli che non sai dove ti potranno condurre, di quelli che potrebbero renderti un vincente oppure affossarti nella tana dei perdenti, sul fondo del mondo. Sei davanti  a una di quelle scelte che potrebbero renderti un uomo migliore, magari il pretesto per mostrati per ciò che sei realmente e gettare le maschere che ti sei appiccicato addosso negli anni. La scelta più dolorosa è quella che tutti si aspettano e che tu non faresti mai, oppure quella che nessuno si aspetta e che tu sei deciso a portare avanti anche da solo: di certo, è la più difficile e la più giusta. È quella del pazzo, del matto del mazzo dei tarocchi, l’imprevedibilità su cui punti tutte le fish del tuo piatto a Las Vegas e ne esci vincente al termine di una serie di fallimenti. Il destino arride a chi osa, a chi è disposto a mettersi in gioco e non ha paura di nulla. Il destino, nel dolore delle scelte più scomode, ti offre sempre un appiglio a cui aggrapparti, che può darti la forza ricordandoti quanto sia sensata la tua scelta. Nell’essere giusto e corretto, il destino è costretto a chinarsi davanti a te e restituirti la felicità che ti ha sottratto, giorno dopo giorno, per restituirtela in misura raddoppiata.

Zacky teneva la bambina stretta tra le braccia come se fosse di vetro. Aveva tenuto allo stesso modo i suoi nipoti, ma non era mai stata una cosa a lungo termine come poteva essere un intero pomeriggio da solo in compagnia di un poppante. Nessuno, d'altra parte, gli aveva spiegato che i neonati mangiano ogni tre ore, che i pannolini vanno cambiati spesso e tutte quelle cose che una madre porta nel DNA, mentre il padre riesce tutt'al più a svenire in sala parto. Passata quindi la probabile figura di merda del collasso alla vista della nascita di un marmocchio, il chitarrista si trovava a fissare l'orologio a parete in modo ansioso, tenendo tra le braccia – avvolta in strati di panni e coperte rosa – sua figlia. O meglio, quella che dicevano dovesse essere frutto di una sua ipotetica – e probabile – avventura newyorkese. Bastava guardarla negli occhi per capire che era sua figlia: stesso colore di occhi, impossibile da replicare sulla tavolozza di Alex, stesso taglio allungato e ciglia sottili.
“Ma quando cazzo stacca?”
A quelle parole, come a voler manifestare le proprie rimostranze nei confronti della veemenza del padre, Stella si era agitata allungando le mani grinzose verso di lui, emettendo versi incomprensibili.
“Oh cazzo, l'ho svegliata!”
Evidentemente a sua figlia – per lui la era già, la verità era quella. Il problema era che anche lei sapeva di condividere metà dei propri cromosomi con il tizio che la teneva goffamente tra le braccia dunque, se ne stava già approfittando – la parola “cazzo” non andava a genio, perché alla seconda imprecazione, oltre a prendere a scalciare come a volersi liberare dalle coperte che la tenevano praticamente immobile, aveva iniziato a piangere. Dapprima Zacky aveva visto gli occhi ingrandirsi all'inverosimile, poi aveva osservato le guance ingrossarsi come a voler immagazzinare tutto il fiato che potevano contenere i polmoni per poi sputarlo fuori sottoforma di grida acute, lacrime e bava.
“Fantastico, no sul serio... adesso che cazzo faccio?”
Stella aveva preso a dimenarsi, continuando a piangere senza sosta, il viso paonazzo. Non sarebbe morta soffocata, vero? E se invece avesse avuto qualche problema di salute e gli assistenti sociali non gliel'avessero rivelato, nel timore che si rifiutasse di prendere in custodia la bambina?
A quel pensiero, accompagnato dal sottofondo sonoro di Stella, Zacky aveva deciso che non c'era tempo da perdere: se Maometto non andava alla Montagna, la Montagna sarebbe andata da Maometto, così aveva recuperato dallo sgabuzzino la cesta con cui Gena portava le bestie pelose dal veterinario – e Gena, quando sarebbe rientrata, si sarebbe incazzata un sacco per averla usata per qualcosa che non fosse, appunto, il trasporto dei quattro zampe – e vi aveva adagiato Stella, nel maldestro tentativo di renderle confortevole il tragitto da casa all’ospedale. Zackary James Baker non aveva un cuore sufficientemente grande per amare il mondo ma gli era bravo a farsi fottere dalla dolcezza di cani e marmocchi – o dalle curve ben piazzate di qualche ragazza – piuttosto che dalle calamità mondiali. Non era un filantropo, lui, ma aveva un cuore su cui bastava davvero poco per fare leva e farlo capitolare.

“Dottoressa McLiar? C'è un tizio poco raccomandabile ricoperto di tatuaggi che chiede di lei, dice che non si muoverà da dove si trova sino a quando lei non andrà da lui.”
Alex aveva sollevato lo sguardo sul proprio orologio da polso: nemmeno le diciotto. Zacky l'aveva chiamata non più di due ore prima dicendole di avere assoluto bisogno di lei e che doveva passare a casa sua appena possibile. “L'appena possibile” era stato tradotto nella fine del suo turno, alle venti, ma era evidente che quell'idiota non sapesse nemmeno più contare.
“Puoi dirgli di aspettarmi? Puoi farlo accomodare nel mio studio, finisco il giro di controllo in corsia e arrivo da lui.”
E questa volta mi sente sul serio.
“Ehi, Doc, non è professionale avere i tuoi corteggiatori che assediano il reparto…”
“Jake non corteggiatori…” aveva puntualizzato l’inglese con il suo solito cipiglio infastidito, scacciando le sue parole con un gesto secco della mano. Se c’era una cosa che aveva imparato il texano, era che Alex assumeva sempre quell’espressione quando si trattava di prenderla in giro sulla sua pressoché inesistente vita sentimentale. A Jacob piacevano la professionalità di Alex e la sua dedizione a Lily, più che ai quattro scapestrati musicisti con cui avevano costantemente a che fare.
“Dai, vai dal tuo amico. Ci penso io a finire il giro per te.”
La ragazza gli aveva lanciato un’occhiata in tralice, tamburellando nervosamente la punta della biro sulla pila di cartelle mediche che teneva tra le braccia.
“E quanto mi costerebbe?”
“Una cena insieme.”
“Soltanto?”
“No, magari racconto a tutti i pazienti che hai preferito uscire con un ragazzo poco raccomandabile piuttosto che salvare la loro vita.”
“Sei odioso.”
“Adoro quando lo dici.”
Alex l’aveva superato, ignorando il resto del suo sproloquio, cercando di accelerare i tempi per poter arrivare all’urgenza californiana che si dimenava – di certo imprecando – su una delle scomode poltroncine del suo studio. In un certo senso era così abituata ad averli intorno che non era nemmeno preoccupata dell’arrivo improvviso, perché Lily poteva aver mandato lì Zacky o Johnny nel tentativo di rapirla e riportarla a casa prima della fine del turno o, quanto meno, all’orario prefissato, non con gli extra non retribuiti che le prosciugavano ogni energia lasciandole però una buona dose di felicità addosso.
L’infermiera, quindici minuti più tardi, era tornata da lei con aria mortificata, cercando di mantenere l’aria più professionale che potesse riuscirle, ma con risultati davvero pessimi.
“Il suo amico… dice che è questione di vita o di morte.”
“Sta sanguinando?”
“No, ma è piuttosto pallido. Potrebbe venire in ufficio a rassicurarlo? Non sappiamo se riusciamo a gestirlo e controllarlo, è piuttosto nervoso e…”
“Non morde, abbaia ma non morde” l’aveva rassicurata l’inglese, rivolta più a sé stessa che non alla donna che le stava dinnanzi. Alex aveva sbuffato rassegnata, sbattendo in malo modo le cartelle cliniche contro al petto di Jacob, quel suo insopportabile sorriso da vincitore stampato in viso.
“Allora cena confermata, Doc?”
“Da quando sei così solidale con il genere umano, tu?”
“Da quando posso guadagnarci. Alice mi accompagni nel giro di routine della dottoressa McLiar?”
L’infermiera non se l’era fatto ripetere due volte e si era messa al servizio del medico, lasciando Alex in balia della frustrazione e di quel cieco senso di impotenza davanti al ciclone Baker. Perché Lily doveva sempre mandare lui a distruggere ogni singola particella di serenità che esisteva nella sua vita, già sufficientemente messa in difficoltà dalla pazzia della sua migliore amica?
Adesso mi sente, giuro che lo ammazzo e chi se ne frega se mi mettono dentro. Avrò una vita di pace ed equilibrio in carcere.
“Zacky non puoi permetterti di…”
Le parole le erano morte in gola non appena aveva varcato la soglia del proprio studio, Zacky seduto su una delle poltroncine d’attesa e quintali di copertine rosa e bianche che si dimenavano come possedute da una forza sconosciuta all’interno di una cesta per cani posata sulla scrivania alle sue spalle.
“Mi hai portato uno dei cani di Gena? Non sono un veterinario e…”
“Non sono così stupido, eh. Alla buon’ora comunque. Lo sai che poteva morire? Cazzo, meno male che si è calmata.”
Era stato quando Zacky si era alzato in piedi facendole cenno di avvicinarsi, che Alex aveva dovuto fare i conti con le manine dalle dita sottili e grinzose che afferravano l’aria, le gambe paffute che si dibattevano come ossesse nel tentativo di liberarsi dalla prigione in cui l’avevano infilata e lo sguardo attento e vigile che si posava su tutto ciò che si muoveva lì intorno. In quel momento la sua attenzione era stata catturata dai capelli di Alex, che le ricadevano sulle spalle sino a sfiorare il viso della bambina.
“Dove… cioè, rapisci i bambini Zacky?”
“Ma sei scema? Cioè, sei più scema di me?”
“È… tua?”
A guardarla bene, la creatura aveva gli stessi occhi del ragazzo: stesso colore, stessa forma, stessa aria strafottente.
E ha solo pochi mesi.
“Si, insomma, ho pensato a te. Voglio dire, si è messa a piangere e non sapevo cosa fare. Gena è uscita e…”
“Okay, fatti fare un caffè dalle ragazze. Io la porto alla nursery e poi mi spieghi cos’è accaduto. Almeno ti riprendi un po’, hai una faccia… sembra che tu abbia visto un fantasma.”
“No, mi hanno solo detto che sono padre. Ma sta male?”
“No, tranquillo. Alla nursery le daranno da mangiare. Hanno bisogno di farlo spesso nei primi mesi di vita, probabilmente aveva fame. Ha pianto molto?”
“Si è calmata quando siamo arrivati qui.”
“Sarà stanca, specie se le hai fatto subire uno dei tuoi viaggi in auto da pazzo. Un nome ce l’ha questa piccolina?”
“Stella.”
“Allora, Stella, adesso ti porto a conoscere altri esserini come te.”
Alex l’aveva sollevata stringendola tra le braccia, passandole una mano dietro la nuca e, con l’altra, sistemandole attorno al corpo le coperte per tenerla al caldo.
“Hai visto come devi tenerla?”
“Come?”
“Così…” e gli aveva mostrato la posizione in cui aveva preso Stella, che le aveva posato il viso sul petto imbrattandole di saliva il camice immacolato.
“Sbava…”
“Tutti i bambini sbavano, Zacky.”
“Come i cani?”
“Tu ne hai due, per cui non credo che ti causerà problemi, no? Ma hai visto come tenerla?”
“Si si…”
“E hai capito?”
“Si…”
“Vuoi portarla tu alla nursery? Ti faccio strada io.”
“Ho paura di romperla.”
Alex aveva sgranato gli occhi, poi aveva sorriso al ragazzo cercando di incoraggiarlo.
“Okay, vado e torno, ma dovrai imparare a farlo da solo. Prenditi un caffè e aspettami qui. Evita di dare di matto e non farti vedere da Jake in queste condizioni, se non vuoi dargli un motivo per sfotterti a vita.”

