Cet océan de
passion
Qui déferle dans mes veines
Qui cause ma déraison
Ma déroute, ma déveine
Si infila le unghie nelle
guance, dondola avanti e indietro, ansima e getta indietro la testa.
La notte non vuole che
dorma, questa volta. Ha provato a contare ed immaginare i numeri, il
metodo
migliore per addormentarsi, ma non ha funzionato.
È molto silenzioso,
tuttavia; desidera che l’incubo raggomitolato sotto le sue
coperte e le sue
lenzuola, nella sua casa, continui a dormire voltandogli la schiena
arcuata e
scoperta.
Ricicla un sorriso
perplesso: è davvero un incubo? Non potrebbe essere un
grazioso sogno
incatenato al cuscino, no, un angioletto innamorato delle coltri
chiare? No, si
dice piano, è un incubo, un mostro ributtante, dovrebbe e
vorrebbe buttarlo
fuori dal suo letto, anche se ormai ha cambiato tutto, come nulla
fosse.
È stato implacabile,
inarrestabile, ed è stato sciocco lasciarlo correre; alla
fine, ha preso tanta
velocità da travolgerlo e trascinarlo con sé. Da
una profondità alla sua destra
arriva un sospiro.
Allora sta ancora
dormendo, per fortuna.
Si accorge che una mano si
è mossa da sola, e rabbrividisce, tirandola indietro prima
che si svegli. Le
dita tremano, la gola si secca; scende sul pavimento fresco, barcolla
in cucina
per versarsi un bicchiere d’acqua. Beve piano, un sorso alla
volta, mentre la
freschezza della bottiglia contro lo stomaco lo fa calmare e muoversi
contemporaneamente: anche i serpenti attorcigliati nella sua mente si
sciolgono, almeno un poco, si sente meglio, più sicuro di
sé.
Apre il frigorifero, ma
una nuova fitta lo piega in basso, con gli occhi sbarrati e brucianti.
È esausto e non dormirà,
non dormirà certamente.
Doucement j'y plongerai
Sans qu'une main me retienne
Lentement je m'y noierai
Sans qu'un remord ne me vienne
Tornando in camera
comincia a tremare: i suoi occhi sono aperti, nella penombra azzurrina,
e lo
cercano, mostruosi. Si passa le mani sul volto e, fingendo di non aver
visto
nulla, si nasconde in bagno, strofinando la fronte contro la porta
lucida.
Perché dovrebbe avere
paura, sussurra, di stendersi nel suo letto e dormire? I muscoli e la
testa
pesano e sono esausti, eppure continua a tenere gli occhi sbarrati e
l’attenzione sempre alta.
Ha paura a scacciare
l’incubo dal letto, sa che si lascerà trascinare
come un bimbetto e si lascerà
spaventare e ammaliare e sottomettere e innalzare a Dio.
Un fruscio, dall’altra
parte della parete; forse sta venendo a cercarlo.
Il cuore gli sale in gola,
assieme ad un verso di disperazione: gira la chiave con dita sudate,
trovandosi
davanti null’altro che la sua ombra sulla parete e la luce
del bagno. La spegne
e barcolla verso il letto, come sospinto da una marea invisibile. Si
stende
sotto il lenzuolo fresco e spiegazzato, chiudendo ostinatamente gli
occhi. Il
sussulto impercettibile e la mutazione nel ritmo di respiro
dell’altro lato del
letto arrivano distinti alle sue orecchie; impietrito, apre le braccia
e
l’incubo vi scivola in mezzo, con una certa timidezza
infondata.
Lo stringe, strizzando
ancora più forte le palpebre, e poggia il viso sui suoi
capelli.
Mon
péché, mon obsession
Désir fou qui me tourmente
Qui me tourne en dérision
Qui me déchire et me hante
Non
gli è mai capitato di aver
bisogno di stare con la luce accesa tutta la notte, tanto
più che di solito è
talmente stanco che neanche i demòni dell’Inferno
riuscirebbero a intrappolarlo
in un angolo del letto, come accade adesso. Né pensa che un
diavolo lo
abbraccerebbe così.
C’è qualcosa di subdolo,
sotto, come se lo stesse indebolendo, non ha la forza di resistere o di
protestare per il chiarore diffuso dall’abat-jour.
È talmente stanco da non ha
la forza di dire nulla.
« Qual è il problema?»
ecco la sofferenza; si tormenta di già per quello che
è accaduto, crede che sia
colpa sua, e lo è. Solleva le braccia, i palmi rivolti verso
l’altro, perché
non capisce nemmeno lui cosa sta pensando, perché ha quella
sensazione di acido
che gli risale lungo la gola.