Gena aveva afferrato l'auto e guidato per due ore in preda alle lacrime, aveva chiamato Melanie chiedendole se poteva ospitarla per qualche tempo poi, era ritornata sui suoi passi ritornando a casa sua. Quella che era stata la sua dimora sino a sei ore prima, quando due perfetti sconosciuti avevano sbattuto davanti a lei e Zacky una marmocchia scalmanata per cui, quello scemo del suo ragazzo, aveva perso la testa alla prima occhiata. Che fosse sua figlia l'avrebbe capito chiunque, aveva già il temperamento dei Baker addosso, ma né lei né Zacky avevano davvero affrontato l'argomento “si, mi sono scopato una tizia a New York. E magari ho altri bastardi sparsi per il mondo e non lo so ancora.
Il sospetto era un'ottima arma per potersi illudere, un veleno sottile che ti penetra sotto pelle e scava sino a fotterti e corroderti ossa e anima: lei, ad impazzire di gelosia, non ci era arrivata per il solo motivo che il destino aveva giocato d'anticipo, presentandole il conto di uno dei tradimenti di Zacky. Che ce ne fossero altri, ne era certa. Da quando era morto Jimmy, quei quattro avevano preso a reagire come meglio credevano, chi cercando tranquillità e pace in ciò che restava come Johnny, chi trovando la forza per andare avanti in ciò che aveva accanto come Brian e Matt e chi, come Zacky, aveva deciso che la vita andava vissuta sino alla fine, senza privarsi di nulla. Dunque ora lo scotto da pagare era crescere un figlio non suo, che sarebbe diventato il ritratto vivente di una donna che aveva condiviso lo stesso letto di Zacky. Lei cosa doveva fare? Attenderlo e risolvere il problema? Chiedergli di scegliere tra lei e la mocciosa? Farsi dare delle spiegazioni? Si sentiva stupida solo a pensarci, a tutte quelle domande banali e idiote. Avrebbe raccattato le proprie cose e si sarebbe trasferita da Melanie. Ai chiarimenti, ma soprattutto alle spiegazioni, ci avrebbe pensato in un secondo momento, quando Zacky avrebbe valutato l'ipotesi di dare in affido o in adozione la bambina. Non voleva davvero tenerla, no?
Casa loro era deserta, immersa in un innaturale silenzio. Zacky era uscito, aveva visto che l'auto non era parcheggiata lungo il viale d’ingresso e quello, in un certo senso, le facilitava il compito. Lei lo desiderava un figlio, ma Zacky non ne aveva mai voluto sentir parlare, men che meno nell'ultimo anno. Prima c'erano gli Avenged Sevenfold poi, quando si sarebbero stancati e avessero deciso di fermarsi un po', allora avrebbero pensato a un figlio. Era bastato che gliene offrissero uno già pronto perché tutti i propositi fatti, però, sfumassero. Non andava bene come madre? Gena si era chiesta se non fosse lei, dunque, il problema. Che le cose tra loro non andassero bene era cosa risaputa, ma cercavano di galleggiare e superare la crisi: era legittimo farlo, era sacrosanto provarci, era normale superarla insieme. A lei, invece, pareva di essere l'unica a sforzarsi in quella direzione, come se Zacky avesse deciso di metterle tutto in mano, fregandosene del loro futuro. Ma lui poi un futuro insieme lo desiderava ancora? Dei due innamorati che si tenevano per mano alle feste, dei viaggi fatti insieme, dei progetti e dei sogni che avevano condiviso, le sembrava non fosse rimasta altro che cenere, come un fuoco dimenticato accesso a cui nessuno aveva prestato attenzione sino a quando non si era spento del tutto, senza possibilità di essere ravvivato in alcun modo. Tutto era rimasto come quando l’aveva lasciato, fatta eccezione per il cassettone della loro stanza svuotato di ogni singolo capo di abbigliamento: probabilmente Zacky aveva cercato qualcosa che non gli era riuscito di ricordare al primo colpo dove fosse stata riposta. Gena aveva sospirato, recuperando dalla cabina armadio il trolley da viaggio e un borsone da palestra, iniziando a gettarvi dentro alla rinfusa i propri abiti, le fotografie, le cianfrusaglie ricordo di mille viaggi e tappe di tour. Le ci era voluta mezz’ora per fare i bagagli e lasciare la loro casa spogliata della propria parte, denudata di quel lato femminile che era riuscita a ritagliare al suo interno soprattutto al secondo piano, dove Zacky andava solo a dormire, lasciandole la totale libertà di fare di quelle stanze il suo personale rifugio. Si era accucciata sul letto, portandosi il braccio al viso, schermandosi dalla luce morente del sole. Dov’era Zacky? Una parte di lei desiderava vederlo, affrontarlo, gridargli in faccia quanto schifo facesse; dall’altra, c’era la donna sconfitta che parlava con voce stanca da un futuro lontanissimo, in cui era un’infelice senza una propria famiglia ma con una serie infinita di bastardi e amanti che spuntavano da ogni parte del mondo. Desiderava una vita costruita sulla menzogna, sulla routine e sul terrore di perdere l’uomo che amava? Voleva perdere, giorno dopo giorno, la propria dignità per un amore che non le avrebbe lasciato altro che gli avanzi di un ricco pasto che Zacky avrebbe sempre consumato con qualcuno altro?
“Non so se ci rivedremo. Questo è stato il colpo di grazia.”
Su quell’ultimo post-it giallo, attaccato con una calamita comprata a Parigi all’anta del frigorifero, Gena si era lasciata alle spalle casa propria e tutta la sua vita. Tra quelle quattro mura restavano ancora Zacky e il suo cuore. Sarebbe tornata a riprendere almeno quello, un giorno, o avrebbe deciso di farne a meno. In quel momento, però, faceva troppo male pensare di affrontare un discorso complicato come quello di una bambina illegittima, perché aveva troppa paura di doverne uscire sconfitta. L’unica mossa sensata era quella di precorrere i tempi, lasciando Zacky per prima.

Alex non le aveva risposto ai messaggi che le aveva inviato rifiutando tutte le sue chiamate e, la stessa cosa, l’aveva fatta Zacky. Lui, per inciso, doveva recuperare Alex e portarla a casa, visto che l’auto era servita a lei durante la giornata per accompagnare Amanda a fare compere.
“Lo sai – le stava dicendo la ragazzina, seduta accanto  a lei sul lato passeggero masticando un chew-gum al gusto di arancia – che ho sempre sognato di fare quello che abbiamo fatto oggi? Si insomma, l’estetista, la parrucchiera e poi il giro per i negozi durante il pomeriggio… wow! È così che ci si sente ad essere donne?”
Mandy si era data una scrollata alla chioma biondo platino, fresca di hair-stylist, e Lily le aveva sorriso raggiante.
“No, questa è solo una minima parte. Sono quelle cose che fai solo con le amiche, il resto dell’essere donne lo scopri con il ragazzo che ti piace.”
“Quindi siamo amiche?” le aveva chiesto sgranando gli occhi in un’espressione che la rendeva più simile a Brian di quanto non lo fossero decine d’altre. Lily non aveva mai visto il ragazzo con un’espressione così infantile stampata in viso, ma c’era qualcosa – nell’insieme – che li rendeva consanguinei, in qualche modo realmente fratelli.
“Certo, perché? Non dovrebbe essere così? Le amiche escono insieme, si raccontano i loro problemi, si tirano su il morale a vicenda e pranzano insieme nei locali più spaziali della storia,” le aveva risposto la ragazza strizzandole l’occhio.
“Allora posso chiederti un consiglio?”
“Si tratta di Baker?”
“Si, insomma… io vorrei andare alla festa di Natale che sta organizzando con i suoi amici, ma non mi vorranno mai! Sono tutti ragazzi, fanno un sacco di casino e vogliono solo delle tizie di quelle che si mettono le gonne cortissime e tacchi vertiginosi. Mio padre se mi vede uscire di casa conciata a quel modo mi attacca al muro, e anche mio fratello. Come posso conquistarlo?” aveva sospirato lei in attesa di una risposta che avrebbe risolto ogni suo problema da parte di Lily, intenta a guidare sulla via del ritorno verso casa di Brian.
“Secondo me dovresti essere solo te stessa.”
“Parli bene tu, con il fisico che ti ritrovi” aveva sbuffato la bionda, sconsolata.
“Senti ma non posso conoscerlo, questo fratello di Zacky?”
“Si può darsi… cioè, non lo so, vuoi imbucarti a qualche loro festa? Perché se ci sei tu io non ci metto piede, è una battaglia persa in partenza, tipo uno scontro tra titani. Tutti guarderebbero te soltanto, mi pare ovvio.”
“Perché non venite al pub, una sera?”
“È più problematico di quanto non sembri. Io non posso stare fuori sino a tardi, e poi lì c’è sempre mio fratello che ti fa la guardia… e quindi non potrei fare nulla senza che lui si metta a farmi fare figure imbarazzanti davanti ai miei amici e a lui!” aveva preso a dire lei gesticolando convulsamente con le mani, andando a sbattere con forza contro lo specchietto retrovisore, spostandolo totalmente rispetto alla visuale sulla quale l’aveva posizionato Lily.
“Oddio scusami! Si è rotto? Dio, dieci anni di sfiga proprio ora no, significa che resterò zitella a vita!”
“Sono sette gli anni – l’aveva corretta la ragazza scoppiando a ridere – e non credo possano essere considerati una vita intera.”
“Be’, li sono. Sette anni significano che Aaron può trovarsi decine d’altre fidanzate e lasciarmi qui ad Huntington Beach a marcire in solitudine.”
“Vorresti scappare con lui?”
“No, voglio sposarlo” le aveva risposto convinta.
“Non è un po’ presto per decidere una cosa del genere?”
“Tu non vorresti sposare mio fratello? Oh, ti suona il cellulare Lily…”
Amanda aveva dato un’occhiata al display che si illuminava a intermittenza, all’interno della borsa lasciata aperta ai suoi piedi, fissando con curiosità il nome che vi compariva sopra, distraendosi totalmente dalla conversazione con Lily.
“Credo sia Alex…”
“Puoi rispondere tu e metterla in viva voce?”
La piccola Haner aveva seguito le istruzioni di Lily, e pochi istanti dopo erano in comunicazione con l’inglese.
“Si può sapere dove sei? Sono ore che cerco di chiamarti e tu non mi stai minimamente prestando attenzione!”
“Com’è andato il pomeriggio?”
“Benissimo, avresti dovuto esserci anche tu… tutto okay in ospedale? Di solito riesci a trovare trenta secondi per assicurarmi che non sia tu ad avere bisogno di un medico. Fermo restando che con uno come Jake accanto farei in modo di averne bisogno anche io, e molto spesso.”
“Smettila di fare la scema con Mandy lì di fianco!”
“È una maga?” aveva chiesto la ragazzina con lo sguardo folle di chi ha appena scoperto la gallina dalle uova d’oro.
“No, conosce ogni mia singola abitudine. Ogni volta che sono in auto con qualcuno, faccio mettere il viva voce, è più forte di me. E poi così possiamo fare una chiamata multiutenza.”
“Si, dovresti organizzarti per fare le videoconferenze, Lily, lo sai?”
“Comunque, perché non hai risposto?”
“Emergenze in corsia, tra cui Zacky. Ma ti spiego tutto appena rientro a casa.”
“Tutto okay? Si cioè, si è fatto male? Brian non mi ha avvertita di nulla.”
“No, è solo un attacco di panico di quelli pazzeschi. Uno dei peggiori che abbia mai visto.”
“Lui? Un attacco di panico?” le aveva chiesto scettica l’amica.
“Lily, ti proibisco di farne parola con chiunque finché non ti spiego tutto con calma. E la stessa cosa vale per Amanda, capito?”
“Si si, abbiamo capito – e Lily aveva strizzato l’occhio alla ragazzina che, sorridente, si era già messa alla ricerca del proprio cellulare per avvertire suo fratello – ma spero non sia nulla di serio comunque.”
“Dipende dai punti di vista. Di certo è una di quelle cose che, nel bene o nel male, gli cambierà la vita.”
“E la band?”
“Dipende da Zacky. E adesso smettila di preoccuparti, okay? Volevo solo farti sapere che è tutto a posto, ho visto le mille chiamate e ho dedotto che stessi per chiamare il 911.”
“Be’, li magari mi avresti risposto.”
Erano scoppiate a ridere, poi Alex le aveva salutate e aveva riattaccato. A Lily la storia delle crisi di panico di Zacky non piaceva affatto: come avrebbe fatto in tour, o se fosse stato colto di sorpresa da un attacco durante un concerto? Sapeva che, ora che il primo video era stato girato, era solo questione di tempi per l’incisione dell’album e poi sarebbe partito il tour, e con lui anche Brian si sarebbe allontanato da Huntington Beach. Lei cos’avrebbe fatto? Non era come Val, non sarebbe mai riuscita a starsene con le mani in mano mentre il suo uomo girava il mondo, dunque l’avrebbe di certo seguito. I costi della notorietà erano alti, specie per l’amore: e lei non aveva affatto voglia di mettere in discussione costante la sua storia con Brian. Erano ancora in quella fase per cui andavano cauti ad ogni passo, timorosi di pestarsi i piedi e perdersi in un istante senza nemmeno accorgersene. Avevano spazzato via ogni barriera – ci avevano provato, almeno a livello diplomatico – ma le ferite erano ancora aperte, e i ricordi difficili da cancellare. Lily non dimenticava mai i torti subiti e se anche avesse perdonato a Brian ogni cosa, le difese che aveva preso verso Michelle erano state il peggiore dei tradimenti, l’unica cosa che non gli avrebbe mai perdonato. Per quel motivo l’avrebbe seguito in tour: per impedirgli che potesse fare l’unico errore a cui non sarebbero mai riusciti a riparare.

 

“Zacky dovresti fare il test di paternità e decidere se vuoi tenere Stella e prenderti cura di lei, o se darla in affido. Puoi farlo se vuoi.”
“Dovrei farlo?”
“È mio dovere informarti,” gli aveva risposto Alex seduta accanto a lui, con un'aria professionale che, anche annullando la distanza della scrivania tra loro, lo metteva a disagio.
“Dov’è ora?”
E cazzo, non guardarmi così.
“La stanno tenendo in osservazione alla Nursery. Le hanno dato da mangiare ed ora sta dormendo. Sta benissimo ed è una bambina bellissima. Essere padre non è facile, comporta un sacco di sacrifici e un cambio di rotta totale della tua vita. Non puoi portarla in tour, non puoi farle prendere l’aereo continuamente e farla vivere in un tourbus, non puoi farti gli affari tuoi e fregartene della sua istruzione ed educazione. Se hai un figlio diventa la tua priorità nella vita, il resto è secondario. Avenged Sevenfold compresi.”
“Posso pensarci?”
Devi. E devi parlarne anche con Gena. Ci sono gruppi di supporto, psicologi che aiutano ad affrontare questo genere di situazioni. Ti lascio il numero del consulente a cui ci affidiamo qui in ospedale se vuoi.”
“Si grazie. Ma stanotte cosa devo fare?”
“Svegliarti ogni tre, quattro ore per darle da mangiare e assicurarti che dorma tranquilla. Probabilmente dovrà ambientarsi. I bambini non dormono mai al momento giusto. Quando tu vorrai dormire, lei vorrà giocare o avrà fame o dovrai cambiarle il pannolino. Un figlio è un grandissimo onere e una grande responsabilità.”
“Ti è mai capitato di avere una storia come questa? Di un tizio che diventa padre all’improvviso, come me?”
Ad Alex, Zacky faceva tenerezza. Era spaesato e terrorizzato, era un uomo che si era visto sbattere in faccia una realtà totalmente nuova e un mondo al quale non era stato preparato. Ci sono cose nella vita che ti accadono di punto in bianco e tu non hai il tempo per riflettere sul da farsi. Devi agire, solo quello. Lei, di persone spaventate, nella sua vita ne aveva viste a centinaia: Lily era stata tra le prime, poi erano seguiti una serie di personaggi a volte bizzarri, altri spaccati dal dolore, altri solo troppo ansiosi per un braccio fratturato o una distorsione.
“No, mi è capitato più spesso vedere giovani ragazze dover rinunciare ai propri figli,” era stata la sua risposta sincera, forse troppo. Zacky le aveva puntato il proprio sguardo addosso, gli occhi sgranati di chi è appena stato preso a schiaffi in modo del tutto inaspettato e ingiusto. Touché.
“Scusami non volevo infierire.”
“Mi fido di te.In genere i medici finiscono con il dirti la verità senza fronzoli e se ne fregano di ciò che puoi provare. Tu non fai eccezione, però hai questa tendenza a far aprire gli occhi alla gente solo parlando, raccontando e rassicurando chi hai davanti. Lo fai sempre?”
“Se sei medico devi avere l’intenzione di salvare vite, non puoi pensare di fare quello che faccio io stando seduto dietro una scrivania fregandotene di ciò che accade in corsia. Ma ci sono un sacco di medici così, lo so benissimo, uomini e donne che trattano i propri pazienti come pezzi di carne. All'università pretendevano che non ci fosse contatto umano con i nostri pazienti, che fossimo il più distaccati possibile e questa è una cosa che ti costringono a fare per farti vivere con meno difficoltà il tuo lavoro. Ma non è una cosa che sono riuscita a mettere in pratica, anche se ogni tanto mi farebbe comodo. Vuoi che andiamo a vedere Stella?”
“Possiamo?”
“Puoi anche portarla a casa, se per questo. Ti ho fatto recuperare un po’ di cose dai magazzini dell’ospedale, per questa notte avrai tutto il necessario per prenderti cura di lei.”
“Ce la farò?”
“Ti spiegherò tutto io, tranquillo. E poi ci sarà Gena, le donne sono portate per questo genere di cose.”
“Tutte le madri sanno fare le mamme?” gli aveva chiesto lui scettico.
“No, o tu non avresti Stella qui in questo momento.”