« Non riesco a dormire.»
risponde.
« Poverino, vuoi che ti
prepari qualcosa?» una mano gli stringe la spalla, sollecita;
dice di no,
appoggia la schiena alla testiera del letto. Se solo potesse chiudere
gli occhi
e dormire!
Ci prova, strizza forte le
palpebre, ascolta il fruscio delle lenzuola quando lei scende dal
letto, ma non
vuole ascoltare il rumore che fa dall’altra stanza,
né scoprire cosa sta
facendo.
Quando torna, avvicina le
labbra al suo orecchio, labbra profumate di limone e thé.
« Prova a bere qualcosa.»
suggerisce, mettendogli una tazza tra le mani.
Manda giù il tutto in
poche sorsate, sentendo i muscoli del ventre rilassarsi, ma non
è ancora
abbastanza. E se fosse colpa di lei, che continua ad agitarsi alla sua
destra,
inquieta?
« Sto malissimo.» si
lamenta, abbassando la testa.
Petite marchande
d'illusion
Je ne vis que dans l'attente
De voir voler ton jupon
Et que tu danses et tu chantes
« Stenditi, magari
ti
senti un po’ meglio.»
Si lascia spingere in
basso, fino ad avere la testa sul cuscino e il lenzuolo attorcigliato
attorno
alle gambe. Lei lo guarda dall’alto, la fronte corrugata, e
lo tocca
dappertutto, sui polsi, sulle guance, sulla fronte, come se stesse
assistendo
un malato. La stanchezza gli fa dolere le spalle e le tempie, eppure
non si
rassegna a concedergli il sonno: non ha mai desiderato nulla come quel
sonno.
Se solo lei spegnesse la
luce e lo lasciasse riposare, finalmente, finalmente, lancia uno
sguardo feroce
al viso in chiaroscuro sopra di lui.
« Non riesco a dormire.»
ripete, fosco, si volta dall’altra parte.
« Oh, scusami.»
Si stende accanto a lui,
continuando a cercare almeno un minimo contatto, ma non spegne la luce.
La sua
mente scivola nel sonno e ne esce, stordita, sogna per brevi secondi
gli occhi
accesi di lei in un caos senza fine, si risveglia con un sussulto e
trema e sente
le mani di lei sul suo braccio.
L’orologio segna le tre di
notte.
Moi
qui me croyais l'hiver
Me voici un arbre vert
Moi qui me croyais de fer
Contre le feu de la chair
Dopo cinque minuti
è di nuovo raggomitolato in un angolo.
« Ti faccio compagnia.»
« Non è necessario.»
« Sembri terrorizzato, e hai due occhiaie che sembrano
disegnate con
il pennarello. Hai bisogno di compagnia, secondo me. E poi è
tutto il giorno
che sono qui, perché non lasci che rimanga sveglia assieme a
te? Sei arrabbiato
con me?»
« No! No. Non è questo. È solo che non
volevo costringerti a rimanere
sveglia, penso che sia stanca anche tu…» mente
spudoratamente. Non l’ha mai
odiata così tanto. Vorrebbe farla tacere, così.
Un attimo di relativo silenzio.
« Posso rivelarti un segreto?» mormora poi,
costringendolo a voltarsi.
« Sono pazza di te.» aggiunge, con un sorriso
malizioso, come se finalmente si
fosse svuotata di un segreto increscioso.
Lui non risponde e lei si acquieta. L’orologio in salotto
batte le
quattro, i rintocchi si susseguono dentro la sua testa; cosa
può dire? Certo non
che non ne era a conoscenza. Perfino i muri se ne sono accorti, per non
parlare
del sasso davanti alla porta d’ingresso. Scoppia in una
risata nervosa e lei si
ritrae, nel buio.
« Lo sapevo.» risponde con la più grande
delicatezza, come una piuma, anche
se sente i rintocchi dell’orologio, in una zona imprecisata
tra la testa e il
petto, che gli spezzano le ossa e sta
cadendo in pezzi da dentro, mentre le fiamme gli rodono gli organi:
polmoni,
cuore, tutto.
Je
m'enflamme et me consume
Pour les yeux d'une étrangère
Qui ont bien plus de mystère
Que la lumière de la lune
«
E tu cosa pensi di me?»
Geme e la stringe.
« Sembri un così bel sogno, finché non
si spegne la luce.»
« Allora fino a domattina dormiremo con la luce accesa, che
ne dici? Anche
i grandi devono far scappare i mostri.»