“Cosa cazzo hai fatto ai capelli?”
“Non ti piacciono fratellone?”
“Sta benissimo, non trovi?” aveva rincarato la dose Lily, posandogli un bacio all'angolo della bocca, mettendolo in imbarazzo davanti ad Amanda.
“Mi passa a prendere papà?”
“No, devo portarti a casa io.”
“Oh, quindi significa che mi spedisci subito da lui per poter stare con Lily, vero?” era stata la risposta sconsolata della ragazzina. Perché sua sorella doveva essere così invadente? Perché Lily le stava dando troppa confidenza, ovvio. Michelle non era mai stata sfiorata dalla remota ipotesi di passare un intero pomeriggio con una teenager iperattiva, rompipalle e fastidiosa come una mosca. Lily, invece, sembrava persino felice. Quando suo padre gli aveva detto di prestare attenzione ai dettagli, probabilmente non si riferiva alla lingerie di pizzo della sua fidanzata ma, forse, a piccolezze a cui non avrebbe mai fatto caso se non associandole a Michelle. Brian non era tipo da fare paragoni o da poter decidere di ritornare dalla sua ex quasi-moglie – fedifraga, per di più, non dimenticarlo – e il fatto che queste associazioni mentali lo cogliessero sempre alla sprovvista, lo faceva sentire abbastanza uno stronzo.
“Perché non ceni con me e Brian, Amanda? Ti riportiamo a casa appena abbiamo finito.”
“Dici davvero che posso restare? Sicura che non disturbo o che magari mio fratello non decida di avvelenarmi per levarsi di torno la sottoscritta una volta per tutte?”
“Ordiniamo cinese?”
“Lily, sei tu ora che ci vuoi avvelenare tutti, per caso?”
“Burger King?” aveva proposto sua sorella sventolando le mani in aria convinta di essere già la vincitrice della contesa, saltellando sul posto come se dovesse scattare dalla postazioni di partenza di una corsa a ostacoli.
“Amanda ordini tu? Per me il solito,” era stata la resa di Brian davanti all'esuberanza di sua sorella e al sorriso divertito di Lily.
“Per me il solito di Brian,” aveva decretato quest'ultima avvicinandosi a lui pericolosamente.
“Vado a ordinare, poi posso giocare con la Playstation? Ovviamente prima aiuto Lily a preparare la tavola e...”
“Col cazzo che qui segui le buone maniere. Mangiamo nei cartoni, così come è giusto a casa mia.”
“Lo sai che si prendono un sacco di malattie assurde a fare come stai dicendo tu?” gli aveva risposto lei piccata, le mani puntellate sui fianchi e un'espressione di rimprovero dipinta in viso.
“Scusa, se mamma fa tanta fatica per educarmi, perché tu vuoi rovinare il suo lavoro?”
“Perché ci pensi già tu ogni volta che ne hai la possibilità, Amanda.”
Lei gli aveva mostrato la lingua, dileguandosi nella direzione della cucina. Il tempo di vederla scomparire oltre l’angolo del corridoio, e già lo sguardo di Brian si era focalizzato in quello di Lily, con aria severa.
“Non la stai viziando un po’ troppo? Non sei obbligata a fare nulla, né ad avere rapporti con la mia famiglia se non vuoi.”
“Tuo padre è un ottimo insegnante di chitarra, e poi Mandy era lì da lui e si stava annoiando un sacco. Ci siamo andate a fare un giro insieme dopo pranzo. Non per questo divento la sua migliore amica, no?”
A Lily Amanda piaceva perché era spensierata, era in quella fase della vita in cui tutto ti sembra dannatamente difficile eppure tutto ti conquista fagocitandoti con lo stesso entusiasmo che ha una giornata di fuga da scuola e, in un certo senso, le piaceva credere di poterle rendere la vita un po’ più leggera. I drammi dei teenagers lei li aveva vissuti in misura amplificata e trovarsi ad alleviare le pene d’amore e la voglia di essere già un’adulta della sorella di Brian, le facevano ricordare come – la vita – a lei aveva riservato tutto fuorché un’adolescenza normale. In un certo senso, però, non le era di peso, le serviva per ricordare il percorso che l’aveva portata sino lì, in California, dall’uomo dei suoi sogni, trascinandosi appresso la sua migliore amica. Avrebbe avuto la stessa determinazione, se la sua vita fosse stata costellata solo da naufragi amorosi e litigate tra amiche? No, ne era convinta.
“No, ma la sua confidente. La fai sentire… grande, ed è solo una ragazzina.”
“Guarda che a quattordici anni nessuno ti vieta di fare casino o innamorarti, lo sai? Amanda crescerà e tu nemmeno te ne renderai conto. Non fare il fratello scorbutico e geloso, Brian, ti riesce da schifo come ruolo. Anche se sei davvero tenero, lo sai?”
Si era sollevata in punta di piedi, posandogli un bacio sulle labbra e cingendogli il collo in un abbraccio accogliente e morbido. Lily gli dava sempre l’idea di essere delicata, leggera, assolutamente perfetta aderente al proprio corpo, come se fosse stata creata per stargli accanto sin dal primo momento. Era un gioco di incastri o di prospettive forse, ma a Brian spiazzava sempre il modo in cui si accorgeva di quanto perfetta fosse Lily, e dannatamente docile quando gli si accoccolava accanto. O addosso.
“Zacky non si è sentito bene, è andato in ospedale da Alex,” aveva sparato con noncuranza la ragazza, nel tentativo di scoprire cosa ci fosse in realtà sotto il presunto malessere del chitarrista, considerando che aveva trovato le risposte di Alex davvero molto poco credibili. Anche senza averla davanti, dunque, aveva capito che le aveva raccontato un sacco di bugie, ma perché mentirle? Lei aveva il sentore che, da Halloween, qualcosa tra i due fosse cambiato. Non credeva fosse amore, o chissà che, ma era come se avessero paura di sfiorarsi o stare nella stessa stanza da soli: sembravano sempre due anime in pena, due energie contrapposte che avrebbero rischiato far esplodere il pianeta se fossero entrate in collisione tra loro. Il problema, comunque, era Gena, e doveva trovare il modo di liberarsi di lei molto in fretta. Non avrebbe di certo messo da parte la propria determinazione ora che il tarlo del sospetto aveva preso a divorarla e far lavorare le sue cellule cerebrali in modo molto poco ortodosso, dritte in un viaggio mentale tipico della sua fervida immaginazione.
“Ah si? Ma ti ha detto cos’ha avuto? Tipo, una sbronza da restarci secco? Zacky regge bene qualsiasi cosa e poi non credo sia riuscito ad arrivare a tanto in un solo pomeriggio.”
E nemmeno nella peggiore delle ipotesi avrebbe pensato che l’avesse fatto per Jimmy, o per qualche ricordo che gli si era insidiato in testa fottendolo. Zacky, al massimo, avrebbe iniziato a prendere a pugni ogni cosa: le sbronze per dimenticare erano una prerogativa sua, invece.
“A me sembrava che Alex mi stesse raccontando una bugia.”
“E che motivo avrebbe avuto per farlo?”
“Non lo so… un appuntamento con Zacky?”
“Con Gena anche?”
Brian le rovinava sempre ogni illusione, smontando tassello dopo tassello le sue teorie da complottista.

SMS: To  Lily From Alex H 10:15 PM
Passo la notte da Zacky, la situazione è piuttosto problematica, per cui preferisco fermarmi qui.
SMS: To  Alex From Lily H 11:27 PM
Sicura che sia tutto okay? Dobbiamo venire lì anche io e Brian?
SMS: To  Lily From Alex H 11:29 PM
No, è tutto sottocontrollo tranquilla. Se resti da Brian ricordati che domani mattina vengono i tizi dei serramenti nuovi, per cui devi farti trovare a casa presto. Dormi al calduccio eh!
SMS: To Alex From Lily H 11:35 PM
Secondo me anche tu dormirai sonni sereni, o sbaglio?
SMS: To Lily From Alex H 11:38 PM
Temo che passerò la notte in bianco, invece.

 

A quel punto Lily aveva emesso un grido, allungando il cellulare in direzione di Brian facendogli segno di leggere tutti i messaggi dell’amica.
“Visto? Te l’ho detto che c’è qualcosa di strano! Alex non resterebbe mai e poi mai sola, per una notte, a casa di Zacky!”
“Io mi preoccuperei più del fatto che tutto ciò avvenga con Gena nelle vicinanze. Ma sei sicura che, semplicemente, Zacky non stia male davvero?”
Brian, nei messaggi di Alex, in effetti aveva letto preoccupazione più che non una labile copertura di una tresca nata malissimo, a suo avviso, ma Lily – dal canto proprio – aveva la certezza di conoscere l’amica meglio di sé stessa ed era convinta che, in qualche modo, il ragazzo fosse riuscito a far capitolare l’inglese, fosse solo rapendola. Non ci voleva di certo una come lei per comprendere che a Zacky Alex interessava almeno un po’, e la ragazza si divertiva un mondo a pungolarlo con trappole talmente stupide che nemmeno un adolescente innamorato sarebbe stato così fesso da farsi fregare per più di due volte consecutive. Zacky era ingenuo, e il suo sbuffare e fingere noncuranza rispondendo con domande mirate che nulla avevano di lasciato al caso alle illazioni di Lily, le avevano fatto supporre che ci fosse qualcosa di più che il mero desiderio da parte del chitarrista. La cosa peggiore, in realtà, era la sua cieca convinzione che quei due mondi – distanti anni luce – potessero in qualche modo prendere a orbitare l’uno vicino all’altra, cancellando distanze all’apparenza insormontabili, riuscendo persino a entrare in collisione senza annientare l’uno lo spazio vitale dell’altro. Lily, insomma, nelle giornate trascorse in compagnia di Zacky dopo Halloween, aveva iniziato a farsi normalissimi e scontati viaggi mentali su un’ipotetica storia d’amore che non le apparteneva ma che, di fatto, l’avrebbe resa felice persino più della propria.
“Secondo me a Zacky piace Alex,” aveva esordito lei dopo una pausa durata diversi  minuti nella quale Brian aveva persino creduto che si fosse addormentata. Mai abbassare la guardia, Brian. Non con Lily.
“Scusa? Lily non stai esagerando con questa storia?”
“Che male ci sarebbe se scoprissero di essere innamorati e fatti per stare insieme?”
“Io Alex ce la vedo molto di più a fare da segretaria o da madre a Zacky, che non la fidanzata.”
Probabilmente l’avrebbero tutti quanti digerita molto più di Gena, e su quello poteva dirsi certo. Se non altro avrebbero avuto la decenza di prendersi a male parole lontano da loro, considerando come Alex avesse la dote innata di ingoiare rospi e lavarsi poi di dosso i problemi lontano da occhi indiscreti. Compresi i loro. Alex sapeva tenere testa a Zacky in un modo tutto suo, ma ci riusciva. Era quello che li aveva sorpresi un po’ tutti quanti, quel suo modo di parlare in tono distaccato e pacato senza alzare la voce quando si arrabbiava. E Brian era certo che nemmeno l’avessero mai vista, davvero incazzata.
“Non ti mettere in testa strane idee,” aveva aggiunto, come se le stesse leggendo nel pensiero.
“Mi rovini sempre il divertimento. Insomma, da che parte stai? Vuoi davvero che Zacky resti a vita con Gena?”
“Se è felice perché devo frantumargli le palle mettendogli in testa cose assurde a cui magari nemmeno pensa? Alex è lontano anni luce dalla California.”
E da noi.
“Si sta abituando. Dopotutto sono anni che ha  a che fare con me,” e con quelle parole Lily gli aveva cinto la vita, baciandogli il petto prima di posarvi il viso, inspirando ed espirando al suo stesso ritmo. Le piaceva dormire con Brian, le dava quella strana sensazione di pace che il resto del mondo non sapeva concederle, come se ci fosse anche per lei un pezzetto di felicità ad attenderla. Non era facile essere Lilian Morgan Santini, però era sempre più convinta che fuggire in California fosse stata la scelta giusta per farsi accettare dal mondo e, in un certo senso, accettarsi. Non l’avrebbe mai ammesso nemmeno al proprio riflesso, ma forse il problema era anche lei: imbrigliata nelle convenzioni, impossibilitata a essere davvero sé stessa, bloccata sempre da ciò che era giusto e da ciò che tutti avrebbero pensato di lei, aveva finito con il legarsi mani e piedi e imbavagliarsi da sola per evitare problemi. Per evitare drammi. Per evitare di essere una cattiva figlia e una pessima amica. Huntington Beach le aveva fatto capire che quando voleva qualcosa poteva ottenerlo; che poteva osare oltre ogni limite perché lì tutto era possibile e nessuno le avrebbe mai detto nulla per un’auto troppo sportiva o gli shorts troppo corti. Aveva conquistato Brian, il suo idolo di sempre dopotutto. Se Alex si fosse invece innamorata di Zacky, be’, avrebbe avuto la certezza matematica che l’America era davvero il luogo ove tutto l’impossibile diventa realtà, e dove quest’ultima supera di gran lunga l’immaginazione.

“Ho bisogno di te.”
Alex teneva con una mano la cesta dove Stella si dimenava come un’ossessa, nell’altra la ventiquattr’ore con le cartelle cliniche dei pazienti che non aveva finito di controllare in ospedale e a tracolla una borsa contenente biberon, ciuccio, qualche giocattolo e una buona scorta di pannolini e latte liofilizzato.
“Bella forza, Baker. Cos’è, sono diventata la tua schiava per qualche motivo a me sconosciuto? Tipo che Lily ti ha venduto la mia dignità e io non ne sono a conoscenza?”
Indaffarata a sorreggere il prezioso carico, non aveva fatto troppo caso alle luci spente all’interno dell’abitazione o al fatto che Zacky si fosse arrestato bruscamente sulla soglia rischiando di farla cadere, convinta com’era di poter entrare e posare a terra tutto ciò che non era la cesta e i suoi sei chili abbondanti di essere umano.
Il ragazzo era avanzato di qualche passo nell’atrio andando a colpo sicuro in salotto, accedendo le luci per dare ad Alex l’opportunità di non ammazzarsi insieme a Stella nel buio di una casa che non conosceva. L’inglese l’aveva seguito sbattendo con le borse contro i mobili dai colori bizzarri dell’ingresso sino ad arrivare nell’ampio salone di casa Baker: a quel punto era impossibile non accorgersi del cambiamento che era avvenuto nelle ultime settimane e, a giudicare dal volto tirato di Zacky, probabilmente nelle ultime ore. Non c’era traccia delle fotografie dei viaggi fatti da lui e Gen né di quelle cianfrusaglie pacchiane e glitterate che malamente si accompagnavano con il macabro gusto con cui Zacky aveva gestito la propria parte di arredo. Di Gena, non c’era traccia. Ad Alex ricordava l’abitazione di Matt quando Val se n’era andata e non era rimasto altro che un involucro vuoto di una casa a metà, di un qualcosa che era stato smantellato dai propri ricordi pezzo dopo pezzo, lasciandovi solo la parte più dolorosa all’interno: quella dei rimpianti.
“Credo di avere bisogno di te sul serio ora,” aveva rincarato stornando lo sguardo verso di lei, posandolo poi su Stella.
“Gena non…”
“Se n’è andata, cazzo. Mi ha mollato qui come un coglione quando avevo bisogno di lei, ecco cos’è accaduto. Bella fregatura lo stare insieme.”
“Perché non provi a chiamarla?”
“Pensiamo a Stella, dovremmo metterla a dormire da qualche parte, no?”
Alex aveva lanciato un’occhiata alla bambina, tornando a fissare poi il ragazzo che, a passo spedito, si stava dirigendo al piano superiore senza aspettarla, a capo chino.
“Ehi…”
“Che c’è?” aveva sbottato lui, brusco, pentendosi nel medesimo istante del tono di voce che aveva utilizzato. Non ce l’aveva con Alex, ovviamente, era solo tutto troppo assurdo. Aveva scoperto di essere padre e avere una figlia; Gena l’aveva mollato e aveva fatto così pena ad Alex da chiederle di restare da lui in modo del tutto implicito, senza porsi il problema di un potenziale rifiuto. Patetico.
“Ti preparo un bicchiere di latte caldo. Tra poco Stella deve mangiare, ne approfitto per prepararlo anche per te.”
Come se non l’avesse nemmeno udito, ingoiando un milione di parole scomode che chiunque gli avrebbe invece rivolto, Alex aveva tirato dritto sulla strada di ciò che era giusto fare, e non perché era medico, ma perché Zacky era un essere umano e chiunque, nella sua situazione, si sarebbe sentito in diritto di sfanculare il mondo. E a ragione, anche.
“Come fai a sopportarmi in questo momento?”
“Lo faccio per Stella, non per te.”
Gli aveva strizzato l’occhio, prendendo in braccio la bambina porgendogliela.
“Dovrai pur imparare a tenerla, o pensi ci sia sempre qualcuno a farti da passeggino? Coraggio, sali…”
“Ma proprio sulle scale? E se mi cade?”
“Dio come sei imbranato! Ma tu non eri quel californiano per cui milioni di donne in tutto il mondo farebbero follie? Hai paura di una bambina? Dai muoviti, o non farai progressi per i prossimi vent’anni. E a quel punto lei non avrà più bisogno di te.”
“Quanta simpatia stasera… tu godi della sfiga che mi perseguita, per caso? Sei persino più rilassata del solito, in altre circostanze mi staresti a debita distanza, lo sai?” le aveva chiesto lui, divertito.
“Sai Baker, a volte mi chiedo come tu faccia a contemplare una marea di cazzate che supera di gran lunga ogni previsione possibile. Non mangi e poi, in caso, io sono più veloce a mordere di te.”

Nel giro di due ore, era convinto di aver fatto passi da gigante. Alex gli aveva spiegato cosa poteva mangiare Stella e l’indomani l’avrebbe accompagnato al supermercato per aiutarlo nella spesa, nonché sarebbero andati a comprare vestiti e tutto l’occorrente per darle una degna esistenza alla Vengeance. Era fuori discussione, dunque, che Stella finisse in qualche casa d’accoglienza od orfanotrofio. Il pensiero non l’aveva sfiorato nemmeno per un istante e questo aveva stupito l’inglese, che aveva accolto l’entusiasmo di Zacky con pazienza e una buona dose di sorrisi e incoraggiamenti. Lui, d’altro canto, si era rivelato un ottimo allievo. Oltre a essere riuscito a far scaldare il latte senza far esplodere il bollitore, era riuscito anche a cambiare per ben due volte il pannolino a Stella prima che si addormentasse tra le braccia di Alex. La prima, a essere sinceri, era stata un trauma: Zacky si sentiva in imbarazzo a dover avere a che fare con una femmina, così Alex l’aveva costretto a fare i conti con Stella a tu per tu, nel suo primo, vero dialogo con sua figlia. C’erano voluti venti minuti abbondanti, ma alla fine era riuscito a prepararla per metterla a dormire.
“Non è così difficile, vero?”
“No, sinceramente pensavo peggio.”
Zacky si era seduto accanto a lei, sul divano, stappandosi una bottiglia di birra, mentre Stella dormiva nella sua cesta accanto a loro.
“Dovremmo metterla a letto. Te la senti di dormire con lei? Non ruzzolerà giù dal letto, il problema sei tu… se ti dimeni nel sonno potresti schiacciarla.”
Zacky si era quasi soffocato con la birra e lei l’aveva guardato sorpresa prima di scoppiare a ridere, divertita.
“Scherzavo, Zacky.”
“Non è che… si insomma, puoi dormirci tu con lei? Mi sentirei più tranquillo. Sai quelle cose, tipo che i bambini si soffocano nel sonno…”
“Tu rischi di soffocarti da sveglio, figurati… perché ti vuoi privare di questa cosa, Zacky? È tua figlia, è meravigliosa e tu vuoi farla dormire con me? Andiamo, non essere stupido. Non accadrà nulla di pericoloso, e poi io sono qui.”
“C’è la camera degli ospiti, non ti lascio dormire sul divano.”
“Devo sbrigare le cose che ho lasciato in sospeso dal lavoro e portarle domani mattina a Jake, dato che mi sostituirà lui. Ne approfitto per dargli due indicazioni su alcune cose che non gli ho ancora spiegato.”
“È davvero così magnanimo come sembra?” gli aveva chiesto lui sorseggiando di nuovo la propria birra, assaporandone il sapore amaro scaldargli la gola arida.
“Assolutamente no. Sappi che la tua giornata di shopping compulsivo da neo papà esaltato, mi costerà una cena con Jacob. Soprattutto per il fatto che sarò costretta a pagare io,” aveva scoccato lei, seria.
“Andiamo a dormire?”
Gli aveva indicato di caricarsi in braccio Stella e portarla in camera, seguendoli per spegnere le luci del piano terra. Si era assicurata che Zacky sistemasse la piccola nella posizione corretta, poi aveva lasciato che si sdraiasse al proprio posto. Non era solo, qualcuno a condividere quel letto c’era ancora, nonostante Gena se ne fosse andata.
“Alex?”
“Si?”
“Credi che sarò un buon padre?”
“Il migliore del mondo.”
“Grazie.”
“Buonanotte Zacky.”
L’aveva guardato distendersi accanto a Stella trattenendo il respiro nel timore di svegliarla. Era certa che avrebbe passato la notte in bianco e lei sarebbe stata sveglia nella stanza accanto, pronta a placare ogni sua paranoia sul nascere. Si era sempre dimostrato un pirla, di fatto Zacky aveva un cuore grande che l’aveva colta alla sprovvista. Non aveva mai creduto che fosse cattivo, solo scemo come tutti gli altri invece, senza battere ciglio, quello svitato nemmeno si era posto il problema di disfarsi della bambina e proseguire la sua vita. Era certa che non si rendesse conto del prezzo di libertà a cui avrebbe dovuto rinunciare per quella bambina, ma era anche convinta che non sarebbe mai tornato sui propri passi, una volta presa la decisione finale. In maniera scontata, lei conosceva già la risposta.

SMS: To Lily, Brian, Johnny, Lacey, Val, Matt From Zacky H 05:38 AM
Domani sera alle cinque ci troviamo tutti a casa di Lacey e Johnny. Riunione straordinaria, nessuno deve mancare.

Zacky si era rigirato il cellulare tra le mani, osservando Stella dormire accanto ad Alex. Non aveva chiuso occhio sino a quando aveva notato che la luce nella stanza degli ospiti continuava a restare accesa, dopodiché si era deciso ad andare a verificare che Alex non si fosse addormentata, trovandola intenta a scrivere velocemente alcuni appunti a lato di cartelle cliniche che a lui parevano tutte uguali. Alla fine Stella si era svegliata, Alex le aveva preparato da mangiare e poi aveva cercato di farla riaddormentare, considerando quanto Zacky si trovasse nel panico più completo nel sentire le grida di ribellione di Stella.
“Senti, quanti figli hai avuto tu?”
“Miliardi… che cazzo di domande fai?”
Ogni tanto dimenticava che Alex era un medico e si stava persino convincendo che era stata la divina provvidenza a lasciargliela lì, ad Huntington Beach. Era quasi l’alba, e sia Alex che Stella erano crollate addormentate, dopo una battaglia durata ore. Protetta tra il corpo della ragazza e il suo braccio, Stella dormiva supina con il pollice in bocca, un rivolo di bava a scivolarle fuori dalle labbra socchiuse. Erano tutti così i bambini? Stella sembrava sapere un sacco di cose, dopo appena dodici ore di convivenza. Alex era diventata una cosa rassicurante, lui la cosa che la trattava in modo un po’ meccanico e goffo. Zacky aveva provato per quasi un’ora a farla addormentare, poi ci aveva rinunciato. Ad Alex i tentativi non erano andati meglio, sino a quando non aveva tentato di distendersi accanto a lei accarezzandole delicatamente la nuca, sorridendole. A Zacky, nel vederle lì, insieme, pareva di essere quello sbagliato e fuori posto: era un bozzolo di pace e serenità tutto femminile, un contesto di amore incondizionato tra due soggetti che non avevano nulla in comune che, però, insieme sembravano perfetti. Era stato in quel momento che aveva capito di sentirsi sereno, privo di ogni tensione nervosa come se tutta la merda fosse scivolata via all’improvviso dopo una doccia gelida, per la prima volta in pace con il mondo da quando Jimmy se n’era andato. Immerso nel silenzio di una notte che sfumava nell’alba, aveva compreso che Stella aveva bisogno di lui per sopravvivere e diventare grande e che anche lui, nonostante avesse quasi trent’anni più di lei, aveva bisogno di Stella per diventare davvero adulto.
È difficile capirti, Alex, sei un autentico casino, ma in questo momento quello di cui ho bisogno è qualcuno che mi stia accanto e mi dica che sto facendo la cosa giusta, solo questo.
Tu resti, vero?

Alex aveva lasciato Zacky e Stella alle prese con gli ultimi acquisti, dopo una mattinata passata a placare il ragazzo ed essere scambiata per la bella madre dell’adorabile bambina. Al decimo negozio, l’ottava strisciata di Master Card e il quarto pannolino cambiato, il buon senso di Alex aveva chiesto l’armistizio.
Perché lo fai?
Per un amico. E perché sono assolutamente stupida, questo lo so benissimo.
“Sicura di prendere l’autobus? Posso accompagnarti in ospedale senza problemi. Ora che Stella ha il suo seggiolino non abbiamo più paura di nulla, vero?”
Lei lo fissava con gli occhi sgranati, nemmeno sapesse quanto suo padre fosse un autentico pericolo in auto, scuotendo in aria un pupazzo a forma di coniglio che le aveva comprato Alex.
“Lo sai che non puoi superare le sessanta miglia orarie, con lei a bordo?”
“Scusa?”
“Non vorrai ucciderla così piccola! Comunque ci vediamo da Johnny e Lacey. Sei deciso allora?”
“Assolutamente si.”
Sei anche abbastanza coglione, di questo ne sono certa. E a me tocca lavare i tuoi panni sporchi: assurdo.
Alex aveva lasciato padre e figlia alle prese con il loro modo – strambo e impacciato – di scoprirsi, prendendo un taxi e facendosi accompagnare allo Starbucks vicino all’ospedale, dove aveva dato appuntamento a Gena. O meglio, aveva chiesto a Val di darle appuntamento fingendo di essere lei a doversi presentare, in modo da non offrire alla bionda qualche scusa per disertare. Quando l’aveva vista arrivare l’aveva squadrata in malo modo, memorizzando le occhiaie che le cerchiavano gli occhi, i capelli arruffati e i jeans sui quali aveva indossato un maglione oversize rubato dal guardaroba di Zacky.
“Val adesso entra in combutta con voi?”
“Una tregua me la concedi almeno per oggi?”
“Cosa vuoi? Se è per Zacky puoi anche tenertelo.”
“È per Zacky ma non è quello che pensi.”
“Dalla tua faccia non si direbbe, lo sai?”
Alex aveva incassato il colpo, ordinando un caffè americano alla cameriera. Gena non era una persona con cui andare per il sottile o con la quale la diplomazia avrebbe funzionato, eppure aveva deciso di mettere da parte tutto ciò che Lily le aveva insegnato, mettendo a tacere la voce della sua coscienza che le intimava di farsi i fatti suoi vivendo decisamente meglio. Peccato che avesse smesso di possedere il senso della privacy nell’esatto istante in cui casa sua era invasa 24 ore su 24 da intrusi.
“Ho passato la notte a casa vostra per controllare la bambina. Credevo ci fossi tu, invece quando siamo rientrati non…”
“Non sono disposta a crescere i bastardi di Zacky. Sai cosa fa male? Avere davanti il frutto del suo tradimento ogni giorno di tutta la mia vita. Non riuscirei a sopportarlo.”
“È un bambino, non ha colpe. Davvero chiederesti a Zacky di portarla in orfanotrofio o di darla in affidamento?”
“Non sceglierebbe me, comunque. E poi non tutti sono così magnanimi da poter amare un figlio non proprio. Io non saprei farlo e Zacky l’adora già.”
“Si, stravede per lei. È imbranato, ma se la sta cavando. Perché non vuoi aiutarlo Gena? Ha bisogno di qualcuno che gli stia accanto. So che è difficile, ma potreste andare da degli psicologi che potranno darvi tutto l’aiuto necessario per…”
“Ha i ragazzi, ha te e Lily anche. Ha un sacco di gente attorno che può aiutarlo. Io non farò la differenza. Gli ho chiesto decine di volte un figlio e non ha mai voluto sentire ragioni. Diceva che veniva prima la band, che aveva un sacco di progetti e un figlio a nemmeno trent’anni era prematuro. E guardalo ora… forse avrei dovuto cercarlo da sola, un bambino, e metterlo davanti al fatto compiuto.”
“Non sei così meschina.”
“Così l’ho perso per sempre.”
Gena era scoppiata a piangere e ad Alex erano morte le parole in gola. Cosa poteva dirle? Che le dispiaceva? Che c’era ancora la possibilità di recuperare il loro rapporto? Non erano amiche, non erano niente se non due sconosciute. Si era presa la libertà di supplicarla di tornare da Zacky e sentire almeno la sua versione dei fatti, ma Gena aveva già deciso tutto quanto e da sola. Così come lui aveva deciso in perfetta autonomia di tenere Stella.
“Non gli hai detto che mi avresti incontrata, vero?”
“No, non l’ho fatto. Speravo di poterti far cambiare idea. Si, insomma, che gli avresti dato una possibilità. Un figlio cambia un sacco di cose, ma cambia anche le persone. Ho visto coppie in crisi tornare ad amarsi dopo aver avuto un figlio. Non è tua, è vero, ma è così piccola che è come se la fosse. Ti sto parlando da medico, comunque, non da amica” aveva precisato l’inglese lasciando sul tavolo una banconota da cinque dollari.
“Torni da Zacky?”
“Vado da Johnny e Lacey. A quanto pare vuole dare la notizia ai ragazzi. Vuoi venire anche tu?”
“No, io mi sono tirata fuori dai giochi ieri sera. Tu cosa faresti al mio posto?”
La ragazza si era morsa il labbro inferiore, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, lo sguardo perso ad osservare le sfumature di colore che assumevano le unghie di Gena sotto la luce dei neon.
“Se fossi innamorata di Zacky gli starei accanto e lo aiuterei, rispettando le sue scelte. Non sarà facile stravolgere la sua vita in funzione di una bambina. Ha bisogno di qualcuno che lo supporti.”
“Io non sono adatta nel ruolo. E poi so che c’è chi ci sta già pensando, o sbaglio?”
“Sono solo un medico, è normale farlo per me.”
Non si sarebbe lasciata trascinare in una spirale di colpi bassi e stoccate e frecciatine. Gena, però, non le sembrava pronta a ferire, quanto piuttosto rassegnata a perdere un match dal risultato già deciso in partenza.
Non basta un bambino per fregarti il buon senso e mettere in gioco ogni tua certezza, e quello era un dato di fatto.

“Mi spiegate perché Zacky deve decidere di fare riunioni a casa altrui? Cazzo ha anche lui una casa ed è sicuramente più comoda da raggiungere che non la mia!” stava brontolando il bassista, mentre Lacey offriva ai ragazzi e a Lily qualche tartina preparata per ingannare l’attesa del ritardatario.
“Alex mi ha avvertita che arriveranno con dieci minuti di ritardo, è passato a prenderla in ospedale e sono bloccati nel traffico. Dovrebbero essere qui a minuti.”
“Secondo voi che ci deve dire? Si, insomma, l’ultima volta ha avuto l’idea del video a Las Vegas ed è successo un mezzo casino…”
“Quello stronzo! Ha voluto farvi venire tutti qui perché così non distruggeremo casa sua! Lacey, andiamo fuori sotto al portico, almeno salviamo gli interni.”
Lily e Val erano scoppiate a ridere, mentre Lacey aveva dato un’occhiata all’esterno, attirata dal rumore di un’auto che inchiodava a pochi metri dal portico, appunto.
“Se un portico lo avremo ancora, Johnny… Zacky ci ha quasi parcheggiato dentro.”
“E Alex è ancora viva?” aveva chiesto Matt divertito mentre Lacey si era diretta alla porta di casa per aprire agli ultimi arrivati.
A varcare la soglia per primo era stato Zacky, solito sorriso e l’aria stanca, ma tutti avevano focalizzato l’attenzione prima sulla cesta che teneva stretta in mano, fiaccamente lasciata a penzoloni al suo fianco poi, risalendo alle sue spalle, si erano arrestati a fissare il bozzolo rosa che si dimenava tra le braccia di Alex.
“Cosa… Zacky?” aveva chiesto Matt incerto.
“Alex?” era stata la naturale domanda di Lily, un sorriso a trentadue denti stampato in volto e già il peso del corpo spostato in avanti, pronta a scattare addosso all’amica per sapere i dettagli di quell’adorabile e fantastica novità.
“Ma vaffanculo Zacky! Io ti dico che mi sposo a maggio e tu, da grande egocentrico del cazzo quale sei, sforni un figlio in ventiquattr’ore? Dio quanto mi stai sul cazzo…” aveva preso a farneticare Johnny per stemperare la situazione che, già di per sé, risultava abbastanza paradossale.
“Ti sei messo a rapire bambini, Zee?” aveva chiesto Brian, sperando che la sua versione fosse anche quella corretta e, di conseguenza, il male minore.
“È Stella, mia figlia.”
Alex era scoppiata a ridere, superando il ragazzo e portandosi accanto a Lily: frase ad effetto alla Vengeance, si era detta l’inglese.
“Lo so che la vuoi tenere in braccio, è tutta tua. È da quando siamo partiti che si dimena come una pazza, te la lascio volentieri. È davvero figlia di quel pazzo di Zacky, comunque.”
“Tu… sei rimasta da lui per questo?”
Ad Alex non era sfuggita la punta di delusione nella voce dell’amica, ma le aveva sorriso serena tendendole la bambina.
“Che ti aspettavi? Avanti, prendila.”
“Io non…”
Brian aveva notato lo sguardo carico di tensione che la  ragazza aveva rivolto all'amica, quasi avesse più paura di Zacky nel tenere Stella per un po'.
“Senti, di imbranati qui c’è già Zacky, tu adori i bambini… prendila, coraggio.”
“Vai Lily, tanto dovrai iniziare a fare le prove in vista dei marmocchi tuoi e di Brian, no?”
“Magari, cara la mia testa di cazzo, sarebbe il caso che ci raccontassi com’è che sei diventato padre di questo mostro, no?”
La voce di Brian era poco più che un sussurro, e il problema era – tecnicamente – uguale per tutti i presenti di sesso maschile nella stanza. Se le ragazze infatti si erano lasciate conquistare da Stella che allungava le mani nel tentativo di arraffare qualsiasi cosa le capitasse a tiro dalla sua posizione altissima a causa dei tacchi vertiginosi di Lily, ai ragazzi iniziava a mancare l’aria. Era quel mettersi dinnanzi alle scelte importanti, a quelle cose che si fanno quando si diventa adulti, al dismettere i panni di quattro coglioni e fare i conti con la vita e le sue priorità. Gli Avenged Sevenfold erano stati il sogno di cinque amici legati come fratelli ora, che erano rimasti in quattro e avevano una neonata a cui badare, aveva davvero senso finire l’incisione dell’album, partire per un tour mondiale e lasciarsi di nuovo alle spalle tutto quanto?

“Non credevo che Zacky decidesse di tenere Stella. Hai visto com’è carina?”
“Sbava, caga troppo e mangia e piange come una psicopatica. È di certo figlia di Zacky, di questo ne abbiamo avuto la dimostrazione,” era stata la risposta sconfitta di Brian. Durante il viaggio di ritorno al bungalow, Brian era stato certo che Lily avrebbe ripreso l’argomento, così come sarebbe toccato anche a Johnny. Ma se quel nano maledetto sarebbe stato persino felice di diventare padre, lui non era del medesimo avviso. Zacky li aveva fatti sentire tutti abbastanza immaturi e stupidi, a essere sinceri, e a Brian la cosa aveva messo addosso una buona dose di scazzo. Zacky era migliore di lui solo perché aveva deciso di tenere la figlia di una sconosciuta con cui era andato a letto per puro divertimento a New York? Al di là della sfiga intrinseca nella probabilità di mettere incinta al primo colpo una donna, restava comunque il fatto che Zacky non avesse la minima intenzione di separarsi dalla bambina. Il problema era la band. Erano arrivati alla conclusione che potevano incidere l’album e non fare nessun tour, a detta di Matt.
“La gente non ti vuole più se non ti fai vedere sul palco” gli aveva risposto Brian secco.
“Be’, prima o poi i Sevenfold smetteranno di suonare no? Preferirei avere la musica della mia band preferita dalla sala d’incisione piuttosto che non averla affatto.”
Matt aveva ragione, solo che a Brian urtava prendere di petto la realtà e vedere come l’amico aveva scelto di crescere senza di loro. E di lui. Jimmy aveva deciso di non crescere affatto, Zacky – dall’oggi al domani – aveva deciso invece di farlo, costringendo tutti quanti a seguirlo.
“Hai una visione deviata della realtà. Zacky si sta adattando benissimo, stando a quello che dice Alex” stava continuando Lily, intenta a mandare messaggi all’amica con aria distratta.
“Perché lo fa? Nessuno la obbliga.”
“Ha parlato con Gena, ma non l’ha detto a Zacky. Ha provato a convincerla a tornare da lui e le ha detto di no.”
“Non puoi biasimarla, un figlio lo devono volere entrambi o diventa un’imposizione che ti porta a scappare prima o poi.”
“Io sono la figlia non voluta, so come ci si sente. È meglio così per Stella. Alex dice che Gena sarebbe un’ottima madre, comunque.”
“Rassicurante.”
Lily, con una semplice frase, aveva spiazzato Brian. Lo metteva sempre in difficoltà riconoscere il passato della sua ragazza come una sorta di guerra continua alla disperata ricerca della sopravvivenza. Dimenticava troppo spesso che non aveva avuto un’adolescenza facile né un’infanzia felice eppure, quando la guardava ridere, o scherzare con Zacky, o parlare fitto con Alex, si chiedeva dove avesse cacciato tutto quel dolore. Credeva che fosse riuscita a nasconderlo molto a fondo, dove nessuno l’avrebbe trovato mai, e spesso era caduto nel desiderio di chiederle di svelare anche a lui il segreto per dimostrarsi vincente al mondo mascherando alla perfezione il tuo doloroso passato. Perché a volte il ricordo di Jimmy, il suono della sua voce e della sua batteria, superavano ogni cosa, serrandogli lo stomaco sino a rendergli impossibile il respiro.
Puoi respirare sott’acqua?
Quando il ricordo di Jimmy diventava violento, Brian si sentiva proprio in quello stato: in totale apnea, dove solo l’eco della memoria e dei rimpianti riuscivano a raggiungerlo.
“Dormiamo?”
Brian si era lasciato baciare da Lily, cingendole la vita e posandole il viso nell’incavo tra spalla e guancia, lasciandole un bacio delicato sul collo.
“Sei stanca stasera?”
“Si, fare la baby sitter non è il mio forte. Ma Zacky ha detto che mi lascerà Stella, a condizione che non metta i tacchi. Ha paura che possa cadere con lei in braccio. Secondo me sarà di una noia mortale come padre. Uno di quei tizi ansiosi sino al limite del soffocante.”
Brian si era aspettato che Lily iniziasse a parlare dei loro ipotetici figli, dei nomi che le sarebbe piaciuto utilizzare e le mille cose che sognava avrebbero fatto una volta adulti, invece si era limitata alle constatazioni sulla situazione di Zacky, senza andare oltre con la fantasia.
Michelle l’avrebbe fatto.
Fottiti Brian, cazzo, basta con questa storia.
Si era sentito meschino per quel paragone del tutto gratuito, ma ciò che l’aveva lasciato perplesso era la totale mancanza, da parte di Lily, di farsi trascinare nel vortice dei suoi sogni ad occhi aperti e delle sue congetture mentali. Quello di cui non si rendeva conto, Brian, era che Lily aveva una paura fottuta di fare del male agli altri. Avere dei figli era il suo terrore – e il suo desiderio – più grande. Quando non hai una famiglia alle spalle speri sempre di riscattarti creandone una tua soltanto, di cui andare dannatamente fiera. Lily non faceva eccezione ma l’eredità lasciatale da sua madre era scomoda e faceva paura. Nonostante le rassicurazioni di Alex e i controlli medici, temeva sempre che qualcosa le sfuggisse di mano, che tutto le apparisse assurdo e strano e cattivo facendola impazzire di punto in bianco. Non c’è un motivo per cui un individuo diventa un pazzo, giusto? Quella era una notte in cui avrebbe avuto bisogno delle rassicurazioni di Alex, non della presenza di Brian. Perché lui non poteva capire, invece Alex aveva capito benissimo: per quel motivo le aveva scaricato addosso Stella senza farsi troppi problemi e fregandosene delle sue paranoie. Era la sua terapia d’urto per ricordarle che era identica a tutti gli altri e che non era pazza. Magari un po’ matta, ma tutti i californiani lo erano, no?

“Val?”
Il ragazzo aveva aperto la porta di casa restando pressoché spiazzato dalla figura che gli si parava dinnanzi, il cappuccio tirato sulla nuca e le mani affossate nelle tasche della felpa.
“Entra, fa un freddo cane stasera.”
“Non si direbbe da come sei messo,” gli aveva risposto lei lanciandogli un’occhiata divertita, il petto nudo e i tatuaggi in bella vista. Matt era caloroso e adorava ricreare l’effetto serra in casa per potersene andare in giro con la stessa spavalderia con cui passeggiava in spiaggia il quindici di agosto.
“Come mai da queste parti? Tutto a posto?”
“Si, stavo pensando a quello che hai detto ai ragazzi stasera. Sei preoccupato, non è così?”
Valary aveva sempre capito ogni cosa di lui, anche tutte le frasi lasciate volutamente fuori da ogni discorso. La magia che c'era tra loro l'avevano costruita mattone dopo mattone, gradino dopo gradino, sino a decidere di condividere un percorso lungo una vita. Della promessa che si erano scambiati solo un anno e mezzo prima, a Matt sembrava restasse ben poco. Poteva dire di volere bene a Val, non sapeva dire se ne era ancora innamorato o se tutto si fosse spento senza che se ne rendessero conto. Alex era stata un pretesto per scappare e provare a cambiare vita, un comodo espediente che però gli si era rivoltato contro e che l'aveva messo con le spalle al muro. La ragazza non sarebbe tornata indietro e lui si era giocato l'unica alternativa alla sua attuale esistenza. Tornare con Val solo perché non aveva scelte, sarebbe stato solo da stronzi e da ipocriti, e se c'era una cosa di cui Matt poteva vantarsi era la totale incapacità di mentire.
“Volevo solo dirti che credo abbia ragione Brian. Perché Zacky ha deciso di tenere sua figlia non significa che gli Avenged Sevenfold siano finiti. I Metallica si portano in tour mogli e figli da sempre, Matt, rinunciare a tutto ora mi sembra un pretesto per evitare i problemi. E sai benissimo che il vostro problema è salire sul palco senza Jimmy.”
“Quindi cosa mi consigli?”
“Prima di tutto, di ripulire casa... è un porcile, lo sai?”
Si che lo so, manchi tu.
“Poi, credo dovreste trovare un batterista. Un turnista, uno che non necessariamente debba diventare un membro effettivo della band, magari un ragazzino giovane che vi ricordi perché avete iniziato a suonare. Anche se io avevo un'altra idea.”
“Tipo?”
“Chiediamo a Mike Portnoy di incidere il nuovo album con voi. Era il mito di Jimmy, chi meglio di lui potrebbe rendergli onore? Lavorate sulle canzoni, quando saranno pronte deciderete il da farsi. Non ha senso rinunciare a tutto ora, Matt. Siete diventati comunque adulti e siete ancora qui. La voglia di fare ce l'avete,ve lo si legge in faccia.”
“Tu leggi troppe cose nascoste,” l’aveva apostrofata il ragazzo con un sorriso divertito stampato in volto. Era la sua Val, non sarebbe cambiata mai. Anche nella merda più totale, lei avrebbe continuato ad andare avanti e combattere, senza fermarsi mai. Solo alla fine, qualora avesse perso tutto, si sarebbe dichiarata sconfitta.
“Ho imparato a farlo, e non brillate certo per originalità.”
“Resti?”
“No, torno a casa. Se ti va’ posso darti una mano a riordinare domani, senza implicazioni strane o una nuova partenza. Diamoci ancora un po’ di tempo, credo sia meglio per entrambi.”
Valary sapeva che Matt aveva sempre avuto bisogno di tempo per matabolizzare i cambiamenti, per riordinare la sua scala delle priorità e mettersi a lavorare. Lei c’era sempre stata, aveva creduto in loro quando non ci credeva nessun altro, e continuava a farlo. Anche se tra loro non si sarebbe sistemato un bel niente aveva un obbligo nei confronti di Jimmy: fare in modo che quelle quattro teste di cazzo non mandassero a puttane dieci anni di sogni e di vita. Jimmy, altrimenti, per cosa aveva vissuto?

Quando Lily era rincasata, Alex si trovava nel suo letto. Alle tre della domenica notte, poteva dire fosse un ottimo traguardo, considerando che non vedeva l’amica dall’incontro a casa di Johnny e Lacey, presa in modo forzato da Zacky per il residuo del week-end. Lily, però, non aveva di certo la decenza di considerare ciò che riguardava l’ amica una questione di privacy né, tanto meno, si era posta il problema dell’orario. Voleva sapere tutto, nei minimi dettagli, di conseguenza il suo gettarsi praticamente a peso morto sul letto di Alex, era stato un normale assalto e una sveglia – purtroppo preventivata – per l’inglese.
“Lil… che ore sono?”
“Le tre e un quarto più o meno… sei riuscita a fuggire da casa di Zacky?”
Alex aveva allungato il braccio al di fuori delle coperte, tastando il comodino sino ad agguantare la sveglia e portandosela sufficientemente vicina al viso per constatare l’orario.
E Lily, in fatto di tempismo del cazzo, si era proprio superata.
“Cosa vuoi sapere Lily? Sono tre notti che non dormo, possiamo parlarne domani, quando tornerò dal turno in ospedale?”
“E sarai più morta di adesso? Come hai fatto a farti dare i giorni di permesso?”
“Venerdì mi ha sostituita Jake, sabato e domenica ho chiesto un paio di giorni di riposo per motivi famigliari… ovviamente mi hanno chiesto di quale famiglia parlassi,” era stata la puntualizzazione sarcastica dell’inglese.
“Com’è?”
“Cosa?”
“Vivere con Zacky.”
“Non ho… okay, Zacky è l’uomo più apprensivo del pianeta.”
“Perché non sei rimasta con lui anche stanotte?”
Alex aveva sollevato la testa dal cuscino, i capelli che le ricadevano attorno al viso come un cespuglio di mangrovie ricco di nodi, lo sguardo assonnato e l’aria di chi non aveva nemmeno la forza di parlare.
“Deve imparare a fare il padre da solo, non ci sarò ogni secondo della giornata a seguirlo. Se ha scelto di tenere Stella con sé dovrà anche imparare a prendersene cura.”
“Tu andresti là anche nel cuore della notte, se ti chiedesse aiuto. Sei troppo buona, e ci tieni a lui, anche se non lo ammetteresti nemmeno sotto tortura.”
“No, ho solo la decenza di non volere sulla coscienza la vita di un neonato. Dove vuoi arrivare, Lily?”
“Da nessuna parte, volevo solo sapere com’era andata, tutto qui.”
Alex aveva portato lo sguardo sul display del proprio cellulare che, impostato sul silenzioso, emetteva stridii acuti muovendosi sul piano del comodino a causa della vibrazione. Lily, con aria trionfante, era scoppiata a ridere, l’aria soddisfatta di chi aveva già previsto ogni cosa.
“Non gli rispondi?”
“Cos’è, vi siete messi d’accordo per caso?”
Alex aveva osservato riluttante il telefono, prima di afferrarlo e decidere di rispondere: dall’altro lato provenivano rumori sommessi di sottofondo, poi il suono di qualcosa che cadeva a terra e si rompeva e le grida acute di Stella.
“Cazzo…” e Alex si era allontanata dall’orecchio il telefono, svegliandosi del tutto.
“Zacky tutto bene?”
“Si, cioè no… ho appena fatto cadere il biberon e il bollitore. Ora come faccio a calmarla?”
“Se l’hai fatto cadere ora, perché mi hai chiamata?”
“Volevo informarti che era tutto sotto controllo, solo che adesso non c’è più un cazzo sotto controllo!”
“Okay, Zacky. Io non mi muoverò da casa, per cui ora prendi una pentola qualsiasi, mettici dentro il latte e scaldalo. Falla bere con il biberon che avevamo preso dall’ospedale venerdì se hai rotto quello ipertecnologico che hai voluto comprare sabato.”
“Non lo trovo più, probabilmente l’ho buttato via. Era antiestetico.”
“Ma come cazzo fai a essere così scemo?”
“Okay, esco, vado a comprare il biberon con Stella e sistemo tutto.”
Venti minuti dopo, Stella e Zackary James Baker, un biberon avvolto nella propria confezione e un pacchetto di latte liofilizzato, si trovavano davanti al bungalow delle ragazze, il dito del chitarrista premuto con insistenza sul campanello.
“Cosa…”
“Ti avevo detto che avrei risolto tutto, no? Ci ho messo una vita a trovare un discount aperto a quest’ora… Eravate più vicine voi, così ho pensato di fermarmi qui per prepararle da mangiare, anche se ormai credo si sia sfiancata a forza di piangere e gridare. Potrebbe essere una grande cantante, secondo me. Tu che dici?” le aveva chiesto lui offrendole uno dei suoi sorrisi migliori, di quelli per i quali non potevi fare a meno di cedere.
“Zacky… sei un mostro,” e passandosi una mano tra i capelli, Alex aveva spalancato la porta ai due nuovi arrivati. Zacky aveva colpito basso e, in ogni caso, era così stanca che avrebbe ceduto persino dinnanzi a Brian e un seguito di ballerine di lap dance. La ragazza aveva la netta sensazione che le cose stessero prendendo una piega pericolosa che temeva di non saper arginare, come una palla di neve che – scendendo a valle – si trasforma in valanga, ma era bastato il sorriso di Lily che le chiedeva come dovesse fare per allattare la piccola, per capire che quella mocciosa che sorrideva sdentata avrebbe potuto risolvere ben più di un problema, costringendoli a mettersi tutti quanti in gioco. Non era una cosa che riguardava solo Zacky, quella. Alex, osservandolo seduto accanto a Lily sul divano del salotto, scorgeva qualcosa di nuovo e inaspettato. C’era  un’atmosfera dolce che sapeva di casa e serenità, come se Stella – nel gettarli nel panico più totale – riuscisse a creare quell’alchimia necessaria per scatenare equilibrio e sicurezza. Zacky aveva sollevato lo sguardo su di lei, i piedi nudi appoggiati sul bordo della poltrona e il mento sulle ginocchia persa a rincorrere i propri pensieri, sorridendole. Era il suo ringraziamento per esserci stata ancora una volta e lei, arrossendo, aveva distolto lo sguardo, tornando a guardare Stella addormentarsi, ormai sazia, tra le braccia di Lily.

*
Note delle Autrici

Abbiamo deciso di cambiare il titolo perchè abbiamo vcapitolo che il titolo della canzone è tra i più gettonati. Abbiamo aggiunto un sottotitolo tutto nostro. :)

Eccoci qua con un nuovo bellissimo capitolo. Stella è entrata a far parte della vita dei ragazzi... Non è adorabile?
Grazie a tutti quelli che seguono e recensisco la storia, ci rendete molto felici.
Alla prosisma!

   
 
